Paura.
‘Cuz
I'm being taken over by the fear.
«Puoi dormire nella vasca
da bagno».
Lei lo aveva detto con leggerezza, quasi per scherzare
e mandar via la tensione che si era di nuovo creata tra loro, ma Owen faceva
sul serio quando diceva di avere paura di quello che sarebbe potuto succedere
dopo.
Cristina era bellissima. Probabilmente ancora più
bella mentre dormiva, perché sembrava mostrare se stessa in tutta la sua
fragilità. In tutta quell’umanità che da sveglia si ostinava a nascondere e
proteggere. E lui semplicemente non poteva fare a meno di guardarla, ancora
sveglio; seguirne tutte le curve, quelle visibili e quelle coperte dalle
lenzuola sottili.
E non riusciva a dormire. Perché la paura di
svegliarsi con le proprie mani sulla sua gola, con la visione del corpo di
Cristina violato in qualche modo da azioni che neanche avrebbe ricordato gli
toglieva il fiato ed il sonno. Nonostante in realtà fosse terribilmente stanco.
Sospirò lento. L’idea di poter andare a dormire nel
bagno prendeva sempre più forma nella sua testa, spingendosi avanti come
soluzione più facile e sicura – soprattutto se si fosse chiuso a chiave. Eppure
non riusciva a staccarsi da lei, a decidere che ne aveva abbastanza della sua visione,
del suo respiri. Di lei.
“Penserà di avere tutto ciò
di cui ha bisogno, ma poi capirà che non è così”.
Aveva capito bene che cosa intendesse l’analista con
quella frase, eppure la verità era che quando stava con Cristina era certo di avere tutto ciò di cui aveva
bisogno. Gli bastava guardarla perché le cose smettessero di essere così difficili, perché l’aria diventasse
semplicemente un po’ più leggera.
Ed ora aveva paura di dormirle accanto. Semplicemente
dormire. Le persone normali non hanno paura di dormire; ma lui aveva accertato
di non essere una persona normale già da un po’ e anche Cristina lo sapeva. Lo
sapeva e stava comunque con lui.
Sorrise, chiedendosi se meritasse davvero tutto quello
che la vita gli stava dando. Se l’era chiesto nei momenti peggiori, quando era
certo che sarebbe morto tra la sabbia senza rivedere casa e se lo chiedeva
adesso che aveva Cristina accanto. Se lo chiedeva e non sapeva darsi una
risposta.
Non voleva darsi
una risposta, dopotutto. Non voleva interrogarsi, voleva provare a prenderla
come sarebbe venuta, anche se solo per pochi minuti. A godere della pace che aveva
in quel momento.
Gli occhi si fecero improvvisamente pesanti, mentre
accarezzava ancora una volta i capelli di lei.
Non dormire. Ti prego non
dormire, non dormire, si
disse, con sempre meno intensità. Era stanco, aveva fatto un lungo intervento
quella mattina ed era stato dall’analista nel tardo pomeriggio, appena era
finito il suo turno. Era così stanco e il calore del corpo di Cristina così
invitante… e magari poteva darsi un po’ di fiducia per una volta…
Combatteva. Non era certo di potersi concedere quel
gesto, ma man mano che il sonno aumentava, il proposito di dormire nel bagno si
allontanava sempre più e alla fine semplicemente, la stanchezza vinse.
Si svegliò di soprassalto, trattenendo rumorosamente
il respiro, pregando che il tempo si congelasse con lui in quell’esatto
istante. Il cuore gli pompò paura nelle vene al posto del sangue e sbarrò gli
occhi perché doveva sapere.
Eppure restò in quella posizione, mezzo alzato, col
fiato trattenuto e gli occhi sbarrato per molti secondi, prima di rendersi
davvero conto di quello che lo circondava.
Si era addormentato. Era chiaramente mattina, quindi
si era addormentato. Accanto a Cristina. Quanto aveva potuto essere stupido nel
rischiare in quel modo? E se era successo qualcosa? Se aveva di nuovo fatto
qualcosa di cui non ricordava nulla?
Si mise seduto, senza avere il coraggio di voltarsi
per vedere se era ancora lì, se le aveva fatto del male. Portò le mani davanti
ai suoi occhi, per controllare se ci fosse qualche segno particolare, qualcosa
di strano, qualcosa di cui aver paura.
Nulla. erano semplicemente le sue mani. Grazie al Cielo erano semplicemente le sue
mani.
Tremori lo scuotevano, mentre girandole verso i palmi
e poi verso i dorsi, continuava a controllarle, più perché non sapesse che
altro fare che per vedere davvero se gli fosse sfuggito qualcosa. E anche così,
nella testa si ripeteva che era semplicemente stato fortunato, che era solo
stato un caso se non era successo nulla.
Qualcosa di caldo si poggiò con delicatezza sulla sua
schiena, facendolo sussultare. Due braccia lo avvolsero da dietro, poggiandosi
contro il suo petto e stringendolo.
«Smettila», sussurrò la voce sottile di Cristina.
Lui si voltò così da poter guardare Cristina negli
occhi. Sapeva a cosa stava pensando. C’erano volte in cui lei riusciva a
capirlo prima di quanto non facesse egli stesso e quelle volte lo spiazzavano
di continuo.
«Hai fatto un primo passo, Owen. Goditelo senza
lasciare che la paura ti freni».
Il medico militare inclinò la testa, pensieroso e lei
gli sorrise, questa volta poggiando la propria testa al suo petto.
«Svegliarsi con te accanto credo sia una delle cose
più belle che abbia mai fatto», gli sussurrò e lui semplicemente la strinse a
sé.
Se Cristina gli dava fiducia, allora avrebbe potuto
concedersi anche lui una tregua da tutta quella paura.
***
Che ore saranno?, si chiese Cristina per
l’ennesima volta, circondata dal buio più totale. In tutta la confusione di
quella giornata, non aveva fatto caso a se il suo orologio da polso funzionasse
ancora, ma anche volendo, non sarebbe riuscita a guardarlo prima dell’alba.
Sospirò, stringendosi nel giubbino per non farsi
prendere dal freddo e si accorse che Meredith, accanto a lei stava respirando in modo pesante e
regolare: si era addormentata. Nonostante lei avesse detto a tutti di stare
svegli, ora era la sola a non aver ceduto alla stanchezza – e non l’avrebbe
fatto: in quelle condizioni, ferita e nel bel mezzo del nulla, sarebbe potuto
essere il suo ultimo sonno. E lei aveva già ribadito di non essere interessata
a morire.
Un violento colpo di tosse da parte di Mark la
riscosse dai suoi pensieri e la fece scattare in piedi. In quel maledetto buio
non sapeva bene dove andare, ma il rumore riuscì a guidarla senza tante
difficoltà fino all’amico. Gli tastò il petto, sentendolo lamentarsi
sommessamente e quando arrivò al viso si accorse che qualcosa di viscido gli
sporcava la bocca.
Sta sputando sangue, pensò, pratica e tentò
con il solo braccio che poteva usare di metterlo in posizione dritta, ma l’uomo
era troppo pensate e non sembrava voler collaborare.
«Mark, aiutami, maledizione! Devi stare dritto».
Non sentì alcun movimento provenire dal collega, cosa
che la fece innervosire particolarmente. Lo scosse, prendendolo per la spalla
ed aveva in mente anche di lasciarsi scappare qualche schiaffo, ma la testa gli
suggerì che qualcosa non doveva andare. Quando si abbasso sul petto per
controllare il battito, si accorse infatti che era assente.
Merda.
Il panico e la paura si impossessarono di lei in un
istante. Se fosse stata al “Seattle Grace” avrebbe defibrillato e usato
epinefrina, ma in quel momento, con una sola mano e nel bel mezzo di un bosco,
non sapeva che cosa fare. Sentiva la paura pompata nelle vene e la cosa la
stava facendo impazzire, fino a che al limite della sopportazione, nella
disperazione totale, fece la sola cosa possibile.
Diede un pugno sul petto di Mark e prego contro ogni
previsione che la fortuna nonostante tutto fosse dalla sua in quel momento. Il
respiro affannato e irregolare del chirurgo plastico fece sciogliere le lacrime
che si erano accalcate ai lati degli occhi di Cristina: non riuscì a reprimere
i singhiozzi che le venivano dal petto e mentre ormai piangeva, sentì la mano
di Mark cercare la propria in modo confuso, fino a che non l’ebbe stretta.
«Maledizione, Mark, smettila di cercare di morire!»,
gridò senza sapere con precisione dove guardare – in risposta l’uomo le strinse
più forte la mano e lei abbasso la testa, mentre nuovi rumori, nel buio,
interrompevano il silenzio.
Le mancava il fiato dalla paura, perché il non sapere
che cosa sarebbe successo di lì a pochi istanti la destabilizzava in un modo
che non sapeva se sarebbe riuscita a reggere.
«Sei… sei la madrina… di Sofia».
La voce stanca di Sloan,
richiamò l’attenzione di Cristina. La donna seppe improvvisamente a cosa
avrebbe portato quella frase e una morsa opprimente le prese la gola.
«Non ti azzardare a dire altro. Mi hai sentito?! Ci
troveranno e andremo via da qui, tutti».
«…Non so se… voglio farlo…».
«Lo farai, invece. Fosse l’ultima cosa che faccio io,
mi assicurerò che ci portino via di qui vivi», promise e sentì l’altro
sospirare; poi non disse più nulla e il respiro leggero e affannoso le fece
capire che doveva aver preso sonno.
Era di nuovo sola. Era sola e tremava dalla paura; il
desiderio di avere Owen accanto a sé cozzava con l’assurdo sollievo che almeno
lui stava bene, lontano da tutto quello. Si avvicinò ad Arizona ed avrebbe
voluto controllare quanto tenessero le fasciature di foglie che avevano
applicato sulla sua gamba per tenere lontano gli insetti, ma il solo senso del
tatto non bastava a capirlo.
Si rassegnò, spostandosi e cercando di tornare accanto
a Meredith, aiutandosi con le mani. Sentiva solo terra, foglie e rami di piante
e quelli che prima gli erano parsi pochi passi, ora che faceva il percorso al
contrario sembravano essersi moltiplicati. Si fermò: stava andando nella
direzione sbagliata? E se si fosse allontanata?
La paura la bloccò di colpo, scuotendola dall’interno.
Restò immobile per un tempo interminabile, pregando che qualcosa si muovesse e
le facesse capire dove andare. Sentiva di nuovo freddo, lontana dal corpo di
Meredith o quello di Mark e si maledisse per non essere rimasta quantomeno
accanto a lui.
Si accucciò a terra, portandosi le braccia al petto e
avrebbe davvero voluto dormire, ma la paura la mandava fuori di testa, tenendo
in allerta tutti i suoi sensi. Pregò che qualcuno li trovasse in fretta, pregò
che Owen si accorgesse della loro – della sua
assenza e la venisse a cercare.
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Buon
pomeriggio! Se vi state chiedendo da dove salti fuori questo… sono nella vostra
stessa situazione. No, scherzi a parte, è una raccolta che ho cominciato mesi e
mesi fa con l’intento di pubblicarla quando avrei accumulato abbastanza shot e sostanzialmente oggi lo studio del latino mi stava
annoiando abbastanza da farmi decidere di cominciare la pubblicazione.
La
struttura è un po’ particolare. Saranno sempre due coppie di brevi Shot incentrate su un sentimento – vario di volta in volta –
e tra di loro saranno poste in ordine cronologico (ad esempio queste qui sono missing moments rispettivamente
della 6x02 e della 8x24), ma non con il resto delle shot,
che andranno avanti e indietro nella serie alternando missing
moments ad introspezioni varie di scene già
esistenti.
Boh,
vi ho fatto una testa piena di schemi ed ordini, chiedo venia. Un’ultima
precisazione riguardo il sottotitolo, che è tratto da “The Fear”
di Lily Allen, e vi rimando al prossimo mercoledì (cercherò di essere sempre
puntuale con un aggiornamento a settimana).
Un
grazie enorme a chiunque ha prestato attenzione a queste shot!
Baci,
Alchimista ♥