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Autore: piuma_rosaEbianca    18/01/2014    0 recensioni
Grantaire ed Enjolras sono gli unici Grifondoro del loro anno a rimanere ad Hogwarts durante le vacanze natalizie. Si ritroveranno a passare fin troppo tempo insieme, ma forse non andrà poi così male.
Ambientato in era moderna, non troppo sporadici riferimenti all'universo di Harry Potter (bookverse, ovviamente, you mudbloods.)
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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New year's eve.

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«No, non capisci!» esclamò Enjolras, furioso.
«Non mi stai neanche ascoltando!» rispose Grantaire, altrettanto arrabbiato.
I respiri di entrambi si condensavano nell'aria fredda, facendoli assomigliare vagamente a due tori pronti a caricare l'uno contro l'altro.

«Ho sentito abbastanza! Tiri fuori sempre gli stessi argomenti del cazzo su come la gente non abbia speranza, né forza di sognare e neanche la minima volontà di combattere. E se non fosse vero? E se non tutti fossero come te?» sputò con cattiveria Enjolras. Grantaire rimase un attimo spiazzato.

«Tu non sai...» cominciò a rispondere, ma l'attivista lo bloccò subito.

«Io non so mai niente. Davvero credi che non sappia cosa sia la povertà solo perché non l'ho provata io stesso? Credi che la mia solitudine sia inferiore alla tua? Che il rifiuto della mia famiglia sia solo uno scherzo? O forse che io parli giusto per prendere aria? Non è così, Grantaire, non ci sei solo tu al mondo e non solo tu hai problemi. Capiscilo una volta per tutte.» stringeva forte i pugni, affondando le unghie nella lana dei guanti, come se si stesse trattenendo dal prendere a pugni l'avversario.

«Non ci sono solo io, no. Ci sono altre decine di migliaia di persone esattamente come me, però. Tu non riesci a concepire che esista qualcuno che non riesce a credere in qualcosa come tu fai. Qualcuno reso scettico dall'evidenza che il mondo fa schifo e continuerà a fare schifo, che le rivoluzioni finiscono consumate dallo stesso fuoco che le aveva iniziate, che potrai occupare anche tutte le piazze del mondo con i tuoi cori e i tuoi striscioni, ma chi sta in alto ti sputerà sempre addosso senza neanche dover prendere la mira.» gridò Grantaire per tutta risposta. Aveva ancora sulle mani le tracce della palla di neve che aveva iniziato quella discussione.

Voleva essere una battuta innocente, la sua. Non ci aveva neanche pensato. Se solo Enjolras non fosse stato così odiosamente suscettibile. Se solo Grantaire fosse riuscito a chiedere scusa in tempo, prima di arrabbiarsi.

«No che non lo capisco, per Dio. Come potrei? Mi risulta completamente inconcepibile che qualcuno possa sottomettersi così tanto al proprio destino. Il tuo passato dovrebbe essere una spinta a combattere, non un freno. Anche se non serve a niente, non ti darebbe gioia sentire mille voci gridare contro ciò che ti ha fatto male? Non ti riempirebbe di forza unirti a quel coro e combattere per te stesso?» ribatté Enjolras, adesso più calmo, quasi sicuro di aver trovato la strada giusta per aggirare l'offensiva dell'amico.

«Per me? Chi mai combatterebbe per me?» disse Grantaire con una risata senza gioia, piena di amarezza e delusione.
«Le decine di migliaia di persone di cui parlavi prima. Se davvero sono tutte uguali, combattendo per loro stesse non sarebbe come se combattessero per ciascun altro? Se dici di essere uno di loro, allora combatterebbero anche per te.» rispose il rivoluzionario.

Grantaire ammutolì e abbassò lo sguardo sulla neve. Enjolras si lasciò sorridere.

«Ma no.» mormorò dopo un po', rialzando lo sguardo e incrociando quello dell'amico. «Io non combatterei neanche per me stesso. So che non servirebbe a niente, e a che pro dovrei illudermi, sforzarmi, rischiare forse la vita, per qualcosa che non arriverà mai? No. Io non combatterei proprio.» continuò, e il sorriso di Enjolras si spense. Scosse la testa lentamente, incredulo, demotivato.

«Che ci fai fra i Grifondoro, Grantaire? Dov'è il tuo coraggio? La tua cavalleria?» tentò infine, come ultima speranza di suscitare in lui una qualche reazione.
Per tutta risposta, Grantaire ghignò. «Il coraggio e la cavalleria sono i valori che più apprezzo al mondo, ma li cerco negli altri, proprio perché io non ne sono in possesso.» disse, avvicinandosi all'amico. «Così funziona lo smistamento, anche se pochi lo capiscono.» aggiunse, sempre ghignando.

«E allora perché disprezzi me?» domandò Enjolras, dando finalmente voce ai suoi dubbi.
«Io non ti disprezzo. Come puoi anche solo pensarlo?» rispose Grantaire con amarezza.
Lo intristiva avere la conferma della cecità di Enjolras. In tutto quel tempo aveva pensato che lui lo disprezzasse. Non si era mai reso conto della sconfinata adorazione che Grantaire aveva nei suoi confronti, di quell'amore stupido e testardo che lo consumava giorno giorno.

«Non fai altro che contestare quello che dico, darmi contro, annullarmi. Non mi sembra affatto apprezzamento.» risposte Enjolras, ma non ne era più così convinto.
«Io non lo faccio per annullarti. Io non...» e Grantaire non sapeva davvero cosa dire.
Erano vicini adesso e avevano smesso di gridare. Molta della gente che si era avvicinata per assistere allo scontro era adesso tornata a farsi gli affari propri, e nessuno tranne Enjolras aveva sentito quelle parole, ma Grantaire si sentì comunque scoperto, osservato.

«Lascia stare.» mormorò e cercò di andarsene.
Si voltò e si incamminò verso il castello, reso incapace di correre dalla neve alta e le gambe tremanti, combattendo contro la voglia di rannicchiarsi per terra e venire sepolto dal ghiaccio.

Non aveva fatto che pochi passi quando sentì qualcuno che gli afferrava il braccio e lo tirava con forza per farlo voltare.
Enjolras aveva le guance arrossate per aver corso e sorrideva. Malgrado la situazione, Grantaire non riuscì a non pensare a quanto fosse bello.
«Lo facevi per me allora.» disse, e sembrava un bambino davanti alla sua prima nevicata. «Non sei mai stato davvero contro la causa. Ci stavi aiutando.»

Aveva lo sguardo fiero e infuocato di quando qualcuno faceva eco ai suoi discorsi durante le riunioni. Quello sguardo che Grantaire aveva spento innumerevoli volte e di cui adesso, per la prima volta, era la causa.
Si guardarono e sembrò che si vedessero per la prima volta.
Grantaire aveva ancora voglia di correre, ma era indeciso sulla direzione.

«Come, come si chiama? Socrate! Tu cercavi di essere Socrate e io ho fatto il sofista per tutto questo tempo. Sono stato così stupido. Avrei dovuto prestare più attenzione a quello che dicevi, piuttosto che a cosa risponderti. Avrei dovuto pensare di più. Avrei dovuto, non so, magari davvero ascoltarti, ogni tanto. Sono stato davvero, davvero un idiota. Avrei potuto imparare così tanto e invece sono sempre il solito coglione.» continuò Enjolras, scuotendo la testa, e Grantaire riuscì a sorridere.

«Io non ho mai provato ad insegnarti niente, Enjolras. Io volevo che tu pensassi, che vedessi il quadro nella sua completezza. E ci sono riuscito, in questi giorni. E sotto tua richiesta. Non ti sembra abbastanza?» rispose con serenità e l'espressione di Enjolras cambiò. Si distese e lo fece sembrare allo stesso tempo più grande, perché più consapevole, e più piccolo, perché in un certo senso innocente, rinnovato.

Grantaire alzò lo sguardo, giusto per fare qualcosa che non fosse fissare l'amico e sorridere come un ebete, e notò quasi per caso un rametto di vischio attorcigliato intorno a uno dei rami dell'alta quercia sotto la quale stavano.
«Guarda...» disse piano, indicandolo.
Enjolras alzò lo sguardo e sorrise incredulo. «Vischio...» mormorò scuotendo la testa, senza riuscire a crederci. Era così stupido, così scontato.

Quando abbassò lo sguardo e incrociò gli occhi di Grantaire, enormi, lucidi e quasi spaventati, che lo guardavano fisso, si sentì per un attimo mancare l'aria e la terra sotto i piedi e ogni sicurezza.
Gli sarebbe piaciuto dire che fu improvviso, istintivo, che nessuno dei due riuscì a pensarci su troppo, ma la verità era un'altra.

Fu lento. Così lento da sembrare calcolato.
Grantaire posò una mano sul collo di Enjolras, delicatamente, con il pollice che gli accarezzava la guancia e i polpastrelli delle altre dita che premevano sulla sua pelle fredda.

Fu calmo, almeno all'apparenza.
Il cuore di entrambi sembrava sul punto di spiccare il volo da quanto forte batteva, a Grantaire tremavano le gambe, i suoi neuroni erano una melma fumante, mentre Enjolras stava impazzendo, diviso fra l'urgenza di correre via e la voglia di attaccare le labbra dell'amico.

Fu silenzioso.
Quando, dopo secondi interminabili di avvicinamento e paura e brividi, le labbra di Grantaire si appoggiarono su quelle di Enjolras, entrambi si aspettavano che il mondo gli esplodesse intorno.
Non successe. Tutto rimase al suo posto.

Grantaire premette finché il suo labbro inferiore non scivolò in avanti e si aprì la strada fra le labbra di Enjolras.
Nessuno riuscì ad andare oltre.
Grantaire si staccò, sempre molto lentamente, ma rimase lì. Il naso accanto a quello di Enjolras, la fronte appoggiata contro la sua, i loro respiri irregolari fusi in un'unica nuvola di calore umido che si attaccava alla faccia di entrambi.

Calma. Silenzio.
Grantaire ridacchiò, Enjolras sorrise.

Le loro labbra si sfiorarono di nuovo, si toccarono, si scontrarono.
Una, due, tre volte, prima di perdere il conto.
Grantaire non riusciva a smettere di sorridere mentre anni di sogni bruciavano nella sua testa, scoppiavano ad ogni nuovo unirsi di labbra impacciate, brillavano contro le sue palpebre chiuse e tremanti.

Qualcuno, in lontananza, rise. Qualcun altro applaudì.
Il ramo vischio ancora pendeva sulle loro teste, con aria innocente, come se non avesse appena cambiato la vita di forse un po' troppe persone, come se la sua presenza lì fosse passata inosservata.

«Ho voglia di correre via, gettarmi nel lago e affogarci dentro.» mormorò Grantaire quando si fermarono, fronte contro fronte, labbra arrossate e sorridenti, guance infuocate.
«Io ho voglia di correre in sala comune e gettarmi nel fuoco, se ti consola.» rispose Enjolras.
Risero. Sospirarono.

«E adesso?» chiese Enjolras dopo un po', risvegliandosi e rendendosi conto di quanto era appena successo.
«Non ne ho idea. Dipende da te, credo.» rispose Grantaire, tornando anche lui alla realtà.
«Cosa intendi?» domandò Enjolras confuso Ancora non capiva.

Dopo un attimo di esitazione Grantaire decise che non aveva più senso trattenersi, continuare a nascondersi.
A quel punto non aveva più niente da perdere. Poteva solo giocare tutte le sue carte e sperare per il meglio.
«Enjolras, sono innamorato di te da più o meno la prima volta che ti ho visto. Sono anni che sogno questo momento e, se fosse per me, non lo farei finire mai. Quindi sta a te decidere cosa fare.»

Enjolras tacque, sguardo al pavimento. Pensava, esitava.
Grantaire cercava di ricordarsi come si facesse a respirare.

«No non so cosa provo.» proruppe poi il biondo, alzando gli occhi sull'amico. «Mi sembra di averti appena conosciuto, non capisco come sia potuto essere così cieco per così tanto tempo, e penso che tu sia la persona migliore che conosco. Mi piaci, ma non so in quale senso.» spiegò con una sicurezza quasi fuori luogo.
Grantaire lo invidiò e lo detestò per un attimo prima di assimilare le sue parole e sentire le gambe cedere.
«Lo capirei se tu ne avessi avuto abbastanza di aspettarmi, comunque.» aggiunse Enjolras in tono grave.
Grantaire rise di nuovo, di cuore.
«Dopo tanto, come potrei smettere proprio adesso?» disse con leggerezza ed Enjolras sorrise quasi timidamente.

Senza aggiungere altro Grantaire si staccò da lui e riprese a camminare verso il castello, con Enjolras indietro di pochi passi.
Risalirono tutto il castello in completo silenzio, ma non c'era più imbarazzo o tensione. Enjolras stava ancora pensando alle sue parole di poco prima, e ad altre domande da potergli fare, quasi come se il bacio non ci fosse stato. Grantaire era solo molto, molto felice.

Quando entrarono nella sala comune la ragazza innamorata di Enjolras si girò a guardarli e sul volto di Grantaire si allargò incontrollabile un ghigno spaventoso, pieno di gioia selvaggia.
La ragazzina li fissò con occhi sgranati e cuore a mille mentre si sedevano sul divano ed Enjolras si rannicchiava contro Grantaire.

«Tutta questa tenerezza improvvisa?» chiese il moro, sorridendo affettuosamente.
«Mi sembra appropriata. Non ti pare?» disse Enjolras, ricambiando il sorriso.

Rimasero in silenzio per un po', guardando il fuoco e ascoltandosi respirare.

«Continuerai ad aiutarmi, anche se adesso lo so? Possiamo non dirlo agli altri e fargli credere che sei sempre ostile a tutto quanto.» chiese poi il biondo.
«Tutti gli altri sanno già tutto. Sei l'unico che non ci era arrivato.» risposte Grantaire con un ghigno. «Ma comunque sì. Certo. Non posso mica lasciare che tu dica stupidaggini. E adesso che lo sai, potrai farlo tu con gli altri. Stai sicuro che arriverà qualcuno di più sveglio dei nostri compagni di scuola che tenterà di controbattere più seriamente di quanto io abbia mai fatto. E tu potrai smontare loro.» aggiunse.
«Credi davvero che ne sia capace? Alla fine le discussioni fra noi due le hai sempre vinte tu.» chiese Enjolras, mostrando una fragilità che la maggior parte delle volte era solo intuibile.
«Lo diventerai. La scuola serve per imparare, no? L'importante è perseverare.» rispose. Era davvero strano ritrovarsi a fare un discorso del genere ad una persona come Enjolras. Non si sarebbe mai immaginato, neanche nei suoi sogni più incredibili, di potergli mai dire niente del genere.

Si sentì fuori dal suo personaggio in quella dolcezza, in quel rassicurare.
Dovette pensarlo anche Enjolras perché aggrottò le sopracciglia a quelle parole, nonostante stesse sorridendo.

«Che sia chiaro, non è che adesso sono d'accordo con quello che dici e mi vedrai mai a darti ragione. Pensavo davvero quello che dicevo e lo penso ancora. Io non credo davvero nella tua causa e non combatterò per essa, ma credo in te, e posso sostenere te nelle tue follie.» disse, ed Enjolras non poté trattenersi dal ridere.
«Se credi in me, credi anche nella causa. Ma non ti preoccupare, continua pure a negare l'evidenza.» scherzò. Anche lui non scherzava in quanto ad incoerenza col personaggio.

Giusto per aumentare la sensazione da pessimo spin-off, Enjolras ebbe la splendida idea di stupire Grantaire.
Si girò verso di lui, gli posò delicatamente una mano su una guancia per farlo girare, per guardarlo negli occhi, e gli sorrise in modo così dolce, come non gli aveva mai sorriso.

«Ho tanta voglia di baciarti di nuovo. Posso?» chiese, a voce alta, senza curarsi delle altre persone presenti nella sala comune.
Grantaire aveva quasi voglia di tirarsi un pizzicotto per essere sicuro che non fosse un sogno.
«Puoi baciarmi anche per sempre, diamine.» rise, e si lasciò andare contro di lui, e fu diverso da prima, più consapevole, più convinto, e lo fece tremare da capo a piedi e lo riempì di un calore che non aveva davvero niente a che fare con il fuoco.

Non gli importò di niente, né della ragazza che se ne andava singhiozzando, né delle risate delle sue amiche, né dei versi disgustati dei ragazzini del primo anno.
Non gli importò di niente che non fosse Enjolras e le sue labbra calde e la sua mano sulla sua guancia e il suo stupido maglione a cui si stava aggrappando quasi disperatamente.

«Credo di averti detto una cazzata prima.» disse il biondo sorridendo imbarazzato quando si separarono.
«Cioè?»
«Sul non sapere cosa provo per te o in che modo mi piaci.» disse mordendosi il labbro inferiore. «Ma devo comunque pensarci.» concluse, ma il sorriso di Grantaire non si spense.
«Devo trattenermi dallo stimolare i tuoi pensieri, allora?» chiese, a un soffio dalle sue labbra.
«Sarebbe meglio.» rise Enjolras, baciandolo di nuovo, a stampo.

«Ma andatevene in dormitorio!» gli gridò uno dei ragazzini del primo, fallendo nel cercare di farli arrabbiare.
Si separarono e fu straordinario come, nel giro di qualche secondo, era tutto esattamente come prima. Enjolras recuperò il suo libro, sempre sulla mensola del camino, e Grantaire fece una corsa in dormitorio a prendere il quaderno e la matita che lui gli aveva regalato pochi giorni prima.
La prima cosa che disegnò lì sopra fu un ritratto abbozzato dell'amico, o qualcosa di simile, che leggeva. Non se ne stupì, era solo l'ennesimo ritratto di Enjolras che gli capitava di disegnare quando era distratto o non sapeva che altro fare.

Enjolras era seriamente assorto nella sua lettura e non ci furono altri commenti, almeno fino a cena.
Non appena entrarono in Sala Grande, Samantha gli corse incontro e li abbracciò, entrambi contemporaneamente, stretti stretti, congratulandosi con un entusiasmo fuori dal normale.

Quando fu tornata al tavolo gli altri Corvonero lanciarono occhiate e fischi di approvazione dal loro posto. I professori non si preoccuparono neanche di zittirli.
Dopo il pasto, leggermente più abbondante del solito, agli studenti fu concesso rimanere fuori fino a dopo la mezzanotte per riuscire a vedere i fuochi d'artificio dalle colline dietro Hogsmeade e, subito dopo, di fare un brindisi con vero champagne in Sala Grande.

Enjolras e Grantaire rimasero nel cortile interno, illuminato e più riparato dal freddo rispetto al parto, aspettando lo scoccare della mezzanotte.
Tutti si stupirono di Enjolras che, diversamente dai giorni passati in cui stava per lo più dietro a Grantaire e non parlava mai con nessuno in particolare, adesso era felice ed espansivo, tanto dal fare perfino battute.
Samantha provò a costringere i due a rispondere ad alcune domande spinose, ma a nessuno interessava davvero così fu facile ignorarla.

Verso le undici e mezzo si mossero tutti in massa verso il lago, punto migliore da dove osservare lo spettacolo perché quando arrivavano ad una certa altezza le luci si riflettevano sul ghiaccio, rendendo il tutto due volte più bello.
Enjolras e Grantaire stavano uno accanto all'altro in mezzo al gruppo festante.

«È un po' un segreto che ci piace tenere questo dell'ultimo dell'anno. Credo che molta più gente rimarrebbe qui per le vacanze se lo sapesse, ma quando siamo più di un certo tot non ce lo permettono. Non è sicuro tenere troppi ragazzi fuori fino a tardi, perché si rischia che qualcuno si dispera e non rientri. Noi pochi eletti costretti a rimanere ad Hogwarts ogni anno, comunque, siamo felici di non dirlo a nessuno.» spiegò Grantaire, molto vicino al suo orecchio per farsi sentire sopra la confusione generale.
«Quindi devo ritenermi fortunato?» rise Enjolras, passandogli un braccio attorno alla vita per tenerlo il più vicino possibile.
«Esattamente.» rispose Grantaire con un ghignò, appoggiandosi a lui.

Proprio in quel momento un primo scoppio risuonò da dietro la cittadina e calò il silenzio sulla piccola folla di alunni e professori.
Una campana iniziò a suonare i dodici rintocchi della mezzanotte, e tutti la accompagnarono urlando il conto alla rovescia.
Sullo zero, mentre l'ultimo rintocco ancora riecheggiava fra le montagne, il primo fuoco d'artificio partì dalla collina ed esplose, illuminando il primo vero, significativo bacio dei due ragazzi.
Fu lungo, approfondito e immensamente dolce.
Ci fu un flash alle loro spalle, confuso nella luce del fuoco, e una risatina, insieme a qualche fischio.

Sentendosi stupidi e melensi si staccarono ridendo l'uno a un soffio dalle labbra dell'altro, e in quel momento non avrebbero scambiato la loro vita con nient'altro, perché quella felicità così pura superava ogni delusione e ogni sofferenza che li aveva accompagnati fino a lì.
Erano solo due ragazzini ma si sentivano molto di più.

Abbracciati sotto quello spettacolo, circondati da persone che non li giudicavano ma li apprezzavano per il loro essere finalmente loro stessi, si sentirono entrambi i ragazzi più fortunati sulla faccia della terra.
Per i dubbi e le spiegazioni avevano il resto delle loro vite.

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