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Autore: L Change the World    19/01/2014    1 recensioni
[Fanfiction ElliotxLeo]
"Leo." lo chiamò Elliot all'improvviso.
"Mh?!"
"Posso farti una domanda un po'... personale?" Per l'ennesima volta, il cuore di Leo accelerò il battito.
"Tu hai mai...?" Elliot fece una pausa, come se si fosse appena pentito di aver iniziato quel discorso. Ma stavolta Leo non lo assecondò.
"Sì?!"
"Hai mai... baciato qualcuno?"
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Leo era nella stanza di Elliot, seduto con le gambe al petto e leggendo uno dei suoi tanti libri presi dall’immensa biblioteca dei Nightray messo in bilico sulle ginocchia. Erano le vacanze pasquali, e i due avevano lasciato d’Istituto Ludwig per passare le feste in famiglia. Stava giusto chiedendosi dove fosse finito il suo padrone, giacché lo aveva lasciato in camera da solo da almeno mezz’ora, quando fuori dalla porta sentì un rumore di passi affrettati e almeno tre voci che si sovrapponevano stizzite.

“... Io non ci vengo proprio, forse non avete capito!” Di colpo Elliot irruppe nella camera, sbattendo con forza la porta e chiudendola a chiave con uno scatto.

Era rosso in viso, il che capitava spesso, pensò Leo, ma aspettò che la rabbia sbollisse un po’ dal corpo dell’amico prima di chiedergli, con tono calmo:”Che succede?”

“Succede che sono sempre l’ultimo a sapere le cose in questa famiglia, a quanto pare!” urlò Elliot, gettando un’occhiata di fuoco alla porta e stringendo il pugno sull’elsa della sua spada. Leo aveva imparato che lo faceva abbastanza spesso, quando era nervoso.

Il moro lo guardò con fare interrogativo “E cosa avresti dovuto sapere?”

“Stasera andiamo ad un ballo!” esclamò Elliot, ridendo sarcasticamente “Che cosa meravigliosa, non trovi? Peccato che lo venga a sapere solo adesso! ‘Scusa se non te l’abbiamo detto, Elliot, ci dispiace!’ Ci dispiace un cavolo!”

“Ma qual è il problema?” Leo davvero non capiva perché il suo padrone se la stesse prendendo tanto “Va bene che è stasera, ma un completo per una serata di gala non ti manca, e poi è tra... vediamo, 6 ore! Ce n’è di tempo, cosa devi fare?”

“Non devo fare niente, dannazione!” Elliot si sedette sul letto, mordendosi freneticamente le labbra e guardando un punto indefinito. Leo amava vederlo turbato, non perché ne fosse felice, ma perché solo in quei momenti Elliot sembrava così indifeso, così vulnerabile. Così dannatamente bello. Eppure il moro stava capendo sempre meno del motivo per cui si stesse comportando in quel modo.

“Leo...” lo chiamò Elliot, riesumandolo da quei pensieri.

“Sì?!”

“Non so ballare.” A quella frase, Leo non poté fare a meno di scoppiare in un’allegra risata.

“Allora è così! Non vuoi andare stasera perché... perché non sai ballare?!” Leo faticava a parlare tanto era scosso dalle risa.

“Non c’è niente da ridere!” Elliot era furioso “Gli altri anni non dovevo ballare, ma dato che ora sono maggiorenne quest’anno sono praticamente obbligato. E non ho la più pallida idea di come si faccia.”

“Ti insegno io.” disse Leo, alzandosi e posando il libro sul letto.

“Come scusa?!”

“Ho detto che ti insegno io, a ballare.”

“T-tu ne sei davvero capace?”

Leo alzò le braccia, invitandolo ad avvicinarsi e, in un battibaleno, Elliot era di fronte a lui, con un’espressione a metà fra il sorpreso e il curioso, la rabbia totalmente sparita. Poteva quasi sentire il suo respiro su di sé, e a Leo cominciò ad accelerare il battito cardiaco. Non doveva arrossire, né mostrare cedimento, ma era sempre stato bravo a nascondere le emozioni, così sorrise e raddrizzò la schiena piegata dal troppo star seduto a leggere.

“Posso sapere chi ti ha insegnato?” chiese Elliot.

“All’orfanotrofio ogni tanto ci spiegavano le regole base. La direttrice ci teneva in modo particolare, così lo insegnava a tutti i bambini, indistintamente.” Leo mise una mano sulla spalla del padrone e lo guardò, lo sguardo camuffato dietro le lenti abnormi dei suoi tanto amati occhiali.

Il moro sorrise quando Elliot gli posò entrambe le mani sui fianchi “Ehm, Elliot, dovresti prendermi la mano. Ma davvero non hai mai visto una coppia ballare?!”

Elliot avvampò visibilmente, puntando lo sguardo a terra con la sua solita espressione corrucciata e prendendo impacciato la mano del servo.

“Ricorda che tu sei il ragazzo.” disse Leo “E alza lo sguardo, la tua dama sta qui solo per te.”

“O-ok.” Elliot si impose di guardarlo in quelli che si immaginò fossero gli occhi che, in vita sua, aveva visto troppe poche volte.

“Passo a sinistra. No, alla tua sinistra, non alla mia. Ok, ora passo indietro. A destra.” Leo lo guidava con la voce e con i passi, sorridendo per infondergli coraggio e parlando con il suo tono pacato per non mettergli troppa ansia. In fondo, due ragazzi che ballano in una camera, oltretutto senza musica, non era qualcosa che si vedeva molto spesso, nella villa dei Nightray.

“Credo di aver capito.” Elliot, che fino ad allora non aveva dato retta alle parole di Leo e aveva piantato gli occhi sui loro piedi, alzò lo sguardo sull’amico, ritrovandosi a pochi centimetri dal volto egualmente costernato del moro.

Leo sperò che le sue guance non fossero diventate troppo rosse, perché le sentì farsi pericolosamente più calde quando i loro sguardi si incontrarono. Restarono così per qualche secondo, dopodiché Leo spezzò l’atmosfera imbarazzata ammiccando e dicendo:”Beh, ora dovresti fare un passo avan... Ah!”

Elliot, probabilmente spinto dalla foga, era già partito in avanti, non dando il tempo a Leo di seguirlo e pestandogli il piede con tutto il suo peso.

“Scusa!” Elliot quasi gridò, inciampando sui suoi stessi passi per evitare che Leo rovinasse a terra per colpa sua.

“No, figurati.” rise Leo “Mi hai solo amputato il piede, ma non è niente, davvero.” Fortunatamente, questo strappò un sorriso a Elliot e, nel giro di pochi minuti, stavano entrambi ridendo, ancora nella posizione di danza, ma stavolta con le schiene piegate e scosse dai sussulti.

“Ricorda,Elliot.” disse Leo “La danza è un’arte. La devi sentire dentro, ti devi sciogliere e non devi stare troppo a pensare ai singoli passi.”

“Non sono fatto per la danza, non imparerò mai.” disse Elliot con fermezza “E poi è inutile.”

Leo alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. “Non cambierai mai...” I due ragazzi si separarono.

“Piuttosto, che ne dici di andare fuori? È una bellissima giornata, è sprecata per rimanere dentro casa.” propose Leo.

“E va bene, però in giardino niente lezioni di ballo, intesi?” fece Elliot serio, puntandogli il dito contro e mettendosi la giacca.

“Intesi.”

Elliot uscì dalla sua camera seguito a ruota da Leo, entrambi diretti nell’immenso quanto curatissimo giardino della villa. Il moro aveva avuto ragione: il sole splendeva come non succedeva da tempo, e una brezza piacevolmente fresca gli accarezzava i capelli scomposti e fin troppo lunghi, mentre, sopra i rami degli alberi, gli uccellini canticchiavano allegre melodie. Per una volta in vita sua, Leo non ebbe nostalgia della poltrona della biblioteca.

Quando il ragazzo alzò finalmente lo sguardo dalla sua borsa che pendeva da un lato, ebbe un tuffo al cuore: Elliot lo stava guardando da sopra la spalla e, non appena si accorse di Leo, subito si voltò indietro, accelerando il passo e tossicchiando appena. Il moro aggrottò le sopracciglia, ma decise di non farci caso: aveva avuto fin troppe visioni di Elliot che lo guardava, tutte rivelatesi frutto della sua immaginazione di lettore accanito di fantasy, tanto da averci ormai perso le speranze.

“Ci sediamo qui?” chiese Elliot, alludendo ad una grossa quercia un po’ discostata dal resto degli alberi. Leo non l’aveva mai notata prima, forse proprio perché era un posto inusuale, ma i colori delle foglie alla luce del sole erano strabilianti, come se fossero entrati in un’altra dimensione. Leo annuì e si mise a sedere, poggiando la schiena sul quel tronco maestoso e prendendo il libro che aveva lasciato in sospeso. Lo stava tirando fuori dalla borsa quando il tocco di una mano lo costrinse a ritrarre la sua.

“Oh...” disse Elliot, stringendo le labbra e alzando subito la sua mano. Sedendosi, aveva perso l’equilibrio a causa di una radice sporgente, attaccandosi all’unica cosa che gli sembrasse sicura, ovvero la mano di Leo. Elliot si voltò dall’altra parte, lasciando che i capelli biondi gli coprissero il viso mentre il suo servo, ripresosi da quella vista, aveva intanto aperto il libro e cominciato a leggere.

Ma non c’era niente da fare, non riusciva a concentrarsi, dato che rilesse la stessa riga per almeno cinque volte senza capire una sola sillaba. Rivedeva nella sua mente l’immagine del viso arrossato di Elliot che ritraeva imbarazzato la mano dalla sua, e non riusciva a scollarsela di dosso. Per peggiorare le cose, si sorprese anche a sorridere come un ebete, tanto che dovette scuotere leggermente la testa per convincersi ad assumere un’espressione un po’ più consona alla situazione.

“Leo.” lo chiamò Elliot all’improvviso.

“Mh?”

“Posso farti una domanda un po’... personale?” Per l’ennesima volta, il cuore di Leo accelerò il battito.

Il ragazzo fece spallucce “Ok.”

“Tu hai mai...?” Elliot fece una pausa, come se si fosse appena pentito di aver iniziato quel discorso. Ma stavolta Leo non lo assecondò.

“Sì?!”

“Hai mai... baciato qualcuno?” Il respiro di Leo gli morì in gola mentre un turbinio di pensieri si affollò nella sua mente, offuscandola fino a non fargli capire più niente. Cosa significava? Che razza di domanda era?! Leo era nel panico, stava passando troppo tempo e lui non aveva ancora risposto.

Respirò a fondo sperando di non essere sentito e moderò la voce “Vuoi sapere la verità?” Quando alzò gli occhi, Elliot era girato verso di lui “Non ancora.”

Il sorriso che Leo gli rivolse dopo dovette far sentire meglio Elliot, perché la sua espressione si distese, rimanendo comunque seria.

“Tu invece?” Appena pronunciò quella domanda, il moro si maledisse da solo. Era riuscito a non far trasparire niente fino ad ora, e con quelle semplici due parole aveva reso evidente la sua curiosità al riguardo.

“Vuoi sapere la verità?” ripeté Elliot, avvicinandosi ancora un po’ a lui “Nemmeno io.”

Passarono alcuni secondi in cui Leo non vide nient’altro se non i suoi occhi, immersi nei suoi senza nemmeno vederli ma percependone ugualmente la presenza, quegli occhi che ora lo guardavano con così tanta intensità da mettere quasi paura. Leo si rese conto di quanto potesse essere bello, con quella luce ad illuminargli il volto e a creare così tanti riflessi nei suoi capelli biondi e sempre impeccabili.

Ad un tratto, Elliot si tese verso di lui e lo baciò sulla guancia. Fu un gesto talmente veloce e improvviso che Leo non ebbe il tempo neanche di reagire, così rimase immobile, con le spalle terribilmente tese, mentre sentiva ancora il respiro di Elliot sul collo.

Automaticamente spostò il suo sguardo smarrito sul padrone, ma non appena lo vide, sorridente come raramente succedeva, non ebbe più dubbi. Inclinò appena il capo, esponendosi ad Elliot e abbandonandosi a lui senza esitazione. Sentì le sue labbra nuovamente sulla guancia, posandovi piccoli baci e scendendo sulla mandibola fino ad arrivare al collo. Sussultò appena quando una mano gli scostò i capelli dietro l’orecchio, ridendo nervosamente per l’ambiguità della situazione. Aveva immaginato quel momento così tante volte, che ora non gli pareva possibile che il ragazzo che aveva desiderato per tutta una vita avesse veramente scelto lui e nessun altro.

Elliot si discostò appena per ritornare a guardarlo, ma stavolta fu Leo a prenderlo in contropiede, sfiorandogli il naso con il suo prima di baciarlo delicatamente sulla bocca. Riuscì a sentire il corpo del suo padrone rilassarsi mentre le sue labbra di dischiudevano appena, accogliendo il sapore dolce della lingua di Elliot e baciandolo dapprima lentamente, poi con sempre più intensità.

La mano di Leo si spostò dal suo stesso ginocchio fino ad afferrare il colletto di Elliot, trascinandolo piano fino a che entrambi non si sdraiarono sul manto erboso cosparso di fiori, Elliot che sovrastava Leo e che continuava a baciarlo con il respiro sempre più accelerato. Il moro poteva quasi udire il suo cuore battere a mille e premere con forza incessante sul suo petto quasi fino a fargli male.

Si separò dalle labbra di Elliot giusto per riprendere fiato, perché un secondo dopo era già tornato a baciarle. Sentiva che avrebbe potuto continuare per sempre, che non ne avrebbe mai avuto abbastanza, perché aveva aspettato fin troppo tempo a soffocare i suoi sentimenti per paura di rovinare quell’amicizia così profonda.

Leo agganciò le dita ai passanti dei pantaloni di Elliot, spingendolo ancora più su di sé fino ad annullare ogni distanza mentre l’altra mano si andò ad intrecciare ai suoi capelli morbidi, stringendoli appena per essere sicuro che non se ne andasse, non ora. Ma Elliot non sembrava averne l’intenzione, dato che prese a baciarlo addirittura con passione, i loro petti ansimanti che si muovevano in perfetta sincronia, come se stessero danzando.

Il biondo cominciò piano piano a staccarsi da Leo e a passare dalle sue labbra alla base del collo, cospargendolo di umidi baci e riscaldandolo con il calore del  suo respiro. Dopo alcuni minuti, Leo gli alzò il mento con il pollice, costringendolo a guardarlo, e non poté fare a meno di sorridere nel vederlo ansimante, con i capelli ora irrimediabilmente scomposti, la sua bocca dischiusa ma piegata anch’essa in uno di quei sorrisi che comparivano così raramente sul viso del ragazzo e che facevano impazzire Leo ogni volta che vi ci cadevano gli occhi.

Elliot ricambiò il suo sguardo con uno stranamente malizioso, dato che un attimo dopo prese a punzecchiarlo sulla pancia, la sua parte più sensibile in assoluto.

“No, no, Elliot, ti prego no!” rise Leo, cercando di fermare il ragazzo fino a riuscire nell’intento e a farlo sdraiare accanto a lui, le sue dita ancora attaccate saldamente ai pantaloni. Il moro lo abbracciò, affogando il suo viso nelle miriadi di strati che componevano i suoi vestiti e respirandone l’odore che conosceva fin troppo bene.

“Ti amo, Leo.” disse Elliot, pronunciando quelle parole tanto velocemente che il ragazzo fece fatica a capire.

“Ti amo anche io, stupido Nightray.” disse Leo, sentendo il corpo di Elliot sussultare divertito. Il moro chiuse gli occhi, e, appoggiando la testa sulla spalla di quello che, d’ora in avanti, non avrebbe considerato più come il suo migliore amico, si addormentò.

        
                                                                                                    *

 
Leo si svegliò percorso da brividi di freddo. Stava gelando e, accorgendosi della neve che cadeva attorno a lui, constatò che era caduto in un sonno profondo nel bel mezzo della bufera. Tirò su con il naso, e sentì la sua faccia bagnata e appiccicosa, ma stavolta non era colpa della neve. Erano lacrime.

Cercò di rialzarsi, ma le sue mani non rispondevano ai comandi, erano diventate di un viola innaturale, strette con così tanta forza attorno ai gambi di un mazzo di fiori tanto da averli piegati senza alcuna pietà.

La sua guancia era appoggiata a qualcosa di duro e terribilmente freddo, simile a pietra, e fu allora che Leo capì dove si trovasse. Si sforzò di alzare almeno la testa, e i suoi occhi caddero irrimediabilmente sull’incisione recente scritta sulla pietra cosparsa di neve.

Un solo nome.

Elliot Nightray.

Senza nemmeno accorgersene, Leo si scoprì a singhiozzare, nuove lacrime a coprire le vecchie e a solcargli per l’ennesima volta il volto stanco.

Lo aveva sognato ancora, come ogni notte, d’altronde, rivivendo per l’ennesima volta il loro primo bacio.

Riusciva a figurarselo anche adesso, i capelli biondi, quell’espressione sempre terribilmente seria, quegli occhi che esprimevano sempre ciò che non era in grado di dire a parole.

Andava a trovarlo ogni singolo giorno, portandogli ogni volta un mazzo di fiori diverso e cambiando quello vecchio, così che la sua tomba apparisse bella ad ogni ora del giorno e della notte.

“Scusa Elliot.” cominciò Leo, rivolgendosi al nome scritto con caratteri grandi e neri “Mi sono addormentato appena sono arrivato, così non ho fatto in tempo a raccontarti niente. Sono davvero pessimo, vero?” Il ragazzo rise, cercando di ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di uscire e intanto sistemando il mazzo di fiori ormai depravato su un vaso vuoto.

“Mi hanno trattenuto fino a tarda notte, così sono venuto qui che erano più o meno le due, ed è per questo che sono crollato. Le cose alla Pandora vanno abbastanza bene, per quello che ne so io...” Di nuovo, Leo si portò la mano alla bocca perché le parole gli morirono in gola, e fu di nuovo scosso dai singhiozzi “Gli altri s-stanno bene, credo... Gilbert è un po’ triste, m-ma cerca di non darlo a vedere per non far preoccupare Oz, sai quanto ci tiene. Io continuo ad essere interrogato, ma mi hanno detto che presto mi lasceranno stare.”

Le dita di Leo percorrevano le lettere del nome di Elliot mentre raccontava, cercando di moderare il tono di voce e di renderlo più naturale possibile. I suoi denti battevano per il freddo, dato che, nella fretta di uscire per raggiungere il cimitero, non si era curato molto di coprirsi a dovere.

“Mi manchi tanto, sai?” Leo sorrise alla pietra, ma non si sentì affatto stupido per questo. Nuove lacrime gli scesero sulle guance, e più il ragazzo cercava di asciugarle e più quelle si ostinavano a comparire, creando un circolo vizioso senza via d’uscita “Manchi a tutti, certo, ma io... Io...”

Il ragazzo si chinò e, chiudendo il occhi, baciò la pietra gelida, premendovi le labbra e sentendo il sapore della neve in bocca.

“Ti amo, Elliot.” sussurrò Leo con voce rotta, deglutendo a fatica e immaginandoselo lì, ancora una volta, che lo guardava con uno di quei sorrisi che rivolgeva solo a lui e a nessun altro “Ti amo davvero.”
  
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