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Autore: ImaShadowhunter    12/01/2014    0 recensioni
"Come poteva vivere senza pensarlo, se ogni volta che si scorgeva, lo vedeva?" Salve a tutti, vi presento la fanfiction che ho scritto in attesa di City of Heavenly Fire. Spero che vi tenga un po' occupati durante l'attesa!
La storia parla di Charlotte (Charlie) una bellissima ragazza che vive perennemente con il dolore per la perdita dei due fratelli. Il padre, quando lei aveva dodici anni, la affidò a due tizi che si finsero i suoi genitori. Fino all'età di dieci anni, aveva vissuto nella campagna di Idris, poi il padre l'aveva separata dal fratello gemello e portata in una casa poco lontana (scoprì poi), dove era vissuta appunto fino ai dodici anni, con l'altro fratello, di cui prima non conosceva l'esistenza. Il padre le aveva promesso che sarebbe tornato a prenderla e lei non smise mai di sperare nella parola data dal padre tanto amato. Però tutto sta per cambiare, Charlie lo sente appena arriva a New York, dove viene subito attratta dal Pandemonium.. Amore, verità nascoste, magia e tradimenti.
Genere: Fantasy, Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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Perfetto. Pensò Charlotte mentre osservava il suo capolavoro. Capelli perfetti, trucco perfetto, viso perfetto. Eh si, era bellissima, lo sapeva, come sapeva di essere prigioniera, prigioniera in quel corpo. Era appena stata al Pandemonium club, a New York, senza il permesso dei genitori adottivi. Quando era uscita, tutto il lavoro svolto dai parrucchieri e dai truccatori era andato al diavolo. Ma ne era valsa la pena per andare in una discoteca per 
la prima volta. Il giorno prima aveva sentito due ragazze che ne parlavano -del Pandemonium- così, aveva deciso di andarci, lì aveva ballato, incontrato gente bizzarra. A un certo un punto, aveva visto pure un ragazzo con capelli neri e gli occhi azzurri, bellissimo, mozzafiato a dir poco, con un pugnale in mano, ma, dopo aver battuto le palpebre era scomparso. Era stata sicuramente una allucinazione, anche se non aveva bevuto, era stanca. Doveva sbrigarsi e lo sapeva, sua madre sarebbe arrivata a momenti, ma rimase ferma davanti allo specchio, a fissare quel volto, chiedendosi se lui le assomigliasse ancora, dove fosse ora, se la pensasse ogni tanto. Lei lo pensava continuamente e costantemente. Ricordava i suoi capelli biondi, gli occhi dorati identici ai suoi, il naso all'insù, uguale al suo. Come poteva vivere senza pensarlo, se ogni volta che si scorgeva, lo vedeva? Odiava quel viso, odiava quegli occhi, odiava quei capelli, si odiava, era prigioniera dei ricordi. Il suo sorriso non l'avrebbe mai dimenticato, dolce e rassicurante, palesemente identico al suo. Una lacrima solitaria le colò sulla guancia, la eliminò con un brusco movimento della mano. Il suo nome le riecheggiava nella mente, come tante punture di spilli sul corpo, come schegge di vetro nel viso, i ricordi le riempirono la mente, facendola morire dentro, ancora.
-Chiamalo Robert!- disse un ragazzino con i capelli biondi. -che nome stupido per un gatto, Robert..- rispose una ragazzina con gli occhi d'oro. -perché mi chiedi consigli se poi non li vuoi davvero?- le chiese lui contrariato. -ci sono! Lo chiamerò Church!- disse la bimba sorridendo e ignorando la frecciatina del bambino, a cui era abituata. -Chiesa?- chiese lui ridendo. -si, perché noi siamo Shadowhunters, ha un significato, non come Robert!- disse lei  accarezzando il micio che teneva sul grembo. -ok, hai ragione, come sempre.- ammise lui carezzandole i capelli biondi.-già, ho ragione! E tu? Come lo chiamerai?- chiese lei. -a chi?- rispose lui. -al tuo falco, papà te l'ha appena regalato, idiota!- disse lei fingendo di essere infastidita. -Oh. Non so, appena lo tocco mi graffia, non so se riuscirò ad addestrarlo.- disse. -sempre meglio di un bagno negli spaghetti, come regalo- disse lei. -ero piccolo!- si difese.
Adesso piangeva, si che piangeva. Prese un fazzoletto e tolse le lacrime. Suo padre l'aveva strappata da lui, per il suo meglio aveva detto. Non voleva certo meno bene al padre, lei lo amava ancora. Dopo i diversi trasferimenti, l'aveva portata da un uomo e una donna che fecero finta di essere i suoi genitori, il padre, prima di portarla da loro, le aveva spiegato che sarebbe tornato, presto, l'avrebbe portata via, lei doveva solo fingere di essere la figlia di quei due. Ma non era mai tornato. Però lei ancora sperava. Poi, quello, il padre adottivo, aveva iniziato la sua campagna elettorale, e adesso, da anni, eccola lì. Non la si vedeva mai in Tv o nei giornali perché lei non voleva categoricamente. Prese un bicchiere di latte, che era stato poggiato sul lavamano, lo bevve e rialzò lo sguardo sullo specchio. Non poteva guardarsi, non ce la faceva. Chiuse gli occhi e ricordò un altro ragazzo, con gli occhi neri... In quel momento si aprì la finestra e vide delle mani aggrappate, si sporse e vide il ragazzo del Pandemonium. -C..che vuoi?- gli chiese. -dobbiamo andare via, immediatamente, sei in pericolo, in grave pericolo.- rispose. -che?!- chiese Charlotte stupita. -senti, ti spiegherò tutto dopo ok? Ora vieni solo via con me, fidati, ti prego.- lui là guardava con quegli occhi blu, non azzurri, blu cobalto, si accorse che, somigliava solo al ragazzo del club. -Ti prego.- disse ancora. Cercò di avanzare, verso lo sconosciuto, ma di cui stranamente si fidava ciecamente, però, non ci riuscì. Le si chiuse la gola. Non riusciva più ad emettere suono. Si portò una mano alla bocca. Il bicchiere che ancora teneva in mano, le cadde, per aver perso la sensibilità alla mano. il ragazzo guardò il bicchiere rotto e il latte. Un attimo, quello non era latte, quella sostanza sparsa a terra bruciava il pavimento. -No!- disse. Le prese il polso e uscì un cilindro d'argento, uno stilo, ricordò, e glielo posò sul braccio. Riusciva a muovere soltanto gli occhi e porgendoli verso di lui, notò che sembrava un angelo, era un angelo, per metà, visto le rune tracciate sul corpo. Lui la guardò e disse.- ti salverò, te lo prometto.- dopodiché tornò a concentrarsi sull'iratze. Aveva fatto bene a non smettere di sperare, perché suo padre aveva mandato a prenderla quel ragazzo. -sei il mio angelo.- disse. Scorse nel viso serio di lui l'ombra di un sorriso. Non sentiva più niente, nemmeno la pressione dello stilo sul braccio. Mentre cadeva nell'oscurità capì cosa c'era nel bicchiere: veleno. Mentre i suoi occhi si chiudevano, riuscì a mormorare un nome, in un rantolio sommesso, -Jace- disse, in mente le si formò il viso del gemello e cadde nelle braccia pronte del ragazzo, andando verso il sonno eterno.
  
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