*Save Her*
Elena l’aveva
fatto molte volte, eppure, nonostante tutto, ogni volta che apriva la porta
sapendo che dall’altro lato c’era lui,
non poteva trattenere un brivido di paura.
Klaus non la
salutò nemmeno, le rifilò un’occhiata assassina ed entrò a passo di carica. La villa
dei Salvatore sembrava un mausoleo, come sempre, ben diversa dalla semplicità
della casa dei Gilbert, ma evidentemente alla dolce Elena non importava molto
dell’ambiente in cui viveva, purché potesse condividerlo con il suo ragazzo.
«Dov’è?»
«Da questa parte.»
La giovane
vampira lo guidò attraverso il gran salone e le scale fino a una delle quattro
camere da letto destinate agli ospiti. Lei era nervosa e non osava proferir
parola, lui era furioso e non ci pensava neanche a fare le sue solite battute
da zitella acida. Non era un buon segno.
Elena aprì la
porta e lo lasciò passare per primo, seguendolo subito dopo e raggiungendo
immediatamente Damon, in piedi accanto alla finestra.
Nadia si voltò di
scatto e fissò lo sguardo in quello dell’ibrido: non l’aveva mai visto di
persona, mai così vicino, finora ne aveva solo sentito parlare. Provò un
istintivo moto di paura e riverenza nei suoi confronti e capì che era la sola
presenza di Klaus a infondere quei sentimenti in chi gli stava vicino.
Ora capiva molte
cose ed ebbe la conferma che le voci sul suo conto non erano affatto
chiacchiere ingigantite a caso.
Lui notò
immediatamente la somiglianza tra la vampira e la sua doppelganger preferita:
lo stesso sguardo tagliente e attento, la piega delle labbra, la struttura
fisica. Era incredibile che anche Nadia si fosse trasformata… strani scherzi
del destino.
Chissà come l’aveva
presa Katerina?
Klaus stava pensando a cosa farne di Tyler Lockwood,
rinchiuso nel Giardino del Marcel, quando sentì il cellulare vibrare nella
tasca posteriore dei pantaloni. Era una giornata relativamente tranquilla a New
Orleans e sperava di non dover staccare teste entro sera.
Osservò il display: numero sconosciuto.
«Chiunque tu sia, spero che abbia un buon motivo per disturbarmi.»
«Klaus?» era un voce femminile e il timbro gli sembrò vagamente
familiare. «Sei il Klaus che cerco?»
«L’unico e il solo» rispose, incuriosito: chi lo stava cercando e perché?
Sapere che qualcuno aveva bisogno di lui gli rallegrava sempre la giornata.
«Mi chiamo Nadia» sembrava in ansia per qualcosa.
«Cosa posso fare per te, Nadia?» notò che aveva un accento strano,
ma conosciuto. Si chiese dove l’avesse già sentito.
«Katerina Petrova.»
Quel nome lo congelò. Non lo sentiva da molto tempo e il modo in
cui la vampira aveva rotto con lui ancora gli bruciava, e non poco. Gli aveva scritto una lettera
che l’aveva toccato, nonostante lui non l’avrebbe mai ammesso a voce alta.
«Cos’ha fatto stavolta la dolce Katerina?»
«Sta morendo.»
Si era fatto
spiegare brevemente gli avvenimenti di cui era all’oscuro e una rabbia cieca l’aveva
invaso: Katerina stava morendo e nessuno gliel’aveva detto? Come avevano osato?
La stavano semplicemente lasciando morire in quel modo, da umana?
Katerina era sua, lo era sempre stata e sempre lo
sarebbe stata. Poteva morire in un solo modo ed era per mano sua. Niente e
nessuno doveva mettersi in mezzo tra loro due.
Sapere che Nadia
era sua figlia ed era una vampira era stata una gran sorpresa, tutto si sarebbe
aspettato tranne che un risvolto come quello: le Petrova avevano davvero il
fuoco nelle vene e coraggio da vendere.
Nessuno osò
parlare mentre Klaus si avvicinava al letto e osservava la ragazza in fin di
vita.
Katerina era l’ombra
di se stessa: pallida, con le guance scavate, molte ciocche bianche nella sua
un tempo splendida chioma castana. Oh, aveva amato i suoi capelli, così
morbidi, e il modo in cui i riccioli le cadevano davanti al viso, e il modo in
cui lei li rimetteva in ordine.
«Cosa ti hanno
fatto…» mormorò a se stesso, incurante del fatto che gli altri tre esseri
sovrannaturali nella stanza potevano udire perfettamente il più lieve sussurro.
Si voltò verso
Elena con sguardo accusatorio. «Perché non mi avete chiamato prima?»
«Il suo corpo
rigetta il sangue di vampiro» si giustificò lei, intimidita, quasi mangiandosi
le parole.
«Abbiamo provato
ad aiutarla» intervenne Damon, «ma non c’è modo di bloccare il tempo, Katherine
ha cinquecento anni, gli umani non vivono così a lungo.»
«Io sono un
ibrido! Avreste dovuto chiamarmi subito!»
esclamò a quel punto Klaus, mostrando la sua rabbia.
Non aggiunse
altro, si morse il polso e lo avvicinò alla bocca della ragazza. Lei era semi
cosciente, troppo debole per fare qualsiasi movimento, ma aprì gli occhi e vi
fu una grande sorpresa quando lo riconobbe.
«Kl-»
«Bevi» ordinò lui
parlandole sopra. «I discorsi li faremo dopo.»
Lei non rispose,
socchiuse gli occhi e provò a fare come le era stato detto, ma non riuscì a
ingoiare il sangue. Non riusciva a fare nulla. Il suo corpo era troppo stanco,
troppo vecchio, non aveva più forze.
Il sangue colò
dalle sue labbra lungo la guancia. Gli occhi si chiusero e lei non si mosse
più.
Klaus sgranò gli
occhi, soffocò un’imprecazione e si sedette sul letto. Portò una mano dietro la
sua testa e premette con più vigore il polso contro la sua bocca.
«Che tu sia
maledetta se osi morire in questo modo.»
C’era qualcosa
nella sua voce che fece tremare il cuore di Elena. Non l’aveva mai visto così
nei confronti di nessuno che non facesse parte della sua famiglia.
Katherine non si
mosse. Sembrava svenuta. Il battito aveva diminuito le frequenze. Nadia gli
aveva detto dell’arresto cardiaco avuto il giorno prima.
Damon avvertì il
panico nell’ibrido e si sorprese nel constatare quanto in realtà lui fosse
legato a quel diavolo di Katherine Pierce. Si chiese cosa ci fosse realmente
tra loro due, quanto forte fosse il loro legame.
«Non osare
lasciarmi, Katerina, o giuro che verrò a prenderti nel mondo dei morti e stavolta
te la farò pagare per davvero!»
Aveva gridato e
non se ne era nemmeno reso conto. Strinse a sé la ragazza, facendo attenzione
alla forza di quell’abbraccio: era umana, la minima pressione avrebbe
disintegrato le sue ossa e lui era lì per salvarla, non per darle il colpo di
grazia.
Non l’avrebbe mai
fatto, di certo non così.
Katerina Petrova
era una costante nella sua vita da ormai cinque secoli. Cosa avrebbe fatto senza di lei?
Nadia aveva le
lacrime agli occhi: sua madre stava morendo proprio ora che l’aveva ritrovata. Non
le importava essere stata rifiutata a lungo da lei, tutto ciò che voleva era l’occasione
di conoscere la donna che l’aveva messa al mondo, la madre che l’aveva amata
pur non avendola mai vista.
Si era
trasformata in vampiro per lei, l’aveva cercata per tutte quelle vite, non
avrebbe mai accettato di perderla tanto in fretta. Avrebbe fatto qualsiasi cosa
per lei.
Pochi istanti
dopo, avvenne il miracolo: Katherine mosse appena la mano sinistra, la alzò e,
seppur con estrema fatica, la posò su quella di Klaus. Gli effetti della
guarigione furono quasi immediati.
Man mano che
beveva e che ingeriva il sangue, il suo corpo mostrò un miglioramento: il viso
non era più scarno, la pelle riacquistava tonicità, le ciocche bianche si
tingevano di castano e lei risultava visibilmente più in salute.
Elena sospirò di
sollievo e scambiò un’occhiata complice con Damon – non avrebbe osato pensare
alle conseguenze se Katherine fosse morta. Klaus l’avrebbe uccisa all’istante
per quel che le aveva fatto ficcandole in gola la cura.
Nadia scoppiò a
piangere e saltò sull’altro lato del letto. Non si vergognò della sua emozione,
si trattava di sua madre in fin dei conti. Regalò un sorriso di riconoscenza a
Klaus, che aveva una luce diversa negli occhi, e osservò Katherine tornare in
salute minuto dopo minuto.
«Non aspetti che
si risvegli?»
Klaus si bloccò
sulla porta della villa. Si voltò e vide Damon. «Dovrei?»
«È una stronza,
ma sa ringraziare chi la aiuta.»
«Non voglio i
suoi ringraziamenti» replicò, secco. «Ritieniti fortunato, se fosse morta non
saresti qui a fare conversazione, perché ti avrei già strappato la lingua.»
«Sì, lo so» il
suo tono era annoiato, ma in realtà era ancora sorpreso da ciò che aveva visto
e sentito. «Cosa succederà quando l’effetto
magico svanirà? Ci hai pensato?»
«Se così fosse,
ricordati di chiamarmi per tempo. Verrò a prenderla e la porterò via con me.»
«Wow, questo sì
che è vero amore» lo prese in giro il vampiro. «Le farai da babysitter?»
Klaus gli rivolse
uno strano sorriso. «Trasformala. Funzionerà.»
Nadia arrivò
troppo tardi, Klaus aveva appena chiuso la porta ed era sparito a super
velocità. Guardò Damon con aria confusa, ma lui scosse la testa e scrollò le
spalle: non avrebbe mai realmente compreso il legame tra Klaus e Katherine, e
forse neanche loro stessi.
«Non l’ho
ringraziato.»
«Prima o poi ti
chiederà di restituirgli il favore.»
La vampira guardò
la porta chiusa e sentì il cuore colmo di gioia: sua madre era viva ed era
salva. Entro ventiquattro ore avrebbe tentato di nuovo la trasformazione:
sentiva che stavolta avrebbe funzionato e, se così non fosse stato, non avrebbe
esitato a chiamare di nuovo Klaus.
Aveva sentito ciò
che l’ibrido aveva detto a Damon: “Verrò
a prenderla e la porterò via con me”. Suonava come una promessa d’amore. Ovunque
Klaus avesse portato Katherine, lei l’avrebbe seguito senza indugio.
Tornò di corsa in
camera, mentre Klaus si allontanava da Mystic Falls
sul suo SUV nero dai vetri oscurati.
«Funzionerà?»
La ragazza seduta
sul sedile del passeggero sorrise. Sembrava divertita da qualcosa. «Il tuo
sangue è magico. Come quello degli
unicorni.»
Lui fece una
smorfia e represse un risolino: Klaus l’unicorno.
Ci mancava solo questa.
«La
trasformazione?»
«Te l’ho appena
detto» lo prese in giro lei, «il tuo sangue è magico.»
«Lo prendo per un
sì.»
Lanciò un’occhiata
alla sua destra e vide Davina giocherellare con carta e penna. Quella ragazza
non faceva che disegnare tutto il giorno. Non che lui non apprezzasse la sua
vena artistica, al contrario, ma non si sapeva mai cosa spingesse la giovane
strega a disegnare né cosa vedesse e sentisse con i suoi poteri ingestibili.
«Ti devo un
favore. Senza il tuo consulto non ce l’avrei fatta» ammise Klaus.
Di nuovo, la
ragazza sorrise, come se fosse a conoscenza di qualcosa di più. «Avresti
comunque tentato di salvarla» legò i capelli in una coda alta, le davano
fastidio davanti agli occhi. «Katherine è la tua doppelganger. È legata a te fin dalla nascita, così come ogni
doppelganger Petrova. Se il suo sangue può essere utile a te, il tuo può essere
utile a lei.»
Lui non rispose. La
guardò con la coda dell’occhio e sorrise. Sulle sue guance si formarono le
fossette che Katerina tanto aveva amato quando era sua ospite in Inghilterra.
Non vedeva l’ora
di mostrargliele di nuovo.