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Autore: Andy Black    24/01/2014    9 recensioni
Raccolta di OneShot il cui tema centrale è il ritorno o l'arrivo a casa. I personaggi presenti sono quelli legati a Back to the Origins e possono essere sia personaggi principali che secondari. Tutte le storie sono ambientate cronologicamente dopo la fine della storia principale e potrebbero costituire spoiler se letti prima di Back to the Origins.
Genere: Romantico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
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Marianne


Fluttuava.
Non in senso fisico, ovviamente, quello sarebbe stato abbastanza difficile. Ma la sua mente lo faceva.
Fluttuava in una nebbiolina bianca lattiginosa. Da una parte era piacevole, era un anestetizzante eccezionale, dall’altra, Marianne odiava l’assenza di vita che lasciava trasparire.
Aveva perso. Tutto. Da uno scopo. Alla dignità. Alla speranza. Anche la capacità di sentire.
Avrebbe voluto poter provare qualcosa. Qualunque cosa. Invece da quel giorno, dal momento in cui erano tornati nella base dell’Omega Group, sfruttando i poteri di Celebi amplificati da Mewtwo, non aveva più fatto nulla.
Linda si era comportata diversamente. Era stata forte. Molto più forte.
Si era alzata come una fenice dalle ceneri, prendendo le redini del gruppo e riportandolo a nuova vita.
Marianne ne era rimasta sorpresa. Sorpresa dall’ennesima prova di quanto fossero diverse.
Lei continuava a sentirsi svuotata. Esattamente come prime di entrare nell’Omega.
Quando Lionell l’aveva raccolta dai bordi della strada, dandole un futuro promettente, un tetto sulla testa e uno stipendio considerevole. Aveva sempre pensato a lui con l’affetto che si prova per un padre. E ne era stata tradita.
Era questa una delle cose che la lasciava vuota. L’incapacità di provare un sentimento unico, definito, che potesse riassumere tutta la sua situazione.
Poi c’era anche il rimpianto. Avrebbe potuto accorgersene, prima. Avrebbe potuto cercare di fermarlo. E invece aveva capito tutto troppo tardi. Quando Ryan glielo aveva spiegato, con calma, lasciando che poi fosse lei a comunicarlo agli altri membri.
Ryan.
Si sentiva responsabile anche per lui. Era stata lei dall’inizio a coinvolgerlo, a supplicarlo. E non aveva avuto nemmeno modo di scusarsi con lui.
Doveva farlo. Doveva sfruttare quell’anestesia dalle sensazioni per rivederlo almeno un’ultima volta. Rivederlo senza farsi prendere dal dolore, dal senso di colpa e dal semplice desiderio di rivederlo. Con quell’armatura addosso avrebbe potuto persino sorridergli, fingere che non le mancasse.
Uscì, l’aria dell’ultimo giorno di Dicembre l’accolse congelandole il volto. Si infilò in fretta le mani negli spessi guanti, tremando come una foglia. Si guardò attorno spaesata, osservando il volto vuoto della metropoli. Le strade erano piene di gente indaffarata con gli ultimi acquisti, gente che non sapevano cos’era accaduto. Cosa Marianne avesse fatto.
Cercò di scrollare quel pensiero. Pensando alla visita a Ryan. Non poteva presentarsi a mani vuote. Si guardò intorno, cogliendo in un negozio anonimo, all’angolo della strada, l’idea perfetta.
 
Casa di Ryan era stata resa bianca dalla neve. Marianne la osservò, quasi indecisa se uscire o meno dalla macchina ad affrontare il freddo. Il terreno attorno alla casa era ghiacciato, e la donna ringraziò la sua allergia ai tacchi, che le avrebbe reso impossibile affrontare quel tratto di strada.
Prese la busta dal sedile del passeggero, posandosi un piede fuori. I pesanti anfibi la proteggevano dal freddo e le garantivano un’ottima presa sul terreno, constatò soddisfatta, scendendo del tutto e chiudendo la macchina.
La busta le pesava fra le mani. guardò l’albero spezzato, i cui resti troneggiavano immobili nel giardino. Ricordava vagamente che Rachel avesse affermato qualcosa sul fatto che era stato il padre di Ryan a piantarlo. Si morse il labbro inferiore, distogliendo in fretta lo sguardo e spostandolo a terra, dopodiché si fece forza, arrivò alla casa e suonò il campanello.
 
Ryan aprì dopo qualche istante. La felpa grigia, decisamente troppo leggera per la temperatura della casa, aveva lasciato il posto ad un pesante maglione in pile nero.
Per un istante Marianne pensò di poter perdere il controllo. Il volto di Ryan aveva finalmente perso le tracce di quei giorni di ansia. Le occhiaie erano sparite, gli occhi erano tornati rilassati, di un cremisi caldo, non sanguigno come allora. I capelli erano scompigliati, ma era chiaro che il ragazzo si fosse dato da fare fino ad allora.
Il volto di lui si aprì in un sorriso quando la vide.
“Marianne, che ci fai ferma sulla porta? Entra”
Le disse facendosi da parte.
“Non ti conviene togliere il cappotto, il riscaldamento è ancora rotto... qui dentro si gela.”
Lo disse mentre si spostava nel centro del salotto, dove il divano era stato sostituito con uno nuovo. L’accesso alle scale era bloccato da un mobile, un comò di legno rimasto miracolosamente integro.
Marianne si guardava attorno incuriosita, notando i vari dettagli delle riparazioni che Ryan stava effettuando. Lui seguì il suo sguardo.
“Oh, sopra ci sono ancora un po’ di cose pericolanti, ci pensano Bisharp e Gallade a sistemarle, ma non hanno ancora finito, quindi ho pensato di bloccare così. Ho dovuto mettere un divano letto, un mio amico fortunatamente è riuscito a prestarmelo e... cos’è questo?”
Senza lasciare al ragazzo il tempo di finire le spiegazioni, Marianne gli mise davanti la busta. Ryan la prese, scrutandone l’interno. Se il tentativo della ragazza era di fare una sorpresa o lasciare un alone di mistero attorno al regalo, impacchettare un alberello semplicemente avvolgendoci sopra la carte da pacchi, non era il metodo giusto. Ryan osservò gli occhi verdi, che la ragazza puntava ostinatamente a terra. Un sorriso dolce gli nacque spontaneo sul volto.
“Grazie, Marianne”
La ragazza tenne ancora gli occhi a terra.
“Oh... bé... il tuo era andato distrutto, ma è un bel giardino e un albero ci stava bene... probabilmente non avrà la stessa importanza di quello di prima, ma... è un inizio. Un qualcosa... no?”
Marianne sentiva di star per scoppiare, improvvisamente, non voleva essere lì, a dire delle cose patetiche davanti a lui. Voleva sotterrarsi, e invece, dopo una settimana di apatia, le veniva da piangere. Gli occhi si coprirono di un velo di lacrime, senza che lei potesse far nulla per impedirlo.
“Ma... Marianne, che succede, ho detto... ho detto qualcosa di sbagliato?”
Ryan si sentiva crescere il panico, posò l’albero a terra, cercando di avvicinarsi alla ragazza, circondandola con un braccio. Marianne, senza rendersene conto, si aggrappò al giovane, stringendosi a lui, le lacrime senza controllo.
“Perché... perché è successo tutto questo casino? Com’è stato possibile arrivare a quel punto? Arrivare a rischiare di distruggere tutto...”
Lo sguardo di Ryan si oscurò. Se l’era chiesto spesso anche lui, in quei giorni. Come era arrivato al punto da rischiare la vita di sua sorella, di quasi causare la distruzione del mondo... e poi ritrovarsi a diventare il campione della Lega di Adamanta.
Strinse a sé Marianne, sentendola scossa dai singhiozzi contro di lui.
“Non lo so... non so come sia potuto succedere. Ma è finita. Ormai è tutto passato, e siamo tutti salvi.”
Ci credeva, la sua voce era sicura e ferma, Marianne si scostò, guardandolo in viso.
“Io non so più cosa fare, Ryan. L’Omega Group per me era tutto, il mio lavoro, la mia casa... Non riesco più a camminare tra la gente, non ci riesco, sapendo quello che rischiavo di fare, sapendo tutto... Mi sembra di mentire a tutti. Ho a malapena chiamato i miei genitori, loro si sono trasferiti anni fa, sono lontani, non sanno niente... Non ho il coraggio di tornare da loro, di guardarli in faccia. Non so più cosa fare o dove andare.”
Le lacrime, grandi, pesanti, le calavano sul volto lasciando una scia luminosa sulla sua pelle. Ryan la guardò. Gli era sempre stata vicino, ma non sapeva quasi nulla di lei. Sentì lo stomaco contorcersi al pensiero di non averla cercata in quei giorni. Di aver ignorato, egoisticamente, tutto quello che era successo, fingendo di dimenticarsi di lei, dell’Omega Group. Invano.
“Marianne... perdonami.”
Lo disse stringendola di nuovo a sé.
“Se... se non sai dove andare, se non hai nessun posto dove andare... Allora resta qui. Non devi andare da nessuna parte se non vuoi. Mi spiace, avrei dovuto dirtelo prima. Parecchio tempo prima. Resta qui, Marianne. Resta con me.”
Marianne si bloccò, sorpresa, alle parole di Ryan.
“Tu... tu hai detto davvero quello che ho sentito?”
Con una manica si asciugava le lacrime, che adesso cadevano meno copiose, forse arrestate dalla sorpresa e da quella strana sensazione che sentiva nascerle nel petto.
“È... È stato abbastanza imbarazzante dirlo una volta... Comunque, l’ho detto davvero. Marianne... Mi sono comportato in modo freddo in passato... Ma te la sentiresti di darmi lo stesso una possibilità?”
Ryan teneva gli occhi chiusi. Dentro di lui non aveva il coraggio di guardarla in viso. Lo aveva detto, si era comportato in maniera fredda, a volte. Altre volte la sua ossessione per Rachel lo aveva portato ad ignorare tutto e tutti. Eppure, se ripensava a quei giorni, lei era l’unica costante, l’unico punto fermo, l’unico sorriso sincero. L’unica cosa che non aveva davvero dimenticato in quella settimana.
“Marianne lo guardò, gli occhi verdi spalancati, mentre sentiva altre lacrime, ben diverse, spingere ai lati degli occhi. Annuì, mentre il pianto prendeva di nuovo il sopravvento.
L’abbracciò, gettandogli le braccia al collo.
“Siamo stati davvero stupidi, eh?”
La ragazza annuì alle parole di Ryan.
“Però... le cose d’ora in poi non potranno che migliorare, no?”
“Difficile che possano andare peggio”
Ridacchiò la ragazza.
Si baciarono. A lungo. Mentre, lentamente si avvicinava la mezzanotte. L’attesero sul divano, guardando programmi scadenti.
L’albero era stato scartato e occupava un angolo della stanza, Ryan non le aveva detto che anche Zack e Rachel gli avevano fatto lo stesso regalo. ma non aveva senso. Un albero sarebbe stato il simbolo del suo legame con la famiglia, del suo passato. L’albero di Marianne era diverso.
Era la promessa di un futuro migliore. Di un futuro che avrebbe generato fiori e frutti. E che sarebbe rimasto lì, a testimoniare quanto la rinascita fosse possibile, con impegno, coraggio e fiducia nelle persone che si hanno accanto.

 
 
 
 
   
 
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