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«No, non capisci!»
esclamò Enjolras, furioso.
«Non mi stai neanche
ascoltando!» rispose Grantaire, altrettanto arrabbiato.
I respiri di entrambi si
condensavano nell'aria fredda, facendoli assomigliare vagamente a due
tori pronti a caricare l'uno contro l'altro.
«Ho sentito abbastanza! Tiri fuori sempre gli stessi argomenti del cazzo su come la gente non abbia speranza, né forza di sognare e neanche la minima volontà di combattere. E se non fosse vero? E se non tutti fossero come te?» sputò con cattiveria Enjolras. Grantaire rimase un attimo spiazzato.
«Tu non sai...» cominciò a rispondere, ma l'attivista lo bloccò subito.
«Io non so mai niente. Davvero credi che non sappia cosa sia la povertà solo perché non l'ho provata io stesso? Credi che la mia solitudine sia inferiore alla tua? Che il rifiuto della mia famiglia sia solo uno scherzo? O forse che io parli giusto per prendere aria? Non è così, Grantaire, non ci sei solo tu al mondo e non solo tu hai problemi. Capiscilo una volta per tutte.» stringeva forte i pugni, affondando le unghie nella lana dei guanti, come se si stesse trattenendo dal prendere a pugni l'avversario.
«Non ci sono solo io, no. Ci sono altre decine di migliaia di persone esattamente come me, però. Tu non riesci a concepire che esista qualcuno che non riesce a credere in qualcosa come tu fai. Qualcuno reso scettico dall'evidenza che il mondo fa schifo e continuerà a fare schifo, che le rivoluzioni finiscono consumate dallo stesso fuoco che le aveva iniziate, che potrai occupare anche tutte le piazze del mondo con i tuoi cori e i tuoi striscioni, ma chi sta in alto ti sputerà sempre addosso senza neanche dover prendere la mira.» gridò Grantaire per tutta risposta. Aveva ancora sulle mani le tracce della palla di neve che aveva iniziato quella discussione.
Voleva essere una battuta innocente, la sua. Non ci aveva neanche pensato. Se solo Enjolras non fosse stato così odiosamente suscettibile. Se solo Grantaire fosse riuscito a chiedere scusa in tempo, prima di arrabbiarsi.
«No che non lo capisco, per Dio. Come potrei? Mi risulta completamente inconcepibile che qualcuno possa sottomettersi così tanto al proprio destino. Il tuo passato dovrebbe essere una spinta a combattere, non un freno. Anche se non serve a niente, non ti darebbe gioia sentire mille voci gridare contro ciò che ti ha fatto male? Non ti riempirebbe di forza unirti a quel coro e combattere per te stesso?» ribatté Enjolras, adesso più calmo, quasi sicuro di aver trovato la strada giusta per aggirare l'offensiva dell'amico.
«Per me? Chi mai
combatterebbe per me?» disse Grantaire con una risata senza gioia,
piena di amarezza e delusione.
«Le decine di migliaia di
persone di cui parlavi prima. Se davvero sono tutte uguali,
combattendo per loro stesse non sarebbe come se combattessero per
ciascun altro? Se dici di essere uno di loro, allora combatterebbero
anche per te.» rispose il rivoluzionario.
Grantaire ammutolì e abbassò lo sguardo sulla neve. Enjolras si lasciò sorridere.
«Ma no.» mormorò dopo un po', rialzando lo sguardo e incrociando quello dell'amico. «Io non combatterei neanche per me stesso. So che non servirebbe a niente, e a che pro dovrei illudermi, sforzarmi, rischiare forse la vita, per qualcosa che non arriverà mai? No. Io non combatterei proprio.» continuò, e il sorriso di Enjolras si spense. Scosse la testa lentamente, incredulo, demotivato.
«Che ci fai fra i
Grifondoro, Grantaire? Dov'è il tuo coraggio? La tua cavalleria?»
tentò infine, come ultima speranza di suscitare in lui una qualche
reazione.
Per tutta risposta,
Grantaire ghignò. «Il coraggio e la cavalleria sono i valori che
più apprezzo al mondo, ma li cerco negli altri, proprio perché io
non ne sono in possesso.» disse, avvicinandosi all'amico. «Così
funziona lo smistamento, anche se pochi lo capiscono.» aggiunse,
sempre ghignando.
«E allora perché
disprezzi me?» domandò Enjolras, dando finalmente voce ai suoi
dubbi.
«Io non ti disprezzo.
Come puoi anche solo pensarlo?» rispose Grantaire con amarezza.
Lo intristiva avere la
conferma della cecità di Enjolras. In tutto quel tempo aveva pensato
che lui lo disprezzasse. Non si era mai reso conto della sconfinata
adorazione che Grantaire aveva nei suoi confronti, di quell'amore
stupido e testardo che lo consumava giorno giorno.
«Non fai altro che
contestare quello che dico, darmi contro, annullarmi. Non mi sembra
affatto apprezzamento.» risposte Enjolras, ma non ne era più così
convinto.
«Io non lo faccio per
annullarti. Io non...» e Grantaire non sapeva davvero cosa dire.
Erano vicini adesso e
avevano smesso di gridare. Molta della gente che si era avvicinata
per assistere allo scontro era adesso tornata a farsi gli affari
propri, e nessuno tranne Enjolras aveva sentito quelle parole, ma
Grantaire si sentì comunque scoperto, osservato.
«Lascia stare.» mormorò
e cercò di andarsene.
Si voltò e si incamminò
verso il castello, reso incapace di correre dalla neve alta e le
gambe tremanti, combattendo contro la voglia di rannicchiarsi per
terra e venire sepolto dal ghiaccio.
Non aveva fatto che pochi
passi quando sentì qualcuno che gli afferrava il braccio e lo tirava
con forza per farlo voltare.
Enjolras aveva le guance
arrossate per aver corso e sorrideva. Malgrado la situazione,
Grantaire non riuscì a non pensare a quanto fosse bello.
«Lo facevi per me
allora.» disse, e sembrava un bambino davanti alla sua prima
nevicata. «Non sei mai stato davvero contro la causa. Ci stavi
aiutando.»
Aveva lo sguardo fiero e
infuocato di quando qualcuno faceva eco ai suoi discorsi durante le
riunioni. Quello sguardo che Grantaire aveva spento innumerevoli
volte e di cui adesso, per la prima volta, era la causa.
Si guardarono e sembrò
che si vedessero per la prima volta.
Grantaire aveva ancora
voglia di correre, ma era indeciso sulla direzione.
«Come, come si chiama? Socrate! Tu cercavi di essere Socrate e io ho fatto il sofista per tutto questo tempo. Sono stato così stupido. Avrei dovuto prestare più attenzione a quello che dicevi, piuttosto che a cosa risponderti. Avrei dovuto pensare di più. Avrei dovuto, non so, magari davvero ascoltarti, ogni tanto. Sono stato davvero, davvero un idiota. Avrei potuto imparare così tanto e invece sono sempre il solito coglione.» continuò Enjolras, scuotendo la testa, e Grantaire riuscì a sorridere.
«Io non ho mai provato ad insegnarti niente, Enjolras. Io volevo che tu pensassi, che vedessi il quadro nella sua completezza. E ci sono riuscito, in questi giorni. E sotto tua richiesta. Non ti sembra abbastanza?» rispose con serenità e l'espressione di Enjolras cambiò. Si distese e lo fece sembrare allo stesso tempo più grande, perché più consapevole, e più piccolo, perché in un certo senso innocente, rinnovato.
Grantaire alzò lo
sguardo, giusto per fare qualcosa che non fosse fissare l'amico e
sorridere come un ebete, e notò quasi per caso un rametto di vischio
attorcigliato intorno a uno dei rami dell'alta quercia sotto la quale
stavano.
«Guarda...» disse piano,
indicandolo.
Enjolras alzò lo sguardo
e sorrise incredulo. «Vischio...» mormorò scuotendo la testa,
senza riuscire a crederci. Era così stupido, così scontato.
Quando abbassò lo sguardo
e incrociò gli occhi di Grantaire, enormi, lucidi e quasi
spaventati, che lo guardavano fisso, si sentì per un attimo mancare
l'aria e la terra sotto i piedi e ogni sicurezza.
Gli sarebbe piaciuto dire
che fu improvviso, istintivo, che nessuno dei due riuscì a pensarci
su troppo, ma la verità era un'altra.
Fu lento. Così lento da
sembrare calcolato.
Grantaire posò una mano
sul collo di Enjolras, delicatamente, con il pollice che gli
accarezzava la guancia e i polpastrelli delle altre dita che
premevano sulla sua pelle fredda.
Fu calmo, almeno
all'apparenza.
Il cuore di entrambi
sembrava sul punto di spiccare il volo da quanto forte batteva, a
Grantaire tremavano le gambe, i suoi neuroni erano una melma fumante,
mentre Enjolras stava impazzendo, diviso fra l'urgenza di correre via
e la voglia di attaccare le labbra dell'amico.
Fu silenzioso.
Quando, dopo secondi
interminabili di avvicinamento e paura e brividi, le labbra di
Grantaire si appoggiarono su quelle di Enjolras, entrambi si
aspettavano che il mondo gli esplodesse intorno.
Non successe. Tutto rimase
al suo posto.
Grantaire premette finché
il suo labbro inferiore non scivolò in avanti e si aprì la strada
fra le labbra di Enjolras.
Nessuno riuscì ad andare
oltre.
Grantaire si staccò,
sempre molto lentamente, ma rimase lì. Il naso accanto a quello di
Enjolras, la fronte appoggiata contro la sua, i loro respiri
irregolari fusi in un'unica nuvola di calore umido che si attaccava
alla faccia di entrambi.
Calma. Silenzio.
Grantaire ridacchiò,
Enjolras sorrise.
Le loro labbra si
sfiorarono di nuovo, si toccarono, si scontrarono.
Una, due, tre volte, prima
di perdere il conto.
Grantaire non riusciva a
smettere di sorridere mentre anni di sogni bruciavano nella sua
testa, scoppiavano ad ogni nuovo unirsi di labbra impacciate,
brillavano contro le sue palpebre chiuse e tremanti.
Qualcuno, in lontananza,
rise. Qualcun altro applaudì.
Il ramo vischio ancora
pendeva sulle loro teste, con aria innocente, come se non avesse
appena cambiato la vita di forse un po' troppe persone, come se la
sua presenza lì fosse passata inosservata.
«Ho voglia di correre
via, gettarmi nel lago e affogarci dentro.» mormorò Grantaire
quando si fermarono, fronte contro fronte, labbra arrossate e
sorridenti, guance infuocate.
«Io ho voglia di correre
in sala comune e gettarmi nel fuoco, se ti consola.» rispose
Enjolras.
Risero. Sospirarono.
«E adesso?» chiese
Enjolras dopo un po', risvegliandosi e rendendosi conto di quanto era
appena successo.
«Non ne ho idea. Dipende
da te, credo.» rispose Grantaire, tornando anche lui alla realtà.
«Cosa intendi?» domandò
Enjolras confuso Ancora non capiva.
Dopo un attimo di
esitazione Grantaire decise che non aveva più senso trattenersi,
continuare a nascondersi.
A quel punto non aveva più
niente da perdere. Poteva solo giocare tutte le sue carte e sperare
per il meglio.
«Enjolras, sono
innamorato di te da più o meno la prima volta che ti ho visto. Sono
anni che sogno questo momento e, se fosse per me, non lo farei finire
mai. Quindi sta a te decidere cosa fare.»
Enjolras tacque, sguardo
al pavimento. Pensava, esitava.
Grantaire cercava di
ricordarsi come si facesse a respirare.
«No non so cosa provo.»
proruppe poi il biondo, alzando gli occhi sull'amico. «Mi sembra di
averti appena conosciuto, non capisco come sia potuto essere così
cieco per così tanto tempo, e penso che tu sia la persona migliore
che conosco. Mi piaci, ma non so in quale senso.» spiegò con una
sicurezza quasi fuori luogo.
Grantaire lo invidiò e lo
detestò per un attimo prima di assimilare le sue parole e sentire le
gambe cedere.
«Lo capirei se tu ne
avessi avuto abbastanza di aspettarmi, comunque.» aggiunse Enjolras
in tono grave.
Grantaire rise di nuovo,
di cuore.
«Dopo tanto, come potrei
smettere proprio adesso?» disse con leggerezza ed Enjolras sorrise
quasi timidamente.
Senza aggiungere altro
Grantaire si staccò da lui e riprese a camminare verso il castello,
con Enjolras indietro di pochi passi.
Risalirono tutto il
castello in completo silenzio, ma non c'era più imbarazzo o
tensione. Enjolras stava ancora pensando alle sue parole di poco
prima, e ad altre domande da potergli fare, quasi come se il bacio
non ci fosse stato. Grantaire era solo molto, molto felice.
Quando entrarono nella
sala comune la ragazza innamorata di Enjolras si girò a guardarli e
sul volto di Grantaire si allargò incontrollabile un ghigno
spaventoso, pieno di gioia selvaggia.
La ragazzina li fissò con
occhi sgranati e cuore a mille mentre si sedevano sul divano ed
Enjolras si rannicchiava contro Grantaire.
«Tutta questa tenerezza
improvvisa?» chiese il moro, sorridendo affettuosamente.
«Mi sembra appropriata.
Non ti pare?» disse Enjolras, ricambiando il sorriso.
Rimasero in silenzio per un po', guardando il fuoco e ascoltandosi respirare.
«Continuerai ad aiutarmi,
anche se adesso lo so? Possiamo non dirlo agli altri e fargli credere
che sei sempre ostile a tutto quanto.» chiese poi il biondo.
«Tutti gli altri sanno
già tutto. Sei l'unico che non ci era arrivato.» risposte Grantaire
con un ghigno. «Ma comunque sì. Certo. Non posso mica lasciare che
tu dica stupidaggini. E adesso che lo sai, potrai farlo tu con gli
altri. Stai sicuro che arriverà qualcuno di più sveglio dei nostri
compagni di scuola che tenterà di controbattere più seriamente di
quanto io abbia mai fatto. E tu potrai smontare loro.» aggiunse.
«Credi davvero che ne sia
capace? Alla fine le discussioni fra noi due le hai sempre vinte tu.»
chiese Enjolras, mostrando una fragilità che la maggior parte delle
volte era solo intuibile.
«Lo diventerai. La scuola
serve per imparare, no? L'importante è perseverare.» rispose. Era
davvero strano ritrovarsi a fare un discorso del genere ad una
persona come Enjolras. Non si sarebbe mai immaginato, neanche nei
suoi sogni più incredibili, di potergli mai dire niente del genere.
Si sentì fuori dal suo
personaggio in quella dolcezza, in quel rassicurare.
Dovette pensarlo anche
Enjolras perché aggrottò le sopracciglia a quelle parole,
nonostante stesse sorridendo.
«Che sia chiaro, non è
che adesso sono d'accordo con quello che dici e mi vedrai mai a darti
ragione. Pensavo davvero quello che dicevo e lo penso ancora. Io non
credo davvero nella tua causa e non combatterò per essa, ma credo in
te, e posso sostenere te nelle tue follie.» disse, ed Enjolras non
poté trattenersi dal ridere.
«Se credi in me, credi
anche nella causa. Ma non ti preoccupare, continua pure a negare
l'evidenza.» scherzò. Anche lui non scherzava in quanto ad
incoerenza col personaggio.
Giusto per aumentare la
sensazione da pessimo spin-off, Enjolras ebbe la splendida idea di
stupire Grantaire.
Si girò verso di lui, gli
posò delicatamente una mano su una guancia per farlo girare, per
guardarlo negli occhi, e gli sorrise in modo così dolce, come non
gli aveva mai sorriso.
«Ho tanta voglia di
baciarti di nuovo. Posso?» chiese, a voce alta, senza curarsi delle
altre persone presenti nella sala comune.
Grantaire aveva quasi
voglia di tirarsi un pizzicotto per essere sicuro che non fosse un
sogno.
«Puoi baciarmi anche per
sempre, diamine.» rise, e si lasciò andare contro di lui, e fu
diverso da prima, più consapevole, più convinto, e lo fece tremare
da capo a piedi e lo riempì di un calore che non aveva davvero
niente a che fare con il fuoco.
Non gli importò di
niente, né della ragazza che se ne andava singhiozzando, né delle
risate delle sue amiche, né dei versi disgustati dei ragazzini del
primo anno.
Non gli importò di niente
che non fosse Enjolras e le sue labbra calde e la sua mano sulla sua
guancia e il suo stupido maglione a cui si stava aggrappando quasi
disperatamente.
«Credo di averti detto
una cazzata prima.» disse il biondo sorridendo imbarazzato quando si
separarono.
«Cioè?»
«Sul non sapere cosa
provo per te o in che modo mi piaci.» disse mordendosi il labbro
inferiore. «Ma devo comunque pensarci.» concluse, ma il sorriso di
Grantaire non si spense.
«Devo trattenermi dallo
stimolare i tuoi pensieri, allora?» chiese, a un soffio dalle sue
labbra.
«Sarebbe meglio.» rise
Enjolras, baciandolo di nuovo, a stampo.
«Ma andatevene in
dormitorio!» gli gridò uno dei ragazzini del primo, fallendo nel
cercare di farli arrabbiare.
Si separarono e fu
straordinario come, nel giro di qualche secondo, era tutto
esattamente come prima. Enjolras recuperò il suo libro, sempre sulla
mensola del camino, e Grantaire fece una corsa in dormitorio a
prendere il quaderno e la matita che lui gli aveva regalato pochi
giorni prima.
La prima cosa che disegnò
lì sopra fu un ritratto abbozzato dell'amico, o qualcosa di simile,
che leggeva. Non se ne stupì, era solo l'ennesimo ritratto di
Enjolras che gli capitava di disegnare quando era distratto o non
sapeva che altro fare.
Enjolras era seriamente
assorto nella sua lettura e non ci furono altri commenti, almeno fino
a cena.
Non appena entrarono in
Sala Grande, Samantha gli corse incontro e li abbracciò, entrambi
contemporaneamente, stretti stretti, congratulandosi con un
entusiasmo fuori dal normale.
Quando fu tornata al
tavolo gli altri Corvonero lanciarono occhiate e fischi di
approvazione dal loro posto. I professori non si preoccuparono
neanche di zittirli.
Dopo il pasto, leggermente
più abbondante del solito, agli studenti fu concesso rimanere fuori
fino a dopo la mezzanotte per riuscire a vedere i fuochi d'artificio
dalle colline dietro Hogsmeade e, subito dopo, di fare un brindisi
con vero champagne in Sala Grande.
Enjolras e Grantaire
rimasero nel cortile interno, illuminato e più riparato dal freddo
rispetto al parto, aspettando lo scoccare della mezzanotte.
Tutti si stupirono di
Enjolras che, diversamente dai giorni passati in cui stava per lo più
dietro a Grantaire e non parlava mai con nessuno in particolare,
adesso era felice ed espansivo, tanto dal fare perfino battute.
Samantha provò a
costringere i due a rispondere ad alcune domande spinose, ma a
nessuno interessava davvero così fu facile ignorarla.
Verso le undici e mezzo si
mossero tutti in massa verso il lago, punto migliore da dove
osservare lo spettacolo perché quando arrivavano ad una certa
altezza le luci si riflettevano sul ghiaccio, rendendo il tutto due
volte più bello.
Enjolras e Grantaire
stavano uno accanto all'altro in mezzo al gruppo festante.
«È un po' un segreto che
ci piace tenere questo dell'ultimo dell'anno. Credo che molta più
gente rimarrebbe qui per le vacanze se lo sapesse, ma quando siamo
più di un certo tot non ce lo permettono. Non è sicuro tenere
troppi ragazzi fuori fino a tardi, perché si rischia che qualcuno si
dispera e non rientri. Noi pochi eletti costretti a rimanere ad
Hogwarts ogni anno, comunque, siamo felici di non dirlo a nessuno.»
spiegò Grantaire, molto vicino al suo orecchio per farsi sentire
sopra la confusione generale.
«Quindi devo ritenermi
fortunato?» rise Enjolras, passandogli un braccio attorno alla vita
per tenerlo il più vicino possibile.
«Esattamente.» rispose
Grantaire con un ghignò, appoggiandosi a lui.
Proprio in quel momento un
primo scoppio risuonò da dietro la cittadina e calò il silenzio
sulla piccola folla di alunni e professori.
Una campana iniziò a
suonare i dodici rintocchi della mezzanotte, e tutti la
accompagnarono urlando il conto alla rovescia.
Sullo zero, mentre
l'ultimo rintocco ancora riecheggiava fra le montagne, il primo fuoco
d'artificio partì dalla collina ed esplose, illuminando il primo
vero, significativo bacio dei due ragazzi.
Fu lungo, approfondito e
immensamente dolce.
Ci fu un flash alle loro
spalle, confuso nella luce del fuoco, e una risatina, insieme a
qualche fischio.
Sentendosi stupidi e
melensi si staccarono ridendo l'uno a un soffio dalle labbra
dell'altro, e in quel momento non avrebbero scambiato la loro vita
con nient'altro, perché quella felicità così pura superava ogni
delusione e ogni sofferenza che li aveva accompagnati fino a lì.
Erano solo due ragazzini
ma si sentivano molto di più.
Abbracciati sotto quello
spettacolo, circondati da persone che non li giudicavano ma li
apprezzavano per il loro essere finalmente loro stessi, si sentirono
entrambi i ragazzi più fortunati sulla faccia della terra.
Per i dubbi e le
spiegazioni avevano il resto delle loro vite.
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