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Autore: Alisa Sato    15/01/2014    0 recensioni
Fini capelli biondi legati in due code laterali, le spalle esili e le braccia snelle come le lunghe gambe, vestita in modo semplice ma raffinato; avrei riconosciuto quel profilo ovunque: era colei che io aspettavo e attendevo di vedere con ansia.
“Junko..” Furono le mie parole e lei si voltò, facendo scontrare i nostri occhi. Adoravo il colore dei suoi occhi, erano così chiari che ti ci potevi specchiarti dentro ad essi e davano un senso di pace e quella profondità in cui cadevi quando lei ti fissava.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altri, Junko Enoshima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un rumore sordo, come se mi stessero fischiando le orecchie, mi pervade e mi fa venire l'emicrania. Odiavo quel posto, odiavo tutto quello che c'era dentro e soprattutto loro. Solo una persona poteva comprendermi, solo una mi poteva amare per quello che ero, solo lei.
Ricordo ancora quei giorni felici, come se fosse stato ieri, mentre vagavo per i corridoi della scuola, parlando con la mia migliore amica Ibuki - che faceva parte di una band rock come chitarrista, chiedendole anche consiglio sia in amore che di scuola e qualche volta anche ad Hajime se non sapevo qualche cosa, e poi c'era lei.
Quella persona apparteneva ad un'altra classe, eravamo entrambe allo stesso anno, ma avevamo due vite completamente diverse; lei era famosa mentre io ero solo un'infermiera con ottime conoscenze, niente di più. E poi c'è stato lui. Per colpa sua alcuni dei miei compagni e cari amici sono morti, e solo per un suo maledetto capriccio. Deve morire!
“M-Mikan … F-Fermati …” La sua voce, quella di Ibuki, risuona ancora nella mia testa; come il suo viso cambiar colore mentre le mie mani stringevano intorno al suo collo. Non voglio ricordare! E poi c'era anche quella della piccola Hiyoko.
“Tu … Perché l'hai fatto?” Non parlarmi!
“Pensavo che eri dei nostri.” Ti ho detto di non rivolgermi parola!
Ancora il rumore sordo mi arriva alle orecchie, ma stavolta sento anche qualcosa che mi tocca il braccio, come un guanto di velluto, provocandomi dei brividi in tutto il corpo e poi urlo all'improvviso.
Sento il dolore, il dolore di qualcosa di incandescente che mi trapassa la pelle, affondando nella carne e poi uscire, lasciando che il liquido rosso scorra al di fuori dei miei arti.
Cerco di dimenarmi, ma sono legata, non posso muovermi. Sono in trappola, è la fine. Dio, se esisti e se mi stai ascoltando, ti prego; fai che lei mi perdoni, è l'unica cosa che desidero.
Una voce, calda e soave per le mie orecchie, mi fa zittire e rimango in ascolto, cercando di cogliere ogni parola e comprenderne il significato.
“Calmati, non c'è nulla qui. Hai fatto solo un brutto sogno.”
L'unica cosa che posso fare è rimanere in silenzio, è quello che potevo fare visto che non riuscivo a muovermi. È stata soltanto la mia immaginazione? Mi è sembrato così reale. “Apri gli occhi, adesso sei al sicuro. Di me ti puoi fidare.”
Quella voce fu l'unica cosa che mi diede calore in corpo come solo una persona poteva fare; così feci ciò che mi venne chiesto, per non farmi maltrattare ancora dagli altri.
La prima cosa che vidi davanti ai miei occhi fu un soffitto completamente di legno, con delle lucerne antiche sopra d'esse, e di lato a dove mi trovavo io c'era una finestra che dava su una vetta innevata, mentre fuori c'era una bufera e il vento produceva quel fastidioso fischio che mi urtava da qualche minuto. Ecco cos'era.
Mi misi a sedere sul letto e mi guardai: non avevo nessun segno sul braccio dove poco prima avevo sentito quel dolore. Allora stavo veramente immaginando tutto.
Non potevo fare molto e mi sentivo ancora debole, come se avessi fatto il giro del mondo tutto di corsa, o forse era successo davvero? Qualcosa attirò la mia attenzione.
Nell'aria c'era un odore particolare, come se mi trovassi un campo selvatico che mi fece ricordare le more mature e i rossi lamponi, ecco cosa mi ricordava quel profumo. Mi guardai lentamente intorno e vidi pochi mobili tutti in legno, mi sembrava di essere in una casa di montagna; ma la cosa che più mi sorprese fu il vedere quella persona.
Fini capelli biondi legati in due code laterali, le spalle esili e le braccia snelle come le lunghe gambe, vestita in modo semplice ma raffinato; avrei riconosciuto quel profilo ovunque: era colei che io aspettavo e attendevo di vedere con ansia.
“Junko..” Furono le mie parole e lei si voltò, facendo scontrare i nostri occhi. Adoravo il colore dei suoi occhi, erano così chiari che ti ci potevi specchiarti dentro ad essi e davano un senso di pace e quella profondità in cui cadevi quando lei ti fissava.
Si avvicinò a me con passo leggiadro e con in mano un vassoio con sopra due tazze, si mise seduta al bordo del letto e appoggiò quello che aveva in mano sul comodino accanto a me, rivolgendomi uno dei suoi sguardi paralizzanti.
“Vedo che ti sei ripresa. Adesso come ti senti?” Quella sua voce mi provocò un calore improvviso sulle guance e le farfalle nello stomaco, dovendo distogliere lo sguardo dal suo per quanto fosse penetrante, con lei mi sembrava di essere messa a nudo.
“Bene, credo.”
“Perfetto. Tieni, ti riprenderai con questo.” Mi passò una delle tazze e, ringraziandola con un cenno del capo, sorseggiai il liquido scuro: era un tè speziato, la cannella era molto forte ma non mi dispiaceva. Un lungo silenzio si susseguì e poi fui io a romperlo, presa da una curiosità che mi assillava da un po'.
“Junko.. Volevo chiederti una cosa.”
“E cioè?”
“Dove siamo? E cosa ci faccio io qui? Pensavo di essere.. morta.” Attesi la sua risposta che non tardò a darmi.
“Ci troviamo nella base segreta di Mukuro, la mia defunta sorella.” Notai una nota strana nella sua voce, non era triste e neanche malinconica, era.. sarcastica? “Ti ho portata qui perché eri in condizioni pessime, se non anche peggiori.”
“Come ho fatto a sopravvivere?” Come potevo essere viva e vegeta ancora?
“Semplice, ho ordinato io a Monokuma di evitare di farti spiaccicare al suolo.” Lo disse con un sorriso perfido dipinto sulle labbra e la guardai intimorita.
“Ordinato a Monokuma? In che senso? Non mi dirai che lui..” Lei annuì intuendo già la domanda in sospeso e la guardai allibita. Colei che segretamente amavo mi aveva abbandonata in quella specie di isola e fatto uccidere i miei compagni, facendomi anche sporcare le mani.
“Ma lui.. ci ha detto che c'era un'altra classe nella nostra scuola dove si era già ricreata la nostra situazione e che quasi tutti  i membri furono assassinati dai loro stessi compagni e..” Qualcosa m'illuminò e la guardai a viso aperto. “..Il loro capo venne ucciso. Se quel capo che lui intendeva eri tu.. allora com'è possibile che tu sia ancora viva?” Mi venne in mente quel video proibito che Chiaki era riuscita a darmi dopo aver scovato un programma creato da un suo lontano conoscente, un ragazzo di nome Fujisaki Chihiro: c'era Junko che faceva alcune delle penalità che facevi quando venivi indicato come colpevole e per ultima si era vista lei venir schiacciata da un blocco di metallo; era impossibile la sopravvivenza.
“Devo dire che mi è piaciuto molto, anzi, è stato meraviglioso provare quell'esperienza, la sensazione del vuoto quando stavo sia sulla navicella spaziale che sulla moto che girava fuori controllo, come le fiamme sgargianti del fuoco che mi circondavano con lingue biforcute e l'adrenalina che viene quando stai per venir schiacciata è qualcosa che rifarei più e più volte.” I suoi occhi brillarono di luce propria ed un sorriso da ebete, con una sfumatura di malvagità e insanità, le era comparso e si strinse le braccia attorno a se stessa, come se avesse i brividi.
“La mia domanda era un'altra. Come sei sopravvissuta? Quel blocco non ti aveva schiacciata?” Mi rivolse uno sguardo freddo che mi gelò il sangue nelle vene e poi si girò del tutto verso di me, puntandomi l'indice contro.
“Ti ricordo che io non sono così scema da farmi ammazzare da quelli là, era tutto programmato. E ovviamente mi ero preparata a questo.” Si ricompose e poi iniziò a fare dei cerchi con lentezza sul bordo della tazza.
“Ho molte cose da vedere in giro per il mondo, così avevo pensato: perché non provare l'ebbrezza della morte, almeno per una volta? E perché non coinvolgere i miei amici in quest'esperienza? Allora ordinai a mio padre di costruirmi dal migliore inventore al mondo un oggetto capace di avere intelletto proprio, magari iniettando del DNA umano. Lui non mi negava nulla e così lui mi accontentò e da quella proposta nacque Monokuma, ovviamente il sangue che iniettarono fu il mio, come avevo esplicitamente espresso, e lui iniziò a prender vita e organizzammo tutto questo. Alla fine di ciò, sapevo che quel ragazzo, Naegi Makoto, mi avrebbe incastrata, e fu allora che io pensai al resto.” Non dissi nulla, mentre ascoltavo con attenzione il suo racconto, rapita dal suono della sua voce.
“Dissi a quello scienziato di crearmi un clone del mio amato Monokuma e lui lo realizzò; comunicai all'originale di prendere il mio posto e che gli lasciavo carta bianca, lui non disse nulla in contrario e mi diede in cambio la possibilità di fuggire, proprio un attimo prima che morissi. So che tu hai già visto di nascosto il video della penalità quindi avrai notato che tra le mie braccia c'era lui, ma non era quello vero; così lasciai il clone sul banco che venne schiacciato, mentre io venni catapultata nelle secrete della scuola. Rimasi lì per due giorni finché non seppi - tramite una cimice attaccata al colletto - che quelli se ne erano andati; da lì presi una scorciatoia e uscì dalla scuola, dirigendomi un po' ovunque.” Bevve un sorso del suo tè e poi lo appoggiò nel vassoio. Registrai tutto quello che mi aveva detto e capì che lei non voleva sul serio fare del male agli altri, si era solamente lasciata andare un po' dal suo desiderio di provare nuove emozioni; ed era per quello che lei se n'era innamorata.
Quando finii di bere il tè, posai anch'io la tazza accanto alla sua. Notai che mi stava fissando, con un'intensità tale, da sentire il suo sguardo attraversarmi fin dentro l'anima e mi voltai. Era pericolosamente vicina a me, con i palmi appoggiati accanto al bacino e il viso che si sporgeva sempre di più verso il mio; deglutii a fatica e rimasi come paralizzata da tanta bellezza. Mi sentivo come una falena attratta dalla luce, dorata e splendente qual'era Junko, e prigioniera di quello sguardo, così profondo, come se la sua presenza, o meglio, la sua aura emanasse qualche potere soprannaturale.
“J-Junko..” Mi mise l'indice e il medio sulle labbra, facendomi rabbrividire quando le sfiorò.
“Non parlare.” Si avvicinò ancor di più a me e mi fu istintivo chiudere gli occhi, come se facendolo potessi in qualche modo proteggermi da quell'invasione imprevista. Non riuscivo a percepire nulla oltre il suo respiro caldo e alla fine le sue labbra; quelle labbra che sognavo da mesi di poter baciare e che ora erano posate sulle mie.
Un brivido mi percorse la schiena quando mi sfiorò con la mano il collo, e si mise seduta accanto a me, baciandomi seriamente finché quei baci non divennero in qualche modo l'unico ponte tra i nostri sentimenti, o almeno i miei.
Mi strinse a sé con una forza incredibile mentre io m'indebolivo sotto quel contatto, come anche la mia mente che si riempiva di Junko: il suo odore simile al suo sapore: quel calore che ti entrava fin dentro le ossa, cullandoti in quel gesto di pura follia, disperato.
Quando si staccò da me mi prese il volto tra le mani ben curate, con le dita affusolate, e mi guardò con espressione dolce, che mi fece strano vedere, ma che mi colpì dentro al cuore, come solo lei riusciva a fare.
“Junko, perché?” Perché?! Ed io me ne uscivo con una cosa del genere? Ma mi sono bevuta il cervello? Lei mi osservò per qualche frazione di secondo e sorrise in modo incantevolmente inquietante.
“Esiste un motivo per cui una persona debba baciarne un'altra, soprattutto se questa persona prova - anche in minima parte - qualcosa verso l'altra?” Quella frase mi spiazzò. Junko mi amava? Com'era possibile? Io che sono una fallita, potrebbe trovarsi di meglio e di sicuro non ero io.
“Allora perché proprio io?” Lacrime calde mi scesero, solcandomi gli zigomi arrossati e poi cadere sui suoi palmi. “Dimmelo.”
“Quando ti ho vista lì, dopo la tua penitenza, priva di coscienza e abbandonata; ho pensato a quando tu mi hai aiutata quella volta.” Fece una pausa e poi continuò mentre mi asciugò gli occhi con il dorso della mano.
“Penso che tu lo ricordi, quando durante il festival scolastico, per la precisione nelle gare sportive, io caddi e mi combinai malissimo e tu, che eri nascosta dietro le altre persone, accorresti da me e mi portasti in infermeria; mi facesti sedere nel lettino sfatto e poi avevi iniziato a curarmi, senza chiedermi nulla, neanche il mio nome. Quel giorno fu il primo che una persona estranea non mi chiedeva niente in cambio, anzi mi stava aiutando di sua spontanea volontà e il tuo viso non lo potetti mai scordare. Eri diversa dalle altre, i tuoi occhi di un colore indefinito tra il grigio e il viola, così seria e concentrata nel curarmi le ferite, per poi bendarle, facendomi capire che esiste ancora del buono nelle persone, anche se hanno subito torture ed bullismo da parte di tutti.” Quelle parole furono così toccanti per me che il mio cuore non rette più e sprofondai il viso nel suo petto, iniziando a piangere più forte, aggrappandomi a lei come se fosse la mia ancora di salvezza.
Rimase sorpresa del mio comportamento ma al posto di staccarmi da lei, mi accarezzò la testa dolcemente, mentre mi sfogavo con lei; aveva pensato questo di me, mi aveva pensata per tutto questo tempo e mi voleva accanto sé.
“Su, adesso puoi stare tranquilla. Resterò con te. Te lo prometto. Adesso riposati.” Detto questo sciolse l'abbraccio e mi diede un bacio casto sulle labbra. La guardai meravigliata e sorrisi, cadendo poi in un sonno profondo come i suoi occhi.
Junko mi aveva stregata all'inizio del primo anno, quando la vidi per la prima volta a scuola, quel giorno ero intimorita da tutto quello che mi circondava, anche a causa della mia fobia, ma lei fu la prima che mi rivolse la parola, quando pensò che mi fossi persa; da quel giorno non feci altro che seguirla nell'ombra, amandola segretamente.
Ho risolto molti omicidi, passato le pene dell'inferno facendomi sottomettere da tutti, ma lo facevo solo per lei, per potermi meritare un posto nel suo cuore; adesso lo avevo e potevo dire che il mio lavoro non è stato vano.
È vero, l'amore può portare anche alla disperazione.

  
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