Anime & Manga > Saint Seiya
Ricorda la storia  |      
Autore: moni93    22/01/2014    3 recensioni
[Post Guerra Sacra del Lost Canvas]
Camminando per le vie della vita, non si sa mai chi si può incontrare. Può essere un amico o un nemico, o magari nessuno dei due. Perchè, alle volte, è difficile persino definire una persona, per quanto essa sia stata parte fondamentale della propria esistenza.
Ma in tanti anni, quante cose sono cambiate?
Non è questo quello che importa ai due protagonisti.
Poiché, alle volte, ciò che conta è quello che rimane nel cuore, che può spingerci verso la disperazione o verso una nuova speranza...
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Personaggi Lost Canvas, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
WALKING THROUGH LIFE
 
I wanted to forgive
I’m trying to forget
Don’t let me here again
I’m with you forever
The end
(Without you – Breaking Benjamin)
 
 
Marzo 1751, Berlino (Regno di Prussia)
 
Camminavo senza meta per una delle tante vie della città, quando lo vidi.
All’inizio non lo notai, non avrei potuto riconoscerlo nemmeno se qualcuno me l’avesse indicato. Fu lui ad accorgersi di me e ad osservarmi, confuso e... spaventato?
La folla intorno a noi camminava celere, forse anche troppo, ma probabilmente ciò fu dovuto al fatto che eravamo entrambi troppo concentrati, troppo persi nei ricordi, perchè il tempo scorresse normalmente. Se ne stava in piedi e sembrava come se, d’improvviso, stesse fronteggiando un incubo che conosceva fin troppo bene ma del quale, al tempo stesso, non poteva fare a meno, perchè faceva ormai parte di lui. Quel sogno angoscioso l’avrebbe per sempre portato con sé, marchiato a fuoco come un tatuaggio, come simbolo del suo peccato, sul suo stesso cuore. Esattamente come me.
Si sentiva smarrito, lo avvertivo chiaramente, ed egli lottò strenuamente per non voltare il capo e chiudere gli occhi; se per il dolore o la collera, questo non lo sapevo.
Fu con fierezza, con un fioco barlume di quella che era stata la sua superbia, che ricambiò finalmente il mio sguardo, ancora attonito. Prima non era me che vedeva, ma un’altra... o tanti altri volti, ingarbugliatamente uniti dal filo del passato.
“Pandora.” chiamò il mio nome con fare incerto, quasi fosse un malato in preda alle allucinazioni e, in effetti, notai che aveva un aspetto febbricitante.
Nonostante tentasse di palesare la sua sicurezza, appariva già sconfitto, preda di colpi e cicatrici che non avrebbero mai smesso di sanguinare. E, in parte, in gran parte, io ne ero responsabile. Di quello e di molto, molto altro dolore.
Io rimasi immobile, incapace di reagire.
Avevo ricambiato il suo sguardo unicamente perchè si era fermato dinnanzi a me, altrimenti, nemmeno l’avrei notato. Eppure, ora che aveva chiamato il mio nome, ogni tassello andò al suo posto, posizionandosi con lenta meschinità dinnanzi ai miei occhi.
Mille domande tempestarono la mia mente, miliardi di piccoli frammenti, simili a scaglie di vetro, mi perforarono il cervello, facendomi venire il capogiro. Era passato così tanto tempo, eppure, non sembrava trascorso un solo giorno da allora... quante cose che avrei voluto spiegarli, di quante cose mi sarei dovuta scusare. Non ero più quella donna, ma, al tempo stesso, non ero cambiata per niente. Restavo la solita, patetica, umana che si trascinava rassegnata verso una ragione di vita, ponendosi le stesse domande di cui conosceva già la risposta ma che, ostinatamente, fingeva di non possedere, per mascherare (ed ingenuamente ingannare) la spietatezza della verità.
“Eaco....” non riuscii quasi a terminare il suo nome.
Un’altra persona sovrastò il mio flebile richiamo ed il tacito tumulto della folla, con la stessa delicata potenza di un sospiro del dio Eolo.
“Papà, ti ho preso!” ridacchiò cristallina la voce.
Abbassai lo sguardo e vidi una bambina bellissima. Sembrava uno di quegli angioletti che si trovavano dipinti sui soffitti delle chiese antiche, esseri perfetti e incarnanti la bontà umana che, ormai, era impossibile trovare nel mondo. Era bassina, e anche un po’ paffutella, ma le sue guance piene, ornate da quel candido sorriso, non facevano altro che renderla ancora più bella ai miei occhi. I lunghi capelli biondi, talmente chiari da risultare quasi accecanti in quella tetra e grigia giornata, riflettevano tutta la cura che il genitore doveva prendersi ogni giorno nel curarli. Il vestitino era semplice, di un pacato color crema che faceva risaltare la pelle di porcellana della piccola. Quando alzò gli occhi verso di me, siccome il padre mi stava ancora osservando, capii ogni cosa.
Quegli occhi neri, adombrati da delicate sfumature viola, non potevano che appartenere a quello che, un tempo antico come il mito, era stato generale di Hades. Ed ora, come se fossero gioielli preziosi che andavano tramandati alla nuova generazione, essi appartenevano a quella bambina.
“Suikyo, perdonami, non sono riuscita a trattenerla. Sai quanto le piace rincorrerti, quando cammini assorto nei tuoi pensieri... oh, salve.”
Una donna alta, dai capelli aurei come la figlia, ma legati elegantemente in uno chignon, mi sorrise incuriosita. Da come circondò il braccio di quello che, in una lontana epoca, era stato uno dei più crudeli e fedeli guerrieri del dio dei morti, intuii che ella non fosse un semplice passatempo. Ne ebbi conferma quando la mano di Garuda cercò quella di lei, e la strinse con rispettoso affetto.
“Chi è questa donna, meine liebe*? La conosci?” [*Amore mio, in tedesco NdA]
In tutto quel tempo, Eaco non aveva mai parlato, se non per emettere quel stridulo suono, che era il mio nome. Potevo facilmente immedesimarmi in lui ed immaginare cosa vedesse. Dei miei vecchi abiti, neri come la pece ed immorali come il mio spirito, non rimaneva più niente. Vestivo con indumenti comuni, seppur sempre lugubri e severi, com’era giusto che fosse la mia esistenza da peccatrice. Eppure, a quanto sembrava, sul mio volto c’erano ancora molti tratti e fantasmi, che mi rendevano facilmente riconoscibile, a differenza di Garuda.
Finalmente, dopo quasi dieci anni che non ci incontravamo, riudii la sua voce. E non la riconobbi.
“Irina, questa è...” si fermò, prendendosi qualche tempo per decidere quali parole meglio potessero descrivere il nostro rapporto.
Credevo che non ne esistesse alcuna.
Sospirò, rassegnandosi al peso dei ricordi che, come entrambi sapevamo, non ci avrebbero mai abbandonato. Sebbene a lui, da quanto potevo osservare con invidia, era stata data un’ultima possibilità.
“Una mia vecchia conoscenza.” terminò, alzando delicatamente il braccio verso di me, quasi a volermi mettere in bella mostra dinnanzi alle sue signore.
Io annuii, interdetta eppure incantata.
Più li guardavo, più comprendevo quanto eravamo diversi.
Lo eravamo sempre stati, io e Eaco, ma in quel mentre compresi quanto profondamente le nostre anime avessero reagito diversamente al commiato della persona amata. Io mi ero limitata a girovagare per il mondo, vagando come una zingara senza terra e senz’anima. Per qualche tempo, Cheshire mi aveva seguita, ma poi anche lui aveva trovato una nuova vita. Una famiglia povera, ma senza figli, l’aveva trovato un giorno che gironzolava per il mercato cittadino e avevano subito pensato di adottarlo.
“Ha un’espressione così vuota, sembra che non conosca il calore di una famiglia, eppure, sorridere con così tanta disinvoltura...” mi avevano detto, con voce carica di un istintivo affetto che anch’io, una volta, avevo provato.
Io non avevo potuto far altro che annuire. Me n’ero andata il giorno dopo, senza dire nulla a Cheshire. Lui mi avrebbe seguita, lo sapevo. Mi amava troppo, ma ero altresì conscia del fatto che quello che provava per me non era vero affetto. Si era legato a me, unicamente perchè non aveva nessun altro su cui contare. Però quelle persone erano buone, mi sembravano adatte a prendersi cura di lui.
Così ero rimasta ancor più abbandonata, senza nemmeno il mio gatto addomesticato a farmi compagnia e a domandarmi, ogni santo minuto, cosa desiderassi fare e se lui poteva in qualche modo alleviare il mio dolore.
Mi mancava terribilmente. Ogni giorno.
Era stato come quella volta: ti abitui a tal punto alla presenza di una persona, che non ti accorgi del suo valore finché non la perdi. O te la portano via.
Eaco, invece... non sapevo esattamente come avesse fatto.
Non lo sapevo e non mi preoccupai di chiederglielo. Non sarebbe stato giusto nei suoi confronti e, in ogni caso, non meritavo una risposta. Potei solo immaginare cosa avesse affrontato, quali e quanti demoni avesse dovuto combattere, mascherati col volto delle persone a lui care, di quella persona perduta e che mai sarebbe potuta essere sostituita...
Tuttavia, nonostante le infinite traversie, lui ce l’aveva fatta.
Aveva sconfitto il dolore ed era riuscito ad incontrare l’amore, una seconda volta.
Shatz*, sembra che papà abbia qualcosa da dire alla sua amica... andiamo a vedere quella vetrina, mentre ci raggiunge, vuoi?” [*Tesoro, in tedesco NdA]
La voce di Irina ci fece sussultare entrambi.
A quanto sembrava, anche Garuda era rimasto imprigionato in un ricordo, un pensiero traditore.
La bambina annuì, prendendo la mano che la madre le porgeva con dolcezza. La donna mi fece un cenno del capo, per poi salutare con uno sguardo carico d’amore e silenziosa comprensione il marito.
Sorrisi, con triste gioia.
Non avrei mai pensato che in vita mia avrei potuto associare il “crudele Giudice Garuda” alla parola “marito”. Veramente, non avrei mai nemmeno immaginato di poter legare la mia vita a quella di un’altra persona. Non avrei mai concepito molte cose che, poi, si sono avverate.
Il destino umano aveva davvero un pessimo senso dell’umorismo.
Restammo soli, eppure, nessuno dei due parlò. Non subito.
“È...” iniziai, titubante.
“Mia moglie. Da cinque anni.” completò lui, lanciando uno sguardo assorto oltre la mia spalla.
Che già gli mancassero? Mi sorse spontaneo supporlo, sebbene pensai che non fosse da lui provare un simile attaccamento per un altro essere umano.
“E la bambina... ?”
Non ero nemmeno in grado di comporre delle frasi complete, ma lui non parve curarsene. Forse, gli andava bene così e lo stesso valeva per me; era meglio se fosse lui a concludere le mie parole, rispondendo alle domande ovvie che, entrambi, ci aspettavamo di udire.
“Ha sei anni, è nata prima del matrimonio. Si chiama Viola.”
Voltai il capo, istintivamente, osservando la creaturina che si alzava sulle punte dei piccoli piedi per osservare l’interno di una vetrina colma di dolciumi e pupazzetti di pezza dalle più svariate dimensioni. Anche se era tempo di guerra, la vita proseguiva normalmente persino nella capitale o, quantomeno, gli abitanti erano molto abili ad indossare machere di sfrontata ignoranza. Tali travestimenti da carnevale, tuttavia, possedevano un lato caritatevole, poiché grazie ad essi anche persone con un passato oscuro, macchiato di sangue e agonia, potevano passeggiare indisturbate, cullandosi nell’illusione che nulla fosse realmente accaduto, che niente sarebbe mai mutato. Fino a quando le tenebre, con le loro braccia ammalianti, non le avessero incatenate a sé, in incubi di sfrenata disperazione, appartenenti ad un passato che non avrebbe mai avuto fine.
“È... bellissima.” fu tutto ciò che riuscii a dire e, in fondo, non c’era altro che volessi comunicargli, in quel mentre; nulla di cui fossi degna, almeno.
Lui annuì.
“È la mia vita. All’inizio non ero convinto di sposarmi, ma quando nacque Viola... non riuscii più a lasciarla. Né lei, né Irina.”
Ci fu una breve pausa, come se fosse combattuto sul fatto di aggiungere qualcosa.
“Aspettiamo un altro bambino. Speriamo sia un maschio.”
Strinsi i denti e deglutii a fatica un fastidioso pensiero che era nato nel mio cuore.
“Forse, se le cose fossero andate diversamente, anche io e Rhadamantys avremmo potuto...”
Mi obbligai ad interrompermi, voltando bruscamente il capo e facendo una veloce, ma perfetta, reverenza.
“Ti auguro ogni bene, Garuda.”
Rise, facendo un inchino a sua volta. Il più fiero e rispettoso che gli avessi mai visto fare.
“Non più... sono semplicemente Suikyo, adesso.” mi guardò con intensità negli occhi, prima di andarsene “Sii felice, Pandora.”
Mi superò e raggiunse la sua famiglia.
Mentre parlavano e ridevano, io non potei far nulla, se non osservare il tutto come se fossi una spettatrice di una comica tragedia. Suikyo diede un leggero bacio alla moglie, prima di inginocchiarsi a terra, per sollevare la figlia e permetterle, così, di vedere distintamente l’interno del negozietto. Non avevo la più pallida idea di quanto denaro potesse permettersi di sperperare e, tuttavia, dal modo in cui stringeva a sé la sua bambina, compresi che avrebbe compiuto qualsiasi sacrificio, pur di renderla felice. Sia lei, che il miracolo che sarebbe presto venuto alla luce. Mi soffermai con un’indispettita ammirazione sulla figura di Irina, in particolare sul suo grembo leggermente rigonfio sotto la stoffa del suo bell’abito, senza potermi trattenere dal provare una profonda invidia.
Una strana luce avvolgeva i tre, una calda e tenue luce, che mai avrei conosciuto.
Poi la bambina mi vide.
Mi sorrise e mi fece “ciao” con la piccola manina.
E, dopo otto anni, mi permisi di piangere.
 
***
 
Quando raggiunsi le porte della città, mi ripromisi che avrei trovato anch’io la mia nuova ragione di vita.
E sarei stata felice.
Per lui, per la persona che aveva dato la vita per la mia salvezza, senza voler nulla in cambio. L’unico uomo che fu capace di vedere la bambina spaventata, che si celava dietro le vesti della sacerdotessa del dio Hades. Rhadamantys non mi aveva lasciata sola, e non l’avrebbe mai fatto, perchè l’avrei custodito per sempre dentro di me, nel vaso di Pandora che conteneva l’universo a me conosciuto, all’interno del mio petto.
Un raggio di sole squarciò le tenebre dalle pesanti nubi. Mi sentii in pace e, dopo tempo immemore, vidi di nuovo il mondo in tutti i suoi colori. Non c’erano solo tinte forti e calde, purtroppo, ma, forse, unendo insieme anche le sfumature più cupe, sarei riuscita a trovare il mio vero colore.
Mi venne in mente un passo di Virgilio, poeta che avevo sempre ammirato, poiché le sue parole riuscivano a far sorridere mia madre, quando era ancora parte del mio cosmo. Le pronunciai ad alta voce, come se fossero una formula magica che avrebbe potuto difendermi dalle tenebre del mio cuore.
Omnia vincit amor et nos cedamus amori.*” [Latino: “L'amore vince tutto e noi cediamo all'amore.” NdA]
 
FINE
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
 
Salve a tutti! =)
L’ispirazione traditrice mi ha colta di nuovo, mentre ascoltavo una canzone dei Breaking Benjamin (già, proprio quella citata a inizio shot). E niente, mi sono venuti in mente Pandora e Suikyo ed ho pensato “Ma loro, una volta terminata la Guerra Sacra, che hanno fatto?”. Il risultato dei miei ragionamenti folli lo avete appena letto. Spero che vi sia piaciuto, mi sono impegnata al massimo per rendere bene entrambi i personaggi. ^^
La guerra citata da Pandora, è quella che si svolse nel Regno di Prussia tra il 1740 e il 1760. Se ve lo chiedete, sì, ho fatto qualche piccola ricerca per rendere il più verosimile possibile la mia storia, sebbene non ci siano tantissimi dettagli storici.
Mi rendo conto che il “mio” Eaco potrebbe avervi lasciati parecchio di stucco (e no, Tsubaki, non è un barbatrucco! xD). Come mi ha fatto notare subito la mia cara amica/musa ispiratrice, uno come Garuda è una persona che ama solo una volta e solo un altro essere umano. E sono d’accordo. Però, nella mia fic, non ho specificato nulla, non ho spiegato che gli è successo durante gli otto anni successivi alla Guerra Sacra. Non mi sono voluta addentrare nella sua complessa psicologia, per poi, magari, creare un ritratto erroneo. Come gli ho fatto dire “All’inizio non ero convinto di sposarmi, ma quando nacque Viola... non riuscii più a lasciarla. Né lei, né Irina.”, insomma, per farla breve, forse non ha subito pensato ad Irina come ad una compagna per la vita, ma come spesso si dice, i figli ti cambiano la vita, e così è stato anche per Garuda.
Anche perchè, dopo tutte quelle che aveva passato (e mi riferisco soprattutto a quelle non specificate nel manga, perchè, andiamo, per essere così sadico qualcosa di terribile doveva essergli per forza successo!), se lo meritava un happy ending. Ma questo è il mio personale parere...
Pandora, invece, l’ho fatta più tormentata.
Un po’ perchè lo scopo della mia fic era proprio quello di analizzare due reazioni diverse... e un po’ perchè la odio! xD Ma, alla fine, sono stata brava e non l’ho fatta penare troppo... forse.
Niente, dopo questa lunghiiiissiiiima spiegazione, vi ringrazio di cuore per la lettura e mi auguro che qualcuno di voi abbia la pazienza e la gentilezza di lasciarmi un commento, mi farebbe molto piacere. ^^
Un bacione,
 
Moni =)
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: moni93