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Autore: monnezzakun    17/01/2014    3 recensioni
L'odore del senpai è per Ai la debolezza più grande.
[Scritta per la Notte Bianca #3 - RinAi, «Perché mi hai baciato?»]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nitori Aiichirou, Rin Matsuoka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Smells like teen spirit





C'era l'odore della salsedine, sui vestiti del senpai, pungente e lascivo come fossero ancora in spiaggia e gli giungesse ad ondate nel sonno, con la sabbia ovunque anche dopo la doccia, il sudore che rendeva appiccicosa la pelle da cui i profumi del bagnoschiuma erano scivolati via al primo soffio di vento. Aveva sempre un odore particolare, il senpai, perché era scostante, lunatico, ed ad ogni minimo cambiamento anche il suo odore cambiava – diventava aspro dopo gli allenamenti, dolce e pastoso come uno sciroppo dopo una lunga nottata di sonno, quasi femminile quando usciva con Gou e lei insisteva perché mettesse il profumo che gli aveva regalato e che lui detestava, perché era già fin troppo poco virile il suo nome per permettersi anche un profumo così mieloso. Anche se era imbarazzante, a lui alla fine il senpai piaceva sempre, qualsiasi odore avesse addosso – ma ce n'era uno, ad essere proprio sinceri, che gli piaceva più di tutti, ed era quello di cloro. Stranamente era il più raro di tutti, e per questo era anche il più segreto, perché il senpai passava sempre delle ore nella doccia, anche dopo che tutti gli altri se n'erano andati, ed Ai non era proprio sicurosicuro di quel che ci facesse così tanto tempo nella doccia, ma una volta tornato nel dormitorio l'odore di cloro era sparito, ed al suo posto c'era quello preponderante del bagnoschiuma. Era probabile che solo poche altre persone avessero sentito il suo profumo speciale – di sicuro uno era Nanase-senpai, pensò, con una punta di gelosia. Il senpai l'aveva solo dopo aver passato delle ore nella piscina, senza nuotare, stando solo immerso, lasciandosi affondare di tanto in tanto. Ai custodiva quei momenti come conchiglie raccolte sul lungomare, una ad una, infilate in un sacchetto e strette nei palmi fino a sentire i bordi netti sulla pelle nonostante il tessuto che faceva da ostacolo. Era così calmo, il senpai, bello in una maniera quasi sovrumana. I capelli scuri, liberi dalla cuffia ingombrante; gli occhi socchiusi, lambiti dalla luce scarsissima che si rifletteva sull'acqua immobile. Era difficile nuotare insieme a lui e rischiare di scuotere la sua armonia con una bracciata troppo vigorosa, un tuffo brusco e inopportuno, e allora Ai rimaneva a bordo vasca ad osservarlo da lontano come faceva sempre, lambendo la superficie cristallina con la punta delle dita come se fosse il suo profilo. Potevano passare anche delle ore, prima che Rin si decidesse ad uscire, e allora c'era solo il tempo di asciugarsi meglio che si può con degli asciugamani rubati da qualche armadietto lasciato aperto, per poi sgattaiolare per i corridoi scuri fino alla propria stanza, al proprio letto, alle lenzuola piene di cloro e spettri dei riverberi sulla pelle umida del senpai.
Erano in viaggio ormai da ore, strizzati su un autobus troppo stretto e troppo piccolo, il mare ormai chilometri più indietro – ad Ai piaceva l'idea di tornare indietro, di vedere di nuovo un letto vero e non un sacco a pelo madido di sudore perché il senpai l'aveva costretto a dormire sulla spiaggia e non nell'albergo confortevole in cui avevano alloggiato tutti gli altri, ovviamente sani di mente. Strappalacrime la prospettiva di non venire più svegliato alle sei per la corsa sulla spiaggia, quasi da svenimento quella di non doversi subire gli umori intercambiabili del senpai perché si ostina a volersi svegliare presto anche se dormire poco lo rende più irritabile del solito. Alla fine aveva deciso di non pensarci troppo e di cercare di far passare velocemente il viaggio, magari dormendo, come tutti nel raggio di cinque metri sembravano star facendo. Era quello che avrebbe voluto fare, almeno, perché poi il senpai aveva iniziato a far ciondolare la testa, esausto per gli allenamenti intensivi di quella settimana, ed allora il ciuffo di capelli troppo lungo gli cadeva sul viso, e Rin arricciava il naso come un coniglietto e lo scostava via, a metà fra il sonno e la veglia. Poi si era allontanato con la tempia contro il vetro, le labbra dischiuse, bello da impazzire ed ipnotico con i suoi respiri spezzati, sospiri lasciati a metà, parole incomprensibili mormorate con le ciglia vibranti. Ai aveva provato a distogliere lo sguardo, a concentrarsi sul russare di Mikoshiba-senpai che veniva dal sedile dietro il loro, però era stato allora che il senpai aveva fatto la mossa diabolica e senza alcun dubbio intenzionale di scivolargli addosso, raggomitolato come un gattino, la guancia sulla sua spalla e la bocca ancora aperta, bello la metà della bellezza che poteva esserci in quel momento al mondo. Lo aveva fissato senza nemmeno fingere di non starlo facendo per quella che poteva essere mezz'ora come un secolo, prendendo respiri misurati e stando insieme rigido e rilassato, perché se avesse teso ogni muscolo come il suo corpo gridava di voler fare allora il senpai sarebbe stato scomodo e si sarebbe svegliato, avrebbe cambiato posizione, e quelle erano le ultime cose che lui voleva. Avrebbe voluto che la Samezuka scomparisse e diventasse solo un punto lontano, indefinito, perso nella marea di granelli di sabbia che Rin non era riuscito a scrollar via dai capelli e che lui si divertiva a soffiar via per cercare di alleggerire il cuore da tutte quelle cose che lo appesantivano – il senpai era caldo e morbido, si ritrovò a constatare, sfiorando con la punta di un dito la sua mano abbandonata sul ginocchio. Odorava ancora di salsedine, ma ora era abbastanza vicino perché anche quel profumo pungente diventasse flebile, sovvertito da quello più intimo ed intenso della sua pelle, speciale almeno quanto quello di cloro. Aveva ormai il naso fra i suoi capelli, dimentico di tutte le persone che si sarebbero potute svegliare e che lo avrebbero visto in quelle condizioni, quando l'autobus incontrò una buca, e la tanto amata chioma del suo senpai si scontrò piuttosto violentemente con il suo povero naso.
Scattò subito via, allontanandosi dal senpai che si era svegliato immediatamente. Lo vide sibilare un po', massaggiandosi la parte lesa, gli occhi un po' appannati che dardeggiavano nella sua direzione.
«Che stavi facendo?» chiese, la voce un po' aspra ed impacciata. Ai seguì il movimento delle sue labbra come se stesse avvenendo al rallentatore, la gola secca e la mente inesorabilmente sgombra. «I-io... mi s-stavo addormentando, senpai!» rispose precipitoso, cercando una scusa per cui il suo naso potesse essere fra i capelli di Rin senza risvolti imbarazzanti.
I sedili erano così striminziti che, anche così, la distanza fra loro era misera: riusciva a vedere i denti aguzzi di Rin che mordevano il suo labbro gonfio, un po' arrossato – doveva essersi morso nell'urto, visto che stava dormendo con la bocca aperta, ed ora tormentava il probabile taglio come era solito fare con le piccole ferite come quella. Continuò a fissarlo, le guance rosse e gli occhi ben aperti, stregato da ogni minimo movimento che l'altro compiva. Rimasero così per qualche momento, poi il senpai alzò lo sguardo e lo scrutò a lungo con lo sguardo calcolatore che aveva prima di una gara, quello con cui scrutava i suoi rivali, solo più quieto, meno feroce.
Ad Ai faceva paura, quello sguardo, perché il senpai non l'aveva mai guardato così e c'era troppa intensità in quegli occhi, troppi sentimenti da decifrare perché lui riuscisse a comprenderli e reagire di conseguenza – era come trovarsi faccia a faccia con il predatore in un vicolo cieco.
«Mi piace il tuo neo» mormorò dopo pochissimo, poggiando la schiena al finestrino – così, in controluce, le sue spalle erano ancora più nette e ripide, intagliate nella luce con gesti sicuri e capaci. Ai si sentì arrossire di nuovo e desiderò essere nella sua posizione, protetto dal sole e dai suoi occhi, però si limitò ad annuire, sussurrando un grazie slavato che non sembrava nemmeno suo. Rin lasciò scorrere le dita sul suo braccio, fino alla spalla, ghignando famelico quando lo sentì rabbrividire sotto il suo tocco.
A lui erano sempre piaciute le mani del senpai, così lunghe ed affusolate, le unghie corte e lucide, le nocche sporgenti e pallide. Erano belle mentre artigliavano lo starter prima di una sessione di vasche, con quella ferocia contenuta così tipicamente sua; ma le mani del senpai dovevano essere speciali come l'odore di cloro, perché erano più belle viste da vicino, posate sulle sue guance, in quella posizione intima e scomoda che mandava Ai in confusione. Rin lo aveva strattonato più vicino e lui aveva seguito il movimento, i palmi sul suo petto per non cadergli addosso, le guance sempre più calde – alla fine aveva socchiuso gli occhi, troppo imbarazzato per parlare, e si era lasciato carezzare senza opporre resistenza.
Il senpai continuava a guardarlo con la stessa espressione insieme concentrata e pensierosa, carezzandogli il neo con il pollice. Era raro vederlo così tranquillo, quindi Ai seguì con gli occhi i tratti del suo viso senza neanche pensarci, arrivando ad incontrare il suo sguardo dopo aver sorpassato il sorriso aguzzo e la collina appuntita del suo naso. Guardandolo così da vicino, in silenzio totale, riusciva a scorgere le pagliuzze più scure nelle sue iridi, la sfumatura più chiara sulle punte delle sue ciglia, ed iniziò a sentirsi come se tutto il miele dolcissimo e denso che prima gravava sul suo cuore stesse ora colando fino al suo addome, caldo e pensante e quasi spaventoso. Si rese conto di quanto fossero vicini solo quando i loro nasi cozzarono insieme e cielo, quelle non erano di sicuro le labbra del senpai premute contro le sue, i suoi denti bianchissimi e la sua lingua, e quello non era un bacio e decisamente il respiro caldo che si infrangeva contro la sua pelle non era una risata mal trattenuta, di certo, ne era sicuro. Il senpai Rin lo lasciò andare, continuando a tenergli le guance fra i palmi e ridendo in uno sbuffo, azzannandogli la punta del naso - “ahi!”.
«Sei più rosso dei miei capelli» commentò, parlando piano per non svegliare nessuno. Ad Ai non importava granché di quale fosse la gradazione della sua faccia, al momento, soprattutto con la bocca ancora così vicina a quella del senpai, però non credeva di avere il coraggio di baciarlo e quindi rimase fermo a guardarlo con gli occhi spalancati, insieme terrorizzato e ad un passo dalle lacrime di gioia. «Perché hai quella faccia da scemo?» mormorò Rin, sbadigliando come un gatto, totalmente a suo agio.

«P-perché mi hai... baciato?» gli chiese, soffiandolo dalle labbra in un sospiro, praticamente senza voce. Era una domanda scomoda, di quelle che potevano innervosire il senpai e farlo chiudere in un silenzio ostinato, però per una volta Ai si sentiva disposto a rischiare, e allora si costrinse a non distogliere lo sguardo dagli occhi bellissimi del senpai, mordendosi la bocca con il cuore che martellava pericolosamente vicino alla gola. 
«Mi andava, avevi una faccia carina» altro morso, questa volta sulla bocca. «Quel neo ti fa sembrare un po' meno un dodicenne, sai?». Oh, senpai, sei sempre così romantico.
Ai lo guardò, un po' offeso, ma non fece in tempo a dir niente che Rin aveva già afferrato il berretto caduto in terra e se l'era calato sugli occhi, riaddormentandosi alla velocità della luce. Sospirò po' perplesso, gonfiando le guance per la stizza – si mise di nuovo a sedere, mordendosi la bocca e picchiettandosi l'indice sul neo, quello stupidissimo neo che il senpai usava sempre per prenderlo in giro. Non ci voleva neanche pensare al senpai, per una volta, voleva solo godersi il resto del viaggio verso la Samezuka e magari spegnere il cervello, dormire un po', affondare il naso della felpa troppo pesante della divisa e chiudere gli occhi – e lo stava facendo, aprendo la zip quel tanto che bastava per sprofondarci il naso, le palpebre calate ed il respiro più tranquillo. Non era bastato che un respiro, però, per fargli capire che proprio il senpai non lo voleva lasciare in pace.
Era ovunque. Nel tessuto, nelle cuciture, nelle sporgenze regolari e rigide della chiusura lampo – il suo odore. In un lampo di follia si leccò le labbra e, merda, c'era anche il sapore del senpai, perché l'odore non bastava, non era abbastanza soffocante ed annichilente; poi si era aggiunto il fantasma delle sue mani sulle guance ed allora era tornato anche il rossore sulle guance, inevitabile. Quando Ai lo sentì ridere di nuovo, tutto tranne che addormentato, sprofondò il viso nella felpa fino a nascondersi e si ripromise di riempire i propri vestiti di profumo fino a farli puzzare, altrimenti sarebbe stato l'odore del senpai ad ucciderlo, oltre alla vergogna.





Note sconclusionate;
Okay, prima di venire ammazzata: lo so. Lo so lo so lo so. Il titolo è eresia pura e dovrei essere tipo in ginocchio sui ceci dietro una di quelle lavagne girevoli così retrò, ma è così bello che non ho resisto *_* e poi l'ho cercato per giorni, un titolo, e spero mi capirete quando vi dico che per me il titolo è la cosa più facile. Ci sono state scene apocalittiche in questi giorni, sì, ma alla fine l'ho trovato e_e quindi cuccatevelo, mhm.
Cooooomunque, ho scrollato due ore gli avvertimenti per cercare "Melenso", ma non l'ho trovato, sigh. E l'editor di Efp NON ha fatto il bravo, sono sorpresa èAé. *odia*
E niente, volevo solo postarla disperatamente, quindi eccola qua - spero vi piaccia, se volete recensire, se no vi mando un cuoricino comunque 

A presto!

   
 
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