Era un caldo pomeriggio estivo, ma del sole manco l'ombra. Il cielo era chiuso, tappato da solide nuvole grige. Davano un senso di claustrofobia, Giulia sentiva l'aria pesante, come se potesse tagliarla con le dita. Sembrava stesse per piovere.
Non capiva più se le mani erano scivolose a causa del sudore provocato dal caldo afoso o dall'umidità, che le si era appiccicata alla pelle, lasciata scoperta dagli shorts e la T-shirt che indossava il giorno.
Stava nel giardino della nonna della migliore amica, Eleonora. Erano sedute lì da 10 minuti aspettando che arrivassero i rispettivi ragazzi, come sempre, quello era il loro punto d'incontro.
Ondeggiavano nelle sedie a dondolo fatte di bamboo, laccato di un verde acceso, che lei adorava.
Ad un tratto si sentì picchiettare in testa. Stava iniziando a piovere.
Dal nulla, la pioggia aumentò da quattro gocce a quasi un acquazzone. Come possibile farsi sfuggire un'opportunità simile?
Ignorando le richieste dell'amica di tornare dentro casa, saltò giù dalla sedia, aprì il cancello e si fiondò nel parchetto di fronte.
Giù, torna qui! Ti ammalerai!  Ma lei non la sentiva ormai.
C'erano solo lei e la pioggia che le accarezzava il viso. Si sentiva libera, eccome se lo era.
Inclinò la testa all'indietro, aprì le braccia mettendole perpendicolari al corpo, come se fossero delle ali ed iniziò a girare su se stessa.
Ele vieni! E' fantastico! cercava di convincere l'amica che invece non voleva saperne di farle compagnia in quel pazzo gesto. Continuava a sorridere al cielo, ridere e girare su sé stessa.
Non le importava dei vestiti fradici e dei lunghi capelli castani bagnati e attaccati alle spalle, né, tanto meno, del mascara ormai colato sugli zigomi.
Era così felice di sentirsi libera, che non si accorse nemmeno dell'arrivo dei due ragazzi. Uno mentre abbracciava Ele da dietro, la guardava quasi sconcertato, ma divertito, l'altro beh.. l'altro era completamente incantato da quello spettacolo.
Era appoggiato alla sua macchina, con le mani in tasca e la osservava. Dio quanto gli piaceva.
Quando si comportava così poi, quando se ne fregava del pensiero della gente e faceva quello che sentiva di fare, lui impazziva.
Giulia teneva ancora gli occhi chiusi mentre rideva sonoramente e cantava “Creep” a squarciagola non azzeccando di proposito la tonalità giusta. Più che cantarla sembrava la stesse recitando.
Lui si staccò dalla macchina quando la sentì interpretare la penultima quartina della canzone:

 

 

 

But I'm a creep, I'm a weirdo, 
What the hell am I doing here? 
I don't belong here. 
 

Intonò lui in un soffio ad un millimetro dal collo di le.
Scossa da milioni di brividi abbassò le braccia e senza aprire gli occhi, incrociò le sue dita a quelle del ragazzo, che strinse ancora di più la presa su lei.
 

Recitarono entrambi ondeggiando sotto la pioggia.