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Autore: Dista    19/01/2014    3 recensioni
Molly scrive. Guarda, osserva e scrive.
Sherlock sente i suoi occhi puntati addosso anche quando è di schiena.
E Molly scrive. Guarda, osserva e scrive.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il piccolo grande segreto di Molly Hooper

 

 

 

 

 

 

Molly scrive. Guarda, osserva e scrive.

Sherlock sente i suoi occhi puntati addosso anche quando è di schiena.

E Molly scrive. Guarda, osserva e scrive.

 

“Provette?”

“Analizzate.”

“Plasma?”

“Analizzato.”

“Livello dell’emoglobina?”

Molly fa un piccolo sorriso “Analizzato.”

Sherlock la fissa. Batte le palpebre, cerca di ritornare a concentrarsi. Ma non ci riesce. “Cosa c’è?”, chiede, curioso.

“Niente”. Molly continua a scrivere. E a sorridere.

 

Molly scrive. E continua a farlo da giorni. Guarda, osserva e scrive. Sherlock pensa che stia scrivendo delle relazioni, ma non è così. Pensa che stia scrivendo la lista della spesa, ma non è così. Pensa che stia scrivendo una lettera, e stranamente è così. Ma non riesce a leggerne il destinatario, e dalla sua espressione non riesce ad evincere altro. Prova ad avvicinarsi a lei, di tanto in tanto, solo per vedere cosa stia scrivendo. Ma il tentativo fallisce, perché Molly nasconde subito la carta nella tasca del camice o rapida si allontana da lui.

Non riesce a capire, o forse semplicemente non ne ha il tempo necessario. Sa solo che Molly nasconde un piccolo segreto, e nella sua mente il caso è stato bollato come “il piccolo grande segreto di Molly Hooper.” Si ripromette sempre di risolverlo, ma ogni giorno ha meno tempo e meno pazienza. Il caso viene archiviato.

 

Il giovedì è sempre un giorno caotico, al Barts. Molly ha molto da fare e poco tempo da concedere. Si accavallano le autopsie e i tirocinanti che devono essere seguiti. Alcuni sono simpatici e le si rivolgono come ad un’amica di vecchia data, altri sono più nervosi e imparano poco a poco. Perciò quando arrivano John e Sherlock, stranamente verso l’ora di cena, Molly indica loro con un gesto frettoloso i ragazzi e mima un “dopo”. Sherlock alza gli occhi al cielo e si dirige verso il laboratorio, accompagnato da John. Sembrano più iperattivi del solito e soprattutto meno pazienti che mai.

 

“Cosa è successo?” dice, con il fiatone. Ha trovato disponibile il signor Burke per una sostituzione di dieci minuti, il tempo di una spiegazione. Il tempo di cattive notizie.

John continua a guardare Sherlock. L’uomo continua a camminare avanti e indietro, con il solito passo frenetico, con il suo solito passo da macchina.

“Abbiamo bisogno di un’autopsia, Molly.” Dice per ultimo il dottor Watson “Una donna.”

“John, vi aiuterei volentieri, ma di là ho due ragazzi che mi stanno aspettando e devo dare precedenza ai casi di stamatti—“

“Non è una richiesta, Molly Hooper.”

Molly vorrebbe ribattere, ora. Vorrebbe appellarsi al suo “non sono autorizzata ad eseguire ordini che non siano dati dalla mia dirigenza, non con questa prepotenza”, ma non riesce a farlo con due occhi di ghiaccio che la fissano in modo stranamente severo, in modo stranamente ostile.

John rivolge un’occhiata di ammonimento a Sherlock, e poi si volta con aria supplichevole: “Molly, è davvero una questione di vita o di morte.”

La donna li guarda, ancora e ancora. Continua a guardarli quando annuisce lentamente, le sopracciglia aggrottate e un deluso cipiglio in volto.

 

“Sherlock non vuole che tu lo sappia, ma questa donna potrebbe essere una stretta compagna di Irene Adler.” Molly ascolta, posa per un secondo il bisturi sul tavolo, la mano le trema appena. Si volta verso John con aria confusa e lui la guarda, una strana espressione in volto.

“Irene…” si schiarisce la voce “Irene Adler…” chiede lei, esitante “è tornata in città?”

“Non lo sappiamo. O almeno, io non lo so. Da quel che sono riuscito a comprendere da Sherlock la donna che è stata ritrovata” John dirige per un attimo lo sguardo su quel corpo disteso davanti a loro, sfigurato “potrebbe essere stata scambiata per lei. Per Irene. Uccisa al suo posto.”

Molly non chiede più nulla. Continua a lavorare in silenzio e non si accorge neanche di quando John la saluta, dicendole che ripasserà un paio d’ore più tardi per i risultati.

 

“L’hanno… l’hanno bruciata viva. E’ morta per asfissia prima ancora che per le bruciature procurate. Dalle condizioni del corpo direi quasi una settimana fa.”

“Grazie Molly.” John le sorride nonostante la situazione, affettuoso. Sherlock è di spalle, immobile. Un fantasma. E’ un attimo. Si volta, infila il cappotto lasciato sulla sedia, e va via.

 

Molly non scrive più. Ha lasciato i fogli riempiti dalla sua scrittura minuta sul tavolo di casa per una settimana, e da quel giovedì notte non li ha più toccati. Vorrebbe trovare il coraggio di prenderli e buttarli via, ma ogni volta che li vede le passa tutto, persino la forza di allungare la mano ed accartocciarli.

Molly non scrive più ed è nervosa. Non lo è mai stata per davvero e quel sentimento -o quello stato d’animo, o quella voglia di stendersi per sempre e chiudere gli occhi- che non riesce a decifrare non crede di poterlo affrontare, ed è per questo che da un paio di giorni risponde a monosillabi a chiunque le passi davanti e a chiunque le si rivolga. E’ passata una settimana da tutto e non ha più avuto notizie. Cerca di pensare ad altro, ma il fascicolo di quella donna è ancora lì, messo in disparte sullo scaffale del laboratorio, e nessuno ancora è venuto a ritirarlo. Si sente osservata da un mucchio di carta, così come quando è a casa. Ed entrambe le persone che sembrano esserne gli autori sono responsabili della sua immensa tristezza.

 

La notizia che la donna del fascicolo non sia “una stretta compagna di Irene Adler” le arriva con il ritorno di Sherlock. Un giorno –forse quindici, sedici giorni dopo da quando si sono parlati per l’ultima volta?-, infilandosi il camice, nota che il suo armadietto è stato già aperto e capisce immediatamente che lui è lì, di nuovo ad occuparsi di chimica, biologia e anatomia tra le mura del Barts, perché “non spaventarti se il tuo armadietto resterà aperto, qualche volta. Tutti hanno bisogno di spazio”, e lei non sa né cosa dire né cosa aspettarsi. Ma è tutto controproducente, come sempre quando si tratta di lui, perché adesso è fermo, immobile al microscopio, come se non fosse successo niente.

“Molly” dice semplicemente, sentendola entrare. E lei non sa se esultare o rimanerci male, ma ammette segretamente che è contenta che lui ci sia. Di nuovo. Anche se solo per il lavoro.

 

“E’ da tanto che…” tentenna “è dato che non venivi qui. Insomma, non per me. Intendo per il laboratorio, sai, gli esami, il fascicolo… della donna”, dice Molly, il giorno dopo, ancora sorpresa, ancora incredula.

“Ho avuto da fare.” Dice semplicemente lui, continuando ad osservare i risultati di alcune analisi.

“Ah.” Molly continua a sciacquare le provette, pensierosa. Vorrebbe chiedergli molto di più, di come si sia risolto il caso, di come abbia scoperto che la donna non era una conoscente della signora Adler, di come si sia sentito dopo. Di come abbia ricominciato la sua vita di tutti i giorni. E all’inizio riesce a contenersi, a non dire nulla, ma poi le parole le escono come un fiume in piena –come ad una cascata, penserà dopo- e non capisce di come sia potuto succedere:

“Sono contenta che tu sia tornato, sai. Dopo la nostra piccola discussione, intendo. Che poi non è stata una vera e propria discussione, semplicemente un modo di porsi. Penso che tu sia una persona intelligente quanto priva di tatto, forse a volte opportunista. Con me. Ma non importa, mi fa piacere darti una mano, mi fa piacere assecondarti, perché so come sei fatto. Alle volte ci penso e ci passo sopra, altre vorrei soltanto chiederti cosa ti fa comportare in questo modo, sai… rispondere male alle persone. A quelle che cercano di aiutarti. Se tu fossi stato un altro mi avresti detto chiaramente della situazione e mi avresti avvisata che la donna poteva essere una possibile conoscente della Adler, però te ne sei andato. Lo fai sempre. E non è colpa tua. Vorrei solo dirti che… credo che tu ti comporti così perché sei sempre stato sotto pressione e…”

Sherlock la sta guardando, Molly se ne accorge troppo tardi. Le ci vogliono circa due minuti per capire quello che ha appena detto e vorrebbe rimangiarsi tutto, inghiottire tutta l’aria che c’è nel laboratorio, vorrebbe che gli occhi azzurri di Sherlock non la stessero fissando in quel modo e vorrebbe contenersi, invece abbassa lo sguardo, diventa rossa.

“N-non-non… Scusa.”

Sherlock si alza, sta per andarsene ma poi si ferma. Torna indietro con passi misurati, si risiede, esita un attimo prima di guardarla.

Però te ne sei andato. Lo fai sempre.

 

“Tutto pronto?”

Greg e Molly alzano gli occhi al cielo, annuiscono esasperati.

“John…” si appresta a dire Molly “non preoccuparti. Abbiamo pensato a tutto noi. Greg si è occupato di accompagnare la signora Hudson al supermercato, io ho chiamato tutti i nomi che c’erano sulla rubrica, Sherlock… beh” dice infine Molly, cercando di ricordare quale sia stato effettivamente il suo ruolo.

“Molly, non ti sforzare. Sherlock non sa ancora nulla.” Dice John, distratto da un messaggio che gli è appena arrivato sul telefono.

“E perché mai?” chiede lei, mentre in contemporanea Greg dice un qualcosa come “Perfetto, davvero perfetto. Non poteva dare una mano a me e la signora Hudson?”

“Perché sai come è fatto, a lui non piacciono queste cose. Sarà una sorpresa. Ora devo andare, Mary mi ha appena mandato un messaggio… mi raccomando ad entrambi!”

Molly sorride con entusiasmo e lo saluta con la mano. Greg, accanto a lei, appare ancora molto crucciato.

 

“Sherlock, che è successo?” si permette di chiedergli Molly, data la sua espressione apparentemente nervosa.

“John” dice “John che organizza una festa a mia insaputa. A casa nostra!” Molly sta per correggerlo. E’ da un po’ che vive effettivamente da solo, eppure continua a considerare quell’appartamento ancora di entrambi. Dicendo così sembra quasi apparire… umano.

Molly ridacchia, cercando di prendere la situazione alla leggera: “E’ solo una festicciola per festeggiare il compleanno di Mary, Sherlock. Terminerà in un paio d’ore e passerà molto in fretta.”

Sherlock scuote la testa ed alza gli occhi al cielo. Sembrerebbe una situazione molto comica se non fosse per quel “Molly”, sussurrato dopo un paio di minuti di silenzio.

“Sì?”

“Grazie.”

E non sa se quel grazie sia stato detto per sbaglio o per caso, non sa se sia stato detto per riparare a qualcosa o semplicemente per l’occasione, ma non le importa. Molly lo accetta e sorride. Spontanea, genuina. E ne è felice.

 

Il giorno prima dei festeggiamenti Molly si ricorda di qualcosa che aveva dimenticato. E’ notte fonda e lei è appena tornata da una giornata piena di lavoro –anche a causa di Sherlock, ma scaccia subito via il pensiero-, e mentre è stesa sul divano le vengono in mente quei fogli ancora posati sul tavolo della cucina, tenuti fermi da un segnacarte. Allora riflette per un attimo, si alza. Si siede lì, lentamente, a rileggerli. Si ritrova a sorridere in alcuni punti, a scuotere la testa ad altri. Infine, prende la sua decisione. Con un foglio bianco davanti e con gli altri pieni di inchiostro al suo fianco, poggia la penna e scrive una sola frase, che sa non cancellerà. Perché, semplicemente, è il pensiero di una vita.

 

La festa è un successone. Mary entra con una strana espressione in volto nell’appartamento di Sherlock, ma è buio e non si accorge di tutte le persone che le sono davanti, provviste di un’ espressione divertita. Quando accende la luce, tutto prende vita. Iniziano cori di “Buon compleanno!” e Mary si commuove e dà un pugno sulla spalla a John, dopo che scopre che ha architettato tutto questo senza farle sospettare nulla. Perfino Greg sembra di buon’umore, e si complimenta con la signora Hudson per quello che ha preparato. Sherlock si mostra meno appartato del solito. Fa gli auguri a Mary e poi scompare. Molly lo scorge poco dopo a parlare con una donna con un vestito molto nero e molto corto. La damigella del matrimonio, Janine. Li guarda dall’altro lato della stanza e si cruccia, un nodo che le attorciglia lo stomaco. Abbassa lo sguardo e pensa che sia il caso di andare. Così si alza, si aggiusta le pieghe del vestito, prende la borsa.

“Stai andando via?” le chiede Mary, che le compare davanti con John, porgendole un bicchiere di champagne “rimani almeno per il brindisi!”

“Non preoccuparti, Mary, fa’ come se lo avessi accettato. Devo proprio correre a casa, il mio turno comincia tra appena quattro ore.”

“Oh mio Dio, Molly! Prima o poi parlerò con il tuo responsabile. Troppo, troppo lavoro.”

Molly saluta la coppia con discrezione, con un sorriso ed un affettuoso “ancora tanti auguri!” e lascia l’appartamento. Non vuole dar spazio alla delusione. E per non pensare a quel velo di tristezza che le pesa ancora sullo stomaco inizia a contare i mattoncini dei muretti delle case, uno, due, tre, sette, nove, dieci…

Qualcuno le posa una mano sulla spalla e lei si volta di scatto. Vorrebbe urlare ma non le esce fuori niente, così si mette una mano sul petto e fa segno di aspettare.

“Molly”, dice semplicemente Sherlock, osservandola. “Respira” le raccomanda, ricordandole di calmare il battito.

“Sh-sherlock.” Dice finalmente lei, quasi accusandolo con lo sguardo “mi hai spaventata”.

“Non è colpa mia se sei troppo impegnata a contare dei mattoni per accorgerti di qualcuno che ti cammina dietro le spalle. E che tra l’altro ti si accosta, segno che probabilmente –anzi, sicuramente- è proprio diretto verso di te. Dovresti sempre avere uno spray nel cappotto, potresti evitare malintenzionati. Sono venuto a portarti questa.” Dice poi, alzando gli occhi al cielo e porgendole una busta. “Non chiedermi che cos’è, perché sono sicuro che il tuo brillante intuito potrebbe arrivarci anche da solo.” Molly è intenzionata a rispondere, si sente un po’ offesa. Ma poi vede che Sherlock sorride, ironico, e quindi lascia perdere. Anzi, accenna un sorriso anche lei.

“Grazie.” Risponde semplicemente, dopo un attimo di silenzio. Non immagina minimamente cosa sia,  quella busta. Pensa solo al fatto che non sa mai cosa dirgli e come dirglielo. Crede che lui alle volte pensi sia un po’ tarda.

“Ringrazi troppo, Molly Hooper. E soprattutto” dice l’uomo, posandole una mano poco più in alto del polso –e Molly non può far altro che pensare al fatto che la sua mano sia fredda, e Molly non può far altro che pensare al fatto che la sua mano abbia trovato proprio il frammento di pelle scoperto, al di sopra del guanto e al di sotto del cappotto- “Ti scusi troppo.”

Molly lo guarda, così vicino, e non riesce a fare altro. Forse batte le palpebre o forse annuisce o forse ancora apre la bocca per dire qualcosa. Ma il momento passa in fretta, e Sherlock le sussurra all’orecchio: “Nella busta c’è un pezzo di torta da parte di Mary. Non capisco perché tu non sia restata alla festa, dato che il tuo turno inizia alle sei di domani mattina e non tra quattro ore. Prendi un taxi.” Si allontana un po’, l’espressione del volto imperturbabile. Si volta e si dirige verso casa. Alza la mano in segno di saluto mentre è di schiena.

Molly sorride. Si guarda intorno e continua a sorridere. Mentre chiama un taxi ha già deciso cosa fare. Questa volta senza ripensamenti.

 

 E’ un lunedì pomeriggio quando John si appresta a far visita a Sherlock e gli consegna alcune lettere che ha trovato nella cassetta della posta, esordendo con un “Perché c’è tanta puzza, qui dentro?” e ricevendo come risposta solo un gesto da parte dell’uomo che è intento a sperimentare non-si-sa-cosa.

“Sherlock, guardi mai nella cassetta della posta?”

“Lettere di fanatici.”

“E bollette.”

“Minuzie.”

John posa tutto sul tavolo e ci rinuncia. “Vedo se la signora Hudson ha bisogno di qualcosa.”

Sherlock lo lascia fare, distratto. Ma quando va in cucina a prendere un bicchiere d’acqua -deve essere assecondato solo quello che non può essere evitato-, lo sguardo gli si posa su una busta in particolare. Senza nome, senza data. Ma già si può evincere quale sia il suo contenuto, grazie al testo particolarmente calcato del mittente. Sherlock la apre, sorpreso. Rilegge, anche se non si era sbagliato:

 

 

 

 

Colui che è apparentemente solo è amato da tutti e non lo sa.

 

 



“Cosa leggi?” chiede John, entrando.

Sherlock ripiega lentamente il foglio in quattro e lo ripone con cura nella tasca della giacca:

“E’ così ovvio, John. Il piccolo grande segreto di Molly Hooper.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note (si fa per dire) dell’autrice: cercherò di essere estremamente breve e particolarmente concisa, anche se queste non sono proprio mie grandi –ahimè- abilità.

Non scrivo da anni. Probabilmente questo si sarà evinto già da una prima ed immediata lettura. Personaggi molto difficili da caratterizzare, situazioni molto difficili da descrivere, paura di essere troppo OC o troppo lontana dai temi di Sherlock hanno poi fatto sì che questo brevissimo lavoro venisse scritto, cancellato, riscritto e ricancellato circa una decina di volte. Quindi mi scuso, se la storia non fosse piaciuta o avesse varcato i limiti dell’impossibile. Forse un giorno avrò maggior pazienza di analizzare il tutto con molta calma e con maggiore attenzione.

Quello che in realtà era importante che vi dicessi è che non so precisamente quando questa one-shot potrebbe essere ambientata. Il personaggio di Tom (il fidanzato di Molly) non è stato per niente citato. Immaginate, quindi, che in un universo parallelo tutto ciò sia successo subito dopo il viaggio dei coniugi Watson, e che Molly abbia già lasciato chi dovere.

So di non essere stata chiara, so già di aver dato vita il cielo solo sa a quale creatura (Sherlock sembra essere stato partorito da un ibrido?), ma per ultima e non meno importante cosa volevo ringraziare tutte quelle fantastiche autrici che con i loro splendidi lavori mi hanno fatto tornare l’amore per la scrittura e per questa assurda quanto bellissima coppia. Davvero grazie, grazie, grazie. Grazie di tutto.

 

   
 
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