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Autore: LondonRiver16    19/01/2014    6 recensioni
- Ho f-freddo – bisbigliò il diciassettenne.
Adam rimase a guardarlo tremare solo per qualche secondo prima di levarsi i pantaloni e il maglione, ripiegarli sulla sedia della scrivania perché non si sgualcissero e alzare un lembo delle coperte che avvolgevano Tommy.
- Fammi posto, dai – lo incoraggiò, e quando il biondo si spostò il più possibile verso la parete s’infilò sotto con lui, stendendoglisi di fianco. - Sei abbastanza al caldo adesso? – chiese in un soffio, e in risposta ottenne un mugolio d’assenso.
(Legata a "I'm gonna make this place your home").
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam Lambert, Tommy Joe Ratliff
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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One-shot a cui ho deciso di dare vita sull’onda della nostalgia per “I’m gonna make this place your home”. Come potrete leggere, i fatti narrati hanno luogo qualche mese dopo la fine della storia principale.

Spero che ritrovare Adam e Tommy possa farvi piacere quanto ne ha fatto a me, quando ho cominciato a rimuginare su questa one-shot… qualche settimana fa, a pezzi per l’influenza ^^”

 

 

Disclaimer: i personaggi non mi appartengono, la storia è interamente fittizia e non è stata scritta a scopo di lucro.

 

La canzone da cui è stato tratto il titolo e che compare nella storia è She Keeps Me Warm (Mary Lambert) 

 

 

 

 

 

 

 

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Quel sabato Adam si permise di dormire un po’ più del solito, ben consapevole di avere ottimi motivi per non mettere piede fuori dal letto prima delle quattro del pomeriggio. La notte precedente aveva accettato di prestarsi a un paio d’ore di straordinari al Wreckage per coprire parte del turno di Kylie e quella sera non avrebbe dovuto lavorare, per cui era più che intenzionato a godersi il meritato riposo.

Alzatosi a quell’ora tarda del pomeriggio, andò a lavarsi e indugiò a lungo sotto il getto bollente della doccia, crogiolandosi nella propria indolenza. Con il gelo che aveva assalito la città in quegli ultimi giorni di dicembre l’acqua calda dopo un buon sonno ristoratore era qualcosa più di un lusso per il quale non avrebbe mai finito di ringraziare, era una vera e propria manna dal cielo.

Era appena uscito dai vapori del bagno, l’accappatoio addosso ancora slacciato e le mani intente ad asciugargli i capelli con l’aiuto di un asciugamano quando sentì la suoneria del proprio cellulare partire a tutto volume e si precipitò al tavolo della cucina, dove lo aveva lasciato. Si diede un secondo per controllare le indicazioni sul display e lesse il nome di Julie O’Reilly un attimo prima di accettare la chiamata e portarsi il congegno all’orecchio con una certa fretta. Provava tanta simpatia per quella donna che spesso si era ritrovato a pensare che a Tommy Joe non sarebbe potuta capitare una madre adottiva migliore.

- Sì, pronto?

- Adam – sospirò di sollievo la voce familiare della donna attraverso l’altoparlante dello smartphone. – Meno male che hai risposto.

- Mi avevi già cercato? Scusa, ma ero sotto la doccia.

- Oh no, scusami tu se ti disturbo nel tuo giorno libero – replicò lei con autentico dispiacere.

- Ma figurati – sorrise Adam. – Va tutto bene?

- In generale sì, ma ho un problema e ti chiamo proprio per questo.

Ignorando il velo d’imbarazzo percepibile nella sua voce Adam annuì, spostandosi accanto al lavello per caricare la macchina del caffè mentre ascoltava.

- Dimmi tutto.

- Be’, sai che Tommy si è ammalato qualche giorno fa, vero?

- Sì. Insomma, mi ha detto di avere qualche linea di febbre – confermò il ragazzo, ricordando la telefonata di un paio di giorni prima con la quale un Tommy abbacchiato e chiaramente raffreddato gli aveva comunicato che non avrebbero potuto trascorrere la serata assieme a causa di quel malanno di stagione.

- Quello fino a ieri mattina – lo corresse Julie con il tono preoccupato tipico di una madre. – Nel frattempo la febbre si è alzata molto, è da ieri che oscilla fra i trentotto e i trentanove e ne è venuta fuori un’influenza in piena regola. È molto raffreddato, ha forti vertigini e non mangia praticamente nulla.

- Oh, povero, mi dispiace – mormorò il ventunenne nel microfono, riflettendo su come fosse possibile nutrirsi meno di quanto Tommy faceva abitualmente, dato che da quando lo frequentava non aveva mai finito una porzione di niente, sushi escluso, e si era sempre limitato a piluccare qualcosa qua e là. – Posso fare qualcosa?

- In effetti sì. Vedi, non te lo chiederei in altri casi, ma il fatto è che Rick starà via fino a domani mattina per un corso d’aggiornamento obbligatorio e l’ospedale mi ha appena chiamata per degli straordinari, dato che con questo tempo gran parte del personale è bloccato in casa, per cui dovrò assentarmi per l’intera notte – spiegò Julie con rammarico, per poi abbassare un poco la voce, come per non farsi sentire da qualcun altro. – Tommy continua a dirmi di andare senza preoccuparmi, ma so che non starei affatto tranquilla sapendolo in casa da solo in queste condizioni, capisci, se gli servisse qualcosa o si sentisse male…

- Non aggiungere altro – la interruppe Adam a quel punto, avvicinandosi alla finestra per dare un’occhiata di sotto. – Parto subito. L’unico problema è che ci metterò un po’ più del solito, non so come sono messe le strade dopo la nevicata della scorsa notte. Puoi aspettarmi per un paio d’ore?

 - Senza dubbio – rispose la donna, grata. – Grazie mille, caro.

- Non è niente - ribadì il ragazzo con un sorriso. Non c’era sacrificio che non sarebbe stato disposto ad affrontare per Tommy e per chi lo aveva salvato. – Arrivo.

 

Gli ci vollero due ore e mezza per raggiungere la casa degli O’Reilly a Finchley, soprattutto perché la neve sulla strada, almeno una volta imboccata l’uscita che portava nel centro della cittadina per poi condurre in aperta campagna, non era stata sgombrata a dovere. Alla fine Adam fu costretto a lasciare la macchina all’inizio del viale disseminato di ghiaino e ancora completamente coperto dalla neve, fatta eccezione per le rare tracce di pneumatici lasciate dai pochi che si erano avventurati fuori casa quel giorno, e proseguire a piedi. Quando finalmente riuscì a conquistare la porta d’entrata della casa si ritrovò bagnato e congelato dalle ginocchia in giù per aver camminato per cinque minuti nella neve e suonò il campanello con la speranza che la stufa a legna nella cucina degli O’Reilly fosse accesa.

Aveva appena cominciato a correre sul posto nel tentativo di difendersi dal freddo intenso che gli stava penetrando nelle ossa quando il battente si aprì, rivelando Julie già vestita con il completo color acquamarina che era solita indossare al lavoro e con i capelli bruni raccolti in una coda alta, così che non le dessero fastidio.

Adam sorrise pacatamente ai suoi occhi, vivi e brillanti come al solito.

- Ciao, Juls – la salutò con il diminutivo che preferiva.

- Benarrivato! Entra, entra – ricambiò lei, ritirandosi dall’ingresso per fargli spazio, e quando Adam fu al riparo dal gelo richiuse l’uscio, rimanendo con le mani sui fianchi a osservarlo pulirsi le scarpe sull’apposito tappetino. - Com’è il traffico?

- Abbondante, ma almeno la tangenziale è pulita – commentò il ragazzo, togliendosi il cappotto e consegnandoglielo. – Grazie.

La donna fece una piccola smorfia preoccupata e Adam la associò alla doppia dose di stress alla quale era sottoposta in quelle ore. Non era da Julie non impegnarsi a fondo per far sì che ogni piccola cosa fosse perfetta, ma questo le succhiava via tanta di quell’energia che a volte era necessario costringerla a concedersi una giornata di assoluto riposo.

- Spero di riuscire ad arrivare all’ospedale in tempo per l’inizio del turno – sospirò, riponendo il paltò nell’armadio in entrata per poi rispondere con un sorriso allo sguardo apprensivo di Adam e fargli cenno di seguirla su per le scale. - Vieni, Tommy è di sopra.

La casa era silenziosa e non appena Julie lo lasciò sulla soglia della camera del figlio adottivo per andare a prendere la propria borsa Adam poté udire il respiro lento e un po’ strascicato del suo ragazzo. Capendo che stava sonnecchiando, entrò in punta di piedi e fu con cautela che si avvicinò al suo letto immerso nella penombra, ma non appena gli si accovacciò accanto Tommy dischiuse le palpebre e posò gli occhi lucenti su di lui, sforzandosi di emettere un suono comprensibile.

- Ad… ciao – bofonchiò, stirandosi un poco ma rimanendo ben al riparo sotto le coperte.

- Ciao, cucciolo – sussurrò allora il più grande con un sorriso, spostandogli un ciuffo di capelli biondi da davanti al viso. - Come ti senti?

- Un’ameba – replicò Tommy con voce resa roca dall’influenza, evidentemente provato. – Però non avresti dovuto disturbarti a venire, ce l’avrei fatta benissimo anche da solo.

- Ah, smettila di borbottare – lo riprese però Adam con dolcezza, carezzandogli una guancia rovente con il pollice e prendendolo un po’ in giro per sedare il suo orgoglio felino. - Sei ancora troppo piccolo per restare a casa da solo senza baby-sitter.

- Io scappo – intervenne Julie in quel momento, comparendo sulla porta con la borsa a tracolla. - Adam, se a Tommy viene fame in frigo c’è del brodo di pollo da scaldare. Mi sono presa la libertà di prepararti della pasta al forno, se ti venisse appetito puoi scaldare anche quella nel forno a microonde.

- Sei un angelo, Julie – la ringraziò il ragazzo, guardandola accorrere al letto di Tommy per un saluto veloce.

- A domani, tesoro – mormorò, baciandolo sulla tempia e allungandogli una carezza premurosa. - Cerca di riposare, d’accordo? E dai ascolto ad Adam.

- Mh-mh – assentì Tommy, accettando con docilità che la donna gli rimboccasse le coperte per quella che doveva essere la ventesima volta quel giorno prima di rivolgersi ad Adam.

- Ancora grazie infinite, caro. Non so come avrei fatto senza di te.

- Non ci pensare – replicò lui per rassicurarla.- E non stare in pena, penso io a lui.

Julie gli sorrise di rimando, dimostrandosi affettuosa con lui quanto lo era con il ragazzo che aveva effettivamente adottato, come suo solito. Dal momento in cui aveva saputo ciò che Adam aveva fatto per Tommy la donna aveva iniziato a considerarlo parte integrante della famiglia e quando dopo pochi giorni aveva avuto occasione d’invitarlo al pranzo della domenica e conoscerlo un po’ più a fondo la consapevolezza di aver adottato due ragazzi invece di uno non aveva fatto che rafforzarsi.

Adam l’accompagnò fin sul ciglio delle scale, poi la lasciò andare per non allontanarsi troppo da Tommy. La guardò indossare il cappotto, fare un ultimo cenno di saluto con la mano e scomparire dietro la porta, che venne chiusa a chiave con quattro mandate decise. Solo in quel momento, quando quella donna iperattiva fu uscita, nella casa calò il più assoluto silenzio, fatto salvo per il ticchettare dell’orologio a muro in soggiorno, e il ventunenne poté sentire la flebile voce di Tommy che lo chiamava dal letto.

- Ad.

- Ehi – rispose subito il maggiore, tornando ad accucciarsi vicino a lui. - Hai bisogno di qualcosa? Un po’ d’acqua?

Sapeva quanto sia importante bere molto e con una certa frequenza in caso di malattie virali, ma il diciassettenne scosse la testa piano e deglutì faticosamente prima di parlare.

- Prima, quando ho detto che non saresti dovuto venire… non l’ho detto perché non mi faccia piacere averti qui, anzi – bisbigliò con tono di scusa, cercando i suoi occhi. - È solo che volevo cavarmela da solo, per non disturbare anche te oltre a Julie e Rick.

- Lo so, amore, ma stai male. Sarebbe stupido negare che hai bisogno d’assistenza – lo tranquillizzò Adam, versandogli lo stesso un po’ d’acqua dalla brocca che stava sul comodino nel bicchiere vuoto posto accanto e mettendogli una mano dietro la nuca per alzarla con delicatezza e aiutarlo a buttare giù qualche sorso. - Perciò stai buono e lasciami fare l’infermiere, che come sai mi riesce abbastanza bene. D’accordo?

Tommy deglutì, prese un bel respiro e annuì con un mezzo sorriso che rincuorò il più grande. Conoscendo il biondo e in special modo la sua testardaggine sapeva che la sua collaborazione sarebbe stata fondamentale per aiutarlo a superare la notte senza innervosirsi.

- Quando hai misurato la febbre l’ultima volta? – chiese quindi, allarmato per il calore che sentiva emanare dal volto del diciassettenne, l’unico punto del suo corpo lasciato libero dall’ammontare di coltri.

- Un paio d’ore fa, credo – rispose piano Tommy dopo un breve calcolo. - Più o meno quando Julie ti ha chiamato. Era a trentotto e mezzo.

- Vediamo come sei messo adesso, d’accordo?

Prese il termometro abbandonato sul comodino, lo resettò e aiutò il ragazzo a sistemarselo sotto l’ascella, infilandogli con serenità la mano piacevolmente calda nella maglia del pigiama e approfittandone per lasciare una carezza di conforto sul suo torace, guadagnandosi così un altro piccolo sorriso grato. Era così debole e pallido che Adam avrebbe tanto voluto affrontare quell’influenza al posto suo, pur di liberarlo di quel peso. Tommy era molto più gracile di lui ed era quel tipo di persona che anche solo poche linee di febbre costringevano a letto senza forze, per cui poteva solo immaginare come si sentisse vedendosela con quel febbrone da cavallo.

- Trentotto e otto – annunciò il più grande con una smorfia dopo aver ritirato il termometro squillante. Sapeva che alla sera la temperatura tende a salire, ma avrebbe preferito evitare di ritrovarsi a dover gestire una febbre oltre i trentanove gradi quando entrambi i medici che abitavano in casa erano fuori per lavoro. - Se riuscissi a mangiare qualcosa potrei darti una tachipirina per farla abbassare un po’. Non hai neanche un po’ di appetito? Io un po’ di quella pasta al forno me la mangerei volentieri.

- Un po’ di fame ce l’ho – ammise l’altro, guardandolo con un desiderio implicito che gli scintillava negli occhi, in fervida attesa di essere svelato. - Però se vedo un altro piatto di quel brodo di pollo non so se resisterò all’impulso di scaraventarlo fuori dalla finestra.

Adam gli sorrise come a un bambino troppo furbo per non suscitare simpatia. - Cosa mangeresti volentieri, allora?

- Uova.

La risposta era arrivata senza il minimo accenno di esitazione e nonostante il ventunenne fu sul punto di obiettare che forse sarebbe stato meglio qualcosa di meno pesante per il suo stomaco debilitato, alla fine cedette a quegli occhioni e al suo desiderio di farlo sentire bene.

- D’accordo, uova. In camicia? – propose, ricordando che in quel modo le avrebbe rese il più leggere possibile e che Tommy adorava le sue uova in camicia, una delle poche pietanze che sapeva preparare veramente bene.

Infatti il diciassettenne annuì con un certo fervore, facendolo ridere.

- Qualcos’altro?

Il più piccolo fece finta di riflettere prima di azzardare: - Pane tostato?

- Ai suoi ordini, mio principe – accettò allora Adam, rimettendosi in piedi e baciandolo sulla fronte calda. - Aspettami qui, torno con i piatti. E se hai bisogno di qualsiasi cosa chiama, d’accordo? Tengo le porte aperte e rimango a portata d’orecchio.

- Va bene – bisbigliò il ragazzo, accogliendo con piacere le sue premure. - Grazie.

Lo lasciò a letto tranquillo e trottò giù dalle scale come uno di casa. Aveva già cucinato dagli O’Reilly, anche se era stato in occasione di pranzi o cene a preparare le quali aveva aiutato Julie o Rick a seconda dei piatti, perciò non dovette cercare a lungo prima di trovare tutto ciò che gli serviva. Una pentola che riempì d’acqua e mise sul gas, un mestolo di legno, dell’aceto, le uova, il tostapane nel quale infilò due fette di quello in cassetta che Tommy mangiava spesso a colazione, anche a casa sua, con il miele d’acacia…

Mentre aspettava che l’acqua iniziasse a bollire, tirò fuori una porzione abbondante di pasta al forno dal frigo e la mise da parte, sapendo che con il microonde sarebbero bastati pochi secondi per farla rinascere, calda e fragrante. Stava versando l’aceto di vino bianco nell’acqua fumante quando sentì quel colpo, subito seguito dal fracasso di cocci infranti.

- Tommy! – urlò non appena si rese conto che i rumori venivano dal piano di sopra.

Non seppe mai come ebbe il buonsenso di spegnere il gas e staccare il tostapane prima di mettersi a correre, fatto sta che in poco più di cinque secondi fu al piano di sopra, sulla soglia del bagno che veniva usato quasi esclusivamente da Tommy e dagli ospiti, visto che Julie e Rick ne avevano a disposizione uno che comunicava direttamente con la loro camera da letto.

- Oddio, Tommy!

Ebbe solo una visione fugace della luce accesa, del portascopino in ceramica spaccato in due accanto alla testa del ragazzo, del corpo del diciassettenne abbandonato sul pavimento, immobile, prima di precipitarsi in ginocchio accanto a lui e sollevarlo con estrema cautela in modo da fargli poggiare la testa sul proprio grembo, mentre in cuor suo pregava ogni dio possibile ed immaginabile che gli permettesse di rivedere il nocciola scuro dei suoi occhi.

- Sveglia, TJ. Apri gli occhi, ti prego…

Strinse i denti per impedirsi di andare nel panico, lasciò un attimo la presa sulle sue gote e allungò le mani fino al bidet per bagnarsele con dell’acqua fredda prima di tornare a concentrarsi su di lui. Con il cuore che batteva a mille e l’ansia che gli faceva vivere ogni secondo come se si trattasse di un’ora gli passò la mano sinistra sulla fronte con la speranza che il freddo lo aiutasse e allo stesso tempo gli diede qualche schiaffetto leggero sulla guancia.

- Svegliati, Tommy. Svegliati, apri gli occhi… Dai, Tommy!

Forse fu l’acqua gelida, forse fu il singulto che uscì dalla gola di Adam assieme a quell’ultimo, disperato tentativo di farlo rinvenire, ma ad ogni modo dopo quasi un minuto di immobilità il diciassettenne socchiuse le palpebre e rendendosi conto di dove si trovava si guardò attorno spaesato. Poi, sentendo delle dita calde accarezzargli il viso e qualcuno boccheggiare sopra la sua testa, alzò lo sguardo fino a incrociare quello di Adam, che si sentì rinascere di colpo e l’angoscia che gli aveva arpionato il petto volatilizzarsi.

- A-Ad – rantolò il ragazzo steso a terra, riprendendo a guardarsi in giro. - Che… che è successo?

- Sei svenuto. Hai perso i sensi per qualche secondo – replicò il maggiore, dissimulando il tremore della voce al meglio delle proprie possibilità. - Dio, che colpo. Mi hai fatto prendere un tale spavento… hai battuto la testa? Fammi vedere.

Dopo che il suo cuore si fu convinto di non averlo perso per uno stupido incidente domestico, il suo pensiero corse al portascopino di ceramica i cui resti giacevano a pochi centimetri dall’orecchio di Tommy. Doveva per forza averlo colpito con la nuca, data la posizione dell’oggetto, eppure esaminandola il ventiduenne non vi trovò nessun taglio e per una fortuna sfacciata lo stesso valeva per il collo e i lati della testa.

- Ti fa male se tocco qui? – insistette, tastandogli la nuca in vari punti prima di cedere alle sue insistenze e dargli una mano a mettersi perlomeno seduto.

- N-no… sto bene, non mi sono fatto niente.

Solo allora Adam sentì ogni goccia di paura scivolargli via dal corpo come un veleno intossicante, subito sostituita da un accesso di collera che non poté fare a meno di sfogare su Tommy, per quanto ingrate fossero le sue condizioni.

- Si può sapere cosa ti è saltato in testa di venire fin qui da solo? – lo aggredì, severo.

- Dovevo andare in bagno…

- Ti avevo detto di chiamarmi per qualsiasi cosa! – perseverò nel redarguirlo con più durezza del necessario, scrollandolo per un braccio prima di riuscire a trattenersi. - Lo capisci o no che mi hai fatto morire di paura?

Al che il biondo lo guardò impaurito prima di chinare lo sguardo a terra. - Io… scusami.

Solamente notando i suoi occhi sfuggenti Adam si rese conto di aver esagerato e prese un respiro profondo per calmarsi prima di sospirare e tendere una mano verso il suo viso, che alzò con una semplice carezza sotto il mento, così da ottenere che Tommy tornasse a guardarlo negli occhi e capisse che era tutto a posto, che era stato solo uno sfogo ed era passato, che il più grande era di nuovo padrone di se stesso.

- Mi dispiace di aver alzato la voce – soffiò appena. - Ti riporto a letto, okay?

Tommy non oppose resistenza quando Adam gli incastrò un braccio sotto le ascelle e gli infilò l’altro sotto l’incavo delle ginocchia per poterlo sollevare da terra. Data l’innegabile superiorità fisica di Adam, trasportare il diciassettenne fin dentro la sua stanza per adagiarlo nuovamente sul letto non comportò troppo sforzo e se una volta giunto a destinazione il maggiore si ritrovò col fiato corto fu per la maggior parte colpa dello spavento da cui non si era ancora completamente ripreso.

Non aveva idea di come avrebbe affrontato la chiamata al 911 nel caso Tommy non avesse risposto ai suoi richiami, non aveva idea di come l’avrebbe detto a Julie e Rick, non aveva idea di come avrebbe potuto sopravvivere al senso di soffocamento della sala d’attesa di un ospedale. Né voleva spendere un secondo di più a pensarci.

Stava per risistemargli le coperte sopra quando un’idea improvvisa lo fece fermare.

- Hai ancora fame? – chiese, illuminato, e Tommy lo guardò negli occhi per un paio di secondi prima di rispondere, come se non credesse possibile che la rabbia gli fosse già passata dal tutto.

- Più di prima – confessò a mezza voce.

- Allora facciamo una cosa – propose un secondo prima di cominciare ad avvolgerlo scrupolosamente nel piumone che stava in cima al cumulo di coperte. Si accertò di averlo infagottato per bene, quindi lo prese di nuovo fra le braccia e rispose al suo sguardo interrogativo con un sorriso scaltro. - Almeno così potrò tenerti d’occhio.

Prestando particolare attenzione agli spigoli, tornò sul corridoio e cominciò a scendere gli scalini uno alla volta, rafforzando la presa attorno alle braccia e alle gambe di Tommy per non correre alcun rischio di farlo cadere.

- Non dovresti… peso troppo… - tentò di dissuaderlo il ragazzo, troppo debole per inventarsi altro.

- Tu che pesi troppo! Mai sentita una stronzata più stronzata di questa! Ti sei beccato proprio una gran brutta influenza, micetto – rise Adam, piegando un poco le ginocchia quando arrivò a metà della scala, per non fargli battere la testa. - Non capisco perché opponi tanta resistenza. Se non ti lasci viziare quando sei malato, allora quando?

Si chinò un poco per poterlo baciare sulla punta del naso, strappandogli così un altro sorriso e invogliandolo a rilassarsi e a posare la testa sul suo petto.

- Bè, se la pensi così credo che seguirò il tuo consiglio.

Una volta fatto sedere Tommy al tavolo della cucina, dove i membri della famiglia erano soliti consumare la colazione e i pasti in solitaria, ed essersi assicurato che le vertigini non gli impedissero di stare sulla sedia, Adam tornò ai fornelli, riaccese il gas, riprese a scaldare il pane e non appena ebbe fatto scivolare le uova di Tommy nella pentola colma d’acqua mise a scaldare anche il proprio piatto di pasta al forno. Quando fu tutto pronto mise due fette di pane tostato su un piatto, vi fece rotolare sopra le uova in camicia e aggiunse un pizzico di pepe un attimo prima di portare il tutto al diciassettenne, che prese la forchetta, ruppe una delle uova e lasciò che il tuorlo ancora liquido scendesse sul pane fragrante, imbevendolo tutto.

- Buono? – chiese Adam mentre gli si sedeva di fronte con la propria cena davanti, vedendolo masticare con più voracità di quella che si sarebbe aspettato non solo da qualsiasi persona con quasi trentanove di febbre, ma da Tommy in particolare.

- Ottimo – farfugliò il biondo senza smettere d’ingozzarsi. - Anche col raffreddore.

- Sono contento. Finisci tutto, eh? Hai bisogno di energie.

- Sì, papà – lo canzonò allora l’altro, sorridendogli scaltro mentre si portava l’ennesimo boccone alle labbra.

- Ehi, non scherziamo – si raddrizzò subito il moro, e senza riuscire a nascondere un sorriso che rispecchiava quello del più piccolo lo minacciò con la forchetta. – Aspetta solo di guarire e riprenderò ad approfittarmi di te.

Tommy fu costretto a soffocare la sua risatina nella mano per non sputacchiare uova ovunque. - Non vedo l’ora.

- Oh, allora stai già molto meglio!

Una volta finito di mangiare lo portò fino in salotto e lo lasciò libero di sdraiarsi nella posizione che preferiva sul divano mentre lui si dirigeva alla teca di vetro che gli O’Reilly tenevano accanto alla televisione e che conteneva tutti i DVD in possesso della famiglia. Da quando Tommy era arrivato in quella casa il numero degli astucci di plastica era aumentato considerevolmente e ora, oltre a una decina di concerti live, fra le serie tv di Julie e i documentari sul Pacifico di Rick si potevano distinguere chiaramente anche i titoli dei film che Tommy guardava più volentieri in quell’ultimo periodo.

- Allora – ponderò Adam, estraendo tre custodie dopo una scelta meticolosa che scartò all’istante tutti i titoli horror della lista. - Leonardo Di Caprio, Heath Ledger e Jake Gyllenhaal o Johnny Depp? – chiese, sventolando i DVD di “Titanic”, “Brokeback Mountain” e “Chocolat” in direzione del ragazzo.

- Mh… - rifletté Tommy, aguzzando la vista come se non conoscesse già ogni minimo particolare di quelle copertine, per poi esclamare con un sorrisetto accorto: - Heath e Jake!

Adam si concesse una smorfia di apprezzamento per la scelta e si chinò per accendere la televisione e mettersi a discutere con il ronzio del lettore DVD.

- Chissà perché c’avrei scommesso – commentò infilando il disco di “Brokeback Mountain” nell’apposita feritoia, per poi tornare da Tommy per coprirlo meglio con il piumone spiegazzato e scompigliargli affettuosamente i capelli biondi. - Canaglia!

Lo lasciò lì a sbrogliarsela con il telecomando e i suoi sex symbol cinematografici preferiti e tornò in cucina per lavare i piatti e mettere a posto mentre le poche note solitarie del quieto inizio di “Brokeback Mountain” accompagnavano i suoi passi. Quando ebbe finito di ripulire e lo raggiunse sul divano con la sua dose di tachipirina già sciolta in un bicchier d’acqua, sullo schermo del televisore Ennis e Jack parlavano di rodei e parenti attorno al fuoco da campo. Nonostante lo avesse guardato almeno una quindicina di volte Tommy era così rapito dalla pellicola che Adam riuscì a malapena a ricavarsi un posticino per sedersi, spostando il più piccolo in modo da fargli appoggiare la guancia sulle sue gambe invece che sul bracciolo del divano.

Non si mossero per tutta la durata della proiezione, escluso quando Adam sentì Tommy agitarsi un poco e sistemarsi meglio sulla sua coscia nei pochi secondi dedicati alla scena della tenda. Sorrise nel buio, ma si sforzò di non guardarlo per non metterlo in imbarazzo, ricordando l’ultima volta che avevano guardato quel film assieme.

Quando alla fine arrivarono i titoli di coda, Adam allungò una mano ad accarezzare il viso addormentato di Tommy e sospirò trovandolo caldo e ricoperto da un leggero velo di sudore, quindi si alzò piano per non fargli sbattere la testa e lo prese in braccio con tutta la delicatezza che possedeva, anche se evidentemente non abbastanza da non destarlo.

- Mh… che fai? – mugugnò infatti il ragazzo a occhi chiusi, accorgendosi dello spostamento.

- Ti porto a letto, stai tremando come una foglia.

Risalire le scale portando Tommy di peso e con tutta la stanchezza della giornata addosso costò ad Adam più impegno di quanto non ne avesse richiesto portarlo in cucina e qua e là per il piano terra, ma dopo aver stretto i denti per quel minuto il maggiore riuscì a farlo coricare di nuovo nel suo letto. Lo coprì per bene con tutte le trapunte a disposizione e aggiunse anche il piumone senza pensarci due volte quando notò che il ragazzo continuava a battere i denti, quindi fece un salto in bagno per bagnare una pezza con dell’acqua fredda e tornare a posarla sulla fronte scottante di Tommy.

- Ho f-freddo – bisbigliò il diciassettenne un attimo dopo, tenendo gli occhi chiusi ma aggrottando la fronte.

Adam rimase a guardarlo tremare solo per qualche secondo prima di levarsi i pantaloni e il maglione, ripiegarli sulla sedia della scrivania perché non si sgualcissero e alzare un lembo delle coperte che avvolgevano Tommy, deciso a che smettesse di patire il freddo.

- Fammi posto, dai – lo incoraggiò, e quando il biondo si spostò il più possibile verso la parete s’infilò sotto con lui, stendendoglisi di fianco.

Sentendo il corpo di Tommy rilassarsi immediatamente a contatto con il suo, che non aveva addosso altro che una canottiera e i boxer, Adam si sentì autorizzato a circondargli il busto con le braccia, facendo aderire il proprio torace alla sua schiena e lasciandogli infilare una gamba fra le sue senz’altra malizia oltre a quella legata al bisogno di sentirlo vicino.

- Sei abbastanza al caldo adesso? – chiese in un soffio, ottenendo un mugolio d’assenso in risposta.

Erano abbracciati sotto le coperte da qualche minuto in religioso silenzio, tanto che Adam pensava che Tommy fosse sul punto di cedere definitivamente all’invito del sonno, quando la voce afona del più piccolo gli sfiorò le orecchie.

- Ad? – fu il mormorio. - Mi canti qualcosa?

Adam sorrise nel buio e fra i suoi capelli. Anche quella era una fissa dell’ultimo mese, così come “Brokeback Mountain”, ma a lui non costava nulla esaudire i desideri del più giovane. Non conosceva le potenzialità della propria voce, ma era felice semplicemente sapendo che il suo canto era in grado di divertire e confortare Tommy, così non si fece pregare e scelse una melodia che potesse conciliargli il sonno.

 

He says I smell like safety and home

I named both of his eyes “Forever” and “Please don’t go”

I could be a morning sunrise all the time, all the time yeah

This could be good, this could be good

And I can’t change, even if I tried

Even if I wanted to

My love, my love, my love, my love

He keeps me warm, he keeps me warm

Can I call you baby?

He says that people stare ‘cause we look so good together

And I can’t change, even if I tried

Even if I wanted to

My love, my love, my love, my love

He keeps me warm, he keeps me warm…

 

La prima faccia che Adam intravide la mattina dopo, quando si svegliò e si trovò inondato dalla luce riflessa dalla fitta coltre di neve che ricopriva il giardino della casa e i campi tutt’attorno, fu quella di Rick. A quanto pareva il padre adottivo di Tommy era appena tornato a casa dal corso di aggiornamento ed era entrato in punta di piedi per non disturbare il loro sonno, o almeno per non svegliare il più giovane dei due.

Rendendosi conto che Adam si era svegliato gli fece cenno di non fare rumore premendosi un indice sulle labbra, quindi la sua mano lo superò per andare a tastare la fronte di Tommy, che dormiva in pace, supino e con le labbra socchiuse, e non diede segno di accorgersi di nulla. Poi, annuendo, Rick ritirò la mano e invitò Adam a seguirlo fuori dalla stanza con un cenno del capo, ricordandogli di fare piano con uno sguardo eloquente.

Rick cercò di non metterlo a disagio e uscì dalla camera non appena si accorse che Adam indossava solamente l’intimo, ma il ventunenne non poté fare a meno di arrossire lo stesso fino alla punta dei capelli. Dopotutto si era appena fatto beccare in mutande nel letto di Tommy dal padre dell’interessato.

- Pare che la tua compagnia gli abbia fatto bene – esordì Rick mentre lo precedeva giù per le scale. - La febbre è scesa.

- Oh, bene – tossicchiò Adam, accostando con cautela la porta della stanza del diciassettenne e seguendo Rick in cucina, dove l’uomo lo invitò ad accomodarsi e gli mostrò una caffettiera piena e fumante.

- Caffè?

- Sì, per favore.

Rick gli allungò la sua tazza e ne riempì una anche per sé prima di sederglisi accanto e porgergli anche una ciotola ricolma di biscotti alle nocciole.

- Grazie di essere accorso, ieri sera – gli disse per spezzare il silenzio, infilandosene uno in bocca. - Julie mi ha detto che hai rinunciato alla tua serata libera per venire fin qui a occuparti di Tommy. È stato molto gentile da parte tua.

- L’ho fatto volentieri. Sto sempre volentieri con Tommy – ribatté Adam in piena sincerità, sorbendo un sorso di caffè e accettando un biscotto prima di inumidirsi le labbra appena ustionate e affrontare subito la questione che non voleva trascinarsi dietro per ore o addirittura giorni interi. - E a proposito, Rick… mi sono infilato nel suo letto per scaldarlo. Solo per scaldarlo, hai la mia parola.

Il fatto che il medico non rispose subito allarmò il ragazzo, che alzò subito lo sguardo su di lui e lasciò che i suoi occhi chiari e sereni sciogliessero il nodo che gli si era appena formato all’altezza dello stomaco.

- Adam – cominciò con tono paterno, mettendogli una mano sulla spalla e stringendola appena. - Io e Julie ci fidiamo di te. Eri con lui da prima che arrivassimo noi, gli sei vicino più di chiunque altro ed è abbastanza ovvio che gli vuoi bene quanto lui ne vuole a te.

Il ventunenne sorrise alla sua tazza di caffè, lasciandosi tranquillizzare senza opporre alcuna resistenza. Per lui avere l’approvazione dei genitori adottivi di Tommy, persone che stimava e che non avrebbe mai finito di ringraziare per essere diventati una famiglia meravigliosa sia per lui che per il suo ragazzo, non era solo una formalità, ma una necessità vera e propria.

- In più entrambi sappiamo quanto sei responsabile. Sappiamo che non faresti niente di sconveniente in questa casa senza permesso e dimmi come tu e Tommy avreste potuto combinare qualcosa la scorsa notte, con lui in quelle condizioni! – gli fece notare Rick, per poi alzarsi da tavola e andare a frugare nella propria borsa da lavoro, in cerca di qualcosa. - Ma sai, non sono ancora così vecchio da non ricordare quanto siano urgenti certi bisogni quando si è ragazzi. Perciò, visto il numero di notti che passate assieme nel tuo appartamento, ho fatto un salto a prendervi questi.

Da un momento all’altro, senza preavviso, Adam vide un pacchetto di preservativi atterrare sul tavolo accanto alla sua tazza e incitato da Rick li prese, ma finì col diventare di nuovo di una gradazione molto vicina al porpora.

- Rick, noi…

- So che li usate già, ma non credo sia giusto che ti accolli tu tutte le spese. Dopotutto siete in due in questa relazione e anche se Tommy non ha ancora uno stipendio ha un padre che può provvedere – lo bloccò Rick, tanto a suo agio da suscitare l’invidia del ragazzo, che comunque non riuscì a guardarlo in faccia quando l’uomo tornò a sederglisi accanto.

- Okay, sono… sono un po’ imbarazzato in questo momento, ma ti ringrazio del pensiero – si costrinse a dire, alzando un attimo il pacchetto di contraccettivi.

Forse se lo sarebbe dovuto aspettare, ma per un motivo o per l’altro non si era preparato a quel discorso padre-figlio. Probabilmente perché aveva creduto e sperato che Rick destinasse quella piccola tortura solamente a Tommy, ma a quanto pareva aveva osato troppo. D’altronde si sentì in dovere di ringraziare il destino che Rick avesse affrontato la faccenda con tanta spavalderia e non puntandogli un fucile alla tempia, come facevano certi padri ultra-protettivi nei confronti della propria progenie.

- Scusami, è colpa mia, non volevo metterti a disagio – chiese addirittura perdono l’uomo, mollandogli una pacca sulla schiena. - Tutto quello che volevo dire è: divertitevi responsabilmente.

Adam si schiarì la voce, cercando di allontanare quel calore improvviso al volto. - Sarà fatto.

- Ad?

Quella voce sembrava arrivata apposta per toglierlo dall’impiccio e non appena il ventunenne alzò lo sguardo per riconoscere la figura del proprio ragazzo sulla soglia il cuore gli si gonfiò di sollievo e preoccupazione al tempo stesso.

- Tommy! – esclamò, scattando in piedi e verso di lui per correre a sorreggerlo in caso di bisogno. Sembrava provato dall’essere riuscito ad arrivare fin lì, e infatti sfoggiava un sorrisetto orgoglioso. - Quante volte devo ripeterti che non devi alzarti dal letto da solo con queste vertigini?

Adam evitò di accennare a quello che era successo la sera prima in bagno per non attirare eventuali rimproveri da parte di Rick, ma non risparmiò al biondo un’occhiata inquieta.

- Ma sto bene – insistette il diciassettenne, stringendosi nel piumone. - Oh, ciao, Rick.

- Ben svegliato, biondo – sorrise l’uomo, bonario. - Come stai stamattina?

- Meglio. Non ho più le vertigini, però ho un gran freddo – rispose Tommy accennando un sorriso, per poi rivolgere uno sguardo che sfiorava la supplica ad Adam. - Verresti… verresti un altro po’ a letto con me?

Come resistere a quegli occhioni? Adam deglutì e lanciò un’occhiata a Rick.

- Se posso.

- Andate, andate – li licenziò l’uomo, sventolando una mano nella loro direzione mentre si versava un’altra importante dose di caffeina. - Sonnecchiate pure un’altra oretta. Aspettiamo Julie e poi facciamo colazione tutti assieme con i miei inimitabili pancakes.

Felice come una Pasqua, Tommy si fece accompagnare da Adam al piano di sopra, ma rifiutò di essere trasportato in braccio di nuovo e insistette invece per venire aiutato a tenersi in piedi mentre camminava da solo, ancora parzialmente succube della stanchezza dovuta all’influenza.

Una volta che furono a letto, il più giovane tirò Adam sotto le coperte assieme a lui e quando il più grande lo abbracciò come la notte prima Tommy si voltò e avvicinò il viso al suo, sorridendo malizioso.

- Baciami – ordinò, scoppiando a ridere quando Adam assunse un’espressione stupita e fece per obiettare. - Baciami, scemo. L’influenza l’hai già fatta e io ho una voglia matta di quelle labbra.

Adam considerò quelle labbra schiuse e maledettamente invitanti, la porta della camera che avevano lasciato aperta – era quella la regola in casa – e poi tornò a fissare la bocca di Tommy.

- Ah, ‘fanculo – decretò, addossando il corpo del ragazzo al proprio con uno strattone impaziente, così da avere quelle labbra a due centimetri dalle proprie.

Tommy rise e lo baciò per primo. Adam si perse un attimo a sondare l’interno della sua bocca, quindi prese una pausa per coprire la testa di entrambi con il piumone e tornò all’opera da sotto le lenzuola.

- Uh, signor Lambert, quanta audacia – commentò Tommy, ridendo sotto di lui e mettendogli le mani sul torace. – Rick è di sotto, ricordi?

- Non importa – lo zittì Adam, mostrando i denti in un sogghigno che ben preannunciava come intendeva giocare con quel bel collo candido. - Abbiamo il permesso di divertirci responsabilmente.

Riprese a baciarlo, stavolta con più trasporto, sentendo che stava meglio e che anche se avesse finito per stancarlo i benefici apportati dal suo affetto sarebbero comunque stati di notevole aiuto alla sua guarigione. Tommy, d’altra parte, non oppose la benché minima resistenza.

E mentre quei due si divertivano sotto le coperte, la neve fuori dalla finestra riprese a scendere.

 

 


FINE

 

 

 


 

 

 




 

 

 

HOLA, CHICAS, siete arrivate fino in fondo? Bravissime!

Come sempre vi chiedo il grande favore di lasciare un segno del vostro passaggio per farmi sapere cosa pensate di questo ennesimo sclero della settimana… e basta, vi voglio bene se avete letto fin qui <3

Un bacio e a presto, polpettine! ^-^

 

 

 


 

   
 
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