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Autore: wingsam    17/01/2014    2 recensioni
Questa storia parla della vita di colui che si avventura per le sterminate e gelide terre di Skyrim, alla ricerca del senso della sua esistenza e di quella di svariate altre creature che popolano quella regione...compresi i Draghi.
Verranno narrati diversi episodi (da uno, due o tre capitoli al massimo per ognuno di loro), avventure lunghe o brevi, anche sconnesse fra di loro (temporalmente e spazialmente) ma sempre ancorate saldamente all'essenza della trama principale e secondaria di questo universo splendido.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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skyrim 2
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Ogni fine è un inizio


Un suono fa accapponare la pelle a tutti i presenti, lasciando che sulla piazza piombi un silenzio sepolcrale. Sembra essere stato prodotto da un'immensa lastra di roccia secolare, una montagna intera, che cade e sfrega contro una ruvida superficie metallica.
-Ancora?- mormora piano l'Inquisitrice, interrogando la volta azzurra sopra i tetti di Helgen. Arretra di qualche passo, si gira per controllare che la fonte di quel rumore non provenga da un punto alle sue spalle. Eppure non è così, ognuno di noi ne è consapevole. Questa è la terza volta che si fa sentire. E' giunto da lontano, molto lontano da qui, dalla piazza di esecuzione. Eppure è risuonato così terribilmente vicino.
C'è una sensazione anomala nel mio corpo, oltre a quella dovuta a dover accettare di morire, qui ed ora, per mano dell'Impero. Una sensazione causata proprio da quel suono misterioso, inquietante, dalla fonte ignota. Sono sicuro che è a causa sua. Non riesco a decifrarmi, a dare un senso preciso a quello che provo, ma c’è qualcosa di estraneo e nuovo nel mio cuore e nella mia mente. Qualcosa che si risveglia, si scuote dopo un lungo sonno ed è ansioso di inalare il primo respiro.
-Diamoci una mossa! Non ho tutta la mattina!- inveisce saldamente il generale Tullius, l’uomo a capo delle forze imperiali insediatesi a Skyrim. E’ un omone alto e longilineo, nervosamente muscoloso, testa rasata con una spolverata di capelli bianchi, viso squadrato e marmoreo. Un classico.  
Non è neppure sceso da cavallo; è arrivato ad un fiero trotto, ha supervisionato la nomina dei condannati e poi si è appostato di fianco al boia per godersi lo spettacolo in prima linea. Dal solo portamento si può intuire che ragioni come una macchina, in battaglia come adesso: non tollera errori o distrazioni, va dritto al sodo e sistema qualsiasi faccenda per mezzo di poche parole.
-Si, generale!- gli risponde l’Inquisitrice. Si irrigidisce, come per tornare a calzare il ruolo che le spetta, si ravvia i capelli legati in una coda sulla schiena e si sistema l’elmo crestato, schiarendosi la voce cavernosa. -Tu, prigioniero! Al ceppo!-
Qualcuno mi tocca la spalla, fremo. Cosa c’è? Sono ancora preda di quello squilibrio interiore, non riesco a concentrarmi su niente che non sia il battito profondo e irregolare del mio cuore.
Quando succede di nuovo. Quel suono, graffiante, bruciante per timpani e tempie, si infila tra le costole e lacera l’animo.
Nessuno lo ha ignorato, ci troviamo tutti a naso all’insù sulla piazza. Serpeggia un panico inespresso. Eppure, non c’è niente. Era così vicino…così terribile, e ignoto, e...nemico.  
-Il prossimo prigioniero, ho detto!- grida la donna con l’armatura lucente, puntandomi un dito contro.
Ci siamo. E’ dunque giunta davvero la fine? E’ in questo modo che morirò? Senza sapere chi sono, senza sapere perché esisto?
Dimentico del ruggito metallico provenuto da chissà dove, vengo pervaso dall’idea di fuggire, di cogliere i presenti di sorpresa e darmela a gambe. Butto un occhio di lato, studio la conformazione delle viuzze che separano una capanna dall’altra. Ma istintivamente trattengo il fiato, e il cuore mi rimprovera. Che stai facendo? Affronta il tuo destino a testa alta, accogli gli effetti delle tue azioni a braccia aperte, con fierezza.
Così, quasi sotto l’effetto di un incantesimo che io stesso mi sono auto-imposto, mi allontano dalla folla radunata al centro del piazzale e cammino fino a trovarmi davanti il boia. Quello guarda verso di me, ma è come se fossi trasparente; sta guardando al vuoto, forse è scontento della vita che fa, oppure ci è tanto abituato che non si pone più alcuna domanda. E’ un gigante con un cappuccio nero sulla testa e un lungo saio dello stesso colore. Dev’essere un Redguard, a giudicare dalla tinta scura della pelle che si intravede dai fori per gli occhi sul cappuccio.
L’Inquisitrice mi stringe con presa ferrea le spalle, mi volta, mi spinge verso il ceppo, mentre il vuoto regna sovrano in me. Ho smesso di pensare, di tremare, di indagarmi, di volere. Semplicemente esisto. Mai prima d’ora ho avuto una così chiara consapevolezza di esistere. L’aria che scivola piano dentro le narici, entra nei polmoni, ossigena il sangue e torna fuori trasformata. Gli organi interni, collegati l’uno all’altro per formare un sistema perfetto. Le ossa, i muscoli, gli occhi estensioni del cervello grazie a intricati fasci di nervi.
E sto per smettere di esistere.
Qui ed ora, sta accadendo questo e non faccio nulla per cambiare le cose.
Uno stivale si pianta sulla mia schiena e mi costringe a cadere in avanti, sulle ginocchia, così che il sostegno sudicio ideato per accogliere il collo del condannato di turno mi invii una bella dose della fragranza che emana. Presenta ancora i segni dell’esecuzione avvenuta prima della mia, qualche minuto fa; si trattava di un ribelle, uno dei tanti che sono andati incontro al triste fato in questo limpido mattino invernale. Non si sono nemmeno degnati di prendersi il disturbo di togliere il cadavere, giace qui accanto inerte, e la testa mostra un sorriso sereno.
“I miei avi mi sorridono benevoli. Posso dire lo stesso di voi?” Questa è stata la sua ultima frase pronunciata al generale e ai suoi sottoposti, prima che il metallo scindesse.
Lo stivale dell’Inquisitrice mi spinge di nuovo, accompagnato da una mano sotto la nuca che mi costringe nella posa finale.
Prendo un profondissimo respiro, so che è uno degli ultimi. Eppure sono sereno, credo. Sentirsi vuoti, svuotati, è sintomo di serenità?
L’ultima cosa che scelgo di voler vedere è l’ombra del boia sollevare la pesante ascia dal lungo manico, tenerla issata sopra la testa e mantenere il precario equilibrio con i gonfi muscoli di cui dispone.
Allora decido di serrare le palpebre, quindi resto da solo con me, preda di uno strano senso di risucchio che ha origine dalla cima del capo.
Gli zoccoli del destriero di Tullius scalpitano ad un niente dal boia, qualcuno bisbiglia. Ali sbattono su vicine fronde. Il sole ritrae le mani da me, le nasconde dietro le nubi e lascia che un abito di aghi gelidi mi avvolga.
Poi, accade.
Per un’altra assurda occasione, quel chiasso misterioso mi entra nel cervello. Non viene più da lontano, non dai monti a nord-est, non dal bosco. Stavolta è qui, è proprio qui.
Spalanco gli occhi, colto da spasimi di terrore cieco. Ed ecco svelata la fonte di quel rumore: sulla cima della torre di pietra che s’innalza sul lato meridionale della piazza, c’è una nube nera. Una massa enorme, scura, dalla quale balenano lampi color cremisi e latte. Si allarga mostrando due protuberanze sui lati, quadruplica la sua mole. E parla nuovamente in quella lingua assordante, metallica, ruvida, così sconquassante da far tremare l’aria e la roccia.
Ogni cosa cade in preda al caos, a Helgen. Un caos che ha come centro nevralgico la piazza delle esecuzioni.
Si levano grida prive di senno, pazze; spade escono dal fodero, gli scudi vengono percossi, i piedi battono in ritirata o alla carica. Ed io?
Io sono soltanto uno spettatore, un corpo rimasto ad occhi aperti il cui spirito è incapace di impartire comandi. Sono caduto su di un fianco, totalmente in balia di dolori lancinanti, di scariche elettriche che mi trapassano da testa a piedi con violenza. Mi scorre davanti ciò che accade nell’istante presente, ma allo stesso modo quel che mi è successo in un passato che non rimembro d’aver vissuto: rimestare un brodo nel paiolo, sussurrare ad un passero sul davanzale di una finestra, baciare sulle labbra una donna bionda distesa su un morbido letto, tenere per mano un giovincello, fare a pugni nella sala di una taverna, scagliare pietre in un lago, gridare al cielo la mia ira, piantare un’accetta sullo scudo di legno di un nemico armato.
Miriadi di visioni che mi appaiono tutte assieme, sovrapposte, lente eppur rapide, confuse e chiare, piacevoli e tristi. Subitaneamente.
Nel mezzo di quest’esperienza, forse ancor più terribile di ciò che può provocare l’arma di un boia al corpo di un condannato a morte, distinguo quella fosca sagoma nera come pece che si dimena sul tetto della torre di Helgen, le cui urla stanno dipingendo di esalazioni rosse il cielo.
Non è una nube.
E’ un drago.
Un drago sta attaccando Helgen.







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Hello! 
Ma scriviamo qualcosina, dai, inZomma! Grazie millimila volte per aver letto questo capitolo! (e, se l'hai fatto, anche quello precedente. Se non l'hai ancora fatto, FALLO ORA °A°) Il prossimo capitolo (i prossimi 2 al massimo) chiuderà/nno questa sotto-storia, che narra di come...'spetta, non tutti tra voi conoscono la trama di Skyrim. Quindi...mmh niente, dicevo cose insensate. c:

Gli altri dureranno di meno, saranno avventure più azione/meno descrizione (ambienti e atmosfere a parte).
Avrai notato che questo capitolo è leggermente sconnesso
temporalmente da quello prima (come ho spiegato nella descrizione della FF). Più o meno avverrà ogni volta, a meno che non interrompa un capitolo dove devo per forza di cose continuare da quel preciso punto. :)
Come sei abituato a leggere in paragrafi come questi qui su EFP,*si schiarisce la gola*: "lascia una recensione se ti è piaciuto, mi raccomando!" *malcela un sorriso*
Un abbraccione,
Sam
  
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