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Autore: Elizabeth_DeWitt    15/01/2014    4 recensioni
"Saga… hai paura di Dio?
No. Ma ho paura di te."
“La mente del soggetto lotterà strenuamente per creare memorie dove non ne esiste alcuna…
- Barriere ai viaggi trans-dimensionali. R. Lutece”
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Saori Kido
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Prima di lasciarvi alla lettura, volevo scrivere due paroline per voi ;)
Innanzitutto, ci tengo a ringraziare tantissimo Antares Fanwriter e Moni Dreamland che, con tanta pazienza, mi hanno corretto il prologo di questa mia nuova storia. Senza di loro non c’è l’avrei mai fatta!


Come al solito mi sono data la mazza sui piedi da sola! XD
Adoro fare crossover tra Saint Seiya e i videogames che più ho amato, ed infatti, uno che ho amato particolarmente è Bioshock Infinite. Per coloro che avranno giocato al titolo, probabilmente già sapranno i temi che andrò a trattare perciò in parte non sarà una novità se non per le modiche che apporterò alla trama.
Mentre, per chi non è un gamer spero di dare un quadro completo e dettagliato del mondo che ci circonderà a 360°! Gli argomenti che tratterò andranno dalla scienza quantistica, alla religione, razzismo, fanatismo, etc.
E’ un progetto ambizioso e parecchio tosto, ma spero che, possa piacervi e ovviamente, non esitate a pormi domande, dubbi, o farmi notare errori ;)

Buona lettura ~
 
 
< No. Ma ho paura di te.>>
 
“La mente del soggetto lotterà strenuamente per creare memorie dove non ne esiste alcuna…
Barriere ai viaggi trans-dimensionali. R. Lutece”





1988 – Costa del Maine
 
Mi chiamo Saga DeWitt. Lavoravo per la Pinkerton ed ero sposato con la donna che amavo, ma che morì in un incidente, così, non essendo più padrone di me stesso ma della depressione, finii per accumulare debiti di gioco che mi portarono in seguito  al licenziamento dal lavoro. Iniziai a lavorare come investigatore privato ma, lasciato a me stesso, l’alcol e i debiti aumentarono… Disperato, perché non sapevo come affrontare la mia vita da solo, una sera bussarono alla porta un uomo ed una donna dandomi  un incarico ben preciso: ‘Portaci la ragazza e annulla il tuo debito’.
Titubante accettai. Dovevo recarmi in una città ‘segreta’ chiamata Columbia, e una volta là cercare e portare via una ragazza di nome Louise. La sera stessa mi recai insieme a loro vicino al porto. Il cielo cupo e gonfio di grigie nubi prometteva una scrosciante pioggia, ma non ci badai troppo, dato che ero più interessato al luogo in cui mi avrebbero condotto quei due.  Con una piccola imbarcazione, mi portarono ad un faro che non sapevo nemmeno esistesse, dicendomi che lì avrei trovato la via per raggiungere la città.
Durante il tragitto, come ebbi previsto, iniziò a piovere, per fortuna, però, non era una pioggia troppo opprimente, di quelle che ti impediscono persino di respirare, anche se il mare era parecchio agitato, a causa del forte vento che urlava instancabile il suo lamento. Vi era anche una leggera nebbiolina che contribuiva, insieme alla pioggia, a lasciarmi dei brividi lungo la schiena.
Se poi si considerava che noi tre ci trovavamo su una squallida bagnarola in legno, totalmente inadatta anche solo a stare a galla, potrete facilmente immaginare il mio umore in quel mentre. Ringraziai Dio di non soffrire il mal di mare o sarebbe stato il viaggio più orribile della mia vita.
Non vedevo l’ora di raggiungere quel maledetto faro.
 
“Hai intenzione di restare seduta?” domandò l’uomo che mi aveva ingaggiato e che, in quel momento, remava.

“L’alternativa qual è? In piedi?” rispose la donna sarcastica, che sedeva davanti a me, dandomi le spalle.

“No. L’alternativa è remare.” replicò con un’ovvietà il compagno.

“Remare? Non ci penso nemmeno.” obbiettò lei fermamente, come se la sola idea di affaticarsi le procurasse l’emicrania.
 
“Quindi, ti aspetti che faccia tutto io?” gli rispose allora lui, in tono quasi alterato.

“Questo cos’è?” chiesi tra me, mentre la donna mi porse una scatola in legno, con sopra inciso: ‘Proprietario Saga DeWitt – Cavaliere del I Reggimento’, contenente la foto della ragazza che dovevo recuperare... Sapevo che avrei dovuto osservarla con attenzione, ma al momento non ci badai troppo. Non ne avevo voglia e, inoltre, quel tempaccio maledetto non mi permetteva di vederla chiaramente. Sul retro vi era un semplice ordine “Portala incolume in Grecia”. Riposi con cura la fotografia e osservai gli altri oggetti: una chiave, una pistola e uno strano foglietto su cui vi erano dei disegni: una pergamena, una chiave e una spada; sotto ad ognuno di essi vi erano dei numeri.
I due, intanto, continuarono…
 
“No. Mi aspetto solo che remi sempre tu.” gli disse in modo pacato, ma fermo.
 
“E perché mai?” replicò lui.

“E’ stata un’idea tua.”
 
“Un’idea mia?”

“Sono stata chiara, sul fatto che non credo nell’esercizio.” puntualizzò lei stizzita.
 
“Remare?”
 
“No. Anche se credo sia un buon esercizio.”
 
“Allora cosa?”

“L’esperimento sul pensiero.” spiegò la donna in tono enigmatico, come se si trattasse di una cosa ovvia, ma di cui solo lei era a conoscenza.
 
“Scusate, manca ancora molto?” domandai annoiato.
Non comprendevo le loro frasi e quasi mi infastidivano. Volevo solo raggiungere il mio obbiettivo, ma sembrava che io non esistessi. Continuarono, dunque, il loro discorso che, in quel momento, trovavo senza senso e del tutto incomprensibile, come anche quei due.
 
“Uno partecipa ad un esperimento sapendo di poter fallire.” affermò lui.
 
“Ma uno non prende parte ad un esperimento sapendo di aver fallito.” rispose a sua volta annoiata la donna. Pareva quasi che avessero affrontato quel genere di discorso più volte ma che, ogni volta, si trovassero a ripetere sempre la stessa, inconcludente, litania.
 
“Possiamo tornare a remare?” chiuse, allora, il discorso lui, sperando forse di avere l’ultima parola.
 
“Ti suggerisco di farlo o non arriveremo mai.”
 
“No, intendevo che apprezzerei molto se tu mi aiutassi.”
 
“Perché non lo chiedi a lui? Immagino gli interessi più che a me, arrivare a destinazione.”
 
“Suppongo di sì. Ma non ha senso chiederglielo…”
 
“Perché?” chiese lei confusa.
 
“Perché lui non rema.” rispose come se fosse già ovvio, un qualcosa che io non sapevo, ma loro sì.

“LUI non rema?” continuò sconvolta lei.

“No. LUI non rema.” replicò scocciato l’uomo.
 
“Ah, capisco che vuoi dire.”
 
Finalmente il loro chiacchiericcio cessò, ed ovviamente io non avevo compreso un bel niente di quello che avevo ascoltato, ma poco mi importava, anzi, nemmeno ci feci caso, quasi come se ci fossi già abituato.
 
“Siamo arrivati.” mi disse sbrigativa la donna davanti a me.
 
Ora che la osservavo, mi resi conto di non ricordarmi nemmeno che aspetto avessero lei e l’uomo che remava, per via di quegli orribili impermeabili gialli con cappello che quasi gli ricoprivano l’intero volto. Forse avevamo scelto una giornata decisamente non piacevole ed io, da bravo idiota, mi stavo bagnando completamente e, come se non bastasse, ci si metteva anche la nebbia ad infastidirmi la vista e l’olfatto.
 
Quando scesi dalla barca per salire sulla banchina, mi voltai vendendo i due sulla barca allontanarsi e ricominciare il loro chiacchiericcio:

“Non gli diciamo quando ritorneremo?” chiese la donna al compagno.
 
“Cambierebbe qualcosa?” domandò lui a sua volta.
 
“Potrebbe confortarlo un po’.” si limitò a dire, con fare innocente.
 
“Almeno su questo siamo d’accordo.” concluse lui, con un tono a metà tra lo stupito ed il sarcastico.
 
Vedendo che nessuno attendeva il mio arrivo sulla desolata banchina, urlai a loro mentre si allontanavano: “Ehi! C’è qualcuno ad accogliermi?”
 
“Spero proprio di sì.” mi disse lui, e mi parve che ridesse di gusto, anche se non capii se a causa della mia ingenuità o sfortuna.

“Sembra un posto terribile dove ritrovarsi a piedi.” terminò lei, in tono frivolo.

Ed era ovvio che, da parte loro, non avrei avuto più alcuna risposta, trovandosi ormai lontani. Ma forse, all’interno del faro avrei trovato qualcuno; la banchina era fatta ovviamente in legno e alla mia sinistra c’era una barca attraccata ad un palo con una corda, probabilmente affinché il mare mosso non la trascinasse via. Vicino ad essa, c’erano dei barili e utensili che servivano per la pesca in mare, eppure, notai, tutto aveva l’aria di essere abbandonato da parecchio tempo. Davanti a me si ergeva il faro, imponente, che però non dava il solito segnale per le navi.
‘Strano…’ pensai d’istinto.
Qualcosa non andava.
Non sapendo che altro fare, salii una piccola scalinata. Il faro, osservai, aveva gli intonaci bianchi e non possedeva nulla di particolare o eccentrico; era un semplicissimo ed anonimo faro, probabilmente, vecchio di qualche decennio, considerando la struttura non proprio all’avanguardia. Prosegui con passo deciso sino alla porta rivestita in legno grezzo, ma prima di entrare mi soffermai ad osservare un fogliettino attaccato ad essa.
DeWitt- Portaci la ragazza e annulla il debito, questa è la tua ultima possibilità!
Ultima possibilità? Che frase assurda, quasi come se avessi già avuto l’incarico altre volte ed avessi fallito! Non vi diedi peso, così bussai alla porta e la aprii annunciandomi:

“Ah, permesso. Sono Saga DeWitt. Immagino mi stiate aspettando…”
 
Ma non ebbi alcuna risposta.
 
Da lontano udivo una radio accesa, una canzone datata almeno anni 20’.
‘Questo tipo dev’essere avanti con gli anni’ pensai, mentre mi osservavo attorno.
Di fronte a me vi era una specie di altarino con una bacinella e sopra di essa un cartello che diceva che lì mi sarei lavato dai miei peccati. Oltre che vecchio, il tipo doveva essere alquanto religioso per fare una cosa simile in un faro.
Mi voltai alla mia destra, e salii una scalinata che mi condusse al secondo piano.

“C’è nessuno? Ehilà?” dissi ad alta voce, ma ancora nessuna risposta.
 
In questo piano del faro vi era il caos più totale, quasi come se qualcuno avesse ingaggiato una lotta poco prima che io giungessi. Vi erano piatti in mille pezzi e padelle rovesciate a terra, mentre la famosa radio continuava a mandare questa strana canzone d’altri tempi e, benché avessi cercato di spegnerla, era evidente che il tasto apposito si era inceppato. Lì vicino vi era una scrivania con sopra un telefono. Provai a controllare se ci fosse linea, ma era inutile; era interrotta. Sopra vi era un tabellone con la mappa degli Stati Uniti e vi era affisso un piccolo biglietto adesivo ‘Sta arrivando. Devi fermarlo. C.
Parlava forse di me? Non ne avevo la minima idea.
Proseguii verso la scalinata, trovando stavolta delle impronte di mani rosse, non di certo a causa della vernice; pareva quasi… sangue? Più avanti vi era una libreria rovesciata e vari libri riversi sulla scala, quasi fossero corpi senz’anima.  A fatica riuscii a percorrerla per trovarmi poi davanti ad una scena raccapricciante: un uomo seduto immobile, con la testa coperta e… ucciso con un’ arma da fuoco alla testa. Una morte in perfetta esecuzione, mi sorse spontaneo domandarmi se il nonnetto avesse fatto arrabbiare qualche pezzo grosso. Avvicinandomi, vidi appeso all’uomo un cartello scritto col sangue: ‘Non deluderci!’.
Che diamine voleva dire tutto questo? Ora avevo solo dubbi e zero risposte. Ma la cosa che più mi infastidiva era che adesso dovevo trovare da solo il modo di andare a Columbia. Così, armato di pazienza, continuai la scalinata arrivando in cima al faro.
Di fronte ed intorno a me non vedevo altro che acqua e nulla che potesse portarmi in questa città. Mai pensando, ovviamente, che la via fosse di tutt’altro genere. Difatti, voltandomi, trovai una strana porta con gli stessi simboli che avevo trovato sul foglietto contenuto nella scatola e delle campane. Mi ci volle poco a capire che dovevo suonarle, così presi il foglietto dalla tasca e vidi quante volte dovevo fare il rintocco per ciascuna: una per la pergamena, due per la chiave e ancora due per la spada. Attesi che la porta si aprisse, ma nel frattempo, accadde una cosa del tutto inaspettata: la porta diede una specie di segnale nel cielo e, dalle nubi irte di pioggia, filtravano dei raggi rossi e udii un suono che non seppi definire.
 
‘Cosa mai...?’
 
Ero stupefatto, non avevo mai visto nulla di simile. Attesi, dunque che tutto finisse e finalmente la porta si aprì, permettendomi l’accesso. Dal pavimento ne uscì una poltrona ina pelle rossa.
 
“Va bene.” dissi ad alta voce per farmi coraggio “Pare che si aspettino che mi sieda sulla loro bella sedia.” Pochi secondi dopo che mi fui accomodato, i miei polsi vennero stretti da lacci metallici, ed una voce metallica risuonò nell’abitacolo.
“Preparati, pellegrino. I lacci sono per la tua sicurezza.”
 
La sedia ruotò di qualche grado per poi vedere, con orrore, che le pareti intorno a me si stavano richiudendo. Uno dei pannelli aveva un oblò per consentirmi, forse, di vedere all’esterno. Capii immediatamente che si trattava di una specie di capsula o roba simile. Non dovevo mica finire nello spazio! Questo non faceva parte dei patti! Mi parve quasi di udire la voce cristallina, eppure divertita, della donna che mi aveva condotto in quel folle luogo.
 
“Noi non avevamo alcun patto, signor DeWitt.”
In quel mentre, quella specie di capsula partì, facendo rovesciare la sedia in modo tale da farmi perdere l’unica arma da fuoco che avessi. Non capivo come fosse possibile tutto ciò, ero troppo frastornato e le cose non facevano che peggiorare. Intanto la voce del conto alla rovescia continuava a parlare:
 
“Ascensione. Ascensione tra CINQUE … QUATTRO… TRE… DUE… UNO… “
 
La navicella partì verso l’altro, mentre il senso del panico s’impossessò di me, non sapendo più cosa fare.

“No, no, no, no, no! Dannazione!”  imprecavo da solo, ormai impotente.
 
“Ascensione, ascensione… millecinquecento metri… tremila metri… quattromilacinquecento metri… “
 
Continuò  il conto alla rovescia, quando poi, all’improvviso, il sole mi accecò e ciò che vidi subito dopo mi lasciò senza fiato. Una città che fluttuava nel nulla si trovava di fronte a me. Non riuscivo a comprendere se ero impazzito o stessi sognando. La voce metallica che mi aveva accompagnato terminò dicendo: “Alleluia.”
Continuai a guardare strabiliato lo spettacolo fuori dall’oblò. Non avevo parole per descrivere ciò che vedevo, pareva davvero una città con case, edifici vari, ponti, e… un’enorme statua alata che credo fosse un monumento importante della città, data la sua grandezza e magnificenza. Nel frattempo la navicella mi conduceva a destinazione, sebbene non sapessi io stesso dove. Vidi da vicino alcuni edifici su cui vi erano degli enormi ritratti di un uomo dai folti capelli argentei e dagli occhi scuri come la pece e la scritta: “Padre A.Comstock, il Profeta.”
 
Ero capitato in una città un po’ religiosa, a quanto pareva. Grandioso.
 
Finalmente la navicella attraccò, lasciandosi cadere lentamente verso il basso. Non avevo idea di dove mi avesse portato. Fermatasi, la porta davanti a me si aprì ed anche le ‘manette’ metalliche che mi bloccavano i polsi si slacciarono lasciandomi libero di andarmene.
Davanti a me vi era una vetrata, identica a quelle che si trovavano in molte Chiese Cristiane, con il tizio del ritratto che avevo pocanzi visto, assieme un gruppo di persone che lo seguivano. Vi era incisa una frase che diceva: ‘E il Profeta condurrà il nostro popolo nel Nuovo Eden’ .
 
Non sapevo come sarei uscito da lì, ma in un modo o nell’altro avrei trovato un modo per entrare in città.
 
 
 
 
To be continued

 
  
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