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Autore: Jane Ale    19/01/2014    3 recensioni
[Prima storia della serie "Il ciclo di Caterina", ma può essere letta indipendentemente dalle altre storie.]
Caterina e Alessandro sono migliori amici, eppure non riescono ad andare d'accordo per più di qualche minuto. Ma poi Caterina capisce di essere innamorata di Alessandro e tutto si complica. Perché lui è stronzo, ma non ne è consapevole; lei, invece, è isterica, ma non sa come smettere.
Il solito vecchio cliché? Probabilmente (no).
Dalla storia:
-L'avevo capito. Di piacerti, intendo.-
Annuii. -Era piuttosto evidente.-
Si passò le mani sul viso, poi mi fissò di nuovo. -Cate, io mi sento molto attratto da te, non posso negarlo..-
A quelle parole avvampai, ma cercai di restare distaccata. -Ma?- gli chiesi.
-Ma al tempo stesso non riesco a provare quei sentimenti che vorrei. Ti voglio un mondo di bene, ma..-
Ma non sei innamorato di me, conlusi per lui nella mia mente.
Raccolsi tutto il coraggio che avevo e sorrisi. -Non preoccuparti, Ale, non importa. Non è successo niente.-
-Cate, ascoltami.-
-No, va bene così, nessuno si è fatto male.- Sorrisi ancora.
-Tu sì.- disse con semplicità. Ed era vero, io mi ero fatta molto male, più di quello che credevo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ciclo di Caterina'
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Capitolo 17
Tutto sbagliato
 
 


               
A distanza di un bel po’ di tempo, devo confessare, che quello fu il momento in cui la mia innocenza decise di andare a farsi benedire. E no, non il momento in cui persi la mia verginità, ma quello in cui scoprii la verità su Alessandro.
Ero stata una sciocca: avevo permesso ai miei sentimenti di prendere il sopravvento sulla mia razionalità, non permettendo ai miei occhi di vedere ciò che mi circondava, ossia menzogna e cattiveria. Sì, ero delusa, ferita, devastata, ma, sopra a ogni cosa, ero incazzata. Potevo perdonare al mio cuore di aver fatto la scelta sbagliata, ma non avrei mai perdonato ad Alessandro il fatto di avermi utilizzata come una bambola.
Di una cosa ero certa, l’avrebbe pagata.
 
Chiamai il bidello e gli chiesi di ripulire per terra. Che figura, avevo persino rimesso la colazione nel mezzo del corridoio! Andai in bagno a sciacquarmi e ripulirmi, poi tornai verso l’aula che si era, nel frattempo, riempita. Salutai i miei amici con il sorriso più falso che riuscii a produrre, ignorai Alessandro e mi sedetti al mio banco. Sapevo di aver attirato la loro attenzione, non poteva sfuggirgli il fatto che non mi fossi unita al gruppo per le solite chiacchiere mattutine, ma, soprattutto, non poteva sfuggire a nessuno all’interno di quella classe che Caterina avesse reso Alessandro completamente invisibile.
Le ore di lezione passarono in relativa tranquillità, durante l’intervallo mi rintanai in bagno per evitare qualsiasi contatto, mentre all’uscita mi affrettai a prendere il primo autobus che passava. Mi stavo comportando da stronza e ne ero perfettamente consapevole, stavo evitando tutti i miei amici, anche coloro che non avevano colpe. A dirla tutta, la colpa era di uno solo, se si escludeva il fatto che Emanuele appoggiasse il suo migliore amico per una questione di lealtà (o, forse, era veramente un deficiente!) e che Roberta avesse, momentaneamente, messo il cervello in standby a causa del suo nuovo ragazzo. Ebbene sì, queste erano le spiegazioni che avevo trovato per giustificare il comportamento di quei due che, fino a quella mattina, avevo reputato essere miei amici. Non ce l’avevo con loro, ma, prima o poi, avremmo fatto i conti.
Quando arrivai davanti al portone di casa, però, la mia decisione e la mia voglia di vendetta vennero sostituite dalla paura: Alessandro se ne stava appoggiato al suo motorino in attesa, senza dubbio, del mio arrivo. Di cosa avevo paura? Avrei potuto rispondere del confronto, della discussione, della perdita, ma, in realtà, sapevo benissimo che la mia più grande paura era la verità. Una piccola parte di me sperava ancora che le parole sentite quella mattina fossero un’enorme bugia, ma la grande parte sapeva, invece, che quella volta la speranza non sarebbe servita a niente. Mentre percorrevo gli ultimi metri che mi dividevano da lui un pensiero mi attraversò la mente: “Da adesso niente sarà più come prima. La tua vita cambierà, Caterina, e dovrai accettarlo.” Era vero, avrei dovuto rivoluzionare ogni cosa, probabilmente non ero neppure pronta, ma quella volta non volevo tirarmi indietro.
-Alessandro.- lo salutai freddamente.
-Caterina.- mi rispose lui.
-Cosa vuoi?- gli domandai.
Mi guardò furioso. –Cosa voglio io?? Cosa vuoi tu, piuttosto. O, magari, dovrei chiederti che cosa ti passa per la testa! Stamani sembravi impazzita, non parlavi con nessuno, evitavi chiunque tentasse di avvicinarsi, soprattutto me. Cosa ti è preso, cazzo?-
Mi ritrovai a pregare di avere il coraggio di essere una stronza. Poi parlai: -So tutto.-
Non capì. –Tutto? Ma che stai dicendo?-
-Alessandro, so tutto: Lilian, Londra, il viaggio con Emanuele. Tutto.-
Vidi le sue pupille dilatarsi per lo stupore, aprì la bocca e poi la richiuse. Era confuso, non sapeva cosa dire.
-Tranquillo, non serve che tu dica niente. O forse sì, una cosa voglio saperla: come cazzo hai fatto a convivere con te stesso fino ad ora? Che di me non ti importasse niente posso capirlo, ma che la tua coscienza non ti abbia torturato neppure un po’, stento a crederlo.-
-Non è come credi. Io ci tengo a te. Non volevo che lo sapessi in questo modo, te lo avrei detto.- mi disse.
Parole, parole, parole…
-Quando? La sera prima della partenza? Non stiamo qui a raccontarci storie, Alessandro. Tu non mi avresti detto niente, avevi solo bisogno di qualcuno con cui svagarti prima di partire per andare dalla tua cara Lilian. Pensi che non abbia saputo fin dall’inizio che fossi innamorato di lei? Pensi che non stessi male ogni volta che ti vedevo guardarla in quel modo? Pensi che non sia morta quando mi sono accorta che, invece, tu non mi hai mai guardata così? E non negare. Perché ho accettato di averti così, a metà, dandoti tutta me stessa senza ricevere niente in cambio, nella speranza che mi concedessi un briciolo di rispetto. Perché ho pensato che, almeno come amica, mi volessi bene. Ma no, tu non conosci vie di mezzo: tutto o niente, o ami o distruggi.- Ero riuscita a sputargli tutto quel discorso in faccia senza scoppiare a piangere, dovevo essere fiera di come mi ero comportata, ma volevo solo scomparire dalla faccia della Terra.
-No, tu non capisci.- Feci per interromperlo, ma continuò. –Non è così, io tengo a te in un modo che va oltre ogni immaginazione, non lo so descrivere. Avevo prenotato il viaggio con Ema per festeggiare il mio compleanno, ma è successo prima…di noi. Te l’avrei detto, te lo giuro. E avrei buttato tutto all’aria per te.- mi disse quasi urlando.
-Ma non l’hai fatto. Sono i gesti che contano, Alessandro, non le parole. Me l’hai insegnato tu, ricordi?-
Qualche anno prima Alessandro aveva letto Il Piccolo Principe e ne era rimasto affascinato, per mesi non aveva fatto altro che parlarmene. Alla fine lo avevo letto anch’io. Un pomeriggio decidemmo di leggerlo insieme, ma, come succede spesso alla seconda lettura, una frase mi fulminò: “Avrei dovuto giudicarlo dagli atti, non dalle parole.” Da quel momento capii che, molto spesso, non conta ciò che una persona dice, ma come decide di agire. E Alessandro aveva scelto di fare la cosa sbagliata.
-Cate, non andare, ti prego..- sembrava quasi una preghiera.
-Mi dispiace, non ho voluto io tutto questo.- gli risposi glaciale.
-Mi avevi promesso che saresti rimasta, sempre.-
-Ma non ho mai promesso di intraprendere una missione suicida, Alessandro. Ti avrei dato tutto, ma non posso sacrificare me stessa, la mia dignità..-
-Dignità? Tu mi lasci per dignità?- mi chiese infuriato.
-No, Alessandro, io non ti sto lasciando, perché, in realtà, noi non siamo mai stati insieme. E no, non si tratta di dignità, si tratta di star bene con se stessi. Come posso pretendere che gli altri mi rispettino, se io per prima non rispetto me stessa? Questo è il motivo per cui le cose sono andate male tra di noi, perché io mi sono annullata per te!- e questa voltai gridai anch’io.
-Quindi finisce così?- mi domandò. –Dovrei far finta che tutto quello che abbiamo passato non sia mai esistito?-
-Fai come vuoi.-
-Caterina, guardami.- mi disse prendendomi il mento e facendo in modo che i nostri occhi si incontrassero. –Io non ho mai finto con te, te lo giuro.-
-Cosa fai, adesso giuri?- lo provocai.
-Giuro perché è vero e non ho paura di ammetterlo.-
-Nemmeno io ho avuto paura di ammettere di essermi innamorata di te, ma non è servito a niente. Anzi, guarda dove mi ha condotto questa grandiosa storia dell’amore!-
-Non dire cazzate! Sai benissimo che l’amore esiste.- mi disse.
Scoppiai a ridere convulsamente. –Tu vieni a dire a me che l’amore esiste? Tu che, credendo di essere innamorato di una squallida ragazzina inglese, compri un biglietto aereo solo per portartela a letto, ma nel frattempo usi la tua migliore amica dicendole di provare qualcosa per lei? Proprio tu vuoi dare lezioni d’amore a me, a me che sono sempre stata sincera e non ho mai nascosto i miei sentimenti nei tuoi confronti? Lascia perdere.- Feci per andarmene, ma la sua voce mi fermò.                                         
–E se mi fossi innamorato di te?-                                                     
Era tutto letteralmente, incredibilmente e profondamente sbagliato. Il luogo, il momento, il contesto, persino le parole. Tutto sbagliato. Non mi voltai, continuai a camminare fino al portone. Entrai in casa e, finalmente, scoppiai in un pianto liberatorio.
 
Dormii qualche ora, poi la sera mangiai qualcosa, spensi il telefono e tornai a letto. La domenica passò in maniera uguale, giusto con qualche minima variante: colazione, letto, pranzo, visita alla nonna, cena, letto. Potrebbe sembrare che stessi cercando di rendere la situazione più drammatica di quanto fosse veramente, in realtà volevo solo cadere in un sonno ristoratore di durata quinquennale. Eppure non ci riuscivo. Non me ne fregava di continuare a piangere, disperarmi, volevo solo smettere di pensare, spegnere il cervello e dormire. Volevo che il mondo, così come lo conoscevo io, scomparisse e mi trascinasse dall’altra parte dell’oceano. Lì, ero sicura, sarei stata salva da tutto e da tutti. Eppure tutte le volte che aprivo gli occhi, la mia visuale era sempre la stessa, i pensieri idem, e non facevo altro che desiderare di riprendere sonno.
Il lunedì mattina mia madre si affacciò alla porta della mia camera, mi fissò per qualche secondo (cosa che aveva fatto, senza pretendere risposte, anche nei due giorni precedenti), ma, poi, parlò: -Caterina, non ti ho chiesto niente e continuerò a non farlo finché non sarai tu a volerne parlare, ma ti prego, reagisci. Oggi puoi stare a casa, buttare giù tutti i mobili, mangiare chili di biscotti e urlare quanto vuoi, ma non farti trovare lì come un vegetale al mio ritorno. Preferisco vederti prendere a calci il muro, piuttosto che sotterrata tra quelle coperte.-
Annuii per dimostrarle che avessi sentito le sue parole, ma non avevo nessuna intenzione di distruggere la casa, sarebbe stato un comportamento infantile.
“Perché saltare la scuola per fissare il soffitto della tua stanza non è infantile?” mi fece presente una vocina nella mia testa che, prontamente, ignorai.
Erano le due di pomeriggio quando mi alzai per andare in bagno. Decisi di fare una doccia veloce, giusto per non permettere al mio corpo di riflettere la mia condizione interiore, ossia la putrefazione (sì, avevo tendenze melodrammatiche particolarmente marcate). Quando tornai in camera, trovai un messaggio sul cellulare. Non sapevo proprio chi potesse essere: Vittoria e Isa mi avevano chiesto come stessi e le avevo liquidate con la scusa della febbre, Emanuele e Roberta non si erano fatti sentire, non che mi aspettassi un messaggio da Ema, ma da Roberta mi sarei aspettata molto di più; Giovanni, invece, mi aveva chiamata durante la ricreazione, ma non gli avevo risposto, perché sapevo di non essere in grado di mentirgli e non volevo che venisse a conoscenza di quello che era successo, preferivo aspettare. Insomma, non pensavo che nessuna di queste persone potesse essere il mittente del messaggio, ultimo fra tutti colui che non volevo neppure nominare. Presi il telefono e lessi quello che mi aveva scritto l’unica persona a cui non avevo pensato, Marica.
Ciao Caterina, so che non ti saresti mai aspettata di ricevere un messaggio da me. Ti confesso che ero molto indecisa, poi l’ho inviato. So come mai non sei venuta a scuola stamani, ho sentito i ragazzi mentre parlavano del viaggio, poi Giovanni si è incazzato di brutto e ha litigato con Ale ed Ema. Insomma, non mi ci è voluto molto a capire. Non ti biasimo, anch’io ho desiderato scomparire quando con Ale non è andata, ma su una cosa stai sbagliando: per nessun motivo al mondo dovresti permettere ad altri esseri umani di farti sentire inutile. Poi, probabilmente, non è il tuo caso e mi sto sbagliando, ma nel caso in cui tu stessi cercando di evitare il mondo, allora alza il culo e riprenditi. Preferisco vederti mentre mi fulmini con lo sguardo, almeno so che sei viva.”
Non avevo parole. Non sapevo veramente cosa pensare. Marica, la stronza che mi trattava come uno scarto dell’universo, mi aveva appena mandato il messaggio più sensato che avessi mai ricevuto. Non solo perché capiva come mi sentivo, ma perché, pur non essendo mia amica, era l’unica che si era preoccupata per me. L’unica. Scossi la testa, incredula, e scrissi di getto un messaggio di risposta.
“Per quanto, molto spesso, desideri prenderti per i capelli, ti devo ringraziare. E lo faccio sinceramente. :) Non preoccuparti, tornerò molto presto a lanciarti occhiate assassine che tu, sicuramente, ricambierai.”
Mi rispose con un semplice “Ovviamente ;)” e, senza una ragione, mi trovai a sorridere.
Soltanto qualche minuto dopo, però, compresi quello che Marica aveva scritto: Giovanni aveva saputo tutto quella mattina e aveva litigato con Alessandro ed Emanuele. Ecco perché mi aveva chiamata! Ero la persona più stupida dell’universo: avevo accanto una persona fantastica come Giovanni e, invece di essere sincera con lui, avevo ignorato la sua chiamata. Cercai il suo numero nella rubrica e avviai la chiamata.
-Cate!- mi rispose quasi subito.
-Giovanni, scusami, non ho sentito il telefono.- mi giustificai come una bambina.
-Non preoccuparti, capisco che tu non volessi parlare con nessuno.- disse comprensivo, facendo aumentare il mio senso di colpa.
-No, non è così. Cioè, voglio dire… Adesso sono pronta a parlarne.-
-Sicura?-
-Sì.- No, non lo ero per niente.
-Tra venti minuti sono da te.- mi disse.
Riattaccai e, nonostante tutto, sentii il mio cuore alleggerirsi di qualche grammo. Benedissi mentalmente l’amicizia, quella vera, e cercai di rendermi presentabile per l’arrivo di Giovanni.
Sarebbe stato un lungo pomeriggio.
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:

 
Salve!
Ebbene sì, incredibilmente, sono già tornata. Non so come abbia fatto a finire il capitolo così velocemente, ma è un traguardo considerati i miei precedenti ritardi. :D
 
Dunque, come avete potuto notare, la disperazione regna sovrana. Credo sia il momento peggiore di tutta la storia, ma sarebbe dovuto arrivare, prima o poi. Anche il prossimo capitolo non sarà molto allegro, ma, forse, più avanti, la situazione tornerà ad essere più leggera.
 
Ringrazio di cuore le splendide persone che hanno inserito “Frammenti” tra le seguite/ricordate/preferite e coloro che hanno recensito. Siete la mia forza e vi porto sempre nel cuore. Grazie! :)
 
Spero di riuscire a scrivere il prossimo capitolo piuttosto velocemente.
Vi aspetto e, come sempre, se volete, potete lasciare una recensione.
Un bacione,
Jane
  
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