Erano ormai quasi primavera, cinque
mesi erano passati da quando, quella notte del 5 dicembre, il “più
grande musicista del secolo” aveva lasciato il mondo dei mortali
per poter raggiungere la sua amata famiglia che lo attendeva nei
cieli ricoperti di gelide stelle e di candide nuvole bianche.
Era
un'anonima notte, priva di nuvole, piacevolmente fresca, una notte
che i sognatori ed i pensatori non sprecherebbero a dormire ma a
rimirare le stelle che sorridevano dietro quella coltre di velluto
nero. Era talmente profonda e simil-vera che se si allungava la mano
da dietro la finestra, ecco che si aveva l'impressione di toccare
quei piccoli punti di luce e di poter raggiungere la realtà celata
dietro quel pesante tendaggio.
Una silenziosa e statica notte di
primavera, la quale portava con sé solo errori del passato,
rimpianto e solitudine.
Un uomo seduto ad una grande finestra,
fissava quella serena notte stellata con nostalgia, allungando di
tanto in tanto la mano per tentare di prendere quelle stelle che un
momento brillavano e poi sparivano, quasi come volessero comunicare
con lui stesso.
-E' solo la stanchezza-
Pensò, socchiudendo i propri
malinconici occhi castani, coprendoli poi con le mani e scuotendo la
testa, quasi nella speranza che quelle movenze lo facessero
risvegliare da quello stato di trance in cui era caduto ormai da quel
dicembre.
Sospirò pesantemente, scendendo da
quella grande balaustra e ritornando nei meandri del suo oscuro e
confusionario ufficio. Tutto quel caos non era adatto a lui, lo
faceva sentire estremamente a disagio, quasi come se fosse un'opera
in costruzione ma che mai arrivasse a ricercare quella che era la sua
piena completezza.
“On se reverra..”
“On se
reverra.”
Quella promessa
sussurrata risuonava ancora nelle sue orecchie, quasi come fosse
l'eco di un ricordo che nemmeno gli apparteneva. Non si sentiva più
alcuna completezza, nessuna soddisfazione da quando quello
stravagante, insolente ed indolente artista era passato oltre quella
coltre di nero velluto che sembrava dominare su Vienna quella notte.
Il dolore non si attenuava davanti a quella verità, anzi si acuiva
sempre più, quasi come se portasse il cuore stesso ad implodere.
La
solitudine lo avvolgeva anche se la gente parlava e si intratteneva
con lui.
Ma in realtà, chi era quella gente?
Solo anonimi
burattini, ignari della bellezza che quelle note da loro disprezzate
in realtà portassero una pace interiore che solo gli angeli ora
possono sognare di udire. Loro sconoscevano la bellezza di quelle
note intrecciate in opere profane, ignare anch'esse di tanta
bellezza. Loro non avrebbero mai potuto capire il dolore che provava
da quel giorno Antonio Salieri.
Tra le varie carte sparse per
l'ufficio, giacevano solitari gli spartiti della Lacrymosa, parte del
Requiem da lui stesso commissionato a Mozart, quasi nella vana
speranza che quell'instabile vita di corte gli facessero perdere i
lampi della sua genialità e della sua abilità. Lesse e rilesse più
volte quello spartito, quasi nella speranza di trovare un falso
accordo, una dissonanza, una nota scritta erroneamente, ma nulla.
Quel pentagramma risultava perfetto, così come era quel pallido
corpo gettato in una anonima fossa comune ai bordi delle strade
dell'imponente ed arrogante città.
Ennesimo sospiro,
unico rumore che riempiva quella silenziosa notte illuminata solo
dalle fredde stelle del cielo.
Quei malinconici occhi castani, si
rifissarono sulla finestra, notando ancora una volta quel gioco che
le stelle avevano ingaggiato per prendersi gioco di lui, per
sbeffeggiarlo e deriderlo di aver compiuto una vita immeritata,
rispetto a colui che ora riposa tra di loro.
-Vi prego,
smettetela.-
Pensò scuotendo nuovamente il capo e portandosi
le mani alle orecchie stavolta, mentre una calda sensazione iniziava
a fargli bruciare gli occhi. Voci che lo deridevano riempirono la
stanza, lo iniziarono a far soffocare ed indietreggiare verso il
muro, quasi a volergli dimostrare che per lui non vi era speranza di
vita né di salvezza.
Scivolò a terra, rannicchiandosi con le
ginocchia al petto, mentre le labbra si schiudevano e si muovevano
lentamente, mentre scandivano una preghiera di perdono nei confronti
di quelle voci e di colui che le aveva scatenate per
primo.
-Perdonami.-
Ma ormai era tardi,
lui era già passato oltre la coltre di velluto nero.
-Perdonami.-
Nelle
lievi scosse che il corpo avvertiva, avvertì accanto a sé un
pugnale di argento, lo stesso che lo aveva accompagnato in tutte le
sue cadute, compagno di ferite non mortali. Ferite che gli avrebbero
sempre dovuto ricordare che almeno viveva.
-Perdonami.-
Ma
non aveva più senso vivere.
Le voci iniziarono ad incitarlo a
prendere quel coltello e a morire in onore di quel Requiem sporco del
sangue e delle ultime lacrime di dolore di quel genio da lui tanto
amato. Con mano tremante raggiunse l'impugnatura e l'afferrò con non
poca difficoltà.
-Perdonami.-
Ecco
che quella calda sensazione iniziò a pervadere il viso, facendolo
bagnare di salate lacrime amare.
-Perdonami.-
Ma nel momento in
cui l'ingiusto colpo stava per essere castato sul suo petto, ecco che
un gelido vento entrò dalla finestra spalancata, facendo volare via
tutti quei fogli sparpagliati in mezzo alla stanza. Una fredda
sensazione lo afferrò per il collo e per il polso di quella mano che
teneva la crudele arma di morte. Salieri fu costretto a lasciarla,
mentre quel gelo iniziò a soffocarlo lentamente.
“Io ti
ho già perdonato, sciocco.”
Gli sussurrò una voce
gaudente all'orecchio, mentre la sensazione di freddo e di
soffocamento lentamente diminuì. Ebbe il tempo di voltare appena la
testa e di ri-immergersi in quegli occhi castani, che essi
scomparvero assieme alle voci.
Solo un ultimo eco di quella voce
riecheggiò in quella buia e monotona notte.
“On se reverra, mon ami.”