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Autore: Lelusc    26/01/2014    3 recensioni
Tutti stanno male quando succedono delle disgrazie ai propri cari,ma chi dice che chi subisce le disgrazie sulla propria pelle non stia male a sua volta per la sua dolce metà,per la sua famiglia o i suoi amici?
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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Apro la porta che va alla scala antincendio dell’ospedale e l’aria pungente di dicembre mi colpisce come un pugno nello stomaco. Oggi sarebbe stato il nostro anniversario. Ormai abbiamo fatto ben quattro anni di fidanzamento se solo Enrico non si trovasse in questa condizione! Penso mentre guardo in lontananza la strada illuminata a festa. Sono quasi le cinque e hanno acceso da poco le luci di Natale, anche se ancora non è buio, non voglio che venga notte, altrimenti non posso far altro che ritornare a casa da sola, mangiare controvoglia qualche boccone e andare a dormire presto per non scontrarmi con la dura realtà, sono sola, ma anche a letto i pensieri mi assalgono e mi ricordano che sono veramente sola e che lui non è qui con me.

Ho chiesto al dottore se c’è una possibilità che Enrico possa svegliarsi dal coma per Natale, sarebbe il regalo… ma no che dico, il mio più grande desiderio che si avvera, mi sento sola senza di lui, non ho nessuno tranne lui. Mi ricordo le sue dolci carezze, il suo modo goffo di cercare di tirarmi su quando mi sentivo triste e molte volte neanche ci riusciva, ma fingevo lo stesso per accontentarlo. Le notti passate insieme e il parlare stretti l’uno nelle braccia dell’altro, i suoi manicaretti molto meglio dei miei, i suoi sorrisi sinceri che non mi ha mai fatto mancare anche quando era arrabbiato per qualcosa, i suoi limpidi e dolci occhi azzurri che mi guardavano sempre in ogni momento.

 Quando mi piaceva voltarmi e trovare il suo sguardo su di me! Allora, in ogni giorno, in ogni istante, avrei dovuto dire sempre quello che sentivo, ogni volta che mi guardava, che mi sorrideva, che stava con me avrei dovuto dirgli che lo amavo. Mi volto verso la porta alle mie spalle con sguardo appannato dalle lacrime, e ora non so nemmeno più se si sveglierà, penso stringendomi le braccia al corpo mentre i capelli mi volano davanti al viso mossi dal freddo vento dicembrino della sera.

“Ehi! Non starai mica piangendo vero? Odio i piagnistei” mi volto di scatto. Non mi ero accorta di non essere sola.

Quando il ragazzo dalla voce dura e gelida, si avvina e viene colpito dall’unica luce accesa, mi porto di scatto le mani al viso e il cuore mi si ferma.
È uguale identico ad Enrico quando l’ho conosciuto, quando era rimasto solo, quando se né andato di casa per via dei suoi genitori troppo bugiardi che decidevano per lui e gli mettevano grandi responsabilità sulle spalle.

Quando lo incontrai, era estate, ero andata ad una festa con i miei amici. Claudia la mia migliore amica aveva compiuto diciotto anni, proprio quel giorno e lui era lì, seduto sul muretto accanto al mio portone e stava bevendo una birra. Ricordo che rimasi a fissarlo. La luce gli illuminava fiocamente il volto, ma io riuscii lo stesso a capire che c’era qualcosa che non andava in lui, che era triste e ferito.

Passarono i mesi e lo vidi molto spesso sempre al solito posto a bere o fumare o pensare semplicemente, poi a settembre me lo ritrovai a scuola, scoprii il suo nome e dove viveva, cioè non tanto distante dal mio portone e che abitava da solo, anche se non sapevo il motivo. Anch’io dopo la separazione dei miei sono andata ad abitare da sola in un appartamentino sotto casa dei miei nonni, che ogni tanto venivano a trovarmi, non volevo stare in mezzo ai miei genitori super impegnati. Uno era a lavorare oltreoceano, faceva l’avocato e l’altro era uno stilista che preferiva rimanere in Francia a fare sfilate invece di stare con la sua unica figlia, ma non mi sentii molto sola come avrei dovuto, avevo la mia migliore amica e la scuola a cui pensare, fino a che la mia amica per divertirsi un po’ non sparse la voce che mi piaceva Enrico, che era sempre seduto al suo posto, freddo, distante e silenzioso.

Cercai di negare ma non ci fu niente da fare, fino a che non si avvicinò lui e riuscii a cambiarlo.
Ormai è dolce, gentile e sorride sempre, è una persona squisita e affidabile anche se ogni tanto in alcune situazioni, il suo lato difficile che avevo conosciuto all’inizio, ritorna. Ora, a quanto pare e per quanto impossibile, l’ho di nuovo qui davanti.

“io… non stavo piangendo”

“Ah, bene, altrimenti sarebbe stata una seccatura” dice accostandosi al muro e accendendo una sigaretta, uguale identica a quella che fumava Enrico prima.

“che c’è? Ne vuoi una?”

“no non fumo”

“a che noiosa”

“non è vero” dico guardandolo indignata.

Butta fuori il fumo e mi sorride divertito.

“come ti chiami?”

Lo sai già, gli vorrei tanto dire, ma non è possibile sia Enrico. “Ilaria e tu?”

Sorride.

“non te lo dico”

“e perché?”

Alza le spalle e mi guarda con i suoi occhioni azzurri che però sono più scuri di quelli di Enrico, beh ripeto, è impossibile sia lui.

“bell’anello” dice all’improvviso.

 Abbasso lo sguardo sull’anello d’oro bianco con un piccolo e fragile smeraldino centrale che ho infilato all’anulare della mano sinistra e sorrido stringendomela con l’altra mano.

“Sì, è un regalo del mio ragazzo” dico sorridendo e ripensando al momento in cui mi ha dato l’anello e gli sono letteralmente saltata addosso. Sono sicuro sia costato moltissimo e ne sono gelosissima, non lo tolgo mai, nemmeno quando dormo o faccio la doccia, è la cosa più preziosa che ho.

“è magnifico, dello stesso colore dei tuoi occhi” mi dice in tono dolce.

Alzo di scatto la testa, è esattamente quello che mi ha detto Enrico, anche se in parole un pochino diverse, lui mi disse “s’intona perfettamente ai tuoi occhi, ecco perché l’ho scelto e questa è una promessa” poi due gironi dopo c’è stato l’incidente e…

“Sì, è vero” affermo trattenendo a stento le lacrime e stringendo ancora di più la mano.

“vieni con me” mi dice all’improvviso buttando la cicca a terra.

 Mi prende per mano e mi tira dentro, continuando a camminare spedito verso l’uscita principale dell’ospedale.

“Aspetta, io non posso…”dico guardandomi indietro, verso la camera 13 dove c’è il mio Enrico.

“tranquilla, poi ritorniamo” mi rassicura tirandomi via.

“ma io…”

“ah, quanto chiacchieri, vieni con me” dice uscendo.

Una volta uscita rimango sorpresa dal cambiamento di temperatura e mi stringo le braccia al corpo, mentre intensi brividi di freddo mi passano lungo il corpo nonostante indossi la giacca, quando sento qualcosa posarsi sulle mie spalle e alzo lo sguardo.
Che gentile mi ha messo la sua giacca penso coprendomi meglio.

“su, ora andiamo, così faremo più in fretta” dice riprendendomi per mano e tirandomi con lui.

È stato fuori con me per tutto il tempo, come fa ad avere le mani così calde? Mi chiedo sentendo il contrasto con le mie gelate. Mi tira fino ad una scala antincendio e mi fa salire fino alla cima di un palazzo, stando attento che non scivoli sui scalini e si ferma.
Ho il fiato alterato e ho molto freddo, ma quando vedo lo spettacolo che mi si presenta davanti spalanco gli occhi e rimango stupefatta. La città di notte dall’alto è bellissima, piena di luci.

“Ti piace?”

“Sì molto, ma perché mi hai portato qui?”

Alza le spalle “così” dice accendendosi un’altra sigaretta e si siede a terra.

“io nemmeno ti conosco” affermo inginocchiandomi di fronte a lui.

“Non serve conoscermi, tanto dopo oggi non c’incontreremo più”

“e perché?”

Mi guarda e sorride.

“Questa non è una domanda che una ragazza promessa sposa di un altro dovrebbe fare, potrei pensare che ti dispiaccia che non ci vediamo più”.

“No, è che assomigli molto al mio ragazzo” dico sedendomi accanto a lui in vena di confessioni, non so perché ma mi è facile parlare con lui.

“Era all’ospedale vero?”

“Sì, è in coma da ben tre mesi per colpa di un incidente stradale” dico guardando a terra e sospirandomi sulle mani per riscaldarle, quando lui me le prende
fra le sue ancora calde.

Lo guardo sorpresa, ma sento come se tradissi Enrico lasciandolo fare, anche il solo stare da sola con lui mentre il mio Enrico è costretto a letto incosciente, mi fa sentire in colpa.

Allontano le mani per non farmi più toccare e le stringo al petto, non voglio che un altro all’infuori del mio Enrico mi tocchi, non è giusto.
Il ragazzo non dice niente e mette le mani incrociate dietro al capo in segno di ozio. Lo guardo con la coda dell’occhio, anche quello era un gesto abituale di Enrico, lo faceva spesso quando l’ho conosciuto.

“Basta, andiamo da un’altra parte, è quasi ora di cena” dice buttando la sigaretta a terra, la calpesta e mi porge la mano per aiutarmi ad alzare.
Mi lascio mettere in piedi. “Ma non dovevi riportarmi all’ospedale?” Chiedo mentre mi tira.
Si volta e mi sorride.

“sì, ma non ho mai detto quando” mi fa notare.

Scendiamo le scale e quando all’ultimo scalino, per la troppa fretta sto per inciampare, mi afferra dolcemente per la vita sostenendomi, arrossisco e mi tocco esattamente dove mi ha posato le mani pochi secondi prima. Che strano, il suo tocco mi è così famigliare, penso.

“Tutto a posto?” Mi chiede guardandomi. Alzo lo sguardo sul suo viso e annuisco.

“bene, allora andiamo”

Mi porta in una pizzeria, la stessa del mio primo appuntamento con Enrico, un appuntamento disastroso, anzi forse non si può nemmeno chiamare appuntamento poiché era da poco che ci conoscevamo e poi aveva preso a pugni un cameriere così da farci buttare fuori.
Sono seduta al tavolo coperto da una tovaglia a quadri scozzesi rossi e bianchi con il gomito puntellato sul tavolo apparecchiato, mentre mi reggo il viso e mi guardo intorno con un sorriso.

“Perché sorridi?” Mi chiede il ragazzo misterioso, è sì, d’ora in poi lo chiamerò così poiché non ha voluto dirmi il suo nome.
“Questo è stato il posto per il nostro primo appuntamento, o meglio uscita” mi correggo. “Non sono certa sia stato proprio un appuntamento ci consociavamo da poco e a quel tempo il carattere di Enrico era impossibile, anche se mi sembrava molto avvenente”

“davvero?” Chiede sorridendo.

“Sì, ma è cambiato molto, anche se alcune volte si fa viva ancora la sua parte ribelle e onestamente anche se preferisco quella parte dolce, adoro anche l'altra” dico sorridendo per poi rattristarmi subito all’idea di non poter più vedere i suoi meravigliosi occhi, il suo dolce sorriso e non sentire più la sua calma voce.

“Sai credo che per lui lo sia stato”

“ che cosa?” Chiedo guardandolo.

“Il primo appuntamento, di solito quando si è soli con un ragazzo, è un appuntamento”.

“Sarà, ma dei due ero solo io quella in fase umore e comportamento da appuntamento. Prima che ci cacciassero era tutto il tempo silenzioso e non faceva
altro che guardarsi intono con aria annoiata”.

Sorride. “Signori che pizza volete?” Ci chiede all’improvviso un cameriere.

“Margherita" dico "e funghi” aggiunge il ragazzo misterioso sorprendendomi ancora.

“Era la sua preferita” dico all’improvviso.

“Davvero, io l’ho sempre presa così da quando ero piccolo, sono un abitudinario”

“quindi? A quando le nozze?”

“Come?”

“Pronto, ci sei? L’anello” dice indicandomelo.

“Veramente non abbiamo ancora deciso”

“ah, capisco” dice solo.

“Però mi piacerebbe al più presto possibile” ammetto guardando l’anello con estremo affetto.

“Credo che per lui sia lo stesso, credimi”

“ma come fai a dirlo se non lo conosci?”

“Beh, perché ti ha dato l’anello e sei giovane, deve essere molto impaziente”.

“Beh, ho venti tre anni, forse non è poi così presto”

“e lui quanti anni ha?”

“Ah, lui è un vecchietto” dico ridendo. “Ha venticinque anni”.

“allora se arriva alla trentina, che cosa sarà, vecchio decrepito?”

“ Credo di sì” affermo ridendo.

“Comunque per ora sarei felicissima se si svegliasse, solo questo voglio, non voglio più stare da sola. Mi manca da morire” dico guardandolo e facendo un mesto sorrido.

“Guarda, arriva la pizza” dice all’improvviso cambiando discorso.  Infondo ha ragione, non voglio rovinagli la cena.

“La pizza si mangia, non si fissa” mi dice dopo un po’.

“Non mi dire che non mangi decentemente da quando non c’è più lui?”

“Per favore, se dice così sembra che sia morto” dico guardandolo turbata.

“Scusa, però forse sei troppo magra”

“e tu troppo diretto” dico prendendo contro voglia forchetta e coltello.

Alla fine non ne mangio nemmeno metà e rimango a guardare lui che mangia con moltissimo appetito, come se non lo facesse da tanto tempo.

“Sei un mangione sai”

Sorride “io ho molto appetito”

“su, ora andiamo a bere ”

“cosa? Non voglio”

“dai, così ti sfoghi un po’”

“no no”

“su” dice afferrandomi per un braccio e tirandomi con sé per l’ennesima volta.

“no, non voglio bere” mi lamento e punto i piedi a terra.

“ Dai, quanto sei prevedibile, muoviti!”

Lo afferrò per un braccio e lui si volta verso di me sorpreso.
“E se poi comincio a parlare a vanvera o peggio a piangere? Non si è padroni di se quando si è bevuto e già so che mi sbronzerò. Non voglio”
“e dai, ci sono io”

“ma neanche ti conosco!”

“Sì, ma con il signor “neanche ti conosco” hai cenato”.

“Perché mi hai tirato con te” l’accuso.

“Mi vuoi far credere che non hai la forza per decidere per te stessa?”

“A quanto pare con te no”

“è un complimento?”

“Una constatazione”

“muoviti” Sbuffo pesantemente e lo seguo.

Entriamo in un bar dove né io né tanto meno Enrico siamo mai entrati, per quanto ne sappia almeno, e ci sediamo al bancone, e subito, come se fosse abituato, il ragazzo misterioso ordina del whisky. Figuriamoci io mi sbronzo anche con una birra!
Ordino anch'io del whisky e per un momento rimango a guardare il bicchiere. “Su, cin cin” dice il ragazzo misterioso facendo incontrare i nostri bicchieri, poi lo guardo allibita bere tutto d’un fiato il liquido che c’è dentro e chiederne un altro, poi si accorge che lo sto guardando.

“Che c’è?”

“Ma come fai?”

“Bevi”.

Obbedisco e non serve chiederne altri, un solo bicchiere e sono già andata, e comincio, come effettivamente avevo detto, a parlare, ne sono consapevole grazie al piccolo e lontano briciolo di lucidità che mi è rimasto e che però non è abbastanza forte da fermarmi nel fare piccole pazzie che non farei mai, tipo raccontare tutta la mia vita.

Comincio a dire tutto, anche le cose che non ho mai detto a nessuno e non è uno scherzo quando dico che tutti quelli che sono nel bar si sono messi intono a me ad ascoltare tutta la mia storia, fino all’incidente.

“Ed io ho paura che... ha mi sento male” dico interrompendo la mia frase, “che non si svegli più” affermo pacatamente afflosciandomi sul bancone con il secondo bicchiere vuoto in mano.

Il barista è pronto a riempirmelo di nuovo quando il ragazzo misterioso lo ferma con un cenno della mano.

“perché?”Chiedo guardandolo.

“Basta, sei andata e hai bevuto solo un bicchiere di liquore e poi dell’acqua tonica, santo cielo!”

“è vero, ma sto bene”

“sì, certo” dice prendendomi per un braccio e mi tira su di peso, ma una volta constatato che non mi reggo in piedi, mi prende in braccio come una principessa.
“Su, andiamo”

“noo, perché” dico come debole protesta, prima di appoggiarmi con la testa al suo petto e chiudere  gli occhi.

  “Svegliati stupido! ”Esclamo “svegliati” dico in lacrime mentre mi sento trasportata da mani delicate e sicure verso una meta sconosciuta. Riapro gli occhi dopo aver sentito qualcosa di soffice sotto di me e mi trovo davanti il viso del ragazzo misterioso.

“Sss, tranquilla, dormi” mi dice a voce bassa prima che possa aprire bocca.

Chiudo gli occhi di nuovo mentre mi copre con la coperta e l’ultima cosa che sento è il materasso accanto a me che si abbassa e le sue labbra calde e famigliari posarsi sulla mia fronte, poi più niente.

La mattina seguente quando apro gli occhi vedo un soffitto bianco non tempestato di stelle come lo è quello della camera da letto mia e di Enrico e mi metto a sedere di scatto portandomi immediatamente la mano al capo. Ho un mal di testa fortissimo. Chiudo gli occhi sperando che in questo modo si affievolisca, poi facendomi forza mi guardo introno. Sono in una stanza piccola ma graziosa e non ricordo come ci sono arrivata, quando all’improvviso rammento il ragazzo misterioso e mi volto verso l’altra sponda del letto dalla coperta scomposta, ma di lui neanche l’ombra.

Non posso essermelo sognato, infondo mi trovo in una stanza che non conosco penso alzandomi e barcollo un po’. Ho sonno.

Mi guardo intorno e noto sul comodino una brocca d’acqua con vicino un bicchiere e una confezione di pastiglie, ne prendo ben due, le conosco, le prendeva anche Enrico quando beveva troppo, cosa che non succede da molto, inoltre noto, a disagio, che sono ancora vestita come ieri e che poi non sono più tornata in ospedale.

Prendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e guardo l‘ora. Le nove di mattina, ho dormito con lui! E solo ora me ne accorgo? Oh, santo cielo! Come farò a dirlo a Enrico, come!? Mi chiedo lasciandomi cadere sul letto e portandomi le mani alla testa. Beh, sono certa che si sveglierà e solo allora glielo dirò, ora devo andare da lui mi dico, corro fuori e scendo le scale.

Di sotto un signore mi sorride.

“Buongiorno signorina, ben svegliata, il suo ragazzo ha già pagato la stanza, non si preoccupi”

“grazie, ma non è il mio ragazzo”

“ma certo signorina”

“ah santo cielo” penso correndo fuori e pettinandomi i capelli con le dita. Devo essere tutta sotto sopra, assonnata e sgualcita, penso correndo all’ospedale.

 “Signorina, sta bene?”

Mi chiede un’infermiera non appena entro.

“Sì” dico continuando a camminare a passo svelto verso la stanza di Enrico e non voglio pensare al significato della sua domanda. Devo essere veramente conciata male se mi chiedono se sto bene, e se Enrico si dovesse svegliare ora? Che cosa gli dico per il mio aspetto?

Così prima di andare in stanza mi dirigo a passo svelto verso bagno e mi guardo allo specchio. Sono bianca come un lenzuolo, sembro anche dolorante e in effetti, è così, visto che ho un mal di testa terribile e sono segnata dalla stanchezza. I capelli invece sono un disastro noto cercando di sistemarli con le mani, poi mi lavo il viso per svegliarmi per bene, anche se effettivamente ci ha pensato il freddo della mattina e ora sto meglio, inoltre adesso credo di essere presentabile, o almeno vagamente, così vado da Enrico.

Mi siedo vicino a lui e lo guardo.
È così diverso, ha i capelli corvini sparsi sul cuscino e sembra così fragile e pallido. I suoi meravigliosi occhi che posa sempre su di me sono chiusi, e invece di una delle camicie che gli ho comprato e che è solito indossare, veste la misera camiciola bianca dell’ospedale che gli ho messo ieri.

Mi avvicino leggermente verso di lui e lo guardo.

“Mi manchi, ti prego svegliati” gli sussurro vicino al viso. “Ti prego, Enrico” lo chiamo in tono basso prendendogli una mano e stringendogliela dolcemente.

“Enrico, non voglio rimanere più sola, ti voglio vicino” affermo quasi in lacrime portandomi con attenzione la sua mano alle labbra per baciarla, poi rimango con gli occhi chiusi per sentire il suo tocco sulla guancia, cercando con tutta me stessa di non pensare che se non la tenessi io, sarebbe già caduta inerte sul letto.

Quando all’improvviso mi sento sfiorare la guancia e apro gli occhi.

Enrico mi sta guardando con i suoi magnifici occhi azzurri e mi sorride dolcemente, mentre mi accarezza delicatamente il viso. Calde e silenziose lacrime mi rigano il volto mentre lo guardo sorridendo felice di rivederlo sveglio.

“ciao” dico a bassa voce.

“ciao” ripeto quasi in un singhiozzo abbracciandolo con slancio.
Sento le sue mani su di me e non aspettavo altro da tre mesi, sono così felice e sollevata. Si è svegliato e si muove penso mentre le lacrime mi continuano a scendere inarrestabili lungo le guance.

“Ehi, sto bene, smettila di piangere” mi dice con voce fievole.
“Piango perché sono felice” affermo guardandolo e gli do un leggero bacio sulle labbra, leggero perchè timorosa di potergli far male se lo baciassi più forte come vorrei.

Sorride.

“Mi pare di avertelo già detto, odio i piagnistei” dice in tono dolce scostandomi i capelli dal volto.

Lo fisso mente lui mi sorride e i suoi occhi mi sembrano più scuri e pieni di consapevolezza.

“Eri tu?” Chiedo incredula.

“Sì amore, ero io, chissà forse una parte di me era preoccupata per te. Ti vedevo sai, triste e disperata e sempre al mio capezzale, ho tanto voluto farti stare meglio, farti smettere di stare così male, e alla fine ci sono riuscito anche solo per mezza giornata. Mi sei mancata da morire”.

“Avrei dovuto immaginarlo” dico abbracciandolo, mi sei mancato da morire anche tu, era straziante vederti sdraiato a letto, privo di conoscenza, senza sapere se ti saresti svegliato o meno. Ti amo”.

“Anche io, immensamente” dice baciandomi “e rimarremo insieme per sempre” aggiunge.

“Sì, per sempre, nella buona e nella cattiva sorte. Te l’ho detto no? Spero tanto che ci sposeremo il più presto possibile” dico guardandolo con un sorriso.

“Non appena esco da qui, ti giuro che ti porto all’altare”

“non spetto altro” affermo baciandolo.
  
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