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Autore: LadyEle    13/01/2014    0 recensioni
" Questa non è la fine. E' l'inizio.
Non è possibile vacillare.
Se non ti fidi di ciò, non aver fiducia in nient'altro..."
Il Calice era stato da poco trafugato e Galadriel aveva richiesto l'aiuto di Gran Burrone. Elrond decide di mandare sua cugina, la sfortunata crociata degli elfi sta per avere inizio.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Celeborn, Elrond, Galadriel, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Pioveva con particolare intensità quella notte, i cavalli avevano difficoltà a trainare la carrozza elfica, per via del terreno fangoso, ed i soldati andavano avanti a capo chino. I Vala quella notte sembrava non avessero pietà per i loro figli, costretti a passare su di un percorso alternativo a causa di un avviso di imboscata da parte della loro signora Galadriel.
«Odio questa pioggia, non vedo l'ora di buttarmi dentro una bella vasca calda, inizio a puzzare come un cane bagnato per via di tutta questa umidità!» Disse un elfo dai lunghi capelli biondi, intento a lucidare un calice.
«Adanedhel, sii paziente, all'alba arriveremo a Lòrien. Ringrazia il cielo che stai qui dentro la carrozza, al riparo dalla pioggia, piuttosto che fuori assieme ai soldati.» Rispose un secondo elfo, seduto di fronte a lui.
Entrambi portavano i vessilli del regno di Lòrien e, a giudicare dalle pregiate finiture dei loro abiti, li si poteva riconoscere come ambasciatori.
Improvvisamente la carrozza si fermò bruscamente, facendo cadere dalle mani di Adanedhel il prezioso oggetto.
« Per tutti i Vala perché vi s...» Una freccia si conficcò nel petto dell'elfo, affacciatosi alla finestra per vedere cosa succedeva.
Il suo compagno, preso dallo spavento, si attaccò con la schiena dall'altra parte della cabina.
«Adanedhel! Accidenti che succede?»
I soldati elfici vennero attaccati ai lati dalle frecce di un gruppo di feroci orchi.
«Presto, presto soldati, alle armi!» Ordinò il capitano, impennando il suo cavallo e sguainando la lama verso il cielo. Proprio in quel momento però una freccia colpì il cuore del cavallo, che si riversò a terra privo di vita. Il soldato cadde a terra e per un soffiò non morì schiacciato dal peso dell'animale.
Imperversò una lotta furiosa, in cui gli elfi diedero il meglio di sé e, nonostante la differenza numerica, sembrava stessero vincendo, se non fosse che un potente ruggito li scosse fin dentro l'anima.
«Un drago!» Urlò terrorizzato un soldato.
Dal cielo era apparso un enorme drago scarlatto, dalle cui narici usciva un fumo ancor più denso e cupo delle nuvole stesse che fino a poco fa l'avevano tenuto nascosto. Tutti tenevano il naso all'in su. Gli orchi, a quella vista, se ne scapparono via e non per paura. Dai commenti soddisfatti dei mostri, i soldati capirono che egli era un loro alleato.
«Soldati di Lòrien, coraggio, abbattiamo questo lucertolone gigante!» Esordì il capitano, ma dal suo sguardo i suoi compagni capirono che egli stesso non credeva in una possibile vittoria.
«Smagul, queste sono le tue prede... avanti dimostra loro cosa è capace di fare il figlio di Smaug!»
Una vecchia megera, dai lunghi capelli grigi, grinzosa e con una cenciosa veste nera, fece capolino da dietro il collo del drago. Indicò i soldati col suo lungo dito affusolato con in cima un'unghia appuntita.
La creatura ringhiò e con un tonfo atterrò di innanzi agli elfi. Ruggì con una tale forza da farli sbilanciare. Gonfiò la pancia per preparare le sue fiamme ed incenerirli, ma la strega gli disse di non farlo, perché altrimenti avrebbe rischiato di danneggiare anche ciò che cercavano. Diede loro allora una possente zampata, uccidendo all'istante cinque soldati su quindici.
«Come riesce quella donna a governare un drago?» Si chiese l'ambasciatore, che nel frattempo si era affacciato dalla finestra della carrozza.
«Guardate i suoi occhi, ha uno strano bagliore nelle pupille, evidentemente è ipnotizzato o qualcosa del genere.» Rispose il capitano. «Piuttosto, noi faremo il possibile per distrarlo. Penso voglia il calice, è l'unico oggetto di valore tra i nostri possedimenti. Appena le darò il segnale, fuggite con esso. La Zona senza Potere è qui vicino, se andrete lì, quella donna non avrà poteri.»
Diede ai suoi uomini l'ordine di dare la carica e quelli eseguirono. Purtroppo il mostro era più forte e le scaglie talmente resistenti da spezzare le lame.
In una manciata di minuti, tutti i soldati erano stati sconfitti e il tempo di lanciare il segnale non c'era stato, solo il capitano era sopravvissuto e, munitosi di un cavallo,  prese in groppa l'ambasciatore e fuggirono via, verso la meta prima citata.
Parlando in elfico al cavallo, il capitano riuscì a far correre più velocemente la bestia e, grazie ai fitti alberi, il drago non riuscì ad individuarli. In una mezz'ora, raggiunsero la Zona senza Potere, ben riconoscibile dall'aura verde che ne delimitava il territorio.
Lucine azzurre volteggiavano tra i cespugli, come lucciole.
«Che cosa sono?» Chiese l'ambasciatore al soldato, mentre controllava che il calice, avvolto precedentemente in un panno, non avesse subito alcun danno.
«Spiriti protettori. Sono loro che proteggono la zona e limitano il potere magico delle creature estranee. Sono azzurre, è un buon segno, vuol dire che il nostro nemico non è ancora entrato nel territorio, altrimenti sarebbero divenute rosse. Cambiano colore quando una creatura ostile per l'ambiente entra nell'area.»
L'elfo si sentì rincuorato e sperò che il pericolo fosse passato.
Si sbagliava.
Il drago irruppe sul lato sinistro, abbattendo un paio di alberi. Il cavallo degli elfi si impennò per lo spavento e li disarcionò, per poi fuggire via. Il lungo collo di Smagul si fece largo tra i cespugli, arrivando faccia a faccia con i due. L'ambasciatore si mise dietro il capitano, che nel frattempo aveva estratto nuovamente la spada, ma il mostro non fece nulla. Poco dopo si mostrò anche la strega, più bassa di loro ma avvolta da un'aura che avrebbe fatto impallidire anche un gigante.
«Consegnatemi il calice di Fëanor ed avrete salva la vita.» Disse lei, tenendo la mano destra verso di loro.
«Mai! Pensate che lady Galadriel non abbia assistito alla scena? Siamo alle porte del regno di Lòrien e vedrete che tra non molto un fulmine incenerirà te e quell'essere!» Rispose l'ambasciatore, in un impeto di coraggio.
«Ahahahah! Incenerirmi? Qui? Ma hai capito dove ti trovi!? Questa è una zona delle Terre Brune ove nemmeno il potere elfico arriva... e l'ho fatta divenire casa mia!» Indicò poi verso la sua sinistra e tra gli alberi i due elfi riuscirono ad intravedere una torre fatta di legno. «Avete visto che le luci rimangano azzurre? Non sono loro nemica perché loro sono le mie schiave... ed ora, mio caro, uccidilo!»
«Perché hai parlato in sing...!?» La lama elfica del capitano trapasso il ventre dell'ambasciatore.
Il corpo senza vita dell'elfo si afflosciò a terra come fosse invertebrato, lasciando la presa sul calice. Il capitano lo raccolse e lo porse alla strega, chinandosi al suo cospetto.
«Mia signora, mia amata, ecco ciò che tanto desideravate.» L'elfo non vedeva affatto una vecchia mostruosa al di fronte a sé, ma una fanciulla incantevole dai lunghi capelli biondi come l'oro, la pelle bianca come la neve ed un paio di occhi verdi come l'acqua di un ruscello. La creatura più incantevole che avesse mai visto.
La donna prese con cura e con entrambe le mani l'oggetto.
«Finalmente sei mio... Oh mio Signore Melkor, la tua adorata seguace non ti ha deluso!» Esclamò con gli occhi trasognanti.
L'elfo si alzò in piedi e fece per baciarla, ma ella schioccò le dita ed il soldato tornò in sé.
«Ma cosa...?» Si disse confuso.
«Non mi servi più, ti ho fatto mio questi giorni entrando nei tuoi sogni, proprio perché potessi portare te direttamente il calice nel mio rifugio.»Schioccò di nuovo le dita «Dimentica quello che ti ho appena detto. Ricorderai solo che siete stati attaccati e che sono riuscita a prendere il calice... e per assicurarmi che ti credano...» Approfittò del momento di confusione dell'elfo per prendergli la spada e causargli una brutta ferita su di un fianco.
Subito dopo emise un fischio ed il cavallo che prima era fuggito, con una strana luce negli occhi, tornò trottando per far salire in groppa il soldato.
«Ora tutti sapranno che un nuovo male sta sorgendo, nella Terra di Mezzo, e sarà ancor più temibile di quello causato da Sauron ahaahah!»
 
Gran Burrone, dimora di re Elrond.
Un giovane elfo femmina, seduta a terra a gambe piegate e messe di lato, con in mano una brocca, si stava facendo ritrarre. In dosso aveva una bella tunica dorata, lo stesso colore dei suoi occhi. I magnifici capelli corvini le scendevano lungo il corpo, fino alle cosce. Era così ferma, immobile - anche per via della sua carnagione bianchissima - da sembrare una bambola di porcellana.
«Manca molto, mastro Napee?» Chiese Elrond, poggiato sullo stipite della porta che collegava l'interno con la veranda, ove il pittore era intento a ritrarre la donna.
«No, manca poco, sto solo dando alcuni colpi di luce. Vedrà che lei e sua cugina non rimarrete delusi da questo dipinto. Come ho già detto a lady Elianor, questi sono colori magici. Di giorno la sua tunica qui ritratta sarà radiosa come il sole e la notte splendente come la luna.» Rispose, mentre alternava lo sguardo dalla tela ad Elianor.
Elrond e la cugina si guardarono, si conoscevano da quattromila anni, ormai sapevano comunicare anche solo con lo sguardo. Con un'occhiata, riuscì ad intuire che la parente non ce la faceva più a stare lì a fare la bella statuina.
Elianor... anzi no Elior, come preferiva farsi chiamare, era uno spirito libero, sempre pronto a buttarsi nella lotta. Posare per i quadri non era di certo una cosa che gradiva molto. Ben presto però si sarebbe sposata e non avrebbe più vissuto tra quelle mura, col suo futuro marito sarebbe salpata per le terre di Valinor e non avrebbe fatto più ritorno. Voleva quindi lasciare un ricordo di sé.
L'ora dopo era finalmente libera.
«Aaah... un minuto di più e non sarei più stata capace di muovermi!» Esclamò, mentre distendeva le braccia verso l'alto per stiracchiarsi. «Non vedo l'ora di mettermi abiti più comodi, questa tunica è troppo trasparente e leggera per i miei gusti. Non capisco proprio come facciano le dame di corte ad indossare sempre abiti così!?»
Elrond sghignazzò, nonostante fosse una donna di buona famiglia, istruita fin da piccola alle buone maniere, sembrava una popolana umana. Non le interessava che faceva la figura della sfacciata o che fosse sempre al centro di pettegolezzi, quella era la sua natura. Aveva uno spirito di fuoco, proprio come il suo antenato Fëanor, una degna discendente dei Noldor.
«Cugino, dopo che mi sono cambiata, vuoi venire con me a caccia?» Chiese, bloccandosi improvvisamente e portando le mani ai fianchi.
Il re, prima di rispondere, la fissò sorridente per qualche istante. Non c'era nulla da fare, seppur fosse diventato un uomo adulto e si fosse sposato, la cotta giovanile per quella donna rimaneva. Non riusciva a non volerle bene, lei era il simbolo palese che non tutti gli elfi sono altezzosi e vanitosi come le malelingue naniche dicevano sempre sul loro conto.
«D'accordo, mia cara!»Acconsentì, facendo anche un cenno con la testa.
L'unico rimpianto che aveva era che Elior non si era mai molto interessata agli affari di famiglia ed alle storie delle ere passate. Per gli elfi, quattromila anni significava essere ancora giovane ed avrebbe avuto tempo per apprendere, ma non era il suo caso, dato che lei sarebbe partita per terre divine. Avrebbe desiderato che, per tale evento, la sua conoscenza su alcuni eventi passati importanti fosse impeccabile, invece si sarebbe ritrovata al cospetto dei Valar con al massimo la storia della sconfitta di Sauron, dato che pure lei ne prese parte.
 
Il cervo correva veloce, con i suoi possenti zoccoli spezzava anche i tronchi più robusti che trovava a terra. Era nato e cresciuto nella foresta che circondava Gran Burrone, come i suoi avi prima di lui, quindi aveva una dote innata nello sfuggire alla mira lesta e precisa degli elfi.
I cani ed i cacciatori, con a capo Elrond ed Elior, gli erano però alle calcagna.
Elrond tese l'arco con facilità, come se si trovasse fermo a terra e no su di un cavallo in corsa. Chiuse l'occhio sinistro e mirò alla zampa posteriore destra. Qualche istante dopo scoccò la freccia, la quale fendé l'aria sibilando. Era quasi giunta al suo obiettivo, quando all'ultimo il cervo si spostò di lato.
Elior si allungò verso l'orecchio del suo destriero e gli sussurrò qualche parola in elfico. Quest'ultimo accelerò e l'elfo riuscì a fiancheggiare la sua preda. Si diede una spinta e gli saltò in groppa. Tese poi l'arco, portando il braccio destro, che teneva corda e freccia verso l'alto, così che la punta di quest'ultima potesse mirare direttamente al collo dell'animale. Neanche un secondo dopo aver scoccato ed il cervo si riversò a terra privo di vita. La donna, per non rovinare a terra, tornò sul suo cavallo con un salto.
«Bella mossa, cugina!» Si congratulò il re, mentre arrestava la corsa del suo destriero.
«Ti ringrazio, ormai so cacciare anche ad occhi chiusi... anzi la prossima volta potrei anche farlo eheh!» Scese poi da cavallo e si inginocchiò al cospetto del cervo, pregando in elfico una benedizione che conducesse lo spirito di quest'ultimo verso la terra di Valinor.
Tornando sul sentiero del ritorno, il duo e la loro scorta notò che nella piazza esterna del palazzo si erano radunate delle persone.
Lindir, un loro servitore, andò loro incontro, tutto sorridente.
«Miei Signori, bentornati! Sono appena arrivati degli ambasciatori del regno degli elfi silvani per rendere omaggio a lady Elianor!»
Elrond ed Elior scesero da cavallo e si avviarono verso il centro della piazza, ove un gruppo di elfi, così biondi da sembrare che avessero i capelli bianchi, li attendeva sorridenti.
«Miei Signori, è un piacere fare la vostra conoscenza. Il mio nome è Legolas, figlio di Thrandruil, re di Bosco Atro. Sono qui per rendere omaggio alla bella lady Elianor.» Fece un inchino e quando alzò il capo, Elianor vide in lui uno sguardo così radioso e bello da farle venire il batticuore. Con tutta sé stessa, sperò che fosse lui il suo promesso, ma ripensando alle sue parole si rese conto che non poteva essere lui. Non era promessa al figlio del re.
«E' un onore per noi accogliervi nella nostra dimora, rimanete quanto volete, la vostra presenza è più che gradita... Lindir, fa accomodare i nostri ospiti, mentre io e mia cugina ci vestiamo per la cena.» Rispose Elrond, anche lui visibilmente felice in viso.
 
Grazie all'ottima preda catturata nel pomeriggio, gli ospiti poterono godere di un lauto banchetto.
Degli elfi erano seduti su divani e poltrone, suonando delle musiche atte a rallegrare la serata ed altri erano intenti a fare avanti e indietro dalle cucine per far si che a nessuno dei loro signori mancasse nulla.
Tutti indossavano abiti finemente ricamati, molto pregiati, ognuno rappresentante il regno di provenienza: verde foglia per gli elfi silvani e oro per quelli di Gran Burrone.
Legolas e la sua scorta fecero i complimenti ad Elianor per quanto il suo abito e la sua acconciatura esaltassero la sua bellezza, ma specificando che anche senza sarebbe stata ugualmente bellissima. Ella ringraziava, cercando di sembrare il più cordiale ed aggraziata possibile, anche se in realtà in quegli abiti di seta si trovava scomoda e quell'acconciatura le tirava tutti i capelli. Elrond però si sarebbe arrabbiato se pure in quell'occasione avesse fatto "la popolana", quindi cercò di resistere.
Seppur si rimproverasse per questo, non riusciva a staccare gli occhi da Legolas. Seppur più piccolo di lei, era comunque un bel giovanotto e l'età per gli elfi non contava poi così tanto.
 
A fine serata, aveva assolutamente voglia di conoscerlo meglio, ma non per provarci, voleva solo fargli qualche domanda per sapere che tipo fosse il suo futuro marito.
«Com'è, dice?» Legolas si sentiva un po' a disagio a parlare di quelle cose, ma suppose fosse normale, dato che la donna era destinata a stare per sempre al fianco di qualcuno che non aveva mai visto in vita sua «Beh è biondo e con gli occhi blu, tutti quelli appartenenti al mio casato. Ho saputo che le piace molto cacciare, anche per lui è lo stesso. Non è portato per fare il guerriero però, non è mai andato in battaglia, almeno no in quelle serie come invece lei prese parte, ma nella terra dei Valinor non credo sarà più importante.»
Lui ed Elianor erano seduti nella veranda dalla pavimentazione circolare, alle cui estremità aveva delle panche ed al centro il piedistallo di una meridiana. Oltre alle cicale, in sottofondo si udivano le nenie degli elfi, in onore della splendida luna piena che avevano quella notte.
«Già... suppongo sarà così...» Rispose lei, sospirando ed abbassando lo sguardo.
«Mia signora, so che lei predilige di più l'azione che lo stare in panciolle a corte, la sua reputazione è già nota nel nostro regno, ma le terre dei Valinor ci chiamano e un giorno tutta la nostra razza non si troverà più nella Terra di Mezzo.» Anche lui prediligeva l'azione e non aveva intenzione di lasciare la Terra di Mezzo senza aver fatto qualcosa di veramente importante da cui poter raccontare ai posteri.
Elianor sospirò di nuovo, ma alla fine si sforzò di sorridere per non far sentire ancor di più a disagio il giovane Legolas. Decise anche di cantare una canzone nella loro lingua, dedicata alla Stella del Vespro, ma che in questo momento sembrò adatta di più alla sua condizione:
 
" Questa non è la fine. E' l'inizio.
Non è possibile vacillare.
Se non ti fidi di ciò, non aver fiducia in nient'altro.
 
Abbi fiducia in questo, abbi fiducia in questo, abbi fiducia,
Abbi fiducia in questo, fidati dell'amore.
 
Questa non è la fine, è l'inizio.
Non devi farlo.
Se non hai fiducia in niente, fidati di questo."

 
Legolas l'ascoltò con attenzione e alla fine applaudì, non aveva mai udito voce così bella e dentro di sé se ne dispiacque pure lui che non fosse il suo promesso.
 
Qualche giorno dopo l'elfo silvano e la sua scorta partirono ed i due cugini pensarono che per un po' non avrebbero avuto altre sorprese... ma si sbagliavano.
Giunse loro voce che il calice, simbolo dell'unione e della pace tra i regni elfici, era stato trafugato e l'unico sopravvissuto, ma in fin di vita, della scorta aveva detto:
 "Un grande drago rosso come il sangue, cavalcato da una vecchia dai lunghi capelli bianchi, la quale ordinava ordini alla bestia, chiamandolo Smagul, figlio di Smaug."
I signori di Lòrien avevano inviato dei soldati a riprendere il mal tolto, ma nessuno di loro aveva più fatto ritorno. Richiedevano perciò supporto da Gran Burrone, perché li aiutasse a combattere i nemici.
Elrond acconsentì ed Elior trovò in questa disgrazia l'occasione per distinguersi un'ultima volta, prima di essere maritata.
«Non se ne parla affatto! E se muori? Non hai pensato all'eventualità, dato che abbiamo a che fare con una strega e soprattutto un drago!? Thranduil se la prenderà con me perché ti ho permesso una cosa simile!» Il re non voleva sentir ragioni, non avrebbe mai permesso che la sua amata cugina corresse un rischio così grande.
«Quindi non mi vuoi mandare per non far figuraccia con lui? Sai, ho sentito che è un effemminato, vanitoso, si offenderebbe anche se sbaglio gli staccassi un capello! E poi sei egoista, ti opponi solo perché sono tua cugina, ma non ci pensi agli altri tuoi soldati? Abbiamo altre donne arciere nelle nostre schiere, chissà quante di loro sono in procinto di sposarsi o hanno figli piccoli... loro però ce le manderesti comunque perché non sono parenti tue, no?» Alzò ed abbassò il petto facendo dei grandi respiri, gli aveva appena urlato in faccia col tutto il fiato che aveva in corpo.
«Non ti permetto di parlarmi così, ricorda che sono il tuo re!» Alzò il braccio sinistro, come se volesse schiaffeggiarla, ma non si mosse. Era sempre stato un uomo tutto d'un pezzo, poco incline a perdere le staffe tanto facilmente, ma questa volta in ballo c'era la vita di una persona a lui cara. Le iridi dorate della cugina erano così accese dalla rabbia che gli ricordarono l'occhio della torre di Mordor. Non si sarebbe arresa al desiderio di voler compiere quest'impresa nemmeno se l'avesse frustata. <  
Ritiratosi nelle sue stanze, Elrond passeggiava nervosamente avanti e indietro. Se le avesse negato quest'impresa, Elior non gli avrebbe più rivolto la parola. Ma se fosse morta? Non se lo sarebbe mai perdonato. Ripensò però alle sue parole "se non fosse stata sua parente, l'avrebbe mandata" e dovette ammettere che era vero.
Con le dita scorse sui dorsi dei libri, della sua libreria personale, fino a fermarsi ad uno con la copertina color rame. Lo estrasse e si andò a sedere sul letto, per sfogliarne qualche pagina. Il contenuto trattava della leggenda dei tre Sirmaril, della straordinarietà di Fëanor nel forgiare oggetti unici e di grande valore e dell'inganno di Melkor. Tra gli oggetti da lui legati, c'era anche la raffigurazione del calice che era stato trafugato. Non aveva un aspetto particolare, era abbastanza comune, di quelli che si potevano trovare tranquillamente in qualunque tavolata reale. Esso però aveva un potere: chiunque bevesse da lì, inesorabilmente diveniva uno schiavo del male.
Fëanor lo forgiò per Morgoth, credendo che gliel'avesse commissionato per diffondere meglio la sua sapienza, visto che nel periodo in cui l'elfo conobbe il Valar, quest'ultimo era stato scarcerato ed aveva promesso di far ammenda dei suoi errori istruendo il prossimo della tecnologia e la scienza di cui era a conoscenza. Dato che fare ogni volta lezione risultava una pratica lunga e tediosa, a Fëanor venne chiesto di creare un oggetto con lo stesso valore magico dei Sirmaril, come loro intoccabili da qualunque anima impura, a cui ognuno poteva attingere e venire subito istruito. Pensò quindi a un calice.
Per fortuna di Melkor, le tre pietre magiche erano impossibili da riprodurre, anche dallo stesso creatore, il manufatto perciò non teneva lontane le anime impure, ma attivava il suo potere solo al cospetto di creature dall'aura magica molto potente. Ad impugnarlo era il Valar, dunque era più attivo che mai. In segreto aveva maledetto l'oggetto, donandogli quel tremendo potere. Quando Fëanor scoprì l'inganno, questo fu uno dei motivi per cui il Noldor ce l'ebbe a morte con lui, ma non riuscendo a vendicarsi, il suo spirito rimaneva tutt'ora irrequieto per l'onta subita.
L'elfo chiuse il libro e fissò il soffitto. Elianor era una sua discendente e da lui aveva ereditato uno spirito di fuoco. Affidare a lei il compito di recuperare quel oggetto era anche un dovere famigliare.
Il giorno seguente le comunicò che poteva andare, ma che doveva prometterle di fare attenzione.
«Te lo prometto, cugino caro. Che la benedizione dei Valar scenda su di te!» gli rispose, abbracciandolo con calore.

Inizia il prequel del recupero del calice! Un grazie di cuore a chi deciderà di leggerlo. Ho pensato fosse meglio raccontare delle vicende che anticiparono quelle in cui verrà coinvolto Bilbo per una migliore comprensione del racconto, seppur non sia una serie. Come avrete potuto leggere già nella prima parte del capitolo, si è scoperto come la strega sia venuta in possesso del calice. Purtroppo non potrò far uscire i capitoli in maniera certosina, il periodo della sessione d'esami s'avvicina, ma appena potrò vi prometto che posterò i nuovi capitoli.
baci, LadyEle!
  
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