Il piccolo grande segreto di Molly
Hooper
Sherlock
sente i suoi occhi puntati addosso anche quando è di schiena.
E Molly
scrive. Guarda, osserva e scrive.
“Provette?”
“Analizzate.”
“Plasma?”
“Analizzato.”
“Livello
dell’emoglobina?”
Molly fa
un piccolo sorriso “Analizzato.”
Sherlock
la fissa. Batte le palpebre, cerca di ritornare a concentrarsi.
Ma non ci
riesce. “Cosa c’è?”, chiede, curioso.
“Niente”.
Molly continua a scrivere. E a sorridere.
Molly
scrive. E continua a farlo da giorni. Guarda, osserva e scrive.
Sherlock pensa
che stia scrivendo delle relazioni, ma non è così. Pensa che
stia scrivendo la
lista della spesa, ma non è così. Pensa che stia scrivendo una
lettera, e
stranamente è così.
Ma non riesce a
leggerne il destinatario, e dalla sua espressione non riesce ad
evincere altro.
Prova ad avvicinarsi a lei, di tanto in tanto, solo per vedere
cosa stia
scrivendo. Ma il tentativo fallisce, perché Molly nasconde
subito la carta
nella tasca del camice o rapida si allontana da lui.
Non
riesce a capire, o forse semplicemente non ne ha il tempo
necessario. Sa solo
che Molly nasconde un piccolo segreto, e nella sua mente il caso
è stato
bollato come “il piccolo grande segreto di Molly Hooper.” Si
ripromette sempre
di risolverlo, ma ogni giorno ha meno tempo e meno pazienza. Il
caso viene
archiviato.
Il
giovedì è sempre un giorno caotico, al Barts. Molly ha molto da
fare e poco
tempo da concedere. Si accavallano le autopsie e i tirocinanti
che devono essere
seguiti. Alcuni sono simpatici e le si rivolgono come ad
un’amica di vecchia
data, altri sono più nervosi e imparano poco a poco. Perciò
quando arrivano
John e Sherlock, stranamente verso l’ora di cena, Molly indica
loro con un
gesto frettoloso i ragazzi e mima un “dopo”. Sherlock alza gli
occhi al cielo e
si dirige verso il laboratorio, accompagnato da John. Sembrano
più iperattivi
del solito e soprattutto meno pazienti che mai.
“Cosa è
successo?” dice, con il fiatone. Ha trovato disponibile il
signor Burke per una
sostituzione di dieci minuti, il tempo di una spiegazione. Il
tempo di cattive
notizie.
John
continua a guardare Sherlock. L’uomo continua a camminare avanti
e indietro,
con il solito passo frenetico, con il suo solito passo da
macchina.
“Abbiamo
bisogno di un’autopsia, Molly.” Dice per ultimo il dottor Watson
“Una donna.”
“John, vi
aiuterei volentieri, ma di là ho due ragazzi che mi stanno
aspettando e devo
dare precedenza ai casi di stamatti—“
“Non è
una richiesta, Molly Hooper.”
Molly
vorrebbe ribattere, ora. Vorrebbe appellarsi al suo “non sono
autorizzata ad
eseguire ordini che non siano dati dalla mia dirigenza, non con
questa
prepotenza”, ma non riesce a farlo con due occhi di ghiaccio che
la fissano in
modo stranamente severo, in modo stranamente ostile.
John
rivolge un’occhiata di ammonimento a Sherlock, e poi si volta con aria
supplichevole: “Molly, è davvero una questione di vita o di morte.”
La donna
li guarda, ancora e ancora. Continua a guardarli quando annuisce
lentamente, le
sopracciglia aggrottate e un deluso cipiglio in volto.
“Sherlock
non vuole che tu lo sappia, ma questa donna potrebbe essere una
stretta
compagna di Irene Adler.” Molly ascolta, posa per un secondo il
bisturi sul
tavolo, la mano le trema appena. Si volta verso John con aria
confusa e lui la
guarda, una strana espressione in volto.
“Irene…”
si schiarisce la voce “Irene Adler…” chiede lei, esitante “è
tornata in città?”
“Non lo
sappiamo. O almeno, io
non lo so. Da
quel che sono riuscito a comprendere da Sherlock la donna che è
stata
ritrovata” John dirige per un attimo lo sguardo su quel corpo
disteso davanti a
loro, sfigurato “potrebbe essere stata scambiata per lei. Per
Irene. Uccisa al
suo posto.”
Molly non
chiede più nulla. Continua a lavorare in silenzio e non si
accorge neanche di
quando John la saluta, dicendole che ripasserà un paio d’ore
più tardi per
i risultati.
“L’hanno…
l’hanno bruciata viva. E’ morta per asfissia prima ancora che
per le bruciature
procurate. Dalle condizioni del corpo direi quasi una settimana
fa.”
“Grazie
Molly.” John le sorride nonostante la situazione, affettuoso.
Sherlock è di
spalle, immobile. Un fantasma. E’ un attimo. Si volta, infila il
cappotto
lasciato sulla sedia, e va via.
Molly non
scrive più. Ha lasciato i fogli riempiti dalla sua scrittura
minuta sul tavolo
di casa per una settimana, e da quel giovedì notte non li ha
più toccati.
Vorrebbe trovare il coraggio di prenderli e buttarli via,
ma ogni volta
che li vede le passa tutto, persino la forza di allungare la
mano ed
accartocciarli.
Molly non
scrive più ed è nervosa. Non lo è mai stata per davvero e quel
sentimento -o
quello stato d’animo, o quella voglia di stendersi per sempre e
chiudere gli
occhi- che non riesce a decifrare non crede di poterlo
affrontare, ed è per
questo che da un paio di giorni risponde a monosillabi a
chiunque le passi
davanti e a chiunque le si rivolga. E’ passata una settimana da
tutto e non ha
più avuto notizie. Cerca di pensare ad altro, ma il fascicolo di
quella donna è
ancora lì, messo in disparte sullo scaffale del laboratorio, e
nessuno ancora è
venuto a ritirarlo. Si sente osservata da un mucchio di carta,
così come quando
è a casa. Ed entrambe le persone che sembrano esserne gli
autori sono responsabili
della sua immensa tristezza.
La
notizia che la donna del fascicolo non sia “una stretta compagna
di Irene
Adler” le arriva con il ritorno di Sherlock. Un giorno –forse
quindici, sedici
giorni dopo da quando si sono parlati per l’ultima volta?-,
infilandosi il
camice, nota che il suo armadietto è stato già aperto e capisce
immediatamente
che lui è lì, di nuovo ad occuparsi di chimica, biologia e
anatomia tra le mura
del Barts, perché “non spaventarti se il tuo armadietto resterà
aperto, qualche
volta. Tutti hanno bisogno di spazio”, e lei non sa né cosa dire
né cosa
aspettarsi. Ma è tutto controproducente, come sempre quando si
tratta di lui,
perché adesso è fermo, immobile al microscopio, come se non
fosse successo
niente.
“Molly”
dice semplicemente, sentendola entrare. E lei non sa se esultare
o rimanerci
male, ma ammette segretamente che è contenta che lui ci sia. Di
nuovo. Anche se
solo per il lavoro.
“E’ da
tanto che…” tentenna “è dato che non venivi qui. Insomma, non
per me. Intendo
per il laboratorio, sai, gli esami, il fascicolo… della donna”,
dice Molly, il
giorno dopo, ancora sorpresa, ancora incredula.
“Ho avuto
da fare.” Dice semplicemente lui, continuando ad osservare i
risultati di
alcune analisi.
“Ah.”
Molly continua a sciacquare le provette, pensierosa. Vorrebbe
chiedergli molto
di più, di come si sia risolto il caso, di come abbia scoperto
che la donna non
era una conoscente della signora Adler, di come si sia sentito
dopo. Di come
abbia ricominciato la sua vita di tutti i giorni. E all’inizio
riesce a contenersi,
a non dire nulla, ma poi le parole le escono come un fiume in
piena –come ad
una cascata, penserà dopo- e non capisce di come sia potuto
succedere:
“Sono
contenta che tu sia tornato, sai. Dopo la nostra piccola
discussione, intendo.
Che poi non è stata una vera e propria discussione,
semplicemente un modo di
porsi. Penso che tu sia una persona intelligente quanto priva di
tatto, forse a
volte opportunista. Con me. Ma non importa, mi fa piacere darti
una mano, mi fa
piacere assecondarti, perché so come sei fatto. Alle volte ci
penso e ci passo
sopra, altre vorrei soltanto chiederti cosa ti fa comportare in
questo modo,
sai… rispondere male alle persone. A quelle che cercano di
aiutarti. Se tu
fossi stato un altro mi avresti detto chiaramente della
situazione e mi avresti
avvisata che la donna poteva essere una possibile conoscente
della Adler, però
te ne sei andato. Lo fai sempre. E non è colpa tua. Vorrei solo
dirti che…
credo che tu ti comporti così perché sei sempre stato sotto
pressione e…”
Sherlock
la sta guardando, Molly se ne accorge troppo tardi. Le ci
vogliono circa due
minuti per capire quello che ha appena detto e vorrebbe
rimangiarsi tutto,
inghiottire tutta l’aria che c’è nel laboratorio, vorrebbe che
gli occhi
azzurri di Sherlock non la stessero fissando in quel modo e
vorrebbe
contenersi, invece abbassa lo sguardo, diventa rossa.
“N-non-non…
Scusa.”
Sherlock
si alza, sta per andarsene ma poi si ferma. Torna indietro con
passi misurati,
si risiede, esita un attimo prima di guardarla.
Però te ne sei
andato. Lo fai
sempre.
Greg e
Molly alzano gli occhi al cielo, annuiscono esasperati.
“John…”
si appresta a dire Molly “non preoccuparti. Abbiamo pensato a
tutto noi. Greg
si è occupato di accompagnare la signora Hudson al supermercato,
io ho chiamato
tutti i nomi che c’erano sulla rubrica, Sherlock… beh” dice
infine Molly,
cercando di ricordare quale sia stato effettivamente il suo
ruolo.
“Molly,
non ti sforzare. Sherlock non sa ancora nulla.” Dice John,
distratto da un
messaggio che gli è appena arrivato sul telefono.
“E perché
mai?” chiede lei, mentre in contemporanea Greg dice un qualcosa
come “Perfetto,
davvero perfetto. Non poteva dare una mano a me e la signora
Hudson?”
“Perché
sai come è fatto, a lui non piacciono queste cose. Sarà una
sorpresa. Ora devo
andare, Mary mi ha appena mandato un messaggio… mi raccomando ad
entrambi!”
Molly
sorride con entusiasmo e lo saluta con la mano. Greg, accanto a
lei, appare
ancora molto crucciato.
“Sherlock,
che è successo?” si permette di chiedergli Molly, data la sua
espressione
apparentemente nervosa.
“John”
dice “John che organizza una festa a
mia insaputa. A casa
nostra!” Molly sta per
correggerlo. E’
da un po’ che vive effettivamente da solo, eppure continua a
considerare
quell’appartamento ancora di entrambi. Dicendo così sembra quasi
apparire… umano.
Molly ridacchia,
cercando di prendere la situazione alla leggera: “E’ solo una
festicciola per
festeggiare il compleanno di Mary, Sherlock. Terminerà in un
paio d’ore e
passerà molto in fretta.”
Sherlock
scuote la testa ed alza gli occhi al cielo. Sembrerebbe una
situazione molto
comica se non fosse per quel “Molly”, sussurrato dopo un paio di
minuti di
silenzio.
“Sì?”
“Grazie.”
E non sa
se quel grazie sia stato detto per sbaglio o per caso, non sa se
sia stato
detto per riparare a qualcosa o semplicemente per l’occasione,
ma non le importa.
Molly lo accetta e sorride. Spontanea, genuina. E ne è felice.
Il giorno
prima dei festeggiamenti Molly si ricorda di qualcosa che aveva
dimenticato. E’
notte fonda e lei è appena tornata da una giornata piena di
lavoro –anche a
causa di Sherlock, ma scaccia subito via il pensiero-, e mentre
è stesa sul
divano le vengono in mente quei fogli ancora posati sul tavolo
della cucina,
tenuti fermi da un segnacarte. Allora riflette per un attimo, si
alza. Si siede
lì, lentamente, a rileggerli. Si ritrova a sorridere in alcuni
punti, a
scuotere la testa ad altri. Infine, prende la sua decisione. Con
un foglio
bianco davanti e con gli altri pieni di inchiostro al suo
fianco, poggia la
penna e scrive una sola frase, che sa non cancellerà. Perché,
semplicemente, è
il pensiero di una vita.
La festa
è un successone. Mary entra con una strana espressione in volto
nell’appartamento di Sherlock, ma è buio e non si accorge di
tutte le persone
che le sono davanti, provviste di un’ espressione divertita.
Quando accende la
luce, tutto prende vita. Iniziano cori di “Buon compleanno!” e
Mary si commuove
e dà un pugno sulla spalla a John, dopo che scopre che ha
architettato tutto
questo senza farle sospettare nulla. Perfino Greg sembra di
buon’umore, e si
complimenta con la signora Hudson per quello che ha preparato.
Sherlock si
mostra meno appartato del solito. Fa gli auguri a Mary e poi
scompare. Molly lo
scorge poco dopo a parlare con una donna con un vestito molto
nero e molto
corto. La damigella del matrimonio, Janine.
Li guarda dall’altro lato della stanza e si cruccia, un nodo che
le attorciglia
lo stomaco. Abbassa lo sguardo e pensa che sia il caso di
andare. Così si alza,
si aggiusta le pieghe del vestito, prende la borsa.
“Stai
andando via?” le chiede Mary, che le compare davanti con John,
porgendole un
bicchiere di champagne “rimani almeno per il brindisi!”
“Non
preoccuparti, Mary, fa’ come se lo avessi accettato. Devo
proprio correre a
casa, il mio turno comincia tra appena quattro ore.”
“Oh mio
Dio, Molly! Prima o poi parlerò con il tuo responsabile. Troppo,
troppo
lavoro.”
Molly
saluta la coppia con discrezione, con un sorriso ed un
affettuoso “ancora tanti
auguri!” e lascia l’appartamento. Non vuole dar spazio alla
delusione. E per
non pensare a quel velo di tristezza che le pesa ancora sullo
stomaco inizia a
contare i mattoncini dei muretti delle case, uno, due, tre,
sette, nove, dieci…
Qualcuno
le posa una mano sulla spalla e lei si volta di scatto. Vorrebbe
urlare ma non
le esce fuori niente, così si mette una mano sul petto e fa
segno di aspettare.
“Molly”,
dice semplicemente Sherlock, osservandola. “Respira” le
raccomanda,
ricordandole di calmare il battito.
“Sh-sherlock.”
Dice finalmente lei, quasi accusandolo con lo sguardo “mi hai
spaventata”.
“Non è
colpa mia se sei troppo impegnata a contare dei mattoni per
accorgerti di
qualcuno che ti cammina dietro le spalle. E che tra l’altro ti
si accosta,
segno che probabilmente –anzi, sicuramente-
è proprio diretto verso di te. Dovresti sempre avere uno spray
nel cappotto,
potresti evitare malintenzionati. Sono venuto a portarti
questa.” Dice poi,
alzando gli occhi al cielo e porgendole una busta. “Non
chiedermi che cos’è,
perché sono sicuro che il tuo brillante intuito potrebbe
arrivarci anche da
solo.” Molly è intenzionata a rispondere, si sente un po’
offesa. Ma poi vede
che Sherlock sorride, ironico, e quindi lascia perdere. Anzi,
accenna un
sorriso anche lei.
“Grazie.”
Risponde semplicemente, dopo un attimo di silenzio. Non immagina
minimamente
cosa sia, quella
busta. Pensa solo al
fatto che non sa mai cosa dirgli e come dirglielo. Crede che lui
alle volte
pensi sia un po’ tarda.
“Ringrazi
troppo, Molly Hooper. E soprattutto” dice l’uomo, posandole una
mano poco più
in alto del polso –e Molly non può far altro che pensare al
fatto che la sua
mano sia fredda, e Molly non può far altro che pensare al fatto
che la sua mano
abbia trovato proprio il frammento di pelle scoperto, al di
sopra del guanto e
al di sotto del cappotto- “Ti scusi troppo.”
Molly lo
guarda, così vicino, e non riesce a fare altro. Forse batte le
palpebre o forse
annuisce o forse ancora apre la bocca per dire qualcosa. Ma il
momento passa in
fretta, e Sherlock le sussurra all’orecchio: “Nella busta c’è un
pezzo di torta
da parte di Mary. Non capisco perché tu non sia restata alla
festa, dato che il
tuo turno inizia alle sei di domani mattina e non tra quattro
ore. Prendi un
taxi.” Si allontana un po’, l’espressione del volto
imperturbabile. Si volta e si
dirige verso casa. Alza la mano in segno di saluto mentre è di
schiena.
Molly
sorride. Si guarda intorno e continua a sorridere. Mentre chiama
un taxi ha già
deciso cosa fare. Questa volta senza ripensamenti.
“Sherlock,
guardi mai nella cassetta della posta?”
“Lettere
di fanatici.”
“E
bollette.”
“Minuzie.”
John posa
tutto sul tavolo e ci rinuncia. “Vedo se la signora Hudson ha
bisogno di
qualcosa.”
Sherlock
lo lascia fare, distratto. Ma quando va in cucina a prendere un
bicchiere
d’acqua -deve essere assecondato solo quello che non può essere
evitato-, lo
sguardo gli si posa su una busta in particolare. Senza nome,
senza data. Ma già
si può evincere quale sia il suo contenuto, grazie al testo
particolarmente
calcato del mittente. Sherlock la apre, sorpreso. Rilegge, anche
se non si era
sbagliato:
Colui
che è apparentemente solo è amato da tutti e
non lo sa.
“Cosa
leggi?” chiede John, entrando.
Sherlock
ripiega lentamente il foglio in quattro e lo ripone con cura
nella tasca della
giacca:
“E’ così
ovvio, John. Il piccolo grande segreto di Molly Hooper.”
Note (si fa per
dire)
dell’autrice:
cercherò di essere estremamente breve e particolarmente concisa,
anche se
queste non sono proprio mie grandi –ahimè- abilità.
Non
scrivo da anni. Probabilmente questo si sarà evinto già da una
prima ed
immediata lettura. Personaggi molto difficili da caratterizzare,
situazioni
molto difficili da descrivere, paura di essere troppo OC o
troppo lontana dai
temi di Sherlock hanno poi fatto sì che questo brevissimo lavoro
venisse
scritto, cancellato, riscritto e ricancellato circa una decina
di volte. Quindi
mi scuso, se la storia non fosse piaciuta o avesse varcato i
limiti
dell’impossibile. Forse un giorno avrò maggior pazienza di
analizzare il tutto
con molta calma e con maggiore attenzione.
Quello
che in realtà era importante che vi dicessi è che non so
precisamente quando
questa one-shot potrebbe essere ambientata. Il personaggio di
Tom (il fidanzato
di Molly) non è stato per niente citato. Immaginate, quindi, che
in un universo
parallelo tutto ciò sia successo subito dopo il viaggio dei
coniugi Watson, e
che Molly abbia già lasciato chi dovere.
So di non
essere stata chiara, so già di aver dato vita il cielo solo sa a
quale creatura
(Sherlock sembra essere stato partorito da un ibrido?), ma per
ultima e non
meno importante cosa volevo ringraziare tutte quelle fantastiche
autrici che
con i loro splendidi lavori mi hanno fatto tornare l’amore per
la scrittura e
per questa assurda quanto bellissima coppia. Davvero grazie,
grazie, grazie.
Grazie di tutto.