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Autore: Lucreziaaaas    18/01/2014    2 recensioni
-Oh mio dio, tu sei Degas, Edgar Degas- urlo puntandogli un dito contro.
Mi guarda diventando improvvisamente serio e la sua espressione diventa sorpresa e dubbiosa al tempo stesso.
-Amo “Le tre danzatrici” è il mio quadro preferito- dico mentre l’adrenalina mi scorre nelle vene. A quel punto sbarra gli occhi non riuscendo a proferire sillaba alcuna.
-Come..Fanciulla lei come conosce quel quadro? É nell’attico della mia dimora, nessun’anima vi ha mai avuto accesso, salvo me medesimo- mi confessa in un sussurro. Mi porto automaticamente una mano alla bocca, incredula.
-Te l’avevo detto Edgar, questa è uscita di senno- lo ammonisce Picasso bevendo l’ultimo sorso di vino. Mai nella mia vita mi sarei aspettata di prendere della pazza da Pablo Picasso, mai.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-E tu sei Picasso?- chiedo timida non riuscendo a credere ai miei occhi.

-Si fanciulla, ci conosciamo?- si acciglia con fare buffo posando la sua penna nera sul tavolo per un attimo.

-Scusami se ti ho interrotto, comunque no, non ci conosciamo però ti ho visto sul mio libro di Storia dell’Arte- ammetto alzando lo sguardo verso di lui.

Lo sento ridere animatamente mentre si porta alla bocca il suo calice di vino rosso. 

-Perché ridi?- e il mio tono si trasforma diventando quasi sfacciato con una punta d’ira.

-Piccoletta dovresti tornartene a casa. Sei in un’osteria piena di brutta gente in centro a Parigi ed è ormai passata la mezzanotte- conclude lui riprendendo la sua penna. Sbuffo e mi vedo costretta a sedermi al suo tavolo.

-É sabato sera e io di solito sto sveglia almeno fino alle tre- dico con fare esperto suscitando altre risate da parte sua.

-Amico fai ridere anche a me, questa sera ne ho proprio bisogno- ci interrompe un’altra voce mentre un vecchio zoppicante si siede al nostro tavolo tenendo, quasi gelosamente, un bicchiere con una sostanza verdastra al suo interno, probabilmente Assenzio. Lo fisso attentamente mentre in sottofondo sento Picasso dirgli qualcosa sul mio conto; ma non m’importa. Il vecchio ride mostrando una sfilza di denti consumati dall’età, ed è li che riesco a riconoscerlo.

-Oh mio dio, tu sei Degas, Edgar Degas- urlo puntandogli un dito contro.

Mi guarda diventando improvvisamente serio e la sua espressione si fa sorpresa e dubbiosa al tempo stesso.

-Amo “Le tre danzatrici” è il mio quadro preferito- dico mentre l’adrenalina mi scorre nelle vene. A quel punto sbarra gli occhi non riuscendo a proferire sillaba alcuna.

-Come..Fanciulla lei come conosce quel quadro? É nell’attico della mia dimora, nessun’anima vi ha mai avuto accesso, salvo me medesimo- mi confessa in un sussurro. Mi porto automaticamente una mano alla bocca, incredula.

-Te l’avevo detto Edgar, questa è uscita di senno- lo ammonisce Picasso bevendo l’ultimo sorso di vino. Mai nella mia vita mi sarei aspettata di prendere della pazza da Pablo Picasso, mai.

Un grosso vociferare in sottofondo e un movimento improvviso di persone verso l’uscita dell’abitacolo, mi fa intendere che l’osteria stia per chiudere. Mi alzo visibilmente agitata e, nel momento in cui osservo tutto l’ambiente che mi circonda, scorgo Monet avviarsi verso la porta d’uscita dell’osteria mentre tiene a braccetto una donna ben vestita con la pelliccia più bella che abbia mai visto. A malincuore me ne vado da Picasso e da Degas ancora scossa e incredula di averli incontrati; avrei voluto riempirli di domande ma probabilmente sarei stata solo invadente e sarei apparsa del tutto pazza ai loro occhi. La maggior parte delle loro opere che io conoscevo, non erano ancora state scoperte e considerate tra le più grandi e famose nell’intero mondo.

Fuori dall’osteria vedo parecchie auto tutte uguali: nere ed eleganti. Mi appropinquo ad una di essere con l’intenzione di salirci mentre diverse persone sono intente a prendere posto in altre auto. Mi accorgo del clima festoso che aleggia in tutta la via e noto tantissimi ragazzi giovani almeno quanto me ma con un abbigliamento completamente differente. E in effetti mi trovo nella Parigi di inizio ‘900, la ragazza strana e fuori posto, quella “diversa” sono io, non di certo loro.

Improvvisamente vengo investita da una folla di ragazzini che mi spinge sull’auto a cui mi ero avvicinata precedentemente. Mi guardo intorno e mi sento del tutto spaesata.

-Salve fanciulla, viene con noi?- mi chiede sorridendomi un ragazzo giovane e terribilmente bello e affascinante.

-Dove?- sibilo flebilmente in tono innocente.

-Andiamo al palazzo, grande festa questa sera! Calici di vino e sigarette sottili per tutti quanti.- mi spiega urlando e ricevendo un consenso da parte di tutti gli altri ragazzi in macchina insieme a noi. Annuisco poco convinta, ma comunque curiosa di scoprire come possano essere le feste di inizio secolo .

-Qual è il suo nome fanciulla?- mi domanda sempre lo stesso ragazzo.

-Claire, il tuo?- divento improvvisamente sicura di me e piuttosto spavalda.

-Ernest, Ernest Hemingway- mi rivela mostrandomi un ampio sorriso. Trattengo il respiro ancora incredula per ciò che ho appena sentito. Non devo averlo riconosciuto, è così giovane. Ma ancora non riesco a realizzare, è davvero Hemingway? Quell’Hemingway? Il mio scrittore preferito?

-Mi sono innamorata dei tuoi cinque inediti sull’amore soprattutto “Tha portatrait of the idealist in love”- ammetto felice ed estasiata. Ovviamente, come risposta, ricevo un’altra risata e mi convinco che forse dovrei starmene zitta.

-Come dice?- si incuriosisce lui dopo essersi ripreso dalla grossa risata di poco prima.

-No, nulla. Ti ho scambiato per un’altra persona- mi invento su due piedi sperando che non voglia continuare quella conversazione.

Nel frattempo sento la macchina fermarsi e i ragazzi iniziare ad urlare e a scalpitare felici di essere finalmente arrivati a destinazione. Ernest mi prende la mano e mi lascio trasportare dalla sua enfasi fino all’ingresso del palazzo. C’è un cancello in ferro molto grande e tutto decorato con una serie di motivi floreali, una volta varcata la soglia, ci si presenta un cortile immenso e spazioso, ricco di arbusti verdi e cespugli che fungono da barriere ai lati dell’intero spazio.

Il palazzo si trova leggermente in fondo, è un palazzo bianco e veramente grande, chissà di quale palazzo si tratta, non mi è molto famigliare, anzi. Presenta un portone largo e di colore scuro, lo stesso colore delle finestre che si vedono su tutta la superficie. La luce che illumina l’intero complesso è fioca, ma si contraddistingue bene tutto l’ambiente che ci circonda. Ha tutto un non so che di magico e affascinante, le feste a cui sono andata fino ad ora non hanno niente a che vedere con questo parco dei sogni e dei desideri.

Le ragazze hanno abiti pomposi ma non pregiati, i ragazzi invece hanno giacchette sobrie con qualche toppa qua e là; mi accorgo che non è una festa di classe o di alto rango sociale, ma più una festa per divertirsi e sfogarsi. Improvvisamente mi rilasso e non mi sento più così tanto fuori luogo nonostante i miei jeans stretti, le mie Converse ai piedi e la mia giacchetta in pelle.

-Forza Claire- mi sorride Ernest facendomi segno di seguirlo. Una volta varcata una delle tante stanzette del palazzo piuttosto piccolina, vedo un'innumerevole sfilza di bicchieri già riempiti di vino, Ernest ne prende un paio e me ne porge uno gentilmente. Lo afferro e senza indugiare neanche per un secondo, lo porto alla bocca trangugiandone il contenuto.

-Le aggrada?- mi chiede con quell’affascinante accento americano e con quel gergo sempre così rispettoso, raffinato ed elegante.

-Molto- ammetto per poi incatenare i miei occhi ai suoi. Mi sorride sincero e poi mi prende per mano.

-Me lo concede questo ballo Missis Claire?- mi domanda.

-Con piacere- dico e sorrido afferrando la sua mano. Mi lascio trasportare dalla musica, dall’allegria e dall’atmosfera festosa che aleggia intorno a noi. Ci muoviamo così naturalmente, saltando, prendendoci sotto braccio e divertendoci, per nulla intimoriti dagli sguardi altrui. Ernest afferra con un braccio i miei fianchi e i nostri sguardi si incontrano creando tra noi una bellissima elettricità. É terribilmente bello e affascinante, è uno dei pochi ragazzi che sia stato in grado di farmi divertire in quel modo e con dei gesti così semplici e la sua voce, dio è così sensuale; per non parlare dei suoi occhi, delle sue labbra, delle sue idee, del suo modo di porsi. Improvvisamente rimpiango il fatto di non essere nata all’inizio del ‘900 anche se di lì a breve sarebbe iniziata la Grande Guerra. Ho letto sul calendario dell’osteria che qui è il 4 gennaio dell’anno 1914. Un anno precedente allo scoppio della Prima guerra Mondiale, rabbrividisco e quasi la paura si fa spazio in me, ma mi riscuoto immediatamente sentendo Ernest avvicinarsi a me fino a giungere al mio orecchio.

-Mi piacerebbe uscire con lei Missis Claire, passeggiare e sentire il profumo dei fiori- sussurra causandomi brividi lungo la schiena. Non rispondo essendo consapevole dell’impossibilità di realizzare quel suo desiderio. Prendo la sua mano e lo trascino verso un’altra piccola saletta del palazzo. Al suo interno vi è solamente una coppia di ragazzi intenti a parlare tra di loro.

-Si sente bene Claire? Qualcosa la turba?- mi chiede preoccupato, probabilmente stupito dal mio gesto improvviso che mi ha spinto a trascinarlo via dal posto in cui precedentemente ci trovavamo.

-Parlami di te- dico in tono quasi supplicante adorando ogni cosa del suo sguardo e del suo atteggiamento. Posso infatuarmi così tanto di qualcuno e in così poco tempo? Ma soprattutto posso infatuarmi di Hemingway?

-Cosa le piacerebbe sapere? Non c’è nulla di attraente nella mia gioventù- ammette sedendosi su un tavolino e invitandomi a fare lo stesso prendendo le mie mani tra le sue. Arrossisco ma mi lascio accarezzare il dorso della mano dalle sue dita.

-É così bella Claire, così diversa dalle altre fanciulle- sussurra flebilmente. Sorrido estasiata dal suo complimento così sincero e sentito.

-Parlami della tua vita, dei tuoi interessi, di quello che fai- gli chiedo terribilmente assorta nei suoi occhi neri e profondi.

-Sono nato a Chicago ma sono stato cresciuto ed educato nel Michigan in mezzo alla natura e alle fronde verdi degli arbusti, più tardi sono entrato in un circolo naturalista grazie a mio padre. Qualche anno dopo presi la decisione di partire per l’Europea giungendo a Parigi. Sono ormai tre anni che alloggio qui. Amo leggere, l’emozione di sfogliare le pagine di un libro e annusarne il profumo è più estasiante di fumare un’intera sigaretta. Nel mio tempo perso, che è davvero abbondante, amo scrivere anche se non ho mai composto nulla di serio, sa Missis Claire, uno scrittore dovrebbe sforzarsi di scrivere una cosa in modo tale da farla diventare parte dell’esperienza di coloro che la leggono e io dubito che mai riuscirò in questo intento- si blocca e io sono completamente persa nelle sue parole. Stento a credere che abbia usato una delle sue più belle citazioni parlando con me, se solo fosse a conoscenza del suo futuro…

Sentire la sua storia raccontata da egli stesso è decisamente un’esperienza mistica e quasi incantevole. Ha una voce così profonda che mi sembra di perdermici e di essere in un universo parallelo, ma forse lo sono. Mi sento incredibilmente viva e con un’emozione ed una gioia che escono da tutti i pori, quasi mi verrebbe da versare una lacrima. Una lacrima di felicità, s’intende. 

-Lei, Missis Claire, perché è così diversa?- mi chiede cogliendomi impreparata.

-In realtà…- inizio e mi schiarisco la voce mentre focalizzo l’idea che nemmeno io so cosa dire, che non so più distinguere cosa è reale e cosa è finzione.

-Sono solo nata nell’epoca sbagliata- sussurro stringendogli le mani, che sono ancora unite alle mie.

-Non le garba essere nata nel 1900? Pensi lei che io sono nato nel 1899- mi dice cercando di incitarmi a continuare.

-Vedi, in realtà non sono nata in questa epoca io, sono nata intorno agli anni novanta del 900, per essere più precisa, nel 1998- ammetto aspettandomi una sua improvvisa reazione che però non arriva.

-Venga con me Claire- mi propone senza lasciare la mia mano, mi alzo seguendolo fino all’ingresso del palazzo dove una schiera di persone ha appena effettuato l’accesso. Scusandosi garbatamente riesce a infiltrarsi tra la folla per poi uscire all’esterno del palazzo.

-Guardi le stelle di questa epoca Claire, le osservi tutte quante e se le imprima nella memoria, guardi questa macchina e ammiri attentamente tutti i particolari, ora guardi i miei pantaloni e le mie scarpe vecchie e rovinate. Nella sua epoca è tutto ancora così?- mi sorprende quella domanda e mi ritrovo a scuotere il capo ad indicare che nulla è ancora così.

-Venga forza- mi dice sorridendo. E ancora mi ritrovo a seguirlo correndo tra i Boulevard di Parigi.

-Le botteghe? Mi dica delle botteghe, sono fatte così? Oh e i cavalli girano da soli per le vie? Mi parli dei vestiti delle signore e, aspetta, mi dica.. ci sono tutti questi palazzi così raffinatamente decorati? Mi parli delle persone e mi parli di come comunicate tra di voi- mi chiede curioso portandomi insieme a lui in mezzo a quelle vie. Non riesco a smettere di ridere, la sua allegria è contagiosa e la sua curiosità è estremamente buffa.

Non rispondo a niente di tutto ciò e mi limito a sorridergli, non penso nemmeno di avere ascoltato tutto quello che mi ha chiesto. Sono troppo assorta da lui e dai suoi modi terribilmente attraenti e affascinanti che ho perso pure il filo del discorso.

-Claire, il suo sorriso è la cosa più bella e sincera che abbia mai visto e i suoi capelli così morbidi e lasciati liberi, trasportati dal vento in ogni direzione. E il suo corpo, lei ha un corpo meraviglioso sa?! Starei per ore a udire il rumore della sua risata e ad osservare il luccichio che le si forma in viso. Per non parlare del modo in cui riesce ad arrossire- mi sento terribilmente attratta da lui. Penso di non aver mai provato nulla di simile per nessuno.

-Ti andrebbe di baciarmi?- gli chiedo mostrandomi sicura delle mie intenzioni. Un’altra volta le sue labbra si piegano in un sorriso decisamente destabilizzante.

-Con piacere- mi sorprende facendo un lieve inchino per poi avvicinarsi e posarmi un lievissimo bacio a fior di labbra.

-Lei ha delle labbra così morbide- scandisce quelle poche parole ancora vicino al mio viso. Mi sporgo di nuovo e questa volta sono io ad appoggiare le mie labbra alle sue in un vero bacio, vivo, bisognoso, sincero, trasparente e tremendamente sensuale. Il mio primo vero bacio. 

 

 

 

 

-Claire, Claire sono le sette svegliati o farai tardi a scuola- apro gli occhi, anzi spalanco gli occhi e vedo mia madre lasciare la mia stanza. Mi siedo sul letto e mi guardo intorno, il calendario segna il 7 febbraio 2014 e io rimango interdetta e delusa.

-Oddio- sussurro rimanendo immobile e appoggiandomi un dito sulle labbra.

-Era un bacio vero- continuo a parlare da sola ancora incredula.

Poi un particolare attira la mia attenzione, sul comodino c’è un foglietto stropicciato. Non ricordo che ci fosse la sera precedente. Mi avvicino curiosa e leggo:

Ho appena finito di comporre “The portrait of the idealist in love” l’ho scritto pensando a te amore mio, grazie per avermi fatto passare la serata più bella di tutta la mia vita.

Ernest Hemingway.








THAT'S LOVEEEEE.

Si direi che la mattinata a scuola è stata produttiva, cinque ore immersa in una One Shot e pensare che ho anche la maturità quest'anno, direi che sono sulla buona strada dell'impegno, della devozione allo studio e all’attenzione in classe. Comunque volevo solo dire che se avete visto “Midnight in Paris” avrete sicuramente notato qualche particolare in comune con il film, ebbene sì. Non sono molto convinta di questa Os, avevo aspettative diverse, ma comunque.. lascio a voi giudicare.

Per qualsiasi cosa potete scrivermi in privato su Efp chiedendomi il mio Facebook, oppure ho sia ask che twitter. <3



   
 
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