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Autore: Summer_92    21/01/2014    0 recensioni
Katniss Everdeen, Panem dopo la fine della rivolta, e una situazione che nemmeno lei riesce a spiegarsi fino in fondo. La rivoluzione delle Ghiandaia Imitatrice non è bastata per rompere il suo legame con l'arena degli Hunger Games.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Primrose Everdeen, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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        Aprii gli occhi, e sopra di me vidi le foglie degli alberi che ondeggiavano al lieve soffiare del vento, producendo quel fruscio che mi faceva sempre sentire a casa. Sotto di me l'erba era morbida, fresca, umida di rugiada dopo la notte che stava per lasciare spazio ad un nuovo giorno. Il sole non era ancora sorto, ma un lieve chiarore iniziava ad intravedersi in cielo. A fianco a me, era disteso Gale. Non parlavamo, non ne avevamo mai avuto bisogno. Lui sapeva tutto ciò che pensavo, e io riuscivo a percepire ogni sua preoccupazione. La rivoluzione era finita da qualche mese, e lui era tornato al Distretto 12 (o meglio, a ciò che ne rimaneva) da soli 4 giorni. Non avevamo ancora parlato di tutto ciò che ci era successo; personalmente non ero pronta ad affrontare l'argomento. Non avrei saputo da dove iniziare, erano troppe le cose che avrei voluto dire, chiarire, e così tante le cose che non volevo sapere. Ma sapevo che prima o poi avremmo dovuto affrontare la realtà. Negli ultimi mesi mi ero legata sempre di più a Peeta, che ogni tanto faceva ancora qualche difficoltà a fidarsi ciecamente di me, ma si stava impegnando per far funzionare le cose. Ora il ritorno di Gale rischiava di sconvolgere il delicato equilibrio che a stento avevo trovato nella mia vita.
        Dopo la morte di mia sorella, che ancora mi tormentava negli incubi e che ancora mi rifiutavo di accettare, non ero in grado di portare avanti nessuna relazione umana degna di questo nome. Non riuscivo ancora a credere che fosse accaduto davvero. Mi sentivo come dentro ad un terribile incubo, dal quale speravo mi sarei svegliata da un momento all'altro... Invece il risveglio non arrivava mai. La mia vita era un limbo, un oblio, un buio impenetrabile, la cui unica luce era rappresentata dall'amore che Peeta mi dimostrava. Capitava che delle crisi mi cogliessero del tutto impreparata, rendendomi un essere umano completamente inutile per giorni interi. In quei momenti, tutto intorno a me perdeva consistenza, e riuscivo solo a vedere il viso di Prim avvolto dalle fiamme, e la voce di mia madre in lacrime, che urla il suo nome, implorandomi di salvarla. E gli occhi di Prim continuano a fissarmi, fino alla fine.. E io non ero capace di reagire. Curioso che proprio la Ragazza di Fuoco, colei che ha acceso la scintilla della rivoluzione che ha portato alla liberazione di Panem, abbia trovato nel fuoco la distruzione di tutto ciò che aveva di più caro. Un fuoco che lei non aveva mai chiamato, non aveva mai voluto, ma che altri le hanno imposto. Ora Panem era libera, ma io sarei stata per sempre prigioniera di me stessa, dei miei rimpianti, dei miei incubi. Una parte di me, quella più forte, era andata in frantumi sotto il fuoco delle bombe-paracadute. No, decisamente non avrei ritirato fuori quell'argomento con Gale, non l'avrei retto.
        Mi alzai, con l'intenzione di tornare al Villaggio: di li a qualche minuto Peeta si sarebbe alzato per iniziare ad infornare il pane, e io avevo davvero bisogno di stare con lui. Non appena fui in piedi, anche Gale si alzò, fissandomi. Non mi staccava gli occhi di dosso, le pupille fisse nelle mie. Si aspettava che dicessi qualcosa, questo era chiaro, ma non l'avrei accontentato. Speravo che avrebbe capito. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì ad iniziare la frase: il fischio di una Ghiandaia Imitatrice lo interruppe. Un fischio acuto e prolungato, mentre tutti gli altri uccelli avevano smesso di cantare. Persino il vento si era fermato. Guardai in alto, nel cielo, proprio mentre la vista si stava annebbiando e io sentivo il terreno scomparirmi sotto i piedi. L'ultima cosa che vidi fu Gale che diventava piccolo sotto di me, mentre le sue labbra si muovevano articolando parole che io non riuscivo a cogliere. Poi fu il buio totale.

        Quando mi risvegliai, mi ci volle un po' per capire dove mi trovassi: mi sembrava di aver fatto un tuffo indietro nel tempo. Effie Trinket era al mio fianco, frizzante come sempre, e sbirciava trepidante ciò che si nascondeva dietro ad un sipario di pesante velluto nero. Appena mi mossi, si girò verso di me, correndomi incontro. Indossava un improbabile tubino giallo canarino, abbinato a vertiginose scarpe tacco 20 color verde mela, in tinta con la parrucca di voluminosissimi ricci e con il rossetto. Non sapevo se la sua immagine mi ricordasse più una banana acerba o una pianta di limoni. Di certo nella mia vita non avevo visto spesso né le une né gli altri.
- Eccoti qui mia cara. Sei uno splendore - mi disse - Ora vai e dai il meglio di te! La folla ti adorerà! - aggiunse, giusto un attimo prima di spingermi dall'altra parte del sipario nero. Fu un miracolo se non mi inciampai: mi resi conto in quel momento che anche io stavo indossando un paio di scarpe con il tacco. Erano rosse, di una finitura opaca. La forma del tacco ricordava una lingua di fuoco, con sfumature gialle e arancioni che si estendevano fino alla caviglia. Ebbi qualche secondo di tempo per guardarmi attorno, e mi vidi inquadrata nello schermo televisivo: indossavo un magnifico vestito rosso come le scarpe, monospalla e con uno strascico laterale, che mi lasciava scoperta la spalla destra e quasi tutta la gamba sinistra. Dalla spalla destra fino a terra, era stato cucito un velo di stoffa color arancione e bianco, semitrasparente, che mi faceva sembrare una fiamma viva in movimento. Certo non era all'altezza degli abiti che una volta mi confezionava Cinna, ma lui era stato crudelmente tagliato dalla mia vita come tutti gli altri. Non potevo permettermi di pensare a lui in un momento come questo, in cui il suo ricordo rischiava di tornare a galla con una forza e una violenza tale che non ero in grado di gestire. Una lunga treccia cadeva morbida lungo la spalla che il vestito aveva lasciato libero. Alcune ciocche di capelli erano lasciate ad incorniciare il viso. Mi domandai come avessero fatto i miei preparatori a conciarmi in quel modo senza che io me ne rendessi conto. D'un tratto un altro pensiero mi attraversò la mente: cosa ci facevo io lì? a Capitol City? Sul palco delle interviste degli Hunger Games?
- Katniss, splendida come sempre - la voce di Caesar Flickerman si fece largo con prepotenza fra i miei pensieri - Non sai quanto sono felice di rivederti, ci sei mancata tanto, a tutti noi! - disse, indicando la platea - Ma dicci - continuò, accavallando le gambe - com'è per te essere di nuovo a Capitol City, davanti alla folla che ti ha tanto appoggiato durante le 2 precedenti edizioni dei Giochi? - D'un tratto realizzai la situazione. Non mi capacitavo di come fosse potuto succedere, ma ero stata di nuovo catapultata dentro agli Hunger Games. Cercai di prendere tempo, non potevo dare risposte affrettate, non potevo far trapelare il mio smarrimento. L'ultima cosa che ricordavo era il viso di Gale, nel bosco, e il fischio della Ghiandaia Imitatrice nel silenzio assoluto. Questo significava che in quel momento era arrivato un hovercraft, e che mi avevano prelevato per portarmi  lì. Ma perchè? Capitol City ormai non esisteva più, eppure era davanti ai miei occhi in quel preciso momento. La mia unica possibilità, per il momento, era di stare al gioco.
- Ciao Caesar. Devo ammettere che è strano per me, credo che non mi abituerò mai del tutto a questo ambiente - dissi, accennando un sorriso. Avrei voluto urlare, scappare via e uccidere chiunque mi avesse impedito di tornare a casa, ma gli occhi di tutta Panem erano, ancora una volta, puntati su di me. Perchè volevano continuare a torturarmi in quel modo? Non bastava tutto quello che mi avevano inflitto, tutto quello che avevo perso a causa loro? Tutte le vite che loro avevano contribuito a distruggere? Dovevo reggere il gioco, non potevo permettermi di crollare. - Dimmi, Caesar - iniziai - Quanti tributi possono dire di aver partecipato a ben tre edizioni degli Hunger Games? - lui mi guardò, assumendo un'espressione perplessa. - Beh, a dire la verità nessuno, tu sei l'unica - disse. - Allora credo di aver appena stabilito un record - dissi con un sorriso, nascondendo alle telecamere una lacrima, che dall'occhio sinistro mi rigò la guancia, cadendo per terra.

        La sfilata dei Tributi iniziò, davanti al pubblico di tutta Capitol City. Per la prima volta da quando ero arrivata avevo la possibilità di osservarli con attenzione, mentre percorrevo la piazza semicircolare sotto gli spalti. Gli abitanti della capitale non erano cambiati affatto: la platea era un tripudio di colori, fatto di parrucche, vestiti dai colori sgargianti, trucchi pesanti ed originali, che contrastavano gli uni con gli altri. Nonostante mi aspettassi di sentire ovazioni e applausi, come è solito succedere durante la sfilata dei Tributi, regnava il silenzio. Tutti gli occhi erano puntati su di me. Io continuavo a guardare avanti. Non volevo incrociare lo sguardo di nessuno, nessuno era degno di incrociare il mio, dopo tutto quello che a causa loro avevo dovuto sopportare. Loro, con il loro egoismo e la loro superficialità, avevano portato alla distruzione di Panem, lasciandone in vita solo l'ombra.
        Eravamo 6 tributi in tutto, non 24 come nelle altre edizioni. Pensai che fosse conseguenza del fatto che, dopo la rivoluzione, la popolazione di Panem si era drasticamente ridotta. I primi 2 tributi completarono solo 1/3 della circonferenza del semicerchio, dopo di che svoltarono nel primo dei tre raggi che portavano al centro della piazza. I secondi 2 tributi, che nell'aspetto assomigliavano decisamente a quello che avevano i Favoriti nelle scorse edizioni, svoltarono nel secondo raggio. Non sapevo se era corretto parlare di Favoriti, dato che non sapevo con precisione che fine avessero fatto i Distretti 1, 2 e 4. Non mi ero interessata molto alla politica, dal giorno della morte di Prim. Prim. Ha dato la sua vita per porre fine agli Hunger Games e all'oppressione di Capitol City sui Distretti, eppure eccomi qui. Non è servito a niente. La sua morte non ha portato a niente.
        Mi sentii strattonare il braccio. Tornai alla realtà, e mi accorsi che avevo istintivamente seguito i "Favoriti" nel secondo raggio, mentre avrei dovuto proseguire verso il terzo, destinato a me ed al sesto tributo. Alzai lo sguardo verso la persona che mi aveva ricondotto sul percorso giusto: era un ragazzo con la pelle scura, gli occhi neri ed i capelli ricci dello stesso colore. Era alto più di me, e mi guardava sorridendo. Sembrava amichevole. Peccato che avrei dovuto ucciderlo. Ormai questa storia stava iniziando a diventare ripetitiva, e forse io ero diventata troppo cinica per preoccuparmene come avrei dovuto. Arrivammo in prossimità del terzo raggio, dove erano posizionate 2 fiaccole, una per me e una per il ragazzo. Le prendemmo, e insieme agli altri tributi, ognuno partendo dal proprio raggio, ci avvicinammo al centro della piazza, dove era stato acceso un enorme fuoco. Avvicinammo la fiaccola alla fiamma che divampava davanti a noi, e ci guardammo tutti negli occhi. I settantaseiesimi Hunger Games erano iniziati.





Questo è un sogno che ho fatto qualche notte fa. Era talmente vivido che me lo ricordo ancora chiaramente, per cui ho deciso di trasformarlo in un breve raccondo, un estratto dal mondo degli Hunger Games, nella speranza di potermelo finalmente togliere dalla testa. Spero che possa in qualche modo piacervi, e vi prego di lasciare una recensione o un commento (anche per mp), ci tengo davvero a sapere cosa ne pensate, di modo che possa migliorarmi sempre :) Grazie!
  
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