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PROLOGO
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Il mondo di Express era il mondo delle brioches
sbocconcellate all’alba, con il sedere congelato piantato sui gradini di
qualche sperduta area di servizio, e delle sigarette fumate sino al filtro,
che finiscono per scottarti labbra e palato. Era il mondo delle moto che fanno
le impennate, che puoi andarci così forte sino a stamparti contro i pali; era
il mondo del niente e del nessuno, degli sbandati consapevoli d’essere gli
eterni esclusi, dell’anomia.
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Era stato cresciuto da una madre rompipalle e da un
padre che non era mai a casa, ma che gli sorrideva in quel modo strano che
scaldava un poco il suo cuore di ribelle. Inoltre, aveva anche una sorella
dagli occhi come i suoi, ma con la quale non andava d’accordo. Nemmeno con sua
madre erano tutte rose e fiori, a dire il vero; anzi, risultava addirittura
impensabile per loro non litigare
ogni santo giorno.
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E così, ai diciotto belli freschi, aveva preso la sua
roba, e senza dire ciao se ne era
andato.
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Viveva con suo padre e la sua nuova donna, ora. Ma
naturalmente, in casa ci restava ben poco. Era sempre fuori, ai quattro angoli
della città, a dare gas e a ridere più forte con i ragazzi della sua
“banda”.
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Express infatti, aveva tanti amici come lui; brutali,
rinnegati, menefreghisti,
superficiali.
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Gente che non sapeva cos’avrebbe fatto della propria
vita , gente che da quella cittadina di provincia da mulino bianco voleva
andar via il più presto possibile ma contemporaneamente, vi restava ancorata
in modo compulso. Dove diavolo sarebbero finiti d’altra parte,senza una laurea
in mano, senza soldi per diventare qualcuno, senza tempo né voglia di
crescere?
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Poco
importava.
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Il tempo crea eroi, come dice Vasco, pensava sempre
Express. E loro, di tempo, ne avevano in abbondanza.
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Express con suo padre si era trasferito in un
quartiere che odiava, e nel quale cercava di passare il minor tempo
possibile.
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La nuova donna del resto, aveva i soldi oltre che un
fisico da paura: e così li aveva portati tutti e due,Express ed il padre,
pompiere sin dalla gioventù, a vivere in un palazzone storico che metteva a
disagio Express ed i suoi giubbotti bucati da motociclista, così come lo sguardo delle anziane donne
impellicciate che sembravano leggerli addosso tutti i suoi fallimenti.
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A volte, quando a papà giravano di brutto e non lo
lasciava uscire, i suoi due migliori amici, Deca e Michele venivano a trovarlo
a casa, piantandosi davanti al gigantesco televisore o installandosi sulle
gradinate esterne del palazzo, per fumare e ridere della gente che entrava ed
usciva dal pesante portone.
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Tutti anziani o coppie sposate, comunque: ben poco
interessanti come soggetti, o ragazze così mosce o perfettine da smorzare
qualsiasi appetito. Era esilarante in ogni caso, quando Michi mostrava la
lingua ad indirizzo delle vecchie signore e dei loro sederi mastodontici e
semoventi.
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Era il meglio che lì si potesse trovare.
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Al terzo piano per la verità, abitava un esemplare
interessante: si chiamava Caterina Assunta Della Valle, era alta, bionda e dal
portamento elegante, ma il suo nome chilometrico e lo sguardo di puro
disprezzo con il quale congedava immancabilmente Express ed i suoi amici
avevano presto provveduto a renderla inappetibile. Loro erano così, d’altra
parte: amavano le ragazze dai rossetti accecanti, gli abbracci accoglienti e
le gambe aperte. Poco importava che fossero splendide o appena guardabili.
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Le ragazze come loro: alle quali non importava
sembrare rispettabili, camminare in un certo modo o acquistare vestiti
soltanto nei negozi più costosi della
città.
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Ma solo
vivere.
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Delle ragazze “d’altri mondi”, d’altra parte, avevano
promesso di non innamorarsi mai: da quando Michi aveva avuto il cuore spezzato
per lei, la stronza, Liliana Monteleoni, che andava alla scuola privata ed era
stata in grado di umiliarlo ed annichilirlo , facendolo innamorare e poi
buttandolo via, perché non alla sua altezza.
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Express la ricordava ancora: ricordava il suo sguardo
schifato su di loro nelle serate trascorse insieme a Michele, in qualche
squallido bar del centro città con tutta la
banda.
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Ricordava soprattutto le sue lamentele, e
l’increspatura fastidiosa che assumeva la voce di Liliana, quando storcendo il
naso faceva notare che i suoi amici, a quell’ora, si sarebbero trovati al
Garden , il bar più esclusivo della città, quasi sicuramente per far pesare a
Michele l’inevitabilità di quel confronto, tra uno sbandato come lui ed i
figli dei nuovi ricchi. Poi, per fortuna, Liliana l’aveva lasciato per il
figlio d’un dentista; e Deca ed Express avevano tacitamente cantato vittoria,
finalmente liberi dai suoi sguardi ammonitori e dal puzzo dei profumi costosi
che aveva addosso, nonostante la disperazione di Michele.
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Da quel momento, i tre amici se l’erano promesso: mai
più ragazze altezzose, mai più nasi rivolti in su, mai più storie serie che
incatenavano il cuore.
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Soltanto
divertimento.
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Soltanto sesso, corse in moto e
follie.
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Express, dal canto suo, era fermamente convinto di
non poter amare.
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Fino a quel giorno.
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Accadde in una giornata di
maggio.
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Accadde che, improvvisamente, un quantitativo
esagerato di scatoloni venne trasferito
nella casa accanto alla sua, e che il camion dei traslochi sostò
davanti al palazzo troppo tempo, perché fosse una semplice
coincidenza.
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Accadde che, mentre Miky e Deca nascondevano l’erba
nelle tasche, mano nella mano con un figlio di papà in polettina stirata, con
un gelato al limone tra le mani, lei
passò.
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Accadde che, l’orlo della sua gonna di Burberry, che
la marchiò istantaneamente quale inaccessibile, oscillò trasportato dal vento,
e che il suo dito frugò nella coppetta di gelato e finì tra le labbra
vermiglie, impiastricciato di limone e crema.
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Accadde che i suoi occhi si fermarono un istante su
di lui, mentre fermava i propri passi presso il dosso del
marciapiede.
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Occhi d’ambra e di caffèlatte. Occhi che lo
trafissero.
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Michi e Deca guardarono le gambe abbronzate della
ragazza, le sue chiappe alte sotto la gonna ed il suo viso bambinesco ma
bello, con lunghi capelli neri trattenuti più indietro sulla fronte da un
cerchietto sottile, azzurro acqua.
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La guardarono a lungo : in lei Deca vide l’ennesima
scialbetta casa e chiesa; Michi, un inquietante riflesso di Liliana, che gli
fece sobbalzare il cuore.
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La guardò anche Express, per molto tempo: in quella
ragazza vide la vita che lui non aveva, il rigore, l’eleganza, il cielo e la
terra rovesciati rispetto al suo inferno di
casini.
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Restò a fissarla anche mentre congedava il suo amorfo
ragazzo con un bacio, e si dirigeva verso il portone come una che aveva tutta
l’aria di abitare lì.
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Come una che aveva tutta l’aria di essere la nuova
inquilina.
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-Beh?- La ragazza mandò avanti i suoi piedi, calzanti
Ash luminose d’un raso rosso accecante, e li guardò schifata.
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I tre, pietrificati, non ebbero
reazioni.
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-Vi levate, pezzenti? Questo non è il bar sport..-
Disse acida, le labbra rosse contorte in una smorfia di autentico
disprezzo.
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Michi, Deca ed Express, si rialzarono rapidi ed
obbedienti. La ragazza, senza guardarli oltre,
entrò.
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-Porca vacca, che stronza..- Commentò laconicamente
Deca, dopo che si fu defilata.
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- Porca vacca..sembra Liliana- Aggiunse dal canto suo
Michi, deglutendo rumorosamente.
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Soltanto Express, lo sguardo perso, rimase in
silenzio.
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Quindi,
parlò.
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-Porca vacca. Mi sa che mi sono innamorato sul
serio..-
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E fu l’inizio del
disastro..