Capitolo 2
Killer
King
Lentamente,
piano piano, Anna riprese conoscenza. Non aveva preso una botta fortissima per
sua fortuna. Si ricordò improvvisamente di essere intrappolata tra le fiamme
che avevano già bruciato metà della camera. Non si fece prendere dal panico,
primo perché era troppo intelligente per non rendersi conto che sarebbe stato
stupido e secondo perché lei e la freddezza erano una cosa sola molto spesso.
Credeva che restando freddi sempre e comunque le possibilità di trovare una
soluzione sarebbero state maggiori.
Che
poi questa soluzione fosse sensata o meno dipendeva dalla mente di colui che
l’architettava.
Quando
si rischia la vita in quel modo però spesso si è disposti ad accettare
qualsiasi soluzione, per quanto folle sia. E fu proprio un’idea folle quella
che balenò in mente ad Anna con la velocità di un fulmine. Anna sapeva di
essere sempre stata una delle surfiste più brave della città… cavalcava
l’acqua, perché non provare col fuoco? Fortunatamente l’armadio non era ancora
bruciato e lo aprì velocemente: dentro teneva sempre dei gel termici, perché le
piaceva tenerli sulla faccia quando le faceva caldo, in quanto avevano
l’effetto quasi come il ghiaccio. Li legò sotto il surf con delle cinture molto
lunghe che aveva nell’armadio. Probabilmente appartenevano a qualche bel
vestito firmato che sua madre usava indossare nelle serate di gala. Non le
importava: la sua vita era più importante di qualsiasi vestito firmato. Sistemò
tutta l’attrezzatura da surf, poi prese la rincorsa e si lanciò nelle fiamme.
Dritta
nelle fiamme.
Non
galleggiava ovviamente. Però l’aquilone del kite le permetteva di planare e lo
usava per sollevarsi, quasi come fosse stata una mongolfiera. Il gel sotto la
tavola impediva che questa si bruciasse. Anna stava attentissima, aveva i sensi
svegli come non mai, evitava le fiamme ribelli, tratteneva il respiro e a volte,
per evitare qualche oggetto o qualche trave caduta, doveva piroettare. Era
quasi arrivata alla porta quando davanti a lei si stagliò una grossa trave.
C’era solamente una cosa da fare e anche piuttosto sveltamente: Anna spiccò un
salto cercando di passare da quel buco nel soffitto, dovuto all’incendio. Tra
la forza della disperazione che mise in quel salto e l’aquilone che la portava
verso l’alto riuscì a raggiungere i 15 metri. Non ci era mai arrivata prima.
E
se per un momento aveva temuto di non farcela riacquistò tutta la sua sicurezza
non appena sentì l’aria fresca sul suo volto. Vide i suoi parenti spaventati
sotto di lei e si ricordò che nessuno aveva mosso un dito per salvarla. Quelli
che adesso la fissavano non si erano neppure accorti della sua assenza. Planò
in mezzo a quelli che si definivano parenti. I suoi genitori le corsero
incontro. – Sapessi… -.
-
Temevamo
il peggio… -.
-
Anch’io.
– rispose secca lei.
I
suoi genitori! Come avevano potuto abbandonarla? Non accorgersi che non era
uscita con gli altri? Quella era stata l’ennesima conferma che Anna aveva
solamente un’alleata: se stessa.
Anche
suo cugino Federico si era avvicinato a lei, che gli lanciò uno sguardo gelido.
– Lo sapevi che ero lì dentro. -.
-
Pensavo
che tu fossi già uscita… - cercò di giustificarsi. – Quando mi sono accorto che
mancavi l’incendio si era già diffuso e… -.
-
…
e non hai voluto rischiare per salvarmi. – lo accusò lei con la voce fredda. –
Che codardo che sei Federico. -.
Sua
madre si sentì in dovere di intervenire. – Anna! Non puoi… -.
Ma
si zittì vedendo l’espressione sul volto di Anna. Puro gelo. Freddezza non è
solo una parola. Non aveva parole per sua madre.
Scosse
la testa e fece per allontanarsi.
-
Dove
vai? – le domandò sua madre con un urletto isterico.
Anna
non rispose. Perché la risposta non la conosceva nemmeno lei.
Non
era l’unica persona ad essere di cattivo umore. Due occhi marroni intensi
sprigionavano impazienza e il ragazzo a cui appartenevano si passò una mano
dalla pelle liscia tra i capelli folti. Era elegante, indossava una camicia e
dei sobri pantaloni neri. Era ad una fermata di un bus e lo stava aspettando
impazientemente. Nessuno per fortuna poteva vedergli gli occhi, coperti
rigorosamente da un paio di occhiali da sole neri. In quel modo nessuno poteva
riconoscerlo, o meglio nessuno poteva essere certo che fosse lui. Il suo nome
era Stub. O meglio quello era il nome con cui il mondo lo conosceva.
Vide
il bus comparire all’improvviso e subito si fece avanti per prenderlo. Salì a
bordo, e fu urtato da un bambino piccolo che correva. Accennò un sorriso di
incoraggiamento. Poi si concentrò sulla sua nuova missione: aveva ricevuto una
telefonata qualche tempo prima da parte di una voce femminile che gli chiedeva di
recarsi da lei perché aveva una missione.
Si
era a dir poco stupito: di solito quel genere di comunicazioni non gli
arrivavano in quel modo e aveva dunque immaginato che questa volta sarebbe
stato diverso. Sarebbe stato per un privato. Voleva vederci chiaro in quella
faccenda, gli piaceva sapere per chi lavorava.
Il
bus si fermò e lui scese. Proseguì per pochi minuti a piedi fino ad arrivare
davanti ad una villa bianca e controllò l’indirizzo. Era giusto. Capì subito
vedendo l’abitazione che i suoi abitanti erano dei perfezionisti. Sbirciò un po’
dentro le finestre e notò che tutto era meticolosamente ordinato. Suonò il
campanello ma nessuno rispose. Sospirò. Nessuno era in casa. Si sedette su uno
scalino deciso ad aspettare il rientro della padrona di casa.
E
infatti poco dopo sentì dei passi. Veloci. Arrabbiati. Furiosi. Si alzò quando
vide avvicinarsi la sagoma di una ragazza dai capelli rossi. La ragazza lo vide
e rimase perplessa.
-
Chi
sei tu? – domandò scontrosa.
-
Tu
vivi qui? – le chiese di rimando Stub.
-
Può
darsi. – rispose Anna mantenendosi sul vago.
Ne
aveva abbastanza di incontri strani per quel giorno. Anzi ne aveva abbastanza
di quel giorno. L’unica cosa che voleva era andare da Sveva a lamentarsi un po’
e poi andare alla festa sulla spiaggia. Prima però aveva bisogno di darsi una
sistemata e quindi si era recata alla casa dei suoi zii. Che appunto era quella
davanti a cui si trovava lei con Stub.
Calò
il silenzio tra i due. Stub capì che non era la ragazza che l’aveva chiamato:
la voce era diversa. Decise pertanto di non rivelare il suo nome.
-
Mi
chiamo Andrea. – si presentò, inventando un nome lì per lì.
Anna
continuava a guardarlo dubbiosa. – Sei un amico di mia cugina? -.
Stub
decise di dar corda alla ragazza e annuì. Anna scoppiò a ridere. – Non ci credo
sei un altro di quelli che ha abbindolato! – si batté una mano sulla fronte. –
Da’ retta a me, Andrea, con mia cugina è tempo perso. Durerà fino al prossimo
sabato quando troverà qualcuno migliore di te, che comunque sarà soppiantato
nuovamente il sabato dopo. -.
Stub
annuì. Gli conveniva stare attento perché forse la cugina di quella strana
ragazza davanti a lui era colei che lo aveva chiamato.
Anna
prese le chiavi di casa, che Federico una volta le aveva duplicato. Aprì la
porta di casa ed entrarono nel grande salotto. Si sedettero entrambi su un
divano, uno perché non sapeva in quale altro luogo accomodarsi e l’altra perché
doveva riprendersi un po’.
Un
grande silenzio imbarazzante regnava in quella stanza. Stub si stupì molto del
fatto che lei non gli avesse ancora detto niente riguardo agli occhiali da
sole, e come se avesse potuto leggergli nel pensiero lei subito disse:
-
Non
mi dà fastidio che tu tenga quelli. – indicò gli occhiali. – So perfettamente
quanto possa essere fastidiosa la luce. -.
Stub
annuì e ripiombò il silenzio. Anna stava cercando di pensare a qualcosa,
qualsiasi cosa, ma il pensiero di quel ragazzo davanti a lei la assillava.
Credeva di averlo già visto da qualche parte, inoltre sapeva perfettamente che
non era il ragazzo di sua cugina. Perché lei aveva già un ragazzo, e tutto Anna
poteva dire di Lavinia meno che fosse una ragazza facile. L’aveva fatto entrare
in casa solamente per vedere cosa voleva. Che fosse un ladro ne dubitava
fortemente: Anna lo aveva visto seduto sugli scalini e un ladro sicuramente non
aveva tempo per della meditazione. Inoltre se fosse stato un malintenzionato le
avrebbe già fatto del male.
No,
quel ragazzo voleva qualcosa, ma cosa? E soprattutto perché mentire sulla sua
identità?
Anche
lui la stava studiando. Si era accorto di essersi tradito da solo, perché lei
lo stava fissando inconsapevolmente con astio. Capì quindi che lei non credeva
assolutamente che lui fosse il ragazzo di sua cugina. Per un momento credette
persino che non avesse una cugina. E quindi voleva vedere fino a che punto si
sarebbe spinta a giocare con lui quella ragazzina. Lui non poteva muoversi
perché lei non gli schiodava gli occhi di dosso. Pericoloso. Prima o poi, con o
senza occhiali, continuando a fissarlo in quel modo lo avrebbe riconosciuto.
Finalmente si alzò.
-
Senti
sarà meglio che vada. – decise.
-
La
porta sai dov’è. – replicò lei. – Non sarò io a trattenerti, Andrea. -.
Stub
si diresse verso la porta. – Allora ciao. -.
-
Ciao.
-.
Chiuse
la porta dietro di sé. Pensò che forse sarebbe stato meglio per lui ritornare
quando in casa ci fosse stata quella che aveva chiesto di lui, ma poi realizzò
che era appena uscito da una casa dove stava per venirgli affidato un lavoro
per paura di una ragazzina che lo fissava. Era anche normale che lo fissasse
dopotutto: era un perfetto sconosciuto che era lì per nessun motivo e che
addirittura aveva mentito sulla sua identità. E che non aveva voluto togliersi
gli occhiali da sole.
Stub
decise. Doveva rientrare in quella casa in un modo o nell’altro. Escluse di
provare ad entrare dalla porta principale e ancora di suonare il campanello.
Quindi, sinuoso come un’ombra, scivolò sul retro della casa per vedere di
trovare un’entrata secondaria. Era una sua capacità quella di muoversi così
velocemente che a volte gli altri non riuscivano nemmeno a vederlo mentre
passava.
Notò
che in effetti c’era una porta sul retro. Con sé non avrà avuto armi, ma aveva
il passepartout. Aprì la porta. Si trovò in cucina. E con la sedia proprio
davanti alla porta trovò quella ragazza con i capelli rossi ribelli seduta con
le gambe incrociate. Lo Stub battuto da una ragazzina. Si sentì montare addosso
la rabbia mischiata a qualcos’altro a cui non riusciva a dare un nome.
-
Ciao
Stub. – lo salutò Anna.
Lo
aveva riconosciuto. E stava lì davanti a lui. Non era lei che aveva intenzione
di fuggire, anzi sembrava del tutto intenzionata a restare su quella sedia. Non
aveva paura.
-
Non
hai paura di me? – domandò lui entrando.
Lei
si alzò. – Dovrei? -.
Non
era abituato ad essere trattato in quel modo Stub. Che cosa avrebbe dovuto
pensare di quella ragazza che stava davanti a lui, che non lo giudicava e che
lo aveva riconosciuto? Sorrise ammiccando, fu il meglio che gli riuscì in quel
momento. – E brava bambina mi hai riconosciuto. -.
Lo
sguardo di lei si fece minaccioso e un attimo dopo la sua mano stava facendo
forza su un nervo del braccio di lui. – Non chiamarmi “bambina”, killer. – poi
lo lasciò.
Stub
adesso provava un certo rispetto per quella ragazza, che però si impose di
mascherare stringendo a sua volta il braccio di lei. – Attenta a chi dai gli
ordini ragazzina. -.
-
Perché
se no che fai, killer, mi uccidi col passepartout? – gli lanciò uno sguardo di
sfida, che lui ricambiò prima di lasciarla andare.
Lei
si massaggiò il braccio. – E dimmi, per quale dei miei “amati” parenti ti sei
preso la briga di venire fin qui? -.
-
Non
sono qui per commettere un omicidio. -.
-
Questo
lo vedo. – commentò lei. – Non hai uno straccio di arma. -.
-
Sai
questa casa è piena di armi improprie. – la voce di lui si fece minacciosa
mentre la riafferrava.
-
Cosa
sarebbe questa, una minaccia? -.
-
E
se anche lo fosse? -.
Sorrisero
entrambi. Stub pensava di aver trovato qualcuno degno della sua stima e lei
aveva capito subito che il ragazzo che aveva davanti era diverso da tutti gli
altri. Prevedibile come tutti gli altri, ma diverso.
-
Sarebbe
un problema. – rispose alla fine lei.
-
Per
me o per te? – strinse la presa guardandola dritto negli occhi.
-
Per
entrambi ho il dubbio. – quella volta fu lei a liberarsi.
Poi
sentirono un rumore. Una chiave che girava in una serratura. – Vogliono vedere
me. – spiegò Stub.
-
Devo
andare. – disse Anna che aprì la porta sul retro. – Tu non mi hai mai vista. -.
-
Puoi
fidarti. – gli assicurò lui.
Anna
fece per uscire quando si voltò. – Sai non sei male come ti descrivono in
televisione. – e chiuse la porta prima di dargli la possibilità di ribattere.
Era
fatta così. Voleva avere sempre l’ultima parola.
La
porta si riaprì dietro di lei. – Lo so. – sentì la voce di Stub alle sue
spalle.
Era
fatto così. Voleva avere sempre l’ultima parola.
A
quel punto Anna corse via. Voleva raggiungere Sveva per chiederle il senso di
quella giornata che era stata maledettamente diversa da tutte le altre. E che
non era ancora finita.
Raggiunse
casa della sua amica che nel frattempo era venuta a conoscenza di quello che
era successo. Appena la vide spuntare nel vialetto le corse incontro
abbracciandola.
-
Anna!
– esclamò. – Ho avuto tanta paura per te. -.
-
Beh…
- ammise l’amica. – In effetti anch’io ho avuto tanta paura per me. -.
Sorrisero
entrambe.
-
Che
meschini tutti a non muovere un dito per salvarti. – commentò Sveva mentre la
faceva entrare.
Anna
scosse la testa, facendo segno che non voleva parlarne. Sveva la condusse in
camera sua, dove di solito si volgevano le chiacchiere tra di loro.
-
Non
è stato quello l’evento clou della giornata. – le confessò Anna. – Dopo sono
andata via e sono andata a casa dei miei zii. E indovina un po’ chi c’era? -.
Sapeva
perfettamente che l’amica non avrebbe mai indovinato quindi riprese. – C’era
Stub. -.
Sveva
lanciò un grido a quelle parole. Sembrava sconvolta, soprattutto di vedere il
sorriso soddisfatto dell’amica. – Anna, lui è un killer. -.
-
Lo
so. – commentò lei. – Ed è anche un tipo interessante. – questo però lo disse
sottovoce.
-
Che
ti ha fatto? – Sveva non aveva sentito le ultime parole dell’amica.
-
Nulla.
– rispose Anna. – Nulla. Abbiamo solamente parlato. -.
-
Immagino
cosa mai possa dire uno come quello… -.
Anna
non poté fare a meno di liberare un sorriso sul suo volto. Sveva avrebbe anche
potuto immaginare… ma non sarebbe mai riuscita a indovinare.
Stub
fece il suo ingresso in salotto sorprendendo tutti. C’era tutta la famiglia in
salotto. Tutti meno Federico che era andato a chiudersi in camera sua.
Ripensava
all’incendio e il suo senso di colpa aumentava: Anna avrebbe potuto morire e
lui non aveva mosso un dito per salvarla. Lui che credeva di voler bene alla
cugina, lui a cui la cugina voleva bene. Tutti avevano detto che era lei che
era stata ingiusta con loro, insomma che cosa si aspettava che facessero? Ma
Federico si rendeva perfettamente conto che non era stata per niente ingiusta,
anzi ammirò il self control di Anna. Lui sarebbe diventato una bestia se i suoi
parenti non avessero mosso un dito per aiutarlo in un momento critico come quello.
E ripensò all’astio con cui erano state dette quelle parole, quasi come se a
molti fosse dispiaciuto vederla ricomparire.
“No
Fede.” pensò. “Sono solamente tue impressioni. Non è possibile, è stato
solamente un terribile incidente. Nessuno aveva programmato nulla del genere.
Era la Comunione di Mattia, non avrebbe avuto senso.”.
Eppure
quel pensiero si faceva sempre più strada nella sua testa: che tra la sua
famiglia e Anna non c’erano buoni rapporti non era una novità per nessuno,
anzi. Però non sapeva perché aveva sempre attribuito la cosa alla genetica più
che al libero arbitrio.
Tuttavia
la porta di Anna era stata chiusa dall’esterno. Come poteva spiegarlo? Si disse
che non c’erano solamente loro presenti quel giorno. C’era un sacco di altra
gente che aveva motivo di essere ostile nei confronti di Anna. E comunque non
voleva dire nulla, i due fatti non dovevano essere per fora collegati. Ma
quest’ultima cosa convinceva poco anche lui. Mentre passeggiava avanti e
indietro per la sua camera con questi problemi fu distratto da delle voci
provenienti dal salotto. Riconobbe quella di sua sorella, quella dei suoi
genitori e quella di Mattia. Ma con loro c’era un’altra persona di cui
conosceva la voce, ma non riusciva a capire chi fosse. Uscì dunque
silenziosamente dalla camera e si affacciò dalle scale, nascondendosi. Non era
sicuro che la sua partecipazione sarebbe stata gradita.
Riconobbe
subito chi era seduto sul divano di casa sua. Stub, quel demonio che compieva
omicidi che spesso erano attribuiti solamente a cause indefinite. Che ci faceva
seduto sul divano a parlare col resta della sua famiglia?
-
Anna
è sfuggita! – esclamò Lavinia, arrabbiata.
-
Sì,
lo so, tesoro. – le rispose suo padre tentando di calmarla. - È per questo che
Stub è qui. Per accertarsi che l’errore non si ripeta. -.
Stub
dubitava che quella ragazza dai capelli rossi si sarebbe fatta uccidere tanto
facilmente. – Perché la volete morta? – domandò, tentando di farla sembrare una
domanda puramente professionale.
-
Perché
lei è l’erede universale di una delle famiglie più ricche del pianeta, ma
ancora non lo sa. – spiegò la madre di Federico. – La famiglia si è estinta ed
è stato mandato un messo per avvertire Anna. Ora il punto è che quella famiglia
oltre a conoscere bene Anna conosceva bene anche la nostra Lavinia e quindi… -.
-
E
quindi credete che una volta morta lei tutta l’eredità passi a vostra figlia. –
concluse Stub per lei. – Chiaro. – sospirò e posò il bicchiere di spumante che
gli era stato offerto. – Il mio lavoro qui è inutile. -.
Lavinia
si adirò. – Che cosa? -.
-
Lascia
che ti spieghi una cosa moretta. – cominciò Stub, bevendo un ultimo sorso di
spumante. – Io lavoro per gente importante, le questioni ereditarie non mi
interessano. Per quelle ognuno può prendersi le proprie responsabilità, se
capisci cosa intendo. Inoltre sarebbe molto più semplice mandare a rapire il
messo. -.
-
Il
messo è inutile. – lo contraddisse il padre di Lavinia.
-
Il
messo è l’unica persona di ostacolo tra voi e l’eredità. – spiegò Stub. - È
l’unico che può testimoniare contro di voi in caso io uccida questa ragazza. -.
-
Ritieni
più saggio uccidere il messo? -.
-
Ritengo
più saggio non uccidere affatto. Uccidere il messo, allora sì che la colpa
ricadrebbe su di voi. -.
Lavinia
gli lanciò uno sguardo di sfida. – Ma tecnicamente sarai tu il colpevole. -.
-
Sì,
di quell’omicidio come di molti altri. E guarda un po’ morettina, io sono
ancora libero, la metà di quelli che mi hanno commissionato i lavori invece sono
finiti in carcere perché non seguivano i miei consigli. -.
Il
padre di Lavinia prese quella per una minaccia personale. – Signor Stub! Io la
pago per fare quello che dico io. Uccida Anna e prenda quella lettera, con o
senza il messo. -.
Stub
sospirò: avrebbe potuto tirarsi indietro? Alla fine non c’era nessun motivo per
non accettare. Lui li aveva messi al corrente dei rischi che correvano. Era
stato onesto. Era il suo modo di lavorare. – Come si chiama il messo? -.
-
Geremia.
– fu Mattia a rispondere.
Il
mondo crollò addosso a Federico. La prima cosa che pensò fu che doveva far
fuggire Anna immediatamente, prima di subito. Era sulla lista nera di Stub, e
di solito la lista di Stub era la via più veloce per la lista del becchino. Si
mosse tuttavia troppo bruscamente e urtò un giocattolo di Mattia, che cadde
dalle scale.
-
Cos’è
stato? – saltò su sua madre.
Stub
incrociò lo sguardo di Federico. E decise di non tradirlo. – Probabilmente
niente. – rispose Stub, ancora fissandolo negli occhi. – Dov’è il bagno? –
domandò poi.
-
Di
sopra. Vai pure se vuoi. -.
E
quindi cominciò a salire le scale, nuovamente come un’ombra. Mentre lui saliva
Federico si era messo al riparo in camera sua. Chiuse la porta di camera
sospirando di sollievo, fissandola. Poi si voltò dall’altro lato e quasi svenne
nell’incrociare nuovamente lo sguardo del killer, comodamente seduto sul suo
letto.
-
Come
fai… eri lì… ora sei qui… -.
-
Oh,
io sono qui, sono lì, io sono ovunque. – rispose Stub. – Sono l’incubo che
contorce le menti, sono l’ombra dei morti che vivono. Sono l’ansia contenuta in
un respiro, sono il terrore diffuso dal vento. Sono quello che renderà i tuoi
prossimi giorni un inferno, sono il tuo fantasma. Sono quello che temerai da
oggi, sono il tuo problema numero uno. – fece una pausa e abbandonò il tono
intimidatorio. – Tua cugina è in gamba. E anche tu sembri esserlo. Vi darò 3
giorni di vantaggio, non uno di più. – dettò queste condizioni e uscì dalla
camera.
Pensò
di essere stato ridicolo all’inizio però in quel modo aveva fatto paura a
Federico abbastanza perché si muovesse a portare via di lì la cugina.
Federico
dal canto suo era rimasto in camera senza parole, impalato e sgomento. Si
sentiva tradito dalla sua famiglia. Ma in quel momento non aveva il tempo di
piangersi addosso. Doveva avvisare Anna. Avevano 3 giorni di vantaggio. Non uno
di più.
L’angolo
della Matrix
Eccomi
qui tornata con questo nuovo capitolo dove finalmente entra in scena il “cattivo”
se così vogliamo chiamarlo: Stub. Che non sarà il solito personaggio che è
cattivo perché, poverino. è incompreso. No. La nostra Anna sarà alle prese con
un cattivo degno di questo nome. Un cattivo complesso, senza alcun dubbio. Ma
comunque cattivo.
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto!!!
Passo
adesso a ringraziare _sefiri_: grazie!!! Sono contenta che ti sia
piaciuto come inizio! Spero davvero che tu abbia gradito anche questo capitolo!
Bacione!
@matrix@