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Autore: Welt    22/01/2014    3 recensioni
Perché lui mi amava, per quanto si ostinasse a non ammetterlo io lo sentivo che mi amava, e ne avevo la totale conferma quando facevamo l’amore, quando i nostri corpi erano fusi in uno solo e lo vedevo stringermi come se fossi stata la cosa più preziosa al mondo.
Eppure se n’era andato, ignorando quel senso di colpa che l’avrebbe attanagliato nel momento in cui avrebbe varcato la porta di casa per non tornare più indietro, ignorando il nostro amore ed il dolore che mi avrebbe causato quando avrei scoperto la sua assenza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Donghae, Eunhyuk
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Lo so, che prima di pubblicare questa nuova storia dovrei prima aggiornare la ff!
Giuro lo farò prestissimo, lo prometto abbiate fede!
Nel frattempo che voi mi odiate un po’, vi lascio questa ff totalmente inconcludente, triste e con forse un probabile seguito,
niente è sicuro però. 
Spero che vi possa piacere, e che mi facciate sapere cosa ne pensate.
A presto, davvero!
Welt.

 

Always You
 



 

Ancora pensavo a lui, a come la mattina appena sveglio cercava di capire dove fosse, che giorno fosse e quali impegni avrebbero tenuto occupata la sua giornata.
Ancora lo vedevo per il nostro, ormai mio, appartamento mentre girava ancora sognante alla ricerca del suo tanto amato caffè.
Ancora lo vedevo poi lavarsi, prepararsi ed uscire, senza prima essersi avvicinato a me e pretendere il primo bacio della mattina.
Lo vedevo ancora troppo bene ormai nel mio appartamento che mi stupivo di quando pensandoci bene mi ricordavo che lui non abitava più qui, se n’era andato chissà dove, chissà per quale motivo lontano da me, spezzando ciò che rimaneva del mio cuore.
 
Erano mesi che quell’appartamento non vedeva più la sua figura eppure riuscivo a sentire ancora chiaramente il suo profumo o quella sua presenza alcune volte ingombrante, ma che non avrei mai desiderato cambiare. Se n’era andato via, ed io ignaro non ero riuscivo a fermarlo con il mio amore. Se n’era andato via senza dirmi niente, inaspettatamente e codardamente.
Aveva aspettato che io fossi a lavoro, sicuro di sapere il mio rientro solo dopo le sei di sera, aveva aspettato di essere solo per impacchettare le sue cose in una valigia e lasciare la casa, senza neanche un misero bigliettino. Aveva aspettato di non avermi davanti, probabilmente consapevole del fatto che il suo amore per me l’avrebbe fermato. Perché lui mi amava, per quanto si ostinasse a non ammetterlo io lo sentivo che mi amava, e ne avevo la totale conferma quando facevamo l’amore, quando i nostri corpi erano fusi in uno solo e lo vedevo stringermi come se fossi stata la cosa più preziosa al mondo.
Eppure se n’era andato, ignorando quel senso di colpa che l’avrebbe attanagliato nel momento in cui avrebbe varcato la porta di casa per non tornare più indietro, ignorando il nostro amore ed il dolore che mi avrebbe causato quando avrei scoperto la sua assenza.
Il rientro a casa, per me, era stato ciò che di più doloroso avrei potuto mai sentire in vita mia, trovare la casa spoglia delle sue cose, l’armadio condiviso pieno solo di miei vestiti, vedere il bagno senza quelle sue cose che a prima mattina trovavo irritanti, ma che adesso mi sembravano di vitale importanza. Vedere il mio spazzolino solo, quasi abbandonato dal suo compagno mi fece capire quanto probabilmente assomigliavo a quello spazzolino.
L’avevo cercato con tutto l’impegno possibile in giro per la città, avevo controllato le sue email, l’aeroporto, la stazione, ma di lui non c’era più traccia. L’avevo chiamato ma lui non mi aveva risposto per giorni, solo dopo non so quanti messaggi e quante chiamate mi scrisse due semplici parole “always you” , provai a chiamarlo, a contattarlo ancora, ma lui sparì completamente e mi ritrovai a parlare con la sua segreteria più spesso di quanto volessi, fino a quando stanco di questo silenzio decisi di mandargli un semplice messaggio a settimana, ignorando il mio orgoglio ferito, per fargli sapere che io sarei sempre stato con lui, e lui sarebbe sempre stato con me. Era raro che ricevessi messaggi di risposta, ma ogni volta che mi rispondeva scriveva chiaramente di amarmi, rendendomi sempre più difficile la separazione forzata a cui ero stato sottoposto. Non voleva dirmi dove fosse andato e perché mai, ma avevo la sicurezza che lui fosse scappato da me, da noi, per paura di quello che c’era tra di noi, un qualcosa di troppo forte per essere semplicemente vissuto, avrebbe finito per uccidere entrambi, ma solo alla fine, e se mai ci sarebbe stata una fine. Lui non aveva voluto saperlo, ed aveva chiuso con me prima che quel sentimento  uccidesse totalmente entrambi, perché adesso non eravamo morti, ma neanche vivi, ed ero sicuro che lui soffrisse quanto me.
I messaggi diminuirono a dismisura, i miei almeno. Smisi quasi totalmente di cercarlo, lo facevo solo quando sentivo di non poter sopravvivere ancora a lungo da solo, senza di lui. I suoi arrivavano, con una certa regolarità. Non spesso, ma arrivavano. Fino a quando smisero di arrivare anche quelli e compresi totalmente che il filo che ci teneva uniti era stato tagliato. Io forse avevo dato il via libera con il mio mutismo forzato e lui probabilmente non si era fatto poi tanti scrupoli a recidere quell’unione.
Nonostante mi sforzassi di andare avanti, di vedere altra gente, di uscire di parlare avevo un dolore, a cui quasi mi ero abituato, fisso in petto. 
 
Fu strano forse quando in piena notte, dopo mesi di silenzio ricevetti una chiamata inaspettata totalmente.
Risposi più per preoccupazione che per altro, la mia famiglia era lontana e pensai subito al peggio. Mi stupì totalmente quando sentì la sua voce. -Hyuk.- Mi chiamò ed io rimasi in silenzio ad ascoltare il suo respiro pesante e concitato dentro il telefono, come se avesse corso. -Hae? Sei tu?- Che uscita triste la mia ah? Lo sentì quasi ridacchiare, ed ero convinto che in quel momento immaginasse perfettamente quale fosse la mia faccia, ed infatti. -Chiudi la bocca Hyuk, che entrano le mosche!- Non so come riuscì a fare dell’ironia in quel momento che per me era così assurdo. Sentivo il suo imbarazzo e la sua indecisione se parlare o meno.
-C-come stai?- Domandai speranzoso quasi di poter mantenere questa chiamata il più allungo possibile attiva. -Bene Hyuk!- E parve pensarci un po’ troppo sopra, quando rispose, come se volesse dirmi qualcosa che però non riusciva ad uscire. -Tu?- Chiese infine e notai come la sua voce fosse un po’ spaventata a quella domanda, come se si aspettasse che vomitassi tutto il mio dolore, ed ero sicuro che lui non fosse in grado di sopportare il dolore che mi aveva procurato, fu per questo e chiusi appena gli occhi e sussurrai piano un bene non tanto convinto, ma che ero sicuro a lui avrebbe fatto meno male della verità.
-A cosa devo questa chiamata?- Lo chiesi ingenuamente, senza cattiveria nella voce, con curiosità quasi, e fu per questo che mi stupì quando sentì quasi distintamente il leggero singulto che fece e quando iniziò a tremargli la voce incontrollabilmente.
-Hyuk, dovevo dirtelo io… N-non potevo sopportare l’idea che tu lo scoprissi da altri!- Iniziò piano e quasi io mi sentì morire dentro. Avevo paura, una paura folle delle sue prossime parole. -Mi di-dispiace! Non ti meriti quello che ti ho fatto, perdonami prima o poi, quando e se mai ci riuscirai!- Sentì chiaramente il singhiozzo che accompagnò le sue parole e mi ritrovai a piangere anche io dietro di lui, silenziosamente però. -Mi fai preoccupare così Hae, cosa c’è?- Chiesi per spronarlo a parlare anche se non ero ben convinto di voler sentire le sue parole.
-Tra meno di un mese mi sposo Hyuk.- 
Avete presente adesso, quando sentite il dolore di un osso che si spezza? Quel dolore lancinante che ti fa sperare quasi la morte che no questa sofferenza? Avete presente? Beh io in quel momento ebbi come la sensazione che si fossero rotte tutte quante le mie ossa, una dopo l’altra, lentamente anche, come se ogni gesto fosse fatto apposta per non farmi riprendere. Ci fu silenzio per qualche istante, non riuscì a sentire nient’altro che il rumore delle mie ossa che veniva spezzate, e fu difficilissimo riprendere a parlare normalmente, perché davvero io non volevo vederlo soffrire e sapevo che il mio tono sofferente l’avrebbe distrutto.
-Oh Hae! Sono…- Mi mancarono le forze per un paio di istanti, ma ripresi subito a parlare dissimulando un colpo di tosse. -Sono molto felice per te! Sarete una coppia bellissima tu e la tua sposa, ma… Adesso devo proprio andare Hae, domani lavoro e mi devo svegliare presto.- Sentivo chiaramente che non avrei retto ancora per molto, sapevo che sarei caduto se fossi rimasto ancora a parlare con lui. -Ti meriti solo il meglio Hae e se tu l’hai trovato in questa persona sono davvero felice per te!-
Chiusi la telefonata prima che lui potesse aggiungere altro e sentì il respiro mancarmi e la vista oscurarsi, quasi come se stessi svenendo. Cercai di controllarmi ma le lacrime iniziarono a scendere copiose dai miei occhi e i singhiozzi squarciarono il mio petto magro. Mi sentì letteralmente morire e non riuscì neanche a reggermi in piedi e finì in ginocchio sul pavimento. Odiavo quel dolore, odiavo me stesso per aver sperato che lui sarebbe tornato da me, odiavo l’idea che quel filo che ci legava non fosse spezzato del tutto. Odiavo qualsiasi cosa mi tenesse ancora legato a lui, ma proprio lui però non riuscivo ad odiarlo. Anzi l’amavo più che mai e mi sentivo maledettamente male per quello. Strinsi una mano sul cuore, come se volessi impedirgli di battere così forte e di fare così male, inutilmente.
 
I giorni passarono lenti e dolorosi. Non c’era un secondo in cui non lottassi contro me stesso per evitare di chiamarlo e di dirgli che mi aveva ucciso e non mi meravigliai neanche quando trovai l’invito al suo matrimonio nella mia cassetta della posta. Mi meravigliai più che altro di vedere come quei bigliettini fossero evidentemente opera della fantomatica sposa, che aveva anche dei gusti totalmente differenti da quelli di Hae. Era evidente che lui non avrebbe mai scelto qualcosa di così pacchiano, ma qualcosa di molto più elegante e semplice. Nella busta c’era un foglietto dove mi chiedeva di andare, ed io mi trovai a pensare a come in un modo o nell’altro finivo sempre per fare ciò che desiderava lui. Mi chiesi davvero quanto quel ragazzo mi avesse nelle sue mani e mi spaventai quando compresi che io ero totalmente nelle sue mani.
Il giorno del matrimonio arrivò ed io ero infondo alla chiesa e guardavo la sua schiena fasciata in quell’abito nero che gli donava particolarmente. Guardai tutta la cerimonia con un distacco assurdo fermandomi solo a pensare quanto la madre di Hae dovesse sentirsi felice che suo figlio fosse tornato sulla retta via, come invece il fratello dovesse sapere, o immaginare almeno, quanto in realtà soffrisse e volesse raggiungermi.  Lui aveva sempre saputo di noi, e non ci aveva ma giudicato, anzi sembrava così felice di vedere suo fratello sereno finalmente dopo la morte del padre.
Scommettevo anche il mio appartamento che sarebbe venuto un infarto alla madre dello sposo se mi avesse visto in chiesa, vestito di tutto punto, con quella espressione di chi sa tutto e potrebbe rovinare il matrimonio da un momento all’altro. Rimasi però fermo al mio posto e quando sentì il suo si non morì per il dolore solo per puro caso.
Uscì di fretta e furia dalla chiesa per evitare di urlare e di rovinare davvero quella cerimonia, ed aspettai che tutto si concludesse e gli sposi uscissero felici.
Sapevo che lui avvertisse chiaramente la mia presenza lì fuori, lo vedevo come i suoi occhi mi cercavano tra tutta quella folla. Ne ebbi la certezza quando mi trovò ed i nostri occhi si incatenarono. Sentivo il mio dolore scorrere fino a lui, così come sentivo il suo scorrere fino a me. Lo guardavo con lo sguardo di chi diceva “viviti la vita che hai scelto, anche se inconsapevolmente, quando vorrai tornare a casa, la tua vera casa, le chiavi sono al loro solito posto.“
E con la consapevolezza che forse prima o poi me lo sarei visto arrivare a casa, a notte inoltrata, con in mano un divorzio già firmato, girai le spalle e mi allontanai permettendo finalmente alle lacrime tanto trattenute in chiesa di scendere sul mio viso, chiedendomi effettivamente quanto potesse sembrare strano un ragazzo vestito elegante piangere silenziosamente mentre camminava tra la folla. 

 

 
  
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