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Autore: Ambaraba    25/01/2014    2 recensioni
Questa storia e' una rivisitazione stile thriller del canto I della Divina commedia ;) E' una cosina che ho fatto per la scuola, ma già che c'ero volevo condividerla con voi!
Buona lettura ;)
"La paura lo fa tremare dentro, ma corre. Ha i vestiti appiccicati addosso e fuoco nelle vene, i polsi e le guance in fiamme. Ma corre, corre, corre.
Anche se intorno non cambia niente, e' sempre tutto nero."
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dante Alighieri, Virgilio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DANTE Corri, corri, corri.
Trema, ha paura, il fiato corto. Ha corso con tutte le sue forze, inciampando al buio nella trama fitta del sottobosco, un intreccio fibroso che sembrava afferrargli i piedi per rallentare i suoi passi, farlo cadere. Ha corso, corso, corso, così tanto che le gambe gli bruciano, i muscoli non rispondono più, le cartilagini sembrano sul punto di cedere. Ha paura, anzi, di più. Il battito cardiaco e' disordinato, confuso, troppo veloce: i colpi si succedono come martellate, si sovrappongono; il cuore sembra sul punto di sfondargli la gabbia toracica, e spingersi su fino in gola, ingrossarsi e occupare tutto lo spazio fino a schiacciare i polmoni, una matassa di arterie sfuggite al suo controllo, gonfiate dall'adrenalina, dalla necessità di salvarsi. Ha le lacrime agli occhi, e gocce di sudore che scivolando sulla sua fronte gli finiscono tra le ciglia, arrossandogli la superficie. E' umido di sudore, inzaccherato da capo a piedi di fango, ferito dalle rami, dai rovi, dalla vegetazione tagliente che lo rallenta nella corsa, a tentoni. E' stupido, e' disperato. Non ricorda come si e' ritrovato là. Vorrebbe solo uscirne, tornare a casa, anche se non sa più dove sia. Non riesce a pensare, il cervello e' totalmente assorbito dal pensiero ossessivo, in sottofondo, "CORRICORRICORRI", e non e' formulato in modo cosciente, e' più un urlo dell'istinto. Corre, nel nero senza contorni della notte, senza più cognizione del tempo ne' della direzione. E' come avere una benda sugli occhi. Sa che qualcosa e' dietro di lui, sa che se si ferma e' spacciato. Pensa che forse non arriverà mai a vedere la fine di quel nero. Magari non esiste, una fine. Pensa di essere diventato cieco, forse. Ma continua a correre. Corre perche' non ha altra scelta, corre perche' la sola idea di lasciarsi cadere senza opporsi gli sembra assurda. Lui ci tiene alla vita. Lo ha capito quando ha cominciato a correre, paradossalmente. Sente di avere colpa, almeno in parte, per la situazione in cui si trova, anche se non ricorda come ci e' finito. E questo e' angosciante. Ma continua a correre, nel nero, dentro il nero e verso il nero, senza più dubbi. Vuole salvarsi. Vuole almeno provarci, anche se e' spaventato a morte e infila una sequenza rapida di passi, uno dietro l'altro, singhiozzando. Inspira l'aria fredda e umida, gli gela la gola, gli ghiaccia il sudore addosso anche se e' accaldato, stanco. Disperato.
La paura lo fa tremare dentro, ma corre. Ha i vestiti appiccicati addosso e fuoco nelle vene, i polsi e le guance in fiamme. Ma corre, corre, corre.
Anche se intorno non cambia niente, e' sempre tutto nero. 

Chissà quanto tempo e' passato. Chisse SE e' passato del tempo, o se tutto e' solo un incubo cristallizzato. Spera di svegliarsi nel suo letto. Lo spera, ma sa che non e' così. Le sensazioni che prova sono troppo vivide per essere solo visioni oniriche.
Maledizione. Gli fa male tutto, ormai. Le gambe sono diventate pesanti, sta rallentando. Le ossa si sono intrise dell'umidità circostante, viscida, dolorosa. Ha ancora più paura di prima.
Gli sembra di essere chiuso in quel nero da un'eternità, e sa che presto non potrà più andare avanti. Per quanto lo voglia, per quanto si sforzi di superarsi, di ignorare il dolore lacerante, il cuore sull'orlo di un collasso, l'ossigeno che entra sempre meno in circolo, sa che presto qualcosa nel suo corpo non risonderà e crollerà a terra.
Che fine assurda, pensa. Si chiede se farà male.
Un'altra voce gli grida di andare avanti, e' come una sferzata sui reni. Ritrova il passo, accelera di nuovo. Arranca, ormai, e' quasi piegato su se' stesso. La milza gli fa così male che sembra stia implodendo su se' stessa.
Non ora, non oggi. Basta. Dovrà sorgere il sole, prima o poi. Io voglio uscire da qui.
E continua a correre.

Quando e' definitivamente a pezzi, quando sente un ronzio forte nelle orecchie, e il tum tum così forte che sembra quasi sporgergli dalle vene come un rigonfiamento, improvvisamente vede qualcosa. Crede sia un'allucinazione, dovuta alla stanchezza o al terrore. Tra l'altro ha ancora gli occhi annebbiati da un velo ostinato di lacrime, e deve sbattere più volte le palpebre per mettere a fuoco. Non sa se credere a quello che vede, o se e' un inganno. Ma forse e' la via d'uscita, e continua a correre.
Ha visto una piccola, fioca, pallida luce.

E' fuori.
Anche se e' terrorizzato, una risata liberatoria gli affiora tra i singhiozzi. Lo sapeva. Lo sapeva che quel dannato buio doveva finire, prima o poi. Ma non e' ancora in salvo.
Crolla in ginocchio, non ce la fa più. Si aiuta anche con le mani, avanza quasi gattonando, strappando ciuffi d'erba che gli rimangono intrappolati tra le dita contratte, e terra secca e granulosa che gli resta infilata sotto le unghie. E' ridotto uno schifo, ma la luce dell'alba lo ha come rigenerato, ha rinnovato in lui la speranza, la volontà di farcela.
Continua a correre, continua a correre, continua a correre.
Tanto per complicare le cose, davanti a se' ha una collina e deve scalarla se vuole arrivare dall'altra parte. Dall'altra parte, vicino alla luce.
Sì, sì, sì. Manca poco. Manca poco.
La luce e' celestina, e' quella fredda della notte che si sfilaccia, alle prime ore del mattino.
Promette a se stesso che, se sopravvivrà, ci scriverà sopra una poesia. E' il suo mestiere, lui scrive. O almeno, e' quello che ha fatto nella vita prima di ritrovarsi così. Deve anche finire una serie di poesie per la sua donna, ricorda. Ma poi gli viene in mente quello che si rifiutava di ricordare.
La sua donna e' morta.

Ce l'ha fatta. E' arrivato dall'altra parte.
Il ricordo di quello che ha perso lo fa vacillare, non sa più se vale la pena di salvarsi. Potrebbe lasciarsi morire e dare la colpa alle circostanze. Non sarebbe suicidio, tecnicamente. Ma non ci riesce. Si chiede cosa sia quella cosa che lo spinge incontro alla vita anche quando crede di averne abbastanza di vivere.
Mette un piede male, scivola di sotto. Si e' distratto, non avrebbe dovuto.

La luce continua prepotente a farsi strada, sa che il giorno arriverà presto. Dai, dai, dai.
Si rialza, dopo esser rovinato lungo il fianco della collina praticamente con il sedere a terra, e si asciuga le lacrime col dorso della mano, sporcandosi ancora di più la faccia.
Ha smesso di piangere. La paura non se ne e' andata, ma ora ci vede un po' di più e questo va a suo vantaggio.
Dai, dai, dai.

E all'improvviso tutto crolla di nuovo. Le gambe si piegano dallo spavento, si ritrova di nuovo a terra.
Tre brutte bestie sono davanti a lui, gli sbarrano la strada. E ringhiano.
Sente la colonna vertebrale raggelarsi.
E' stato un idiota a credere che potesse essere così facile. Ecco qual era il suo destino: morire sbranato.
Ha gli occhi sbarrati, fissi sulle creature. E' immobile, non ha uno solo dei muscoli logorati in movimento. Ha paura che al minimo guizzo quelle gli saltino addosso.
Piagnucola in silenzio.

Però poi lo vede.
Ed e' ancora più assurdo.
Lui ama quell'uomo, lo ha studiato e venerato come un dio. Il poeta di Mantova. Ma non riesce a credere che sia lì, e' morto da un bel pezzo.
Non importa. Che sia vero o no, vale la pena di tentare.
"Se puoi... Aiutami, ti prego".


  
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