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Autore: Cruel Heart    12/01/2014    2 recensioni
Caro Sk8er Boi_83,
ci siamo scambiati e-mails per…quanto?
Settimane? Mesi?
Beh, sinceramente… non m’importa molto.
Sei entrato nella mia vita, così come io sono entrata nella tua.
Hai scoperto un lato del mio carattere di cui neanche io ero a conoscenza, e mi hai fatto riscoprire le piccole ma fondamentali cose che il destino ci riserva.
Siamo stati fino ad ore inimmaginabili a parlare delle nostre vite, dei nostri problemi, di quello che vorremmo fare da grandi.
Ma sai qual è la cosa più buffa?
È che… non so neanche quale sia il tuo vero nome, non so come sia il tuo viso, di che colori siano i tuoi capelli, i tuoi occhi.
Dicono che i segreti, soprattutto quelli più inconfessabili, non debbano mai essere rivelati alle persone estranee. Ma so che tu non lo sei, per me.
Quindi, il mio segreto è questo: credo… credo… credo proprio di essermi innamorata di uno Sk8er.
[Fan Fiction ispirata al film “Cinderella Story”]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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A really bad figure - Una figura veramente pessima

 

Pov Avril

 

La mattinata era trascorsa senza troppi problemi, fatta eccezione per quel piccolo incidente mattutino.

Dio, se solo ci ripensavo…

Come si permetteva lui di prendermi in giro su un argomento così delicato, oltre che totalmente fuori luogo?

Dalla macchina che guidava l’altro giorno, pensai, deve essere ricco.

E poi, quell’atteggiamento così arrogante, come se tutto gli dovesse essere dovuto. Schifosamente ricco.

Scommetto che si ritrova i maggiordomi anche dove alloggia, nel campus. Ed è per questo che si ritrova a stare insieme ad un essere talmente ignobile come Nicole Fear. Schifosamente e disgustosamente ricco.

 

La campanella delle ore 14:00 suonò, e tutto il corpo studentesco si riversò nel corridoio.

Sembrava come se ogni studente – alto, basso, con i capelli neri o marroni, qual era il suo aspetto fisico non importava –  fosse una macchia indistinta all’interno di un grande gruppo scalpitante e urlante.

Di solito trovavo confortante tutta quella confusione, perché mi permetteva di diventare un’altra macchia indistinta e di sparire nell’indifferenza. Adesso, però, non era così.

Dovevo trovare Gabriel e chiedergli se volesse trascorrere un pomeriggio insieme a me.

Ultimamente, tra il trasloco e l’università, il tempo passato a fare cretinate – come giocare a Call Of Duty o, ancora meglio, imitare la voce acutissima di Judy quando si infuriava – si era notevolmente ridotto.

E non volevo assolutamente che fosse così.

 

Mi alzai sulle punte – l’altezza non era mai stata il mio forte – e cercai i suoi capelli a spina tra le centinaia di teste che avevo davanti a me. Niente.

Diedi un’occhiata sommaria dietro di me, ma non riuscii ad individuarlo.

 

A suon di gomitate e di “permesso” o “scusami tanto, non ti avevo visto”, mi diressi in segreteria. Speravo di riuscire a trovarlo almeno lì.

 

Il mio intuito non aveva sbagliato, infatti. Fissava con occhi incuriositi la bacheca della scuola, e sembrava particolarmente interessato a un foglio di carta e… al suo cibo.

Stava mangiando un doppio cheeseburger con un salsa dal colore e dalla provenienza ignota. Per fortuna.

 

“Ehi Gab.” Dissi, avvicinandomi a passi svelti verso di lui.

 

“Ehi. Cavolo, lo fai che il campuf è ftato fondato nel 1882? Ed è il fecondo campuf più antico dell’intera California!”

 

“Mi fa piacere saperlo.” Lo interruppi, prima che potesse buttarsi a fitto in un resoconto dettagliato sulla storia dell’UCLA. Diedi un’occhiata veloce ai fogli e agli avvisi appesi sulla grande bacheca. “Comunque, ti stavo cercando.”

 

“Ah.” Disse, ingoiando un pezzo del cheeseburger. “Come mai?”

 

“Beh, volevo chiederti se ti andasse di…” Il mio sguardo venne attirato da un volantino celeste, più precisamente dalla prima parola che era stata stampata su di esso.

 

Afferrai Gabriel per una spalla e lo feci posizionare proprio di fronte al volantino appeso. Poi, con uno sguardo eloquente, gli ordinai:”Leggi!”

 

Strabuzzò gli occhi, ma l’espressione della mia faccia lo convinse a leggere ad alta voce. “GIORNALISMO: Siete interessati ad una carriera giornalistica? Volete cominciare subito a muovere i primi passi nel mondo delle notizie e della carta stampata? Venite subito a fare un piccolo colloquio con la professoressa Sullivan, la direttrice, e il vostro sogno potrà essere realizzato. Tutto dietro un cospicuo compenso, ovviamente! Ma che fate, siete ancora lì? Salite subito al quarto piano, presto!”

Guardò verso di me, per poi guardare il volantino e ripetere almeno cinque volte la stessa operazione.

 

Io, invece, ero già in preda all’eccitazione più totale.

“Gabriel! Hai capito che vuol dire questo, vero?”

 

“Che sei stata colpita da un attacco improvviso di analfabetizzazione e non sei in più in grado di leggere? Sì.”

 

“Ma no, scemo. Il giornalismo.”

 

Una scintilla si accese nei suoi occhi, e capii che aveva capito. “Vuoi dire che andrai a fare il colloquio?”

 

“Esattamente.”

 

“Ma perché lo fai? Voglio dire, non hai mai avuto una passione di questo tipo.”

 

“Beh, è molto semplice. Più soldi, più indipendenza da Judy.”

 

“Wow, che schifo.” La sua faccia si contrasse in una smorfia di sdegno.

 

“Non venire a dirlo a me”

 

“Va bene, ma… come farai a superare il colloquio? Non hai neanche un briciolo di esperienza.”

 

“Grazie per l’incoraggiamento, Gabriel. Vorrà dire che m’inventerò qualcosa.” Conclusi il discorso, facendo spallucce.

 

Andai verso la rampa e salii le scale. Non avevo tempo di aspettare l’ascensore e non volevo assolutamente perdere minuti preziosi, anche se, in realtà, avevo molta paura di fare una figura pessima.

L’inventiva era sempre stata una parte fondamentale della mia vita, ma, risentendo la voce di Gabriel nelle orecchie, non avevo neanche un briciolo di esperienza.

Sullivan, pensai. Un cognome che trasmette autorità e potenza, senz’altro. Chissà quanti anni avrà.

 

Una volta arrivata al quarto piano – con il fiatone, ovviamente – esplorai l’ampio corridoio che mi si stagliava davanti, alla ricerca dell’ufficio della professoressa Sullivan.

 

Gould, Hamilton, Cooper, Dunn… Sullivan, finalmente.

 

Bussai, improvvisamente nervosa, ma non ci fu bisogno di aspettare una risposta: la porta era socchiusa.

La dischiusi leggermente, e restai perplessa.

Non era un ufficio, anzi. Sembrava… una vera redazione, con tanto di stampanti per la tipografia.

Vidi un ragazzo alto, con i capelli scuri arruffati, che teneva in mano dei fogli e li leggeva velocemente. Poteva avere la mia età, o forse un annetto in più.

Tutto in lui gridava “SONO OCCUPATO, LASCIAMI STARE”, ma lo salutai lo stesso, con un sorriso.

 

“Ciao.”

 

Mi degnò appena di un’occhiata, prima di ritornare a guardare i suoi fogli e di sussurrare:”Ciao.”

 

Wow. Un inizio incoraggiante.

“Ehm… sto cercando la direttrice, la professoressa Sullivan. Vorrei fare un colloquio per entrare in redazione.”

 

Rialzò nuovamente gli occhi, questa volta con un’aria più comprensiva sul volto. “Guarda, ti dico la verità. Oggi non è proprio giornata. La professoressa Sullivan ieri ha incominciato una nuova dieta, quindi è nervosa.” Il mio sorriso svanì di colpo. “E le ragioni sono due: o perché non ha mangiato, oppure perché ha mangiato qualcosa e ha rotto la dieta.” Sospirò, come se fosse stanco. “Comunque sia… se la cerchi, è nel suo ufficio, lì in fondo.” Mi disse, e mi indicò la direzione con un dito. 

 

“Beh…grazie.” Gli risposi. Ero stato gentile, nonostante adesso mi avesse messo addosso una voglia immane di scappare.

 

“Di nulla.” Rispose, e tornò ai suoi fogli.

 

M’incamminai a passo incerto verso l’ufficio della professoressa, immaginandomi come sarebbe stato il suo aspetto fisico.

Di sicuro sarebbe stata sulla cinquantina, magari con quegli occhiali da lettura che non si usano più. E anche un po’ in carne, visto che aveva incominciato una dieta.

Bussai contro la porta in vetro, e una voce potente, quanto ferma e decisa, parlò:”Avanti.”

 

Aprii la porta, e osservai la figura a cui apparteneva quella voce. Era una donna bionda e alta, sulla trentina, e indossava un tailleur nero che le stava alla perfezione. Aveva lo sguardo fisso sul monitor del computer, ma l’attenzione per il nuovo intruso – me –, le aveva fatto distogliere lo sguardo.

Non somigliava per niente alla mia descrizione, sembrava più un avvocato che una giornalista.

 

“Ehm, mi scusi, ma mi avevano indicato che questo era l’ufficio della professoressa Sullivan, ma a quanto pare devono essersi sbagliati. Scusi ancora per il disturbo.” Dissi, e feci per girarmi verso la porta.

 

Lei, però, sconvolgendo ogni mia aspettativa, mi sorrise. Nonostante la sua espressione rassicurante, c’era qualcosa che non andava, nel suo sorriso.

“Prego, nessun disturbo.” Strinse improvvisamente gli occhi, e il suo sorriso svanì, esattamente come aveva fatto il mio pochi istanti prima. “La professoressa Sullivan sono io.”

 

 

. . .

 

“Oh.” OH. SUL SERIO?! È L’UNICA COSA DECENTE CHE RIESCI A DIRE?!

 

“Sei venuta per il colloquio, immagino. Vero?”

 

Annuii lentamente. Il mio cervello doveva ancora elaborare ciò che era successo.

 

“Bene. Direi che, dopo questa tua penosissima caduta di stile, puoi anche sederti e incominciare a parlarmi di te.”

 

Le mie gambe ubbidirono immediatamente, come se avessero ricevuto il comando dal cervello di qualcun’altro. Il suo, pensai, desiderando come non mai di farmi piccola piccola in quella sedia enorme.  

 

“Allora… come ti chiami?”

 

“Avril Ramona Lavigne, signora.”

 

“Mmh, nome doppio. Descrivi un po’ la tua vita.” Disse, incrociando le mani.

 

Mentre il mio cervello pensava “MA PERCHÉ CAVOLO SONO VENUTA QUI?!”, la mia bocca rispose:”Beh, ho diciotto anni, e inizialmente vivevo con la mia matrigna, ma adesso vivo nel campus, e…”

 

Mi interruppe subito. “Matrigna? Tuo padre si è risposato?”

 

“Sì, quando avevo otto anni, signora.”

 

 “E adesso lui è felice?”

 

“Sì… credo che lassù, lui lo sia.” Risposi, sorridendo appena. La vergogna per la figuraccia di prima se n’era leggermente sbiadita, con il ricordo di mio padre

 

“Capisco. Nonostante la tua pessima figura di poco fa, mi dispiace.” Ed ecco che ritornava… “Comunque, hai mai avuto rapporti con il giornalismo?”

 

“No, signora.”

 

“Niente? Zero? Neanche un articolo.”

 

“N-no.” Dissi, abbassando lo sguardo. Ed ecco la situazione in cui mi ero vietata categoricamente di pormi, quella in cui arrivava la domanda “E allora che ci fai qui?”

La risposta oscillava tra un “Ho bisogno di soldi” a un “Voglio liberarmi di mia madre.”

 

Inaspettatamente, invece, andò subito al punto, con una sensibilità… a dir poco sorprendente. “Dunque…” Accavallò le gambe, brutto segno. “Sarò sincera con te.” …Pessimo segno. “In un giornale universitario, la rubrica della posta è quella più letta, quindi per me è un lavoro molto importante. Ora… tu non hai mai avuto nessun tipo di approccio, quindi, diciamoci la verità, per quale motivo dovresti entrare a far parte della mia squadra? Per cui, direi che possiamo chiuderla qui. Arrivederci.”

 

Il mio cervello non pensava a niente, e non voleva neanche farlo. Era semplicemente vuoto. “Arrivederci.” Dissi, con voce incrinata, e forse fu la consapevolezza di essere vicina al pianto, che mi diede la forza di controbattere. “Sa, ha ragione, quando dice che non ho mai avuto nessun tipo di rapporto con questo mondo, dove, a quanto a pare, l’esperienza conta più di ogni altra cosa. Non sa, però, che nei miei diciott’anni di vita ho sempre cercato di dare tutto per gli altri. Ma adesso basta, adesso voglio dare finalmente qualcosa per me stessa. Qualcosa in cui credere veramente, e che veda soltanto me al centro di tutto. Qualcosa in cui metterci l’anima. Arrivederci.” Mi alzai dalla sedia, con un miscuglio di emozioni dentro, ma, nonostante questo, riuscii ad uscire dall’ufficio a testa alta.

 

I miei passi si rincorrevano veloci, volevo solo uscire di lì e ritornare nel mio appartamento per poter finalmente piangere.

 

“Lavigne.”

 

I piedi si immobilizzarono, e mi girai lentamente, quasi a rallentatore.

La professoressa Sullivan era in piedi di fronte alla porta in vetro del suo ufficio, e mi sorrideva tranquilla.

“Forse sono stava un po’ troppo frettolosa, nei tuoi confronti. Ti va di parlare ancora un po’?”

 

Invece di rispondere, abbassai un po’ la testa, e andai verso di lei.

Aprì la porta e me la tenne aperta, invitandomi ad entrare.

Ognuno si sedette al proprio posto, solo che, stavolta, la professoressa Sullivan continuava a sorridere. “Allora, il nostro settimanale si occupa, logicamente, dell’universo dei teenagers nelle sue varie forme. Questo significa, in pratica, che dobbiamo stare dietro a tutto. Nuove tendenze, moda, attualità, tecnologia, personaggi famosi, appuntamenti, primi amori… cose di questo tipo.”

 

“Capisco. Loro…” dissi, indicando tre ragazze e lo stesso ragazzo che avevo salutato prima. “…Sono la sua redazione?”

 

Rimase alquanto sorpresa nel constatare che anch’io riuscivo a condurre una conversazione. “Sì. Se vuoi, te li presento velocemente.” Annuii alla sua proposta. “Quella ragazza con i capelli viola è Maya. Si occupa di cinema, qualche volta teatro, appuntamenti mondani… la cosa che mi preoccupa di più di quella ragazza è che ogni volta che va a qualche evento, ritorna con un nuova fidanzato. Ma forse ha già capito come va la vita, vero?” Poi, indicò la seconda ragazza.

“Accanto a lei, la ragazza che sembra essere scappata da una fiera per nerd è Helena. È sempre stata chiusa nel suo mondo, nel caso te lo stessi chiedendo. Lei si occuperebbe di viaggi nelle mete preferite dei giovani, ma gli unici viaggi che compie sono quelli per andare in fumetteria.

Quella lì in fondo, invece, è Kate. Si occupa di moda, trucco, fitness… È arrivata da poco, e non ha ancora legato bene con il gruppo. Credo sia la classica ragazza un po’ perfettina e con la puzza sotto il naso, ed è incredibile quanto sia straordinariamente magra, non trovi?”

Mi ritrovai a chiedermi se la nota di fastidio era veramente presente nella sua voce, o se me l’ero immaginata io.

“E poi, c’è l’unico maschio della redazione, Michael, il nostro grafico con la fissa del football. Spero che, alla fine della sua esperienza con noi, sia l’unico essere umano maschio a capire le donne, in un futuro.” [Glaphy, non preoccuparti, ogni riferimento è puramente non casuale]

Poi, senza mai smettere di sorridere, si girò verso di me. “E adesso… veniamo a te.”

 

Deglutii, improvvisamente a disagio. “Cosa devo fare?”

 

“Mi servono informazioni, statistiche, tutto ciò che puoi raccogliere su che cosa fa scattare negli adolescenti la scintilla dell’innamoramento. Per fare questo, però, devi andare nel tuo appartamento, accendere il computer e iscriverti al social network interno al campus. Dovrai spacciarti per una persona che non se, ovvero la classica ragazza comune dell’UCLA. Per cui, cheerleader, musica pop e stupidi libri rosa. Nessuno deve anche minimamente sospettare che tu sia una giornalista sotto copertura, chiaro?”

 

Annuii. Mi sembrava di essere in uno di quei film di James Bond.

“Poi, dopo che hai raccolto i dati, mi porti tutto il materiale, ok?”

 

“Va bene, signora.”

Mi alzai dalla sedia, con un sorrisino trionfante sulla faccia, e imboccai il corridoio per andare alla porta.

 

“Ah, Lavigne?”

 

“Sì?”

 

“Signora mi fa sentire più vecchia di quanto non sia. Chiamami Ada.”

***

 

Una volta giunta a casa, ero talmente felice che urlai di gioia.

Il momento di felicità, però, si estinse quasi subito.

Avevo un compito da svolgere, e volevo già incominciare a svolgerlo..

Accesi il computer e, impaziente, entrai sul sito, e seguii perfettamente le istruzioni della professoressa Sullivan, cioè di Ada. Completai il profilo, e sembrava veramente l’account di qualcun altro.

Qualcuno di totalmente vuoto e superficiale.

Per questo, volli inserire, nello spazio apposito, la citazione più adatta alla situazione: Nascondi chi sono, e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni.

Neanche due secondi dopo averla scritta, mi arrivò un piccolo avviso lampeggiante.

 

Era la mia prima notifica.

 

Un messaggio.    

***

Salve, bella gente.

Allora, vi piace questo capitolo un po’ più lunghino?

Mi raccomando, vi voglio tutti attivi per il prossimo. Ci sarà da divertirsi ^-^

Ah, a proposito, mi sono iscritta ad Ask! *Coincidenze? Io non credo*

Questo è il mio account: http://ask.fm/ShiningBlackStar

Rispondo anche alle domande anonime, ovviamente.

Bene, ci si vede al prossimo capitolo!

Cruel Heart.

   
 
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