A
really bad figure - Una
figura veramente pessima
Pov Avril
La
mattinata era trascorsa
senza troppi problemi, fatta eccezione per quel piccolo
incidente mattutino.
Dio,
se solo ci ripensavo…
Come
si permetteva lui di prendermi in
giro su un
argomento così delicato, oltre che totalmente fuori luogo?
Dalla macchina che guidava
l’altro giorno, pensai, deve
essere ricco.
E
poi, quell’atteggiamento
così arrogante, come se tutto gli dovesse essere dovuto. Schifosamente ricco.
Scommetto
che si ritrova i
maggiordomi anche dove alloggia, nel campus. Ed è per questo
che si ritrova a
stare insieme ad un essere talmente ignobile come Nicole Fear. Schifosamente e disgustosamente ricco.
La
campanella delle ore 14:00
suonò, e tutto il corpo studentesco si riversò
nel corridoio.
Sembrava
come se ogni
studente – alto, basso, con i capelli neri o marroni, qual
era il suo aspetto
fisico non importava – fosse
una macchia
indistinta all’interno di un grande gruppo scalpitante e
urlante.
Di
solito trovavo confortante
tutta quella confusione, perché mi permetteva di diventare
un’altra macchia
indistinta e di sparire nell’indifferenza. Adesso,
però, non era così.
Dovevo
trovare Gabriel e
chiedergli se volesse trascorrere un pomeriggio insieme a me.
Ultimamente,
tra il trasloco
e l’università, il tempo passato a fare cretinate
– come giocare a Call Of Duty
o, ancora meglio, imitare la voce acutissima di Judy quando si
infuriava – si
era notevolmente ridotto.
E
non volevo assolutamente
che fosse così.
Mi
alzai sulle punte –
l’altezza non era mai stata il mio forte – e cercai
i suoi capelli a spina tra
le centinaia di teste che avevo davanti a me. Niente.
Diedi
un’occhiata sommaria
dietro di me, ma non riuscii ad individuarlo.
A
suon di gomitate e di “permesso”
o “scusami tanto, non ti avevo visto”, mi diressi
in segreteria. Speravo di
riuscire a trovarlo almeno lì.
Il
mio intuito non aveva
sbagliato, infatti. Fissava con occhi incuriositi la bacheca della
scuola, e
sembrava particolarmente interessato a un foglio di carta e…
al suo cibo.
Stava
mangiando un doppio
cheeseburger con un salsa dal colore e dalla provenienza ignota. Per
fortuna.
“Ehi
Gab.” Dissi,
avvicinandomi a passi svelti verso di lui.
“Ehi.
Cavolo, lo fai che il
campuf è ftato fondato nel 1882? Ed è il fecondo
campuf più antico dell’intera
California!”
“Mi
fa piacere saperlo.” Lo
interruppi, prima che potesse buttarsi a fitto in un resoconto
dettagliato
sulla storia dell’UCLA. Diedi un’occhiata veloce ai
fogli e agli avvisi appesi
sulla grande bacheca. “Comunque, ti stavo cercando.”
“Ah.”
Disse, ingoiando un
pezzo del cheeseburger. “Come mai?”
“Beh,
volevo chiederti se ti
andasse di…” Il mio sguardo venne attirato da un
volantino celeste, più
precisamente dalla prima parola che era stata stampata su di esso.
Afferrai
Gabriel per una
spalla e lo feci posizionare proprio di fronte al volantino appeso.
Poi, con
uno sguardo eloquente, gli ordinai:”Leggi!”
Strabuzzò
gli occhi, ma
l’espressione della mia faccia lo convinse a leggere ad alta
voce. “GIORNALISMO:
Siete interessati ad una carriera giornalistica? Volete cominciare
subito a
muovere i primi passi nel mondo delle notizie e della carta stampata?
Venite
subito a fare un piccolo colloquio con la professoressa Sullivan, la
direttrice, e il vostro sogno potrà essere realizzato. Tutto
dietro un cospicuo
compenso, ovviamente! Ma che fate, siete ancora lì? Salite
subito al quarto
piano, presto!”
Guardò
verso di me, per poi
guardare il volantino e ripetere almeno cinque volte la stessa
operazione.
Io,
invece, ero già in preda
all’eccitazione più totale.
“Gabriel!
Hai capito che vuol
dire questo, vero?”
“Che
sei stata colpita da un
attacco improvviso di analfabetizzazione e non sei in più in
grado di leggere?
Sì.”
“Ma
no, scemo. Il giornalismo.”
Una
scintilla si accese nei
suoi occhi, e capii che aveva capito. “Vuoi dire che andrai a
fare il colloquio?”
“Esattamente.”
“Ma
perché lo fai? Voglio
dire, non hai mai avuto una passione di questo tipo.”
“Beh,
è molto semplice. Più
soldi, più indipendenza da Judy.”
“Wow,
che schifo.” La sua
faccia si contrasse in una smorfia di sdegno.
“Non
venire a dirlo a me”
“Va
bene, ma… come farai a
superare il colloquio? Non hai neanche un briciolo di
esperienza.”
“Grazie
per
l’incoraggiamento, Gabriel. Vorrà dire che
m’inventerò qualcosa.” Conclusi il
discorso, facendo spallucce.
Andai
verso la rampa e salii
le scale. Non avevo tempo di aspettare l’ascensore e non
volevo assolutamente
perdere minuti preziosi, anche se, in realtà, avevo molta
paura di fare una
figura pessima.
L’inventiva
era sempre stata
una parte fondamentale della mia vita, ma, risentendo la voce di
Gabriel nelle
orecchie, non avevo neanche un briciolo di esperienza.
Sullivan,
pensai. Un cognome che trasmette
autorità
e potenza, senz’altro. Chissà quanti anni
avrà.
Una
volta arrivata al quarto
piano – con il fiatone, ovviamente – esplorai
l’ampio corridoio che mi si
stagliava davanti, alla ricerca dell’ufficio della
professoressa Sullivan.
Gould, Hamilton, Cooper,
Dunn… Sullivan, finalmente.
Bussai,
improvvisamente
nervosa, ma non ci fu bisogno di aspettare una risposta: la porta era
socchiusa.
La
dischiusi leggermente, e
restai perplessa.
Non
era un ufficio, anzi.
Sembrava… una vera redazione,
con
tanto di stampanti per la tipografia.
Vidi
un ragazzo alto, con i
capelli scuri arruffati, che teneva in mano dei fogli e li leggeva
velocemente.
Poteva avere la mia età, o forse un annetto in
più.
Tutto
in lui gridava “SONO
OCCUPATO, LASCIAMI STARE”, ma lo salutai lo stesso, con un
sorriso.
“Ciao.”
Mi
degnò appena di
un’occhiata, prima di ritornare a guardare i suoi fogli e di
sussurrare:”Ciao.”
Wow.
Un inizio incoraggiante.
“Ehm…
sto cercando la
direttrice, la professoressa Sullivan. Vorrei fare un colloquio per
entrare in
redazione.”
Rialzò
nuovamente gli occhi,
questa volta con un’aria più comprensiva sul
volto. “Guarda, ti dico la verità.
Oggi non è proprio giornata. La professoressa Sullivan ieri
ha incominciato una
nuova dieta, quindi è nervosa.” Il mio sorriso
svanì di colpo. “E le ragioni
sono due: o perché non ha mangiato, oppure perché
ha mangiato qualcosa e ha
rotto la dieta.” Sospirò, come se fosse stanco.
“Comunque sia… se la cerchi, è
nel suo ufficio, lì in fondo.” Mi disse, e mi
indicò la direzione con un dito.
“Beh…grazie.”
Gli risposi.
Ero stato gentile, nonostante adesso mi avesse messo addosso una voglia
immane
di scappare.
“Di
nulla.” Rispose, e tornò
ai suoi fogli.
M’incamminai
a passo incerto
verso l’ufficio della professoressa, immaginandomi come
sarebbe stato il suo
aspetto fisico.
Di
sicuro sarebbe stata sulla
cinquantina, magari con quegli occhiali da lettura che non si usano
più. E
anche un po’ in carne, visto che aveva incominciato una dieta.
Bussai
contro la porta in
vetro, e una voce potente, quanto ferma e decisa,
parlò:”Avanti.”
Aprii
la porta, e osservai la
figura a cui apparteneva quella voce. Era una donna bionda e alta,
sulla
trentina, e indossava un tailleur nero che le stava alla perfezione.
Aveva lo
sguardo fisso sul monitor del computer, ma l’attenzione per
il nuovo intruso –
me –, le aveva fatto distogliere lo sguardo.
Non
somigliava per niente
alla mia descrizione, sembrava più un avvocato che una
giornalista.
“Ehm,
mi scusi, ma mi avevano
indicato che questo era l’ufficio della professoressa
Sullivan, ma a quanto
pare devono essersi sbagliati. Scusi ancora per il disturbo.”
Dissi, e feci per
girarmi verso la porta.
Lei,
però, sconvolgendo ogni
mia aspettativa, mi sorrise. Nonostante la sua espressione
rassicurante, c’era
qualcosa che non andava, nel suo sorriso.
“Prego,
nessun disturbo.”
Strinse improvvisamente gli occhi, e il suo sorriso svanì,
esattamente come
aveva fatto il mio pochi istanti prima. “La professoressa
Sullivan sono io.”
…
.
. .
“Oh.”
OH. SUL SERIO?! È
L’UNICA COSA DECENTE CHE RIESCI A DIRE?!
“Sei
venuta per il colloquio,
immagino. Vero?”
Annuii
lentamente. Il mio
cervello doveva ancora elaborare ciò che era successo.
“Bene.
Direi che, dopo questa
tua penosissima caduta di stile, puoi anche sederti e incominciare a
parlarmi
di te.”
Le
mie gambe ubbidirono
immediatamente, come se avessero ricevuto il comando dal cervello di
qualcun’altro.
Il suo, pensai, desiderando come non
mai di farmi piccola piccola in quella sedia enorme.
“Allora…
come ti chiami?”
“Avril
Ramona Lavigne,
signora.”
“Mmh,
nome doppio. Descrivi
un po’ la tua vita.” Disse, incrociando le mani.
Mentre
il mio cervello
pensava “MA PERCHÉ CAVOLO SONO VENUTA
QUI?!”, la mia bocca rispose:”Beh, ho
diciotto anni, e inizialmente vivevo con la mia matrigna, ma adesso
vivo nel
campus, e…”
Mi
interruppe subito.
“Matrigna? Tuo padre si è risposato?”
“Sì,
quando avevo otto anni,
signora.”
“E adesso lui
è felice?”
“Sì…
credo che lassù, lui lo
sia.” Risposi, sorridendo appena. La vergogna per la
figuraccia di prima se
n’era leggermente sbiadita, con il ricordo di mio padre
“Capisco.
Nonostante la tua
pessima figura di poco fa, mi dispiace.” Ed ecco che
ritornava… “Comunque, hai
mai avuto rapporti con il giornalismo?”
“No,
signora.”
“Niente?
Zero? Neanche un
articolo.”
“N-no.”
Dissi, abbassando lo
sguardo. Ed ecco la situazione in cui mi ero vietata categoricamente di
pormi,
quella in cui arrivava la domanda “E allora che ci fai
qui?”
La
risposta oscillava tra un
“Ho bisogno di soldi” a un “Voglio
liberarmi di mia madre.”
Inaspettatamente,
invece,
andò subito al punto, con una
sensibilità… a dir poco sorprendente.
“Dunque…”
Accavallò le gambe, brutto segno. “Sarò
sincera con te.” …Pessimo segno. “In un
giornale universitario, la rubrica della posta è quella
più letta, quindi per
me è un lavoro molto importante. Ora… tu non hai
mai avuto nessun tipo di
approccio, quindi, diciamoci la verità, per quale motivo
dovresti entrare a far
parte della mia squadra? Per cui, direi che possiamo chiuderla qui.
Arrivederci.”
Il
mio cervello non pensava a
niente, e non voleva neanche farlo. Era semplicemente vuoto.
“Arrivederci.” Dissi, con voce incrinata, e forse
fu la
consapevolezza di essere vicina al pianto, che mi diede la forza di
controbattere. “Sa, ha ragione, quando dice che non ho mai
avuto nessun tipo di
rapporto con questo mondo, dove, a quanto a pare,
l’esperienza conta più di
ogni altra cosa. Non sa, però, che nei miei
diciott’anni di vita ho sempre
cercato di dare tutto per gli altri. Ma adesso basta, adesso voglio
dare
finalmente qualcosa per me stessa. Qualcosa in cui credere veramente, e
che
veda soltanto me al centro di tutto. Qualcosa in cui metterci
l’anima.
Arrivederci.” Mi alzai dalla sedia, con un miscuglio di
emozioni dentro, ma,
nonostante questo, riuscii ad uscire dall’ufficio a testa
alta.
I
miei passi si rincorrevano
veloci, volevo solo uscire di lì e ritornare nel mio
appartamento per poter
finalmente piangere.
“Lavigne.”
I
piedi si immobilizzarono, e
mi girai lentamente, quasi a rallentatore.
La
professoressa Sullivan era
in piedi di fronte alla porta in vetro del suo ufficio, e mi sorrideva
tranquilla.
“Forse
sono stava un po’
troppo frettolosa, nei tuoi confronti. Ti va di parlare ancora un
po’?”
Invece
di rispondere,
abbassai un po’ la testa, e andai verso di lei.
Aprì
la porta e me la tenne
aperta, invitandomi ad entrare.
Ognuno
si sedette al proprio
posto, solo che, stavolta, la professoressa Sullivan continuava a
sorridere.
“Allora, il nostro settimanale si occupa, logicamente,
dell’universo dei
teenagers nelle sue varie forme. Questo significa, in pratica, che
dobbiamo
stare dietro a tutto. Nuove tendenze, moda, attualità,
tecnologia, personaggi
famosi, appuntamenti, primi amori… cose di questo
tipo.”
“Capisco.
Loro…” dissi,
indicando tre ragazze e lo stesso ragazzo che avevo salutato prima.
“…Sono la
sua redazione?”
Rimase
alquanto sorpresa nel
constatare che anch’io riuscivo a condurre una conversazione.
“Sì. Se vuoi, te
li presento velocemente.” Annuii alla sua proposta.
“Quella ragazza con i
capelli viola è Maya. Si occupa di cinema, qualche volta
teatro, appuntamenti
mondani… la cosa che mi preoccupa di più di
quella ragazza è che ogni volta che
va a qualche evento, ritorna con un nuova fidanzato. Ma forse ha
già capito
come va la vita, vero?” Poi, indicò la seconda
ragazza.
“Accanto
a lei, la ragazza
che sembra essere scappata da una fiera per nerd è Helena.
È sempre stata
chiusa nel suo mondo, nel caso te lo stessi chiedendo. Lei si
occuperebbe di
viaggi nelle mete preferite dei giovani, ma gli unici viaggi che compie
sono
quelli per andare in fumetteria.
Quella
lì in fondo, invece, è
Kate. Si occupa di moda, trucco, fitness… È
arrivata da poco, e non ha ancora
legato bene con il gruppo. Credo sia la classica ragazza un
po’ perfettina e
con la puzza sotto il naso, ed è incredibile quanto sia
straordinariamente
magra, non trovi?”
Mi
ritrovai a chiedermi se la
nota di fastidio era veramente presente nella sua voce, o se me
l’ero
immaginata io.
“E
poi, c’è l’unico maschio
della redazione, Michael, il nostro grafico con la fissa del football.
Spero
che, alla fine della sua esperienza con noi, sia l’unico
essere umano maschio a
capire le donne, in un futuro.” [Glaphy, non preoccuparti,
ogni riferimento è
puramente non casuale]
Poi,
senza mai smettere di
sorridere, si girò verso di me. “E
adesso… veniamo a te.”
Deglutii,
improvvisamente a
disagio. “Cosa devo fare?”
“Mi
servono informazioni,
statistiche, tutto ciò che puoi raccogliere su che cosa fa
scattare negli
adolescenti la scintilla dell’innamoramento. Per fare questo,
però, devi andare
nel tuo appartamento, accendere il computer e iscriverti al social
network
interno al campus. Dovrai spacciarti per una persona che non se, ovvero
la
classica ragazza comune dell’UCLA. Per cui, cheerleader,
musica pop e stupidi
libri rosa. Nessuno deve anche minimamente sospettare che tu sia una
giornalista sotto copertura, chiaro?”
Annuii.
Mi sembrava di essere
in uno di quei film di James Bond.
“Poi,
dopo che hai raccolto i
dati, mi porti tutto il materiale, ok?”
“Va
bene, signora.”
Mi
alzai dalla sedia, con un
sorrisino trionfante sulla faccia, e imboccai il corridoio per andare
alla
porta.
“Ah,
Lavigne?”
“Sì?”
“Signora
mi fa sentire più
vecchia di quanto non sia. Chiamami Ada.”
***
Una
volta giunta a casa, ero
talmente felice che urlai di gioia.
Il
momento di felicità, però,
si estinse quasi subito.
Avevo
un compito da svolgere,
e volevo già incominciare a svolgerlo..
Accesi
il computer e,
impaziente, entrai sul sito, e seguii perfettamente le istruzioni della
professoressa Sullivan, cioè di Ada. Completai il profilo, e
sembrava veramente
l’account di qualcun altro.
Qualcuno
di totalmente vuoto
e superficiale.
Per
questo, volli inserire,
nello spazio apposito, la citazione più adatta alla
situazione: Nascondi chi sono, e aiutami a
trovare la
maschera più adatta alle mie intenzioni.
Neanche
due secondi dopo
averla scritta, mi arrivò un piccolo avviso lampeggiante.
Era
la mia prima notifica.
Un
messaggio.
***
Salve, bella gente.
Allora, vi piace
questo capitolo un po’ più lunghino?
Mi raccomando, vi
voglio tutti attivi per il prossimo. Ci sarà da divertirsi
^-^
Ah, a proposito, mi
sono iscritta ad Ask! *Coincidenze? Io non credo*
Questo è il
mio
account: http://ask.fm/ShiningBlackStar
Rispondo anche alle
domande anonime, ovviamente.
Bene, ci si vede al
prossimo capitolo!
Cruel Heart.