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Autore: Hiroponchi    16/01/2014    3 recensioni
E' il continuo dopo la fine. Gli assassini Misa e Light si ritrovano in ospedale, con ancora una vita. Non lunga quella di Misa, disperata quella di Light. Deciso a prendersi finalmente cura di lei, Light si imbatte in una nuova avventura: quella di amare. Ma la dolce Aiko, fotografa, scatta una foto al cuore di Light, invadendo la sua vita. Ce la farà l'ex assassino, impotente senza quaderno, a capire qual'è la sua donna?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri personaggi, Light/Raito, Misa Amane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando Light aprì gli occhi, si ritrovò in un luogo a lui sconosciuto. Una parte di sé sapeva dove si trovasse ma l’altra gli faceva sentire solo una terribile oppressione. Tentò di muoversi ma gli fu impossibile. Fili e fili gli ricoprivano le braccia. Un ago era infilato dolorosamente nel gomito sinistro. Aveva le gambe indolenzite, come se non si muovessero da secoli. E la testa, ah, se gli faceva male! Sentiva che gli fosse scoppiata una bomba ad orologeria nel torace, e forse, stando agli ultimi ricordi, era proprio così. Ryuk aveva scritto il suo nome in quel terribile quaderno nero; Matsuda gli aveva sparato; i sintomi dell’arresto cardiaco, ricordava, erano arrivati man mano che il tempo imposto dal quaderno scorreva. Ricordava di esser svenuto, di aver creduto di esser morto, e gli era comparsa una figura. Misteriosa, strana, inclassificabile. Non sapeva se L fosse amico o nemico, quel strano ragazzo dalla schiena incurvata in avanti. Ma, sbattè gli occhi, chi era questo L? E Ryuk, addirittura? Perché il sottoposto di suo padre avrebbe dovuto sparargli? Sarà stato un sogno, si disse, un lurido sogno. Poi si ricordò che suo padre era morto e gli venne in mente che non aveva sognato. Era stato lui stesso a uccidere quell’uomo che un tempo aveva chiamato papà senza loschi fini. Con gli occhi pieni di lacrime, sentì aprirsi una porta.
“Oh mio dio, ma sei sveglio!”, gridò una graziosa infermiera dall’aria stanca e i capelli tirati. “Chiamo il medico”.
“No, aspetta”, gridò Light, con la voce bloccata in gola. “Dove mi trovo? Chi sei tu?”.
“Sono Fumio, la tua infermiera. Ti ho assistito per due mesi, sai? Non ti svegliavi più”, girò un foglio della cartellina che teneva in mano, poi lo fissò con occhi teneri. “E’ stato un brutto infarto, Light-kun. Ma l’importante è che hai aperto gli occhi. Chiamo il dottore”.
La donna uscì e Light rimase con i suoi pensieri. Il suo nome giaceva ancora scritto nel quaderno di Ryuk. Com’era possibile che un simile medico, un comune umano, avesse potuto salvarlo? Forse, perché, lui era Kira?
L’infermiera Fumio rientrò col medico, un uomo baffuto che sembrava un agente dell’FBI. Controllò ogni cosa con aria bonaria, permettendosi di canticchiare. Se solo avesse saputo di aver curato il più potente assassino di tutti i tempi, forse gli avrebbe tagliato la gola con le sue stesse mani. “C’è silenzio”, disse Light, mentre l’uomo gli faceva un elettrocardiogramma.
“Ci siamo solo noi qui”, rispose il dottore, controllando il monitor. “E un’altra paziente. L’ospedale si trasferisce in un’altra zona, fuori dal Kanto. Siamo stufi di ricorrere le vittime di Kira che muoiono sotto i nostri occhi prima che possiamo fare alcunchè”.
Light guardò fuori dalla finestra. Non era stato un sogno. Ma, senza quaderno, lui non era più nessuno. Kira non esisteva più.
“Perché noi siamo rimasti?”.
“Siete casi troppo particolari per spostarvi. Tu eri in coma da mesi, la ragazza non ricorda nemmeno chi è. Si è affezionata alla sua camera. Abbiamo deciso di rimanere qui, io e Fumio-san”.
“Non ricorda chi è?”, chiese Light, interessato. “Non avrà i capelli biondi?”.
“Strano per una giapponese, eh? Eppure non sono tinti”.
Col cuore in gola, Light non fece più domande. Aspettò di potersi strappare i fili dal torace e si rimise la maglia del pigiama. Calò la sera e Fumio smise di venire a chiacchierare. Il medico era tornato a casa per un riposo e nell’ospedale sembrava passata l’ombra del silenzio più assurda. Sul davanzale della sua camera non c’erano fiori. Capì che sua madre e sua sorella erano state allontanate dal figlio omicida e si chiese quale fosse stata la loro reazione. Si alzò a fatica, col petto dolorante ad ogni respiro. Si appoggiò ad una stampella e uscì dalla camera. C’era buio, se non per qualche luce al neon. Fumio era al banco informazioni, rivolta di spalle a guardare una telenovela in tv. Light proseguì cercando di far piano. Misa era lì, era sicuro che fosse lei, e doveva vederla. Oh, Misa…
Da una stanza in fondo alla corsia, proveniva una luce fioca. Una dolce voce canticchiava un motivetto non conosciuto. Come le note di un pianoforte buttate a caso. Tamburellò sulla porta e la ragazza che stava cambiando l’acqua ai fiori, si voltò. Era proprio lei ma, senza la bellezza di un tempo. Misa era sciupata, magra, i capelli lisci ma sbiaditi. Senza i vestiti neri, ma con la lunga camicia da notte, sembrava il fantasma di una ragazza morta. Aveva il viso, un tempo molto truccato, tumefatto di lividi.
“Sei il ragazzo in coma?”, chiese euforica. “Ti sei svegliato o ti vedo per magia?”.
“Mi sono svegliato”, le rispose in un brusio.
“Oh, che bello”. Tornò a sistemare i fiori, poi li annusò. “Le margherite mi danno pace. E anche le rose. Tu ne hai in camera tua?”.
Light scosse il capo. “Che hai fatto al viso?”.
Misa si toccò una guancia, poi sorrise con l’aria di una ragazzina, quella sempre avuta. “Ho tentato il suicidio. Mi sono gettata da un palazzo. Ma non sono morta!”.
“E… perché ci hai provato?”.
Light si appoggiò alla porta, tremando. C’era troppo acqua sotto i ponti, troppe cose successe, e lei non ricordava nulla. Aveva dimezzato la sua vita per ben due volte, per poter fare lo scambio degli occhi, e alla fine aveva perso per la seconda volta la memoria. Le mancava pochissimo da vivere. La salute le sarebbe scivolata via di colpo, senza pronunciare sintomi evidenti. E la morte l’avrebbe accolta tra le braccia. Un destino crudele, che non ricordava di aver scelto. Non riconosceva neppure il volto che aveva dinanzi, il volto che aveva amato così tanto da rinunciare a sé stessa.
“Perché sentivo che fosse successo qualcosa ma… non sapevo cosa”, si rabbuiò, poi si sedette sul letto come una principessa sul trono. “Mi chiamo Misa Amane, te?”.
“Light Yagami”, le mormorò, col cuore a pezzi.
I grandi occhi di Misa si allargarono. “Sicuro di non esserci mai incontrati?”.
“Mai”, le sussurrò.
“Allora ci saremmo incontrati in qualche sogno”, Misa sorrise radiosa. Sorrideva perché non sapeva di dover morire, sorrideva nonostante i lividi che le rovinavano il volto. “Vorrei fare l’attrice un giorno”.
Lui la guardò in silenzio. Ricordò che lei aveva sempre avuto premure nei suoi confronti e lui, al contrario, non aveva mai ricambiato. La vide stendersi sul letto e chiudere gli occhi sopra le mani congiunte. I capelli dorati invadevano il cuscino bianco. Capì che doveva iniziare a prendersi cura di lei, a darle un ultimo pezzo di felicità. Si avvicinò zoppicando sulla stampella e le rimboccò le coperte. “Non vorrai prendere un raffreddore, eh, Misa-chan?”.
“Grazie”, rispose lei, con un sorriso e un’occhiata piena di sonno. “Buonanotte, Light”.
“Buonanotte”, disse lui, con l’amaro in bocca. “Misa….”
 

  
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