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Autore: Aurelianus    14/01/2014    17 recensioni
Estendo lo sguardo attorno. Il cordone difensivo che proteggeva la città è stato sbriciolato intorno a mezzanotte. I bombardamenti hanno causato il crollo della maggior parte dei grattaceli. Gli incendi divampano così alti che imporporano ancora le nuvole, nonostante sia giorno già da un pezzo. La città, orgoglio della colonia, non esiste praticamente più. Corpi, corpi straziati ovunque. Veicoli, militari o civili, distrutti. Senza distinzione.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Skrikeck

Sento un dolore lancinante, la testa mi scoppia. Apro gli occhi, inclino il busto. I polmoni mi vanno a fuoco. Tossisco violentemente, espellendo polvere. Sento le ossa come se fossero di vetro. Vetro frantumato.
L’addestramento prende immediatamente il sopravvento. Scosto rabbiosamente i calcinacci che mi ricoprono e guardo attorno: la trincea è stata colpita in pieno, i miei tre compagni non ce l’hanno fatta e i loro corpi mi hanno fatto da schermo.
Ricordo come abbiamo combattuto la notte precedente, cosa abbiamo condiviso. Sono morti bene, compiendo il loro dovere.
Mi fermo un istante, recito una benedizione affinché vengano accolti nell’aldilà.

Mi levo in piedi. Esco dalla trincea e raggiungo il ciglio della strada; il sole blu è già alto, fortunatamente. Il piacevole tepore che emana mi ha tenuto al caldo, impedendo al mio sangue di ghiacciarsi e di farmi morire assiderato. Estendo lo sguardo attorno: il cordone difensivo che proteggeva la città è stato sbriciolato intorno a mezzanotte. I bombardamenti hanno causato il crollo della maggior parte dei grattaceli; gli incendi divampano così alti che imporporano ancora le nuvole, nonostante sia giorno già da un pezzo. La città, orgoglio della colonia, non esiste praticamente più.
Corpi, corpi straziati ovunque. Veicoli, militari o civili, distrutti. Senza distinzione.
Mi chino a raccogliere un giocattolo. Deve essere appartenuto al bambino che giace ai miei piedi. È morto stretto ai suoi genitori, nell’infantile certezza che avrebbero potuto proteggerlo da qualunque pericolo, come ogni altro piccolo avrebbe pensato; esattamente come milioni di altri da quando le cose hanno preso una brutta piega. Trattengo le lacrime. Questo è ciò che spetta a tutti noi? La morte?

Il rumore ritmato della armi nemiche mi raggiunge. Mi inginocchio, in allerta. Quei piccoli bastardi sono vicini! Digrigno i denti: vengono per finire il lavoro. Hanno già ucciso tutti i soldati, tornano solo per massacrare quei pochi civili sopravvissuti e poi se ne andranno sulle loro navi, in orbita. Quindi faranno piovere la loro merda radioattiva su di noi. Nuclearizzeranno il pianeta, come hanno preso a fare negli ultimi mesi.
E come fermarli? Ormai la flotta ha cessato di operare, le battaglie di Kulneck e Troshak le hanno dato il colpo di grazia. Niente più si oppone alle loro navi, dozzine di mondi sono stati occupati da quei fottuti alieni e la loro orrida infezione si è diffusa per tutto il nostro glorioso territorio. Ma più si avvicinano a casa, più incontrano resistenza e, da quei codardi che sono, hanno iniziato a bombardare con armi nucleari l’intera superficie delle poche colonie non ancora cadute.

Mi alzo di scatto, correndo in posizione accucciata; i polmoni mi giocano ancora qualche brutto scherzo. Trattengo i colpi di tosse, potrebbero farmi individuare. Gli edifici sono ricoperti di buchi, i proiettili del nemico saranno anche primitivi, ma sono maledettamente efficaci. Forse non avremmo dovuto abbandonare quel tipo di tecnologia.
Raggiungo un’altra trincea. Quattro miei commilitoni morti riposano al suo interno. I loro corpi sono ridotti male, più una poltiglia rossa che un solido, ormai, ma scruto ugualmente i loro volti: non riconosco nessuno di loro, non fanno parte della mia compagnia. Qualcuno, però, doveva averli conosciuti… e amati.
Esamino l’equipaggiamento alla ricerca di qualcosa ancora in funzione, trovo un fucile laser. L’alimentatore ha solo metà carica. Mi devo accontentare, non è rimasto altro.
Regolo il fucile perché spari a piena potenza. L’ energia si esaurirà in fretta, però ucciderà quei bastardi al primo colpo.
Quelle armi evolute ci hanno dato un vantaggio nei primi tempi della guerra, trentaquattro anni fa, ma l’ostinata resistenza di quei fottuti nani ha ribaltato le cose, a lungo andare. E ora, sono tornati per vendicare le colonie che gli abbiamo vetrificato all’inizio.
Casa è già stata attaccata, ma la battaglia negli anelli del sesto pianeta è stata vinta per un soffio. La sola vittoria in tredici anni. Ora però, il Comando può predicare il contrario quanto cazzo gli pare, le difese orbitali del nostro sistema solare natale sono state polverizzate. Le navi e le truppe terrestri che lo dovrebbero difendere sono seriamente compromesse e allo sbando. Le flotte nemiche che si stanno ammassando per l’attacco finale, in schiacciante superiorità numerica e tattica, troveranno solo il vuoto dello spazio cosmico a frapporsi fra loro e Casa. Questa colonia, la prima extrasolare ad essere fondata, avrebbe dovuto essere un diversivo per guadagnare tempo.
Che ironia! Il primo mondo orbitante attorno ad un'altra stella ad essere colonizzato, sarebbe stato anche l’ultimo a cadere nel pieno crepuscolo della nostra razza.

Un fiotto di acida rabbia mi inonda. No! Non senza combattere, in trentadue anni ne ho uccisi almeno quattromila di quei disgustosi nani pelosi. Sono stanco di vedere morte, sono stanco di veder amici scomparire per una causa persa. L’unica cosa che ancora non mi ha nauseato è veder crepare uno di Loro.
L’ho fatta quasi tutta questa maledetta guerra, ma questa cosa mi riempie ancora di gioia.
Non me ne andrò senza un'ultima battaglia, degna di essere ricordata dagli antenati.

Un rombo nel cielo attira la mia attenzione: tre dei nostri maestosi caccia ibridi, orgoglio dell’aviazione, solcano il cielo; quelle meraviglie possono combattere sia nell’atmosfera che nello spazio. Devono essere stati preservati per l’ultimo, disperato, assalto.

Una decina di piccoli e argentei caccia alieni scende da sopra le nuvole e lancia i missili contro di loro. Prima che i vettori li raggiungano, gli scarlatti raggi rossi dei nostri caccia abbattono due alieni.
Alzo il braccio al cielo, godendomi il momento. Ma subito tre palle di fuoco si accendono nell'aria. La delusione mi pervade. È davvero la fine, persino le armi migliori prodotte dalla nostra scienza sono del tutto inutili. Una sola parola mi riecheggia nella mente.
Estinzione.
Sembra che solo questo ci aspetti, adesso.

Smetto di preoccuparmi di quello che accade sopra di me, non ci posso fare niente e perciò me ne frego. Mi accuccio, meditando.
Quella è una via d’accesso laterale alla strada principale, le pattuglie nemiche devono passare obbligatoriamente di lì se vogliono ripiegare verso la loro base aerea provvisoria. A meno che non vogliano beccarsi le loro stesse bombe.
Lo stridio dei blindati nemici in avvicinamento mi informa che ho ragione. Sotterro le mie due ultime granate nel mezzo della strada, collegandole ad un innesco remoto. Mi apposto fra le macerie di una casa, a lato della strada, restando in attesa di prendermi una piccola rivalsa.

Le mie preghiere vengono esaudite, quattro nemici appaiono.
Camminano circospetti, perlustrando gli edifici crollati in cerca di miei commilitoni eventualmente sopravvissuti, ma non ce ne sono più. Io sono l’ultimo.
Provo disgusto nei loro confronti, i loro corpi sono così fragili che necessitano di armature lucide per proteggersi.

Non appena sono a portata, premo il pulsante di innesco. Un’esplosione li avvolge, uccidendone due; in preda ad una gioia selvaggia, esco dal riparo incurante delle raffiche al mio indirizzo e sparo contro di loro: i lunghi raggi cremisi bucano le loro protezioni come una fiamma ossidrica avrebbe forato la carta, e li uccidono.
Sono stati bravi! Mi hanno individuato subito, prendendomi di mira, ma non è bastato. L’eccitazione di aver ucciso mi travolge. Voglio ammazzare ancora! E ciò mi rende avventato.

L'udito cattura un suono alle mie spalle, mi volto di scatto trovandomene un quinto davanti. Per riflesso condizionato premo il grilletto, ma l’arma non fa fuoco. L’ alimentazione è esaurita. Che fottuta sfortuna!
Il piccolo bastardo, che mi arriva a malapena al petto, mi prende di mira con il suo fucile. Chiudo gli occhi aspettando la morte, finalmente.
Niente più guerra, la pace sta per arrivare. Tuttavia nulla accade.
Mi aspettavo di sentire i proiettili attraversarmi il corpo, frantumandomi le ossa e spappolandomi gli organi interni. Ma non accade. Spalanco tutte le palpebre e l’osservo.

Ha il capo scoperto e dalla sua espressione comprendo di essere davvero l’ultimo rimasto. Anche se i loro volti, orrendamente piatti e pallidi e con le ossa nei posti sbagliati, sono difficili da interpretare, ho imparato a decifrare due delle loro espressioni più comuni. La prima, quella che ho sempre accolto con gioia, è la loro ira. È facile da capire, digrignano i loro stupidi e inservibili denti, e distorcono l’intero volto urlando con la loro debole vocina. L’altra, quella che mi sono augurato di non vedere mai, ce l’ho davanti proprio ora. Questo piccolo peloso bastardo! Prova pena per me. Mi devono umiliare ancora, prima di uccidermi.

“Arrenditi!” intima nella loro lingua comune.

“Fottiti!” rispondo con le uniche parole che conosco in quell’idioma.

Mi avvento addosso a lui, ignorando i colpi che mi attraversano il petto; gli afferro la gola spezzandogli il collo, presto smette di dibattersi. Il suo sangue, innaturalmente caldo, mi scorre nelle dita andando ad  infrangersi sul terreno e formando una pozza. Sono soddisfatto e rivolgo nuovamente lo sguardo sopra di me. Alzo il pugno, sfidando quei maledetti ad uccidermi.

Quasi come una risposta, un’enorme nuova costellazione appare nel cielo. Ma non sono stelle, sono navi. A centinaia.
Niente li separa più dalla vittoria finale, ormai.

Un lampo lontano mi scuote.
Il bombardamento nucleare è iniziato. Scappare è inutile, quelle armi trasformeranno in un cumulo di polvere radioattiva l’intero pianeta. Mi accuccio, infuriato. Non si degnano nemmeno di concedermi una morte da vero guerriero.

“Maledetti bastardi! Io sono Skrikeck, guerriero della terza Orda della Prima armata! Discendente di primo uovo del grande Smiock. Sono ancora qui! Mi sentite, schifosi?!” sbraito alzando le zampe al cielo e sguainando gli artigli, mentre dibatto la coda squamata. 

Osservo di nuovo l'alieno ai miei piedi, assorbendo ogni suo più piccolo particolare: sono creature veramente orribili, piccole e fragili. Hanno solo due braccia e due gambe e la loro carnagione è rosa pallido. Che razza di guerriero, fiero di sé, andrebbe in giro sfoggiando un colore così disgustoso? Come hanno potuto questi stupidi e primitivi mammiferi batterci?

“Merdosi Uman...”

Un lampo bianco mi acceca, il sole al confronto è una misera lampadina. Sento un calore terribile, un rombo tremendo si diffonde, si avvicina. Qualcosa sta per…
 
  
 L'aspetto di Skrikeck:
 


Angolo dell’”autore” (Eh sì, le virgolette non sono casuali) : Questo racconto mi si è intrufolato nella testa domenica mattina e non ha più voluto saperne di andarsene. Se non lo trovate di vostro gradimento, lo capisco. L’ho scritto in ventitré minuti, è per questo che fa schifo… comunque, se vi è piaciuto appena un po’ (o anche se non vi è piaciuto) , vi chiedo di passare a dare un’occhiata alla mia vera storia “L’Eredità degli Antichi"...vi assicuro che è decisamente meglio, visto che diverse persone l'hanno detto
  
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