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Autore: ISI    03/06/2008    2 recensioni
"Aveva sempre considerato gli ascensori come dei luoghi ottimi per fare l’amore, ma in quel momento, pur trovandosi proprio in una di quelle scatole di metallo che fanno su e giù da un piano all’altro dei palazzi, in quel momento l’amore gli appariva come un traguardo lontanissimo, se non irraggiungibile, inarrivabile."
Un flash, una specie di visione avuta in un periodo di depressione e di crisi mistico-esistenziale tutt’ora in corso...
Commentate, vi prego, ho un disperato bisogno dei vostri pareri...
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Everyone has his sore

Everyone has his sore

Martyr of love

 

Aveva sempre considerato gli ascensori come dei luoghi ottimi per fare l’amore, ma in quel momento, pur trovandosi proprio in una di quelle scatole di metallo che fanno su e giù da un piano all’altro dei palazzi, in quel momento l’amore gli appariva come un traguardo lontanissimo, se non irraggiungibile, inarrivabile. E per amore, strano ma vero, non intendeva solo, come sarebbe stato invece suo solito, quello puramente carnale, ma anche quello che la persona che gli stava accanto in quella stessa scatola gli aveva dato per anni, sostenendolo sempre, anche quando aveva torto, senza mai rinfacciargli nulla, anche se di cose da potergli rinfacciare e di ragioni per farlo ce ne sarebbero state tante. Troppe.

Così, per la prima volta nella sua vita non si ritrovò a sperare nell’amore o nel sesso, bensì nel perdono.

Strano, come le ambizioni umane possano mutare con il passare del tempo, con il susseguirsi degli errori...

-Mi spiace...- gli disse sincero, voltandosi speranzoso verso l’altro. Sapeva di averlo ferito, con le sue parole, con il suo comportamento e ne ebbe la prova certa quando i loro sguardi s’incrociarono: i suoi occhi erano come ricoperti da un’ombra di tristezza, di malinconia, un’ombra che sapeva essere solo la punta di un iceberg immerso nell’anima, un’ombra che mai prima d’ora aveva notato o che forse conosceva fin troppo bene, essendone stato egli stesso la causa, ma che aveva preferito ignorare, fare finta di non vedere, girando così il coltello nella piaga già sanguinante.

L’altro nonostante ciò gli sorrise.

Gli sorrise in quel modo dolce e rassicurante che tante volte gli aveva tolto il respiro, sciogliendolo e anche allora quel piccolo gesto ebbe il suo effetto, nonostante ne trasparisse una sofferenza non indifferente.

E per l’ennesima volta si ritrovò ad ammirarlo: come poteva, dopo tutto quello che gli aveva fatto, non portargli neppure un briciolo di rancore?

-Anche a me dispiace...- gli rispose con quella sua voce calma e pacata, resa leggermente roca dalle troppe sigarette.

E poi di nuovo silenzio, quel dannato, stramaledetto silenzio che lo metteva a disagio e che lo teneva come sospeso tra la sofferenza della terra e la beatitudine del cielo, tra la sua delusione ed il suo perdono.

Lo guardò fisso negli occhi ancora per qualche secondo, poi distolse lo sguardo, chinando il capo. Si vergognava. Per la prima volta nella sua vita provava vergogna per quello che aveva fatto, per le sofferenze che, volente o nolente, aveva causato.

Tutti son bravi con il senno di poi...

-Come siamo potuti arrivare a questo?- quella domanda gli scivolò via dalle labbra in un sussurro e l’altro non potè trattenere una mezza risata, tutt’altro che divertita.

Ridere per non piangere...

-Se non lo sai tu, credimi, siamo davvero finiti...- gli rispose senza peli sulla lingua -E comunque non è a me che dovresti chiederlo, non ti pare?

Annuì. Aveva ragione, aveva dannatamente ragione.

-Devi davvero odiarmi per quello che ho fatto, non è vero?- gli domandò ansioso di una risposta che si fece attendere forse più del dovuto.

-Vorrei saperlo fare...vorrei davvero riuscirci.- disse, mentre l’altro gli appoggiava il capo sulla spalla, esausto.

-Mi dispiace...io non volevo, io...- le parole gli morirono in gola e l’unica cosa che riuscì a fare fu abbracciarlo, abbracciare quel corpo, quei fianchi che con gli anni avevano perso la morbidezza della giovinezza, assumendo un aspetto più spigoloso e leggermente più rude. L’abbracciò come tante volte aveva fatto in passato e come da un po’ troppo tempo a questa parte aveva perso l’abitudine di fare.

Ne è passata di acqua sotto i ponti.

Acqua chiara ricamata di fiori cremisi; una sofferenza sopportata con una costanza tremenda.

Un martire dell’amore.

-Lei non ti basta più?- quella domanda, fatta così a bruciapelo lo fece sussultare.

-Lei...lei è la mia condanna...- affermò convinto e l’altro sospirò, poi gli prese il volto tra le mani, riportandolo all’altezza del proprio, perché lo guardasse bene negli occhi, perché comprendesse fino in fondo di che cosa era stato la cagione.

-Benvenuto tra noi miseri mortali...- lo schernì quasi - ad ogni uomo la sua croce...- aggiunse poi liberandosi con estrema delicatezza dall’abbraccio di cui l’altro aveva sentito tanto il bisogno.

-Che cosa...che cosa significa?- indietreggiò di qualche passo dall’altro, come impaurito.

La Verità fa paura, non è vero?

-Vuol dire che ognuno ha la sua croce, che ognuno deve saper sopportare la propria condanna...impara a convivere con l’ansia, con il dolore, allora capirai...- gli disse poco prima che le porte dell’ascensore dello stabile si aprissero con un sonoro “tiin”.

-E la tua condanna? Quale sarebbe la tua condanna?- gli chiese sconvolto da quelle parole così prepotenti, così violente, ma al tempo stesso così vere, così sincere.

-Amarti.- rispose molto semplicemente Simone e Leonardo impallidì -La mia condanna è quella di averti amato e di avere continuato ad amarti anche quando non te lo meritavi, finendo per soffrire. La mia condanna è che non posso fare a meno di amarti.-

Poi le porte dell’ascensore si chiusero ed ognuno s’avviò per la propria strada.

 

Fine.

 

Un flash, una specie di visione avuta in un periodo di depressione tutt’ora in corso...

Commentate, vi prego, ho un disperato bisogno dei vostri pareri...

Ciao dalla vostra Isi.

  
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