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Autore: VahalaSly    18/01/2014    3 recensioni
Tra una più che incasinata famiglia, due amiche che non si rivolgono la parola a vicenda e la sua incapacità di formare una frase di senso compiuto davanti al ragazzo che le piace, Amanda non desidera altro che un po' di tranquillità.
Ma quando quello che riteneva un amico le si rivolterà contro, scatenando una reazione a catena di problemi, Amanda si ritroverà a doversi appoggiare all'ultima persona che si sarebbe potuta immaginare...
/Attenzione: è presente romance tra un minore e un adulto/
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Breathe Into Me

Capitolo Secondo:
Solite Bugie

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    Amanda riuscì a fingersi malata nei successivi due giorni, così da non dover andare a scuola; non che ai suoi interessasse particolarmente, comunque. Passò entrambe le giornate chiusa in camera, le serrande completamente abbassate.

Non appena era riuscita a frenare le lacrime, aveva subito disattivato il suo profilo, così che la smettessero di mandarle messaggi. Sia Michela che Giulia avevano continuato a chiamarla in quei due giorni, ma lei aveva lasciato suonare il telefono. Sapeva che se avesse risposto, loro avrebbero sicuramente tirato in ballo la storia del post, e lei non voleva parlarne. Sperava quasi che se ne fosse dimenticata lei, così avrebbero fatto gli altri.

La sera del secondo giorno, comunque, Amanda capì subito che c'era qualcosa che non andava quando sentì sua madre parlare concitatamente al telefono, il tono di voce che diventava più cupo ad ogni risposta. Riconobbe il suono dei suoi passi sulle scale e, istintivamente, si strinse le coperte addosso, arretrando il più possibile verso la spalliera del letto. Quando la madre spalancò la porta, la ragazza rabbrividì leggermente, ma si sforzò di mantenere un'espressione piatta. Conosceva la collera scritta sul volto di sua madre, l'aveva vista più spesso di quanto le sarebbe piaciuto.

“Malata, non è così?” le domandò con voce rabbiosa, avvicinandosi al letto. Amanda arretrò ancora, toccando la spalliera con la schiena “Perché la madre di Michela mi ha appena chiamato, dicendomi ben altro!”

“Mamma, ascolta, posso spiegare...”

“FA SILENZIO!” le urlò la donna, dandole uno schiaffo abbastanza forte da farle voltare la testa. Quando Amanda la vide sollevare nuovamente la mano, cercò automaticamente di sottrarsi, ma si accorse troppo tardi di essersi intrappolata da sola. E la rabbia della madre sembrava crescere di minuto in minuto “Come credi che mi senta a sapere che tutti sanno che mia figlia è una puttana, eh?” sputò, afferrandole violentemente il polso “Ci hai pensato prima di darla in giro? CI HAI PENSATO?” La colpì nuovamente, gli anelli che si scontravano dolorosamente contro le ossa del volto. Amanda comunque non emise un lamento, sapendo bene che la cosa migliore era lasciarla sfogare.

Il rapporto con sua madre non era sempre stato così, anche se in momenti come quelli Amanda faticava a crederlo. Fino ai suoi dieci anni, la sua era una tipica famiglia proletaria: padre lavoratore, madre casalinga, figlia amata.

Eleonora, sua madre, spesso era infelice; e anche se allora Amanda non lo sapeva, il motivo era l'infedeltà del padre. Le cose, tuttavia, andavano bene.

Quando però una delle amanti di suo padre aveva dato alla luce una bambina, morendo poi di parto, tutto era caduto a pezzi. Luigi, il padre di Amanda, aveva deciso di riconoscerla come sua e la aveva portata in casa, ignorando le proteste della moglie. Amanda ricordava ancora le infinite litigate la sera, quando la bambina piangeva ininterrottamente. Mentre i suoi genitori erano impegnati a discutere, lei andava in camera di sua sorella e la prendeva in braccio, cercando di calmarla. Perché per quanto ne dicesse sua madre, Roberta era sua sorella.

Da allora comunque Eleonora aveva perso completamente la ragione. Decisa a fingere di avere una famiglia perfetta, aveva detto a tutti che la bambina era stata adottata. Il padre aveva accettato questa versione, mostrando il suo solito disinteresse; nonostante si fosse preso l'incarico di occuparsi di Roberta, presto il comportamento di sua moglie gli fece cambiare idea. Se prima era poco presente in casa, da quando aveva preso la bambina era praticamente scomparso.

Eleonora invece faceva quello in cui era più brava: fingeva che la bambina non esistesse. Quando però le cose si facevano troppo pesanti per lei, tendeva a sfogarsi con Amanda. La ragazza era convinta che l'odio che sua madre provava chiaramente nei suoi confronti fosse nato dall'affetto che invece lei provava per la sorella. Spesso si era chiesta cosa sarebbe successo se Roberta non fosse mai nata, ma era giunta alla conclusione che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che il fragile equilibrio che sembrava tenere in piedi la sua famiglia cedesse. E poi c'erano gli attacchi d'ira...

“Non ti ho cresciuta perché tu potessi rovinarmi la vita! Sei una piccola stronzetta ingrata. Dopo tutto quello che ho fatto per te, tu così mi ripaghi?!” Amanda nascose il viso tra tra le braccia per proteggersi dai colpi, continuando ad incassarli in totale silenzio. Come suo solito, cercò di rintanarsi nel suo posto felice. Ne aveva letto una volta su internet e da allora cercava di utilizzarlo ogni volta che la madre aveva uno dei suoi momenti. Era un prato, simile a quello che c'era a qualche chilometro da casa sua. Era sempre fiorito nonostante spesso nevicasse e, quando Amanda andava lì, niente poteva più raggiungerla. Si sdraiava, assaporando l'odore di pino nell'aria e ascoltava il canto degli uccelli. Da qualche mese, capitava che anche Paolo facesse parte del suo posto felice; si sedeva con lei sull'erba, mettendole qualche fiore tra i capelli, e la stringeva forte a sé sussurrandole che andava tutto bene.

“Amanda...” mormorò una voce, riportandola alla grigia realtà. Sua sorella era ferma sulla porta, strofinandosi gli occhietti assonnati e stringendo al petto il suo orsacchiotto preferito. Quando si accorse di quanto stava accadendo, subito spalancò gli occhi, arretrando di qualche passo.

“Ah, eccoti. Il piccolo angioletto di casa” disse Eleonora, una punta di puro astio nella voce. Prima ancora che la madre potesse fare un passo, Amanda si era alzata dal letto e si era messa tra lei e Roberta, guardando aspramente la donna “Lasciala stare” fece in tono secco, sforzandosi di impedire alla voce di tremare. Sua sorella non l'avrebbe toccata, non finché c'era lei a proteggerla.

La madre sorrise aspramente, lo sguardo ferito “Certo, quando mai tu non sei pronta a difendere quella piccola puttanella? Mi chiedo perché non vi ho già sbattute in strada entrambe. Non dovreste fare fatica a trovare lavoro, dico bene? Vi basterebbe aprire le vostre sporche gambe da troie”

Amanda si sentì disgustata, disgustata all'idea che la madre usasse certe parole davanti ad una bambina. Quanto devi essere consumato dall'odio per disprezzare così una ragazzina di sei anni?

“Roberta, perché non torni in camera tua?” le domandò gentilmente Amanda, senza voltarsi a guardarla. La bambina non si mosse, continuando a spostare lo sguardo dalla madre alla sorella, gli occhi gonfi di lacrime. “Vai in camera, adesso!” le ordinò allora Amanda, felice di sentire i suoi passi che si allontanavano. La madre da parte sua, però, non sembrava della stessa idea. Con uno slanciò si lanciò verso la ragazzina, ma Amanda le si parò davanti, bloccandola. Capì di aver appena fatto un enorme errore quando vide lo sguardo della madre iniettarsi di sangue. Questa prese il braccio della figlia e glielo piegò all'indietro, facendo cadere la ragazza in ginocchio. Quando poi Amanda provò a rialzarsi, la donna le sbatté il viso contro lo stipite della porta. Il dolore la colpì così all'improvviso che Amanda per un attimo perse completamente il senso del tempo. sentì le gambe cederle e si accasciò a terra, la vista appannata dalle lacrime. Sentì sua madre respirare pesantemente al suo fianco, poi sedersi accanto a lei “Ecco, vedi cosa mi fai fare?” piagnucolò, accarezzando dolcemente i capelli della figlia. La ragazza rimase immobile, la testa che le pulsava dolorosamente, cercando di non emettere un suono. Come ogni volta, sentiva un fiume di parole premerle sulla lingua, cercando disperatamente di uscire. Voleva urlare tutto il suo disprezzo a sua madre, il suo odio, il suo disgusto nei suoi confronti. Voleva lanciarle addosso tutto quello che le capitava sotto mano e guardarla accasciarsi a terra, finalmente senza la forza di torturare la sua stessa figlia. Come ogni volta, si trattenne. Ancora qualche mese pensò qualche mese e me ne andrò via da questo inferno. E Roberta verrà via con me.

Con questi pensieri si addormentò, la madre che ancora le accarezzava i capelli canticchiando una malinconica ninna nanna.

 

Quando la mattina riaprì gli occhi, Amanda era distesa sul suo letto, le coperte accuratamente rimboccate che la avvolgevano sofficemente. Fece per sbadigliare, ma un lancinante dolore alla guancia glielo impedì, e subito le tornò alla mente quanto era accaduto la notte prima. Con un gemito si sollevò dal letto, avvicinandosi all'enorme specchio accanto all'armadio. Quando vide il suo riflesso, trattenne appena un'esclamazione di orrore: la metà sinistra del suo viso era di un inquietante violetto, che si spandeva dalla tempia fino alla mandibola. C'era del sangue secco tra i suoi capelli, e un piccolo taglio appena dopo il sopracciglio. Provò a premere un dito sulla guancia, ma dovette subito ritirarlo, rilasciando un lieve lamento.

Mai aveva avuto dei tali segni, sopratutto non in volto. Sua madre in genere era molto attenta a non procurarle dei danni evidenti, cose che non si potessero spiegare con una caduta dalla bicicletta. La storia di questi lividi era fin troppo chiara.

Fu con un sobbalzo che si rese conto della presenza della madre alle sue spalle, che le sorrideva gentile “Stavo venendo a svegliarti” fece con tono dolce, avvicinandosi ad Amanda, la quale si stava sforzando di non arretrare.

“Oh, guarda qui che brutti lividi!” esclamò guardando la ragazza, il volto pieno di preoccupazione “Non ti preoccupare, mamma ha già pensato a tutto!” e con questo tirò fuori dalla sacchetta che teneva in mano un fondotinta e della cipria, sedendosi poi sul letto e facendo cenno alla figlia di raggiungerla. Amanda obbedì esitante, accomodandosi in silenzio accanto alla madre.

La donna si mise un po' di fondotinta su un dito, poi cominciò a picchiettarlo delicatamente sul volto di Amanda, che subito sentì gli occhi riempirsi di lacrime per il dolore.

“Lo so, tesoro, lo so” disse Eleonora, accarezzando con il dorso della mano il lato senza lividi del viso della ragazza “Però non puoi certo andare a scuola ridotta così. Farò in fretta, te lo prometto”

Amanda abbassò lo sguardo, desiderando solo che la madre se ne andasse. Quella comunque impiegò almeno altri cinque minuti buoni prima di annuire soddisfatta, afferrando il mento della ragazza e spostandole il viso in varie angolazioni per controllare che il colore fosse omogeneo “Perfetta” decretò, dandole un bacio sulla punta del naso “La mia bellissima bambina”

Amanda sentì crescere un enorme senso di nausea, ma rimase ferma, riuscendo perfino a piegare le labbra in un piccolo sorriso. Eleonora sorrise di rimando soddisfatta, poi si alzò “Io e Marta andiamo a fare una piccola gita oggi, perciò non penso che riuscirò ad essere a casa prima delle otto” disse entusiasta, controllandosi l'acconciatura allo specchio “Se saremo fortunate forse riusciremo ad arrivare fino alla Chiesa di Santa Madre Teresa. La ricordi? E' quella piccola in cima alla collina, da piccola ti ci portavo sempre!”

“Sì mamma, me la ricordo” mentì Amanda. Non era sicura di come avrebbe dovuto comportarsi, perciò si limitava a mantenere un'espressione piatta. Finalmente, dopo essersi ammirata per l'ultima volta, la madre le diede un bacio sulla fronte, uscendo poi subito dopo dalla camera e scendendo frettolosamente le scale. Amanda tornò finalmente a respirare, rendendosi conto solo in quel momento di aver quasi trattenuto il fiato dalla tensione.

Andò velocemente in bagno e, cercando di non rovinare il trucco, si sciacquò il sangue dai capelli, che risaltava brutale sulla tonalità castano-dorata di quest'ultimi.

Si vestì, analizzando sommariamente i lividi sulle braccia, poi andò a svegliare Roberta, che stava dormendo abbracciata alla sua bambola. Fecero entrambe una rapida colazione, dopodiché lo scuolabus passò a prendere la bambina, che fortunatamente sembrava già aver dimenticato quanto era successo la notte precedente.

Amanda si diresse invece verso la sua fermata, cercando di non pensare al quello che aveva scritto Mirco su di lei. Non poteva evitare la scuola per sempre, questo era sicuro, però avrebbe desiderato aspettare ancora qualche giorno prima di tornare. Sapeva comunque che più fosse rimasta a casa, meno avrebbe avuto voglia di fare ritorno a scuola. Inoltre, sua madre non le aveva dato molta scelta.

Quando arrivò a scuola, poco più di mezz'ora dopo, le sembrò che qualunque studente nel raggio di cento metri la stesse osservando. Tenendo la testa bassa, si affrettò ad entrare in classe, trovando Giulia che l'aspettava seduta al suo banco “Ehi” la salutò, andandole in contro “Cominciavo a non sperarci più”

Amanda sorrise tristemente, lanciando un'occhiata ai suoi compagni, che la stavano indicando ridacchiando tra loro “Non sono stata bene” le disse, anche se entrambe sapevano benissimo qual'era la verità. Dirlo ad alta voce, però, sarebbe stato come renderlo ancora più reale. Giulia sembrò capirla, perché annuì “Sì, l'ho immaginato. Ho avvertito anche i professori. Volevano che ti passassi i compiti. Ah! Gli ho detto, non vorrete mica che faccia i compiti con quarantuno di febbre!”

“Quarantuno? ”

“Beh, sì. Che c'è, preferivi che ti dessero i compiti?”

Amanda scosse la testa, sorridendo sinceramente per la prima volta da giorni. Era questo che le piaceva così tanto della presenza di Giulia: era capace di risollevarle sempre la giornata.

“Insomma, gli ho detto, ha il cervello talmente surriscaldato che a malapena si ricorda il suo nome, pensate davvero possa risolvere problemi di matematica?!”

“Non ti sembra sia stata un po' drastica la cosa? Come minimo oggi vedendomi penseranno sia un fantasma”

“O uno zombie. O un vampiro. O...”

“Sì, sì. Ho capito il concetto” ridacchiò, salutando la professoressa di matematica che entrò in quel momento in classe. Giulia tornò velocemente al suo posto e Amanda si sedette al suo, lanciando un'occhiata a Paolo, seduto come sempre alla sua sinistra. Quando lo vide allontanarsi quasi impercettibilmente da lei, sentì una nuova ondata di vergogna prendere il sopravvento e per poco non scoppiò nuovamente a piangere.

Un bigliettino atterrò sul suo banco, attirando immediatamente la sua attenzione.

O una mummia!

Amanda non riuscì a trattenere un sorriso. Sì, Giulia era davvero un'ottima amica.

 

Le cose andarono meglio del previsto... per le prime due ore. Non appena la campanella annunciò la ricreazione, un piccolo gruppo di ragazze si raccolse fuori dalla porta, adocchiandola per poi ridacchiare tra loro. Probabilmente avrebbero continuato per tutti i venti minuti di pausa, se Giulia non le avesse prese a male parole, chiudendogli la porta in faccia. Amanda gli fu grata, ma ciò che non era stato chiuso fuori era in classe con lei, e sogghignava esattamente nello stesso modo.

Il momento peggiore, però, fu quando qualche ora dopo andò in bagno. Sfortuna volle che all'interno ci fosse già un gruppo di ragazze del quinto anno, che subito si zittì non appena Amanda aprì la porta.

La ragazza si ritirò velocemente in uno degli scomparti con il gabinetto, ma non poté fare a meno di sentire ciò che dissero le altre ragazze, che sembravano parlare di proposito in un tono esageratamente alto.

“Ha davvero avuto il coraggio di presentarsi a scuola”

“E' incredibile come le riesce bene la parte da santarellina. Dovrebbe tenere dei corsi”

“Che ipocrita”

Amanda si sedette sul water, stringendo la testa tra le mani. Possibile che la notizia si fosse sparsa in quel modo? Non sembrava esserci uno studente nell'intero comprensorio scolastico che non sapesse del post. O che non ci credesse.

Perfino i suoi stessi compagni di classe sembravano essere convinti della sua colpevolezza, ma la cosa peggiore è che trovavano la situazione divertente da morire. Paolo da parte sua sembrava fare il possibile per fingere che Amanda non esistesse, evitando perfino di guardare nella sua direzione.

Forse avrebbe dovuto parlare con Mirco. Forse avrebbe dovuto chiedergli di confessare la verità. Sapeva però che, ormai, niente avrebbe convinto i suoi compagni di scuola che la storia era menzogna. Ci andavano matti per il gossip quelli, sopratutto se erano del tipo che rovina la vita delle persone. Più una storia era imbarazzante, più a lungo sopravviveva tra quelle mura.

 

 

Quando finalmente l'ultima campanella annunciò la fine delle lezioni, non fu il sollievo ad avere il sopravvento su Amanda, bensì un'enorme senso di tristezza. Il pensiero di tornare lì il giorno dopo la faceva stare male, come se non ci fosse abbastanza ossigeno nella stanza. L'idea di tornare a casa, poi, non era di certo più allettante. Avrebbe semplicemente voluto prendere il primo treno e scappare via, lasciandosi dietro tutti i suoi problemi, ma il pensiero di abbandonare sua sorella glielo impediva. Si ripeté per l'ennesima volta che mancavano pochi mesi alla sua maggiore età, ma questa volta non funzionò come dovuto.

Quando Giulia fece per aspettarla alla porta, Amanda la liquidò frettolosamente, asserendo di dover andare nuovamente in bagno. Non appena l'amica si allontanò, la ragazza tornò a sedersi al suo banco, poi nascose la testa tra le mani e finalmente scoppiò nel pianto che aveva trattenuto per tutta la mattinata.

“Amanda?” la chiamò una voce, facendole alzare di scatto la testa.

Il professor Navarra era in piedi davanti a lei, che la guardava con evidente curiosità. Quando vide le lacrime sul suo volto, questa mutò in una velata preoccupazione “Stai bene?”

La ragazza si asciugò frettolosamente le lacrime e annuì senza trovare il coraggio di guardare il professore negli occhi. L'uomo sembrò indeciso per qualche secondo, poi prese una sedia e la posizionò davanti ad Amanda, sedendocisi sopra.

“Per i prossimi” lanciò un'occhiata all'orologio “Trenta minuti, dimenticati che sono un tuo professore. Fingi che sia un tuo compagno”

“Dovrebbe iniziare a ridere allora” si lasciò sfuggire Amanda, rimpiangendo immediatamente le sue parole. L'uomo la osservò confuso “E' successo qualcosa in classe?”

La ragazza scosse nuovamente la testa, poi, quando vide che lui aspettava caparbiamente dei chiarimenti, si passò una mano sul volto “E' solo... un ragazzo ha... ha diffuso delle informazioni false sul mio conto. E sembra che non ci sia una sola persona a scuola che non ne sia venuta al corrente”

“Posso chiedere che genere di informazioni?”

“Preferirei non parlarne”

L'uomo annuì comprensivo “Ne hai parlato con i tuoi genitori? Forse possono fare qualcosa”

La ragazza trattenne a stento un'amara risata “Lo sanno” si limitò invece a dire. Il professore si passò una mano tra i capelli, sospirando “Purtroppo, non sono mai stato un granché con i consigli. Però, non so se questo potrà aiutarti, ma ricordo che accadde una cosa simile anche ad una mia vecchia amica ai tempi del liceo. Ed... ecco... spesso fui proprio io a spargere menzogne sul suo conto”

Amanda alzò lo sguardo verso l'uomo seduto davanti a lei, chiedendosi se per caso si stesse prendendo gioco di lei. Lui sembrò intuire i suoi pensieri, perché ridacchiò piano “Sì, lo so. Nemmeno il mio io del passato ti crederebbe se gli dicessi che ora sono un professore” disse, tornando poi serio “Quello che volevo dire, comunque, è che spesso io non mi rendevo nemmeno conto di quanto potessi ferire una persona con i miei comportamenti. Lo facevo perché ero... beh, stupido. E pieno di me”

“Non credo sia il suo caso” fece la ragazza con voce cupa, distogliendo nuovamente lo sguardo “Quello che ha fatto, l'ha fatto con l'intento di ferirmi”

“Come puoi esserne così certa?”

“Perché l'ho visto nel suo sguardo” Amanda si rese conto della verità di quelle parole non appena lasciarono le sue labbra. Sì, lei lo aveva visto. Aveva visto la rabbia nei suoi occhi, così simile a quella che invadeva sua madre. E in quel momento, si sentì incredibilmente stupida. Avrebbe dovuto aspettarselo, avrebbe dovuto sapere che la storia non sarebbe finita lì.

Il professore la osservò curioso, meditando sulla sua risposta. Non era quello che si aspettava, questo di sicuro.

“Allora se è questo ciò che vuole, tu non darglielo. Cioè che ha detto è una menzogna, giusto? Bene, comportati sapendo che è tale. Tieni la testa alta, ignora i commenti. So che è difficile, ma vedrai che presto la gente si stancherà dell'argomento”

La ragazza annuì incerta. Sapeva che aveva ragione, eppure, fingere che tutto andasse bene come se niente fosse? Non pensava fosse possibile. Niente andava bene.

Con immenso imbarazzo, sentì nuove lacrime percorrerle le guance. L'uomo dovette accorgersene a sua volta, poiché si frugò nelle tasche, tirando fuori un pacchetto di fazzoletti e tendendone uno alla ragazza, che lo prese e lo utilizzò per asciugarsi. Fu solo dopo che, strofinando troppo forte, una fitta di dolore le si diradò per il viso che si ricordò del trucco. Lanciò un'occhiata al fazzoletto, inorridendo nel constatare che ora era pieno di fondotinta.

Il professore seguì il suo sguardo e, dopo aver visto il fazzoletto, tornò a concentrarsi sul volto della ragazza. Sobbalzò lievemente quando vide un enorme livido nero circondarle l'intero occhio sinistro, scendendo poi fino allo zigomo.

“Amanda, cosa ti è successo?” le domandò, sporgendosi automaticamente verso il suo volto. Lei si alzò di scatto, cercando di nascondere la contusione con i capelli “Io... non è... ora forse è meglio che vada”

La ragazza fece per dirigersi verso la porta, ma l'uomo le si parò velocemente davanti, bloccandole la fuga. Prima che potesse impedirselo, Amanda arretrò spaventata, rendendosi poi conto di quanto fosse dovuta sembrare patetica. Lo sguardo di lui comunque inizialmente si fece turbato, poi si riempì di apprensione. Sollevò subito le braccia, cercando di mostrarle che non era sua intenzione farle alcun male.

“E' stato quel ragazzo a farti questo?” chiese ancora, avvicinandosi lentamente “Amanda, ti prego, dimmelo”

“E' stato un incidente. Sono caduta dalla bicicletta” affermò, capendo subito che l'uomo non ci avrebbe mai potuto credere. Proprio come aveva visto quella mattina allo specchio, i segni questa volta erano ben chiari.

“Amanda...”

“Voglio solo andare a casa. Per favore” lo supplicò, cercando un modo per sottrarsi alle sue domande. Se si fosse saputo di sua madre, se qualcuno fosse venuto a conoscenza della verità... non poteva rischiare di perdere sua sorella.

L'uomo abbassò le braccia, una tale angoscia nel volto che lei non poté fare a meno di chiedersi se la causa fossero davvero i suoi lividi, se non ci fosse altro.

Non appena lui si spostò di lato, comunque, Amanda corse verso l'uscita evitando di guardarsi indietro.  

  
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