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Autore: Jo Hamish Watson    22/01/2014    2 recensioni
"There will be time, there will be time" ripeteva Sherlock in continuazione dal primo incontro con John al giorno del matrimonio del suo migliore amico.
"Ci sarà tempo per dirgli che lo amo".
Ora il tempo è finito.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La signora Hudson era appena uscita dall’appartamento, scendendo di corsa i gradini, dopo che lui l’aveva, esplicitamente, mandata via.
Si diresse a passo svelto verso la camera da letto, togliendosi la lunga vestaglia da camera e si guardò allo specchio.
Il suo fisico si era ripreso dopo i due anni lontano da Londra; le ossa non fuoriuscivano più come prima  e il colorito era migliorato. Anche le ferite inflittegli dai Serbi si stavano rimarginando.
L’aspetto esteriore non era male, nel complesso. Era all’interno che qualcosa non andava.
Le ferite più profonde erano invisibili, ma lui le vedeva chiaramente. Erano nel suo cuore.
L’abito da cerimonia era nell’armadio, in vista.
“Ci sarà tempo” - pensò – “è ancora presto”.
Era lui a non essere pronto. Non era pronto per il matrimonio del suo migliore amico. Non era pronto per essere chiamato a testimoniare l’unione di due persone. Non era abbastanza maturo. Non avrebbe potuto.
°Quattro anni prima.
La porta del laboratorio del St. Barts si aprì e gli bastò un semplice sguardo per capire che l’uomo che era appena entrato, sarebbe stato il suo coinquilino.
Aveva dedotto un sacco di cose sul suo conto, ma non lo aveva lasciato parlare, non si era neanche presentato.
“Ci sarà tempo”, si era detto.
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Erano da Angelo, al ristorante italiano. Stavano aspettando il tassista, anche se non lo sapevano ancora.
Il proprietario aveva già classificato John come suo ‘ragazzo’, e, mentre quest’ultimo ribatteva, risentito, lui stava in silenzio, troppo impegnato a cercare di risolvere il suo caso.
John gli chiese piccoli dettagli sulla sua vita privata e non seppe bene come comportarsi.
Per la prima volta nella sua vita Sherlock Holmes era imbarazzato.
No, non aveva una ragazza. E neanche un ragazzo.
Era ciò che si poteva definire ‘asessuato’.
Il sesso non lo spaventava, ma, non poteva neanche dire di esserne attratto.
Era complicato da spiegare, lì per lì, soprattutto perché lo sguardo di John aveva qualcosa di più. Qualcosa di più rispetto a tutti gli sguardi che aveva incrociato in tutta la sua vita.
Glielo avrebbe spiegato, prima o poi, gli avrebbe spiegato che non aveva mai pensato neanche lontanamente ad avere un qualche tipo di relazione, gli avrebbe spiegato che, suo malgrado, in quell’istante, John aveva confuso le sue idee a riguardo. Si limitò a dire di considerarsi sposato con il proprio lavoro.
“Ci sarà tempo”.
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Piscina. Moriarty. John imbottito di esplosivo. Un cecchino che lo teneva sotto tiro.
Non si era mai preoccupato di salvare le vite degli altri. Per lui era importante risolvere i casi, punto.
Era un caso come gli altri, ma, a rischiare la vita c’era lui, John, il suo coinquilino, il suo aiutante, il suo amico (gli piaceva, tra sé e sé, pensarla così, anche se, non aveva mai avuto nulla di neanche lontanamente simile).
Doveva salvarlo, l’avrebbe fatto in qualche modo.
Dopo attimi che sembrarono interminabili ci riuscì, lo liberò dagli esplosivi.
Avrebbe voluto chiedergli scusa, dirgli grazie, fargli i complimenti perché era rimasto lucido e lo aveva aiutato a gestire la situazione.
Dalla sua bocca non uscirono queste parole.
“Ci sarà tempo”.
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°Tre anni prima.
Erano i tempi di Irene Adler. La Dominatrice si era svelata e aveva fatto di tutto per farsi notare da lui.
Sherlock era confuso. Per la prima volta nella sua vita.
Molti attribuirono il suo atteggiamento al fatto che lui provasse un qualche tipo di interesse nei confronti di quella che chiamava ‘La Donna’.
Idiozie.
O meglio, avevano frainteso tutto, come sempre, lui non se ne era meravigliato e aveva lasciato correre. Aveva lasciato credere.
L’appellativo di ‘Donna’ era per lui una forma di rispetto e ringraziamento.
Ringraziamento perché, finalmente, qualcuno entrato nella sua vita per caso e per un caso, era riuscito a fargli capire quello che lui aveva già capito da un po’, ma, che, non voleva o non riusciva ad ammettere a sé stesso.
La Donna gli aveva fatto capire che lui, Sherlock Holmes, l’intelligentissimo consulente investigativo, il verginello, l’uomo senza sentimenti, era in grado di amare.
Sherlock Holmes amava John Watson, era l’unica certezza della sua vita che faceva fatica ad ammettere. L’unica certezza che lo faceva vacillare. L’unica certezza-incertezza.
Incertezza perché ,per la prima volta, aveva paura, paura di non essere ricambiato, paura di sbagliare, paura di lasciarsi trasportare da quei ‘sentimenti’ che aveva sempre respinto, tenuto fuori dal suo indistruttibile guscio che, ora, quel medico militare stava distruggendo.
“Dovresti dirglielo”- gli aveva sussurrato la Donna quando Sherlock l’aveva salvata a Karachi.
“Ci sarà tempo”- rispose lui.
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“John, io non ho amici. Ne ho solo uno.”- gli urlò rincorrendolo nel cimitero di Grimpen.
Era vero e, finalmente, oltre che ammetterlo a sé stesso, lo stava ammettendo anche a John.
Avrebbe voluto dirgli tante altre cose. Tutto ciò che aveva scoperto. Tutti i suoi sentimenti venuti a galla. Tutto ciò che John aveva smosso dentro di lui, irrompendo nella sua vita con un impeto improvviso e inaspettato.
Ma, come già accaduto altre volte, la mente di Sherlock venne stimolata e riportata a lavorare sul caso del mastino di Baskerville, e, quando se ne ricordò, era ormai troppo tardi.
“Ci sarà tempo.”
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Londra vista da lassù era uno spettacolo. Si estendeva sotto ai suoi piedi per chilometri e chilometri, sembrava non aver confini.
John era lì sotto, dietro il parcheggio delle ambulanze, preoccupato, lo sentiva dalla voce all’altro capo del telefono.
Lui gli diceva di non muoversi, gli diceva che quella telefonata sarebbe stata il suo ‘biglietto’.
John non capiva. Come avrebbe potuto?
Sherlock sapeva che il suo corpo sarebbe sopravvissuto. Il piano era stato preparato alla perfezione. Ma aveva paura.
Guardò Londra. Guardò John.
La città che amava e l’uomo che amava.
E avrebbe dovuto abbandonarli. Entrambi.
I suoi piedi si irrigidirono. Non voleva fare quel passo che lo avrebbe portato via da tutto ciò che gli stava a cuore.
Poi ripensò alle parole di Moriarty, qualche minuto prima “Se non lo farai tutti i tuoi amici moriranno”.
Il suo primo pensiero era andato a lui  -“John”- aveva esclamato, gli occhi sgranati.
Lo aveva messo in pericolo tante volte. L’uomo che gli era stato sempre vicino. L’uomo che lo aveva aiutato a smettere con la droga. L’uomo che lo aveva salvato così tante volte e in così tanti modi. L’uomo che gli aveva fatto capire cosa fosse l’amicizia. L’uomo che gli aveva insegnato ad amare.
Tutte queste parole vorticavano veloci nella sua testa, non sapeva da quale iniziare. Se ne uscì con un “Addio, John” e, con un ultimo sguardo, si lanciò dal tetto del St.Barts, lì, dove, per uno sciocca coincidenza, tutto aveva avuto inizio.
“Ora tocca a me salvarti, John” – pensò.
“E…ci sarà tempo per dirti tutto ciò che avrei dovuto dirti.”
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°Quattro mesi prima
Immobile. Una tazza di tè con latte in mano e lo sguardo perso nel vuoto.
John gli aveva appena chiesto di essere il suo testimone, ma non era quella la notizia importante in quella conversazione.
John, il suo John, gli aveva appena confessato di essere una della due persone che amava. Una delle due persone più importanti della sua vita. Il suo migliore amico.
Non si aspettava questo. Non sapeva neanche lui cosa si sarebbe dovuto aspettare.
Rimase a fissarlo per un tempo incalcolabile. In silenzio.
Il matrimonio era lontano.
“Ci sarà tempo.”
 
Si stava lisciando le pieghe della giacca da cerimonia davanti lo specchio.
Il ‘gran’ giorno era davvero arrivato, allora.
Avrebbe dovuto tenere un discorso davanti a decine di invitati. Ci aveva rimuginato su per settimane e settimane, anche se non ne avrebbe avuto bisogno.
Quando si trattava di John avrebbe potuto parlare per giorni interi, senza mai fermarsi.
Quando si trattava di John non sarebbe servito preparare un discorso.
Quando si trattava di John le emozioni prendevano il sopravvento.
Quando si trattava di John era il suo cuore a parlare, quelle parole che avrebbe dovuto dirgli anni addietro e che ora non avrebbe più potuto pronunciare.
John si stava per sposare. E non con lui.
John avrebbe vissuto con un’altra persona. E non era lui.
John avrebbe condiviso una vita con la persona che amava. E non era lui.
“Non ci sarà più tempo”
Si sistemò il fiore nella tasca e si asciugò un’impercettibile lacrima.
 
Angolo dell’autrice: Thomas S. Eliot mi fa un brutto effetto. Da quando l’ho studiato, l’anno scorso, ogni volta che mi capita qualcosa sottomano devo leggerlo. E così è stato qualche giorno fa, quando, tra i vari appunti del liceo mi sono ritrovata “The Love Song of J. A. Prufrock” e non ho potuto fare a meno di rileggerla.
Il verso che mi colpì a suo tempo (e che continua a risuonare nella mia testa) è il vv.26 “There will be time, there will be time” e da lì che è nato il titolo per questa fan fiction che, spero, apprezzerete.
 
Un grazie in anticipo a tutti voi lettori, e a chi vorrà lasciare una piccola critica.
Vi abbraccio.
JHW
 
 
 
 
   
 
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