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Autore: KillerKing    22/01/2014    6 recensioni
Ravenna, 1944. Di fronte al mausoleo di Dante Alighieri, due uomini sfidano il coprifuoco nazista pur di nascondere qualcosa. Qualcosa che non deve finire nelle mani sbagliate. Ma per quanto tempo le spire del tempo possono tenere celato un segreto?
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ravenna, venerdì 19 maggio 1944, ore 23:30.
 
Immerso nell’oscurità davanti alla porta della tomba di Dante Alighieri nei pressi della Basilica di San Francesco, Frate Antonino Galvati aspettava guardandosi nervosamente intorno e torcendosi senza sosta le mani in grembo.
Mentre l’impazienza correva di pari passo con l’angoscia, con uno scatto girò su sé stesso e si diresse verso la parte destra del piccolo mausoleo, dove aveva lasciato due vanghe ed una piccola torcia elettrica. Raccolse quest’ultima e l’accese rapidamente, giusto per quei pochi secondi necessari a spostare la manica del suo logoro saio e controllare l’ora. Deglutendo, si avvide che Marcello aveva già trenta minuti di ritardo. Eppure gli aveva raccomandato, anzi, lo aveva letteralmente pregato di essere puntuale.
Per le strade non c’era nessuno ed il silenzio quasi irreale che lo circondava non faceva altro che aumentare la sua paura. Ravenna pullulava in egual misura di soldati tedeschi e partigiani, e starsene all’aperto in piena notte era quanto di più pericoloso si potesse fare, persino per un frate come lui. I nazisti non si facevano troppi problemi a rastrellare chiunque apparisse in qualche modo sospetto, indipendentemente da chi fosse. Ed un saio francescano non sarebbe di certo bastato a tutelarlo. Se fosse finito in mano a quegli uomini, nessuno avrebbe potuto dire quale destino gli sarebbe toccato.
Eppure, nonostante la paura, era più che certo di stare per fare la cosa giusta. A quanto aveva sentito, il Führer di Germania amava circondarsi di opere d’arte e di reliquie, sia cristiane che delle antiche religioni pagane, e le sue SS non esitavano a saccheggiare chiese e musei pur di compiacere il loro leader. Cosa impediva di pensare, quindi, che nelle mire degli ex alleati non sarebbero finite anche le spoglie terrene del Sommo Vate della poesia italiana?
Non poteva permettere un simile furto, che aveva quasi un che di sacrilego. Nei secoli passati i suoi confratelli avevano sempre protetto le ossa di Dante da chiunque le volesse strappare al Convento di San Francesco, e lui non sarebbe stato da meno. Le avrebbe tolte dal mausoleo e le avrebbe nascoste, di modo da impedire a chiunque di impossessarsene.
Ma si era tenuto per sé il suo intento, non parlandone neppure col priore: se nessuno avesse saputo, nessuno avrebbe potuto parlare.
Purtroppo però, lui non era mai stato un tipo particolarmente coraggioso e così, dal giorno in cui aveva preso quella decisione, una sottile inquietudine venata di timore aveva cominciato a strisciargli dentro, spingendolo sempre a rimandare il momento dell’azione.
Inquietudine che non era sfuggita all’occhio attento di Marcello Sarti, un suo buon amico.
Ormai entrambi trentenni, lui e Marcello si conoscevano dai tempi delle scuole elementari, ed erano cresciuti insieme. I loro rapporti si erano un poco diradati col passare degli anni, anche a causa dei suoi doveri all’interno del convento, ma la relazione di stima reciproca che li aveva uniti non era mai venuta meno. Anche se, negli ultimi anni, attorno a Marcello si era creato una sorta di alone misterioso, rafforzato spesso da lunghi periodi di assenza da Ravenna. Ma l’amico non aveva mai sentito il bisogno di dargli delucidazioni in merito, e lui si era astenuto dall’indagare. Se il Sarti era un partigiano, lui preferiva non saperlo.
Il casuale incontro che avevano avuto quella mattina gli era sembrato un segno del cielo. Si erano incrociati per strada nei pressi della basilica ed avevano cominciato a chiacchierare degli argomenti più disparati, dalla loro vita privata all’andamento della guerra, la quale sembrava ormai volgere al peggio per i tedeschi su più fronti. Ma Marcello aveva notato quasi da subito il suo tono distratto e le sue risposte vaghe, e glie ne aveva domandato il motivo. E lui, dopo qualche bugia farfugliata in modo incerto, aveva deciso di liberarsi di quel peso e rivelare all’altro il suo progetto.
Con suo grande sollievo, il vecchio amico aveva approvato senza riserve l’idea e addirittura si era offerto di aiutarlo, dandogli appuntamento per quella notte stessa, di fronte al sepolcro del poeta.
Ma allora perché stava tardando tanto? Ci aveva ripensato? O forse gli era successo qualcosa?
Antonino sentì la paura stringergli il cuore con rinnovato vigore, con una morsa così gelida da mozzargli quasi il fiato. Stava per raccogliere le due vanghe per tornarsene al convento, quando sentì un rumore di passi strascicati poco distante da lui.
Restò immobile, indeciso se rimanersene nascosto dietro il muro del mausoleo o aggirarlo per sgattaiolare fra le tenebre fino al porto sicuro della sua stanza nella badia. Forse era Marcello, ma se fosse stato qualcun altro?
- An… Antonino! Sei qui…? -
La voce sorta improvvisa dal buio era debole e affannata, ma innegabilmente era quella del suo amico.
- Marcello! – esclamò il frate riavendosi un poco e riaccendendo la torcia elettrica –  Ma dove eri finito? Perché ci hai messo tanto? -
Ma qualsiasi velleità di rimprovero da parte del religioso svanì come neve al sole nel momento in cui il fascio di luce inquadrò il nuovo arrivato: Marcello claudicava vistosamente, era sporco, lacero, ed i suoi vestiti erano disseminati di macchie scure, le più grandi delle quali rendevano umida la stoffa degli abiti all’altezza della spalla e della coscia sinistre. Con la mano destra, tenendolo alzato quel tanto che poteva da terra, l’uomo portava un sacco di iuta con dentro qualcosa che doveva sicuramente essere pesante.
- Oh Signore misericordioso! – quasi gridò Antonino facendosi avanti per prendere l’amico e sorreggerlo – Ma che ti è successo? Chi ti ha ridotto così? -
L’altro si avvicinò con passo malfermo. Il suo viso era pallido come un cencio.
- Lascia stare, Antonino. – disse con voce provata – Noi due abbiamo un compito da svolgere. -
- Ma cosa stai dicendo?!? Tu sei ferito, devi andare in ospedale! -
Marcello lasciò cadere il sacco, che finendo a terra produsse un sordo rumore metallico, e, avvicinandosi ulteriormente, prese il frate per le spalle.
- Non abbiamo tempo per questo! Potremmo non averne abbastanza nemmeno per quello che dobbiamo fare! Apri le porte del mausoleo, sbrigati! -
Antonino non aveva mai visto una simile espressione sul volto dell’amico. I suoi tratti, seppur deformati dal dolore, tradivano una disperata determinazione e una risoluzione che sembrava non poter accettare obiezioni.
Senza accampare altre recriminazioni, il francescano assentì col capo e si voltò estraendo da una tasca del saio un piccolo mazzo di chiavi. Raggiunta la porta della tomba di Dante ne infilò una nella serratura e l’aprì. Marcello, ripreso il sacco, entrò insieme a lui.
Con la torcia elettrica il frate illuminò l’ambiente. L’interno del cenotafio si presentava come una stanza quadrata di più o meno quattro metri per quattro, le due pareti laterali erano bianche e prive di qualsiasi ornamento. Ma era su quella di fondo che stava il loro obiettivo: incorniciato da marmi rossi, un bassorilievo quattrocentesco mostrava l’Alighieri di profilo, in atteggiamento corrucciato e pensoso. Al di sotto di esso, a contatto con la parete, un sarcofago bianco a quadrilatero con inciso sul frontale un epitaffio scritto in latino.
Marcello non si attardò a provare a leggere. Ad accaparrarsi la sua attenzione fu subito la vista di sei robuste serrature metalliche che stringevano il sarcofago al suo coperchio. Due per ogni lato corto, e due sul davanti.
- Accidenti a te, frate! Non mi avevi detto che la tomba è sigillata! -
- Il mausoleo così come lo vedi non è coevo alla morte di Dante, fu eretto nel settecento. – rispose Antonino - Fu commissionato da un cardinale chiamato Gonzaga, che stabilì che il sarcofago venisse serrato per impedire il furto delle spoglie del poeta, che da sempre sono state nelle mire di molti, in primis in quelle degli abitanti di Firenze. Fino ad ora la minaccia di scomunica è stata un deterrente valido per chiunque volesse violare queste protezioni, ma non servirebbe a fermare i martelli e gli scalpelli nazisti. Per questo ho deciso di spostare le ossa e di non farne parola con nessuno eccetto te. -
- Sei in possesso delle chiavi per aprire le serrature, spero. -
- Una sola chiave le apre tutte, e di norma è uno di noi frati del convento ad averla. Su quale frate sia viene mantenuto il segreto al di fuori del chiostro. Ma la fortuna ha voluto che l’attuale custode sia io, anche se tale titolo, in teoria, non mi darebbe il diritto di agire di testa mia. -
Così dicendo, Antonino si mise di nuovo la mano in tasca e ne tirò fuori una grossa chiave di ferro massiccio, evidentemente molto antica.
- Eccola qui. E’ questa. -
Con gesti quasi cerimoniosi, il frate sbloccò le serrature una dopo l’altra. Ogni chiavistello si aprì senza fatica, segno inequivocabile che erano stati tenuti costantemente oliati nel corso degli anni.
- Bene. – disse infine – Ora dobbiamo spostare il coperchio quel tanto che basta per asportare le ossa. Ti senti in grado di farlo nelle tue condizioni? -
Alla luce innaturale della torcia, il volto biancastro dell’amico appariva quasi spettrale. Ma ancora una volta l’uomo si mostrò più che deciso a procedere.
- Ce la faccio, non preoccuparti. -
Digrignando i denti per il dolore, Marcello si tolse lentamente la giacca. Quando ebbe finito di sfilarsela, Antonino trasalì: se la stoffa della giubba era bagnata, quella della camicia sottostante era letteralmente zuppa di sangue. Ma a turbarlo ancora di più fu la vista del calcio di una pistola che spuntava da una fondina ascellare sotto il braccio ferito ed un curioso e al contempo sinistro bracciale di cuoio sull’avambraccio destro, che partiva dal polso e arrivava quasi al gomito. Collegato ad esso, nella parte rivolta al busto, vi era una sorta di lama a serramanico spezzata.
L’apparizione di quelle armi fu come una secchiata di benzina gettata sul fuoco della paura che già divampava nel frate, ancor più che vedere le ferite stesse. La loro presenza era la prova definitiva che Marcello non era la persona che aveva sempre creduto. Doveva essere davvero un partigiano, o qualcosa del genere.
Antonino avrebbe voluto dire qualcosa, ma ormai si sentiva come se avesse davanti uno sconosciuto. Uno sconosciuto ferito e pericoloso. Così scelse di tacere ed afferrò uno dei lati del coperchio. Marcello prese l’altro e cominciarono a spingere la pesante copertura in avanti.
Riuscirono a spostarla, ma per il ferito fu uno sforzo eccessivo: gemendo e afferrandosi la spalla, Marcello barcollò fino alla parete laterale e scivolò spossato contro di essa.
Antonino continuò a non parlare, immaginando che, sebbene l’amico sanguinasse copiosamente, tornare ad insistere per andare in ospedale sarebbe stato fiato sprecato. Così allungò le braccia dentro il sarcofago e ne estrasse due urne di terracotta, anch’esse molto antiche.
- Le ossa sono lì dentro? – chiese il Sarti con voce rantolante.
- Sì. Vi sono state messe nel diciassettesimo secolo. Molte sono spezzate, questi resti hanno dovuto affrontare diverse traversie. -
- D’accordo, va bene anche così. Antonino, prendi il sacco che ho portato con me. Dentro c’è un contenitore che per fortuna è abbastanza grande da metterci dentro entrambe quelle urne. -
Il frate obbedì e dal sacco estrasse un bauletto di legno rinforzato in ferro, tenuto chiuso da un gancetto e con due maniglie sui lati corti per trasportarlo.
La vista di quell’oggetto e la richiesta di porvi dentro le urne creò nella mente di Antonino una nuova serie di domande, ma ebbe anche l’effetto di restituirgli un minimo di sdegnato coraggio.
- Dovrei nascondere le ossa qui? E perché? Marcello sono stanco di tutti questi misteri, tu mi devi una spiegazione! Che cosa sta succedendo? Ti offri di aiutarmi e poi ti presenti qui grondante sangue, e quelle hanno tutta l’aria di essere ferite da arma da fuoco! Mi chiedi di fare delle cose e nemmeno me ne spieghi i motivi! Chi sei veramente, Marcello? Devi dirmelo! -
L’altro non abbassò lo sguardo a quelle invettive. Lo tenne fisso in quello del religioso e rispose, nonostante facesse sempre più fatica a parlare.
- Hai tutto il diritto di inalberarti, Antonino. Ma credimi quando ti dico che qualsiasi cosa ti rivelassi non farebbe altro che metterti in pericolo. Ed io questo non lo voglio. Ti prego di prestarmi fede, nascondere quelle ossa è importante tanto per me quanto lo è per te. Ma devono stare dentro il bauletto che hai fra le mani, è fondamentale!
Quando la guerra finirà ed il pericolo sarà passato io tornerò a riprendermi quel contenitore e tu potrai rimettere quelle ossa al loro posto. Ma ora, ti prego, fai come dico io. E nel caso dovesse succedermi qualcosa di peggio di quanto mi sia già accaduto stanotte… Se dovessi morire… -
- Non dirlo neanche per scherzo! -
- Stammi a sentire, Antonino! Se non dovessi mai tornare a reclamare quel bauletto… A guerra finita rimetti anche quello nel sarcofago, chiudi le serrature  e, in nome della nostra amicizia, non parlarne mai con nessuno! E dovrai imporre anche a chi un giorno prenderà il tuo posto di non parlarne! Hai capito bene? -
- Io… -
- Hai capito bene, Antonino?!? -
Sui due scese una cappa di pesante silenzio, reso ancora più gravoso da tutte le parole che il frate avrebbe ancora voluto dire, ma che non aveva il cuore di pronunciare. E, dopo qualche lunghissimo secondo, fu proprio lui ad abbassare lo sguardo e a cedere.
- Va bene, Marcello. Iddio mi salvi, farò quanto mi chiedi. -
Senza frapporre ulteriori indugi Antonino posò il bauletto sul pavimento e lo aprì. Sul fondo e sui lati era rivestito da un’imbottitura foderata di velluto rosso, probabilmente messa ad ulteriore protezione di ciò che vi si metteva dentro. Poi prese le urne e le posò delicatamente all’interno del contenitore, una di fianco all’altra. Quindi afferrò il coperchio per chiuderlo. Ma, mentre lo abbassava facendolo scendere sui cardini, si accorse che c’era un piccolo simbolo intagliato nella parte concava, priva di fodera. Era un segno strano, che non aveva mai visto prima: una sorta di triangolo lavorato e privo di base, quasi un compasso dischiuso. Sotto di esso, una specie di mezza luna rivolta verso il lato aperto.
Il bauletto sembrava fatto a mano, quindi era improbabile che quel simbolo fosse un marchio di fabbrica. Per un attimo pensò di chiedere delucidazioni a Marcello ma lasciò subito stare, prefigurandosi che difficilmente ne avrebbe avute.
- Fatto. – disse alla fine il francescano afferrando il contenitore per le maniglie e issandoselo contro il petto  – Possiamo procedere. -
Puntellandosi sul braccio sano, Marcello si rialzò in piedi e fece per aiutare Antonino a trasportare il fardello, ma questi rifiutò, asserendo che ce la faceva da solo.
Uscirono così entrambi al di fuori del mausoleo. Il Sarti sembrava stare sempre peggio, ma il frate era già andato oltre la pietà del buon cristiano: anche lui era ormai intenzionato solo a concludere l’operazione, ed il prima possibile.
- Dove nasconderemo le ossa? – chiese quindi – Avevi detto di aver pensato ad un posto sicuro. -
- Esattamente. – rispose il Sarti puntando il fascio di luce della torcia elettrica – Le seppelliremo lì sotto. -
Antonino guardò nella direzione indicata e rimase di stucco: l’amico aveva illuminato una grossa e lunga serie di siepi che delimitavano un prato, a nemmeno dieci metri dalla tomba.
- Lì?!? – esclamò esterrefatto ed irritato – Tutta questa fatica per poi nascondere i resti di Dante praticamente nello stesso posto?!? -
- Rifletti, Antonino… - gli rispose Marcello emettendo un gran sospiro – Se qualcuno violasse davvero la tomba e la trovasse vuota, è molto probabile che immaginerebbe che le spoglie siano state portate in un luogo lontano, non andrebbe certo a pensare che invece siano ancora qui. E tieni conto di altre due cose. -
- Quali? -
- In primo luogo, se seppelliamo le ossa dove ho detto, potrai costantemente tenerle d’occhio. In secondo, anche se volessimo non credo di avere abbastanza forze ormai per portarle chissà dove. Hai accettato di fidarti fino ad ora. Ti chiedo di continuare a farlo. -
Berciando a mezza voce improperi indegni di un uomo della sua schiatta, Antonino si voltò muovendosi a grandi passi rassegnati verso le siepi. Sebbene fosse fortemente contrariato, aveva comunque riconosciuto che i ragionamenti dell’amico non erano privi di senso.
Marcello intanto, zoppicando, aveva recuperato le vanghe.
I due cominciarono a scavare sotto la siepe, tenendo la torcia spenta. Quella sarebbe stata la parte più lunga e faticosa da svolgere, e le condizioni del Sarti non avrebbero fatto altro che allungarla ulteriormente. Andarono avanti senza parlare e, a furia di compiere ripetutamente gli stessi movimenti, perdendo ben presto la cognizione del tempo. Marcello fu costretto a fermarsi in più di un’occasione, e addirittura una volta la gamba ferita gli cedette. Ma non accennò mai a tirarsi indietro. Continuò a rimuovere la terra imperterrito, fino a che, accendendo un attimo la torcia, si avvide che la fossa scavata era ormai profonda circa un paio di metri.
- Così può bastare. – disse, debole a tal punto da stupirsi lui per primo di essere ancora in grado di parlare – Caliamo il bauletto e ricopriamo tutto. -
Svolsero insieme anche quell’ultima operazione, fortunatamente in meno tempo, spandendo alla fine la terra per far sì che sembrasse che non fosse mai stata smossa.
- Si sono fatte le due del mattino. – disse infine Antonino, anche lui ormai sudato e col fiato corto – Ora cosa si fa? -
- Ora tu te ne torni al tuo convento e ti dimentichi di tutto questo. Mi rifarò vivo appena potrò. Mi raccomando Antonino: nessuno deve sapere. -
- Dove andrai, Marcello? – chiese il frate abbassando le spalle, come se si fosse ricordato all’improvviso che l’uomo ferito che aveva dinanzi era pur sempre un suo vecchio amico – Ora che abbiamo finito ci possiamo andare in ospedale. -
- No. Non è sicuro. C’è il coprifuoco, l’hai dimenticato? E se mi presento con ferite da proiettile i medici chiameranno i carabinieri. E con loro potrebbero arrivare i nazisti. Vai a dormire, Antonino. A me penserò io. -
L’espressione risoluta del Sarti spazzò via le ultime resistenze dell’altro.
- Va bene. – rispose chinando il capo – Rientrerò un momento nel mausoleo per pulire il sangue che hai lasciato in giro e poi tornerò in convento. -
Con gesto improvviso, Marcello si fece avanti ed abbracciò l’amico, lo abbracciò forte tanto quanto le sue ferite glie lo permettevano. Antonino esitò un momento, poi ricambiò.
Quando si staccarono, il francescano aveva gli occhi lucidi.
- Stai attento, Marcello. Chiunque tu sia in realtà. -
- Abbi cura di te, Antonino. A presto. -
Il Sarti si allontanò claudicando e, in pochi minuti, sparì nella strada buia. Antonino rimase a guardarlo fino a che le tenebre non lo inghiottirono completamente.
In cuor suo sperò con tutto sé stesso che, nonostante tutto, il loro saluto fosse stato solo un arrivederci.
 
All'incirca un'ora dopo essersi accomiatato da Antonino, Marcello era riuscito ad allontanarsi dalla tomba di Dante Alighieri di poco più di un chilometro, aggirandosi per strade deserte che davano a Ravenna le sinistre sembianze di una città fantasma. In realtà, date le sue condizioni, lui per primo era stupito di essere ancora in piedi. Probabilmente, pensò fra sé, era la forza della disperazione a permettergli di andare ancora avanti.
Perché “disperazione” era l'unico nome che si poteva dare al sentimento che gli annodava le viscere in quel momento.
Doveva assolutamente trovare un luogo sicuro dove potersi applicare almeno una medicazione di fortuna, e poi cercare un modo per andarsene e raggiungere i confratelli di Venezia, che fra i gruppi meglio organizzati erano i più vicini.
Ma passare per casa sua sarebbe stato eccessivamente rischioso, così come provare a tornare al palazzetto che fungeva da covo per l'Ordine degli Assassini. Ammesso che i Templari non lo avessero completamente raso al suolo.
Con la mente Marcello tornò agli avvenimenti che si erano succeduti nelle ultime ventiquattro ore. La sua offerta di aiutare Antonino a nascondere i resti dell'Alighieri era stata sincera. Dante era stato uno dei personaggi di spicco fra gli Assassini italiani a cavallo fra il tredicesimo e il quattordicesimo secolo, ed addirittura era divenuto Mentore della cellula di Ravenna, dopo il suo esilio da Firenze. Proteggere le sue spoglie dalle mani dei nazisti gli era sembrato un atto di rispetto dovuto.
Ma quella stessa sera il covo dell'Ordine aveva ricevuto una attacco a sorpresa da parte dei Templari, coadiuvati dalle SS. Gli erano piombati addosso senza nessun preavviso, armati fino ai denti.
Era stata una strage.
Lui ed i suoi confratelli e consorelle avevano opposto una strenua resistenza, ma in breve tempo erano stati completamente soverchiati. Il fatto che l'attacco fosse giunto totalmente inaspettato poteva voler dire soltanto che, mentre veniva pianificato, tutte le loro spie che si aggiravano per Ravenna erano state identificate e neutralizzate.
Quando l'inevitabilità della sconfitta era stata chiara, aveva deciso di cercare di portare in salvo la reliquia che da secoli era in loro custodia, perché era stato sicuramente quello l'obiettivo della retata.
Con la morte nel cuore per la sorte a cui abbandonava i suoi compagni, aveva preso il bauletto, era riuscito a farsi largo fra i nemici e a raggiungere infine una falsa intercapedine che nascondeva una via di fuga segreta, la quale lo aveva condotto all'esterno. Purtroppo nel farlo si era preso due pallottole.
A quel punto raggiungere Antonino era divenuto di vitale importanza, anche se la sicurezza delle ossa di Dante era passata decisamente in secondo piano rispetto a quella della reliquia.
Gli dispiaceva di aver dovuto ingannare il suo amico facendogli credere che era lì solo per le ossa, ma non aveva avuto scelta. Dirgli la verità, fargli sapere che forse i nazisti erano sulle sue tracce, avrebbe potuto spaventarlo troppo per portare l'opera a termine.
Ora c'era solo da sperare che nessuno lo avesse visto lasciare il covo. Se non erano apparsi soldati in quel lasso di tempo, forse davvero non si erano accorti della sua fuga.
Certo, era un piano con troppi “forse”, “se” e “ma”. Purtroppo però il precipitare della situazione non gli aveva permesso di escogitarne uno migliore. Adesso doveva preoccuparsi solo di trovare il modo per curarsi, perché la vista gli si stava cominciando ad annebbiare per il troppo sangue perso. Non poteva permettersi di morire, o il segreto di dove la reliquia era stata nascosta sarebbe scomparso con lui. Improvvisamente gli sovvenne che in Piazza del Popolo viveva un medico legato all'Ordine: se fosse riuscito a raggiungerlo forse si sarebbe salvato ed avrebbe trovato un modo per lasciare la città.
- TU! FERMA! -
Quell'ordine perentorio, gridato qualche metro alle sue spalle, lo inchiodò. Marcello non si girò, rimase immobile e voltò solo la testa quel tanto che bastava per guardare.
Erano in tre, con le divise grigie, gli elmetti e i mitra spianati. Nazisti. Forse del gruppo che aveva attaccato il covo, forse no. Forse non erano nemmeno seguaci dei Templari. Ma aveva poca importanza. Essersi fatto sorprendere durante il coprifuoco era motivo più che sufficiente per arrestarlo. E anche se quei tre non avessero fatto parte dei nemici storici dell'Ordine, alla notizia della cattura di un italiano armato e ferito i Templari sarebbero arrivati presto.
Il Sarti maledì sé stesso e il destino. Talmente perso nei suoi progetti di fuga, e forse complici i suoi sensi sopiti dalla debolezza, aveva abbassato la guardia e non si era accorto dell'avvicinarsi della pattuglia.
Era finita.
- FERMA! - ripeté uno dei militari – ALZA TUE MANI! -
Marcello si concesse un sorriso. Quel modo strano che avevano i tedeschi di parlare l'italiano lo aveva sempre fatto ridere.
Si voltò di scatto estraendo la pistola e la puntò contro i soldati.
Una raffica di mitra gli falciò l'addome prima che potesse premere il grilletto.
Mentre si accasciava sul selciato della strada, il suo ultimo pensiero coerente fu il rimpianto per aver fallito proprio quando era vicino a riuscire, attenuato solo dalla speranza che la reliquia rimanesse nascosta per gli anni a venire.
Meglio perduta che in mano ai Templari.
Poi tutto si dissolse nel nero.
 
 
Nota dell’Autore: Ben ritrovato/a a chi mi conosce già e benvenuto/a a qualche eventuale nuova conoscenza! E grazie per essere arrivati a leggere fino a qui! Spero che questa storia (che si concluderà col prossimo capitolo) abbia riscosso la vostra approvazione!
Qualche doverosa precisazione: pur essendo stato un paio di volte a Ravenna, non ho mai avuto modo di visitare la tomba di Dante Alighieri e la vicina Basilica di San Francesco. Tutte le informazioni sul mausoleo presenti nel testo sono prese da Wikipedia (vi allego il link alla fine), e chiedo scusa in anticipo per eventuali inesattezze. Naturalmente alcune sono volute, ad esempio le serrature sul sarcofago sono una mia invenzione! ^____^
Ho leggermente rimaneggiato anche altre cosette (se lo fa la Ubisoft, posso farlo anche io!) ma per qualsiasi dubbio o domanda, non esitate a chiedere!
Chiudo con un ringraziamento ad un fraterno amico (noto sul sito come Templaretto) che mi ha supportato nella stesura della trama. Grazie scassacabdziu! (Lui capirà)
Ciao a tutti, ancora grazie, e alla prossima!

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Tomba_di_Dante
 
 
 
 
 
 
 

 
  
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