Le sue iridi scomposte lo guardavano, i capelli lisci e mori cadevano pesanti e grossolani sulle spalle larghe: Leila credeva di averla vinta anche quella volta.
Avvolta nella sua camicia di cotone rideva della sua stupidità, del suo essere limitato.

Aveva supposto che il perdono le sarebbe stato concesso una volta in più, credeva di essere insuperabile.

Kevin la guardò, capì che aveva fegato e cervello.
Anche se aveva un aspetto così tozzo, non gli dispiaceva soffermarsi dentro a quelle iridi scomposte.

Era alta e larga, l’avresti fatta passare per un metallaro con quei capelli grassi che si ritrovava.

Le accarezzò la guancia destra e le disse pragmatico: “Sto per morire, Leila”
Stupore si dipinse nel suo volto e chiese se stesse scherzando, le sembrava più che plausibile.

“No” rispose lui. “Quindi lasciami fare una cosa che avrei dovuto fare molto tempo fa”

La baciò come se non ci fosse un domani, affogò le sue labbra in quelle carnose di lei. Le sarebbe stato grato per tutta la vita e anche oltre per quel momento di pura e semplice libertà. Lui innamorato di Leila, lui che aveva messo da parte tutti per quella squinternata.

E stava per morire e tutto quello che c’era da compiere era stato compiuto.