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Autore: serengleepity    26/01/2014    1 recensioni
[Dani/Santana] [AU]
Danielle Cooper è una brllante studentessa ventunenne che sogna un brillante futuro da giornalista per conto della popolare rivista Marshall's.
Quando le viene richiesto di affrontare l’insolito tema della street art al fine di guadagnarsi il tanto agognato posto da apprendista, Dani si ritroverà costretta ad affidarsi alla diavolessa in carica del suo quartiere.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Dani, Santana Lopez
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Paint these walls
Fandom: Glee
Pairing(s): Dani/Santana
Counting words: 2.880 parole, dal vangelo secondo Word.
Note: Ultimamente sono in fissa con la fanon Dantana e, mentre continuo imperterrita a fantasticarci sopra, ecco che saltano fuori prompt random alquanto interessanti, che dite? In ogni caso, chiedo venia per la long *si nasconde*


 
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Osserva il puntatore del mouse lampeggiare a ritmo frenetico e ripetitivo sull’ennesimo foglio word, riempito solamente dal banale e azzardato titolo in grassetto: “ ‘Street Artists’: Veri artisti o semplici imbrattatori? ”
Quell’articolo le sarebbe costato il posto da apprendista, quindi era palesemente necessario che scrivesse qualcosa.
Qualsiasi cosa, purché inerente all’argomento da trattare.
Dani viveva in un quartiere alquanto pittoresco, decisamente distaccato dal tipico quadro grigiastro che solitamente caratterizza la sua tanto amata Brooklyn. Non per questo, però, non si era mai ritrovata faccia a faccia con quei disegni tanto strani ed ambigui, anzi.
Ma la verità è che Dani di muri e vernice non ne capisce un bel niente. Non li capiva, esattamente.
Non capiva quelle linee spesso azzardate e sparse a casaccio.
Non capiva quegli occhi così mostruosamente sproporzionati al resto del corpo minuto.
Non ne capiva i colori, vivaci, ammassati su un unico sfondo originariamente bianco.
Forme infantili rozzamente abbozzate su quelle mura inizialmente spoglie.
Poi, però, quando si trattava di rappresentazioni pienamente reali e fatte bene, Dani si fermava e le osservava per qualche minuto, prima di infognarsi tra i pali sudati e la folla infinita della metropolitana.
E, più di qualsiasi altra forma espressiva stile murales, non capiva quelle frasi terribilmente sdolcinate e, spesso, orrendamente sgrammaticate che popolavano i muri di edifici pubblici sopra i quali era rigorosamente vietato dare sfogo ai sentimenti.
Frasi che probabilmente un vero significato non l’avevano mai avuto.
Frasi che probabilmente non saranno mai pienamente sincere, e che non arriveranno mai dal cuore di una persona innamorata.
Non le trovava poetiche, anzi, a volte si divertiva a scovarne gli errori più impensabili.
Be’, certo, rideva per non piangere.
Inaspettatamente, però, iniziò a ricredersi.
Ogni mattina e sera, sempre verso le sei, usciva di casa e percorreva a piedi il lungo tratto che la divideva dalla metropolitana che l’avrebbe poi condotta ai corsi di scrittura creativa, al quale partecipava sempre con entusiasmo.
I pochi chilometri fatti a piedi erano accompagnati lateralmente da un enorme muro bianco che Dani era solita paragonare ad un anaconda, per quanto pareva di una lunghezza interminabile.
Quella stradina strategicamente nascosta restava ignota agli occhi della gente, così come quel muro, o almeno, era così fino a quando Santana Lopez non lo scovò per caso e non se ne appropriò categoricamente di ogni singolo centimetro di quel muro dalle dimensioni apocalittiche.
Ogni notte e alba, Santana ne occupava una parte con qualche piccolo e semplice schizzo di vernice, illuminati solo dalle deboli luci offuscate provenienti dai lampioni stradali.
Quel muro era una sorta di enorme puzzle a colori, ruvido e incompleto.
Destinato a non trovare mai una conclusione.
Quel muro sembrava pronto a dare il via ad una storia di cui solo l’artista ne avrebbe pienamente compreso l’inizio, lo svolgimento e l’ipotetica fine.
Quel muro era gestito da una sola persona, probabilmente perché nessuno faceva mai quella strada. Ormai si erano tutti omologati ed equipaggiati per servirsi dei numerosi mezzi pubblici, per i quali Dani nutriva un profondo odio.
Preferiva di gran lunga le lunghe camminate, persino quelle accompagnate dall’immancabile pioggerellina newyorkese. Anzi, forse quelle le preferiva addirittura.
Dani amava le stradine strette e deserte, quelle che si percorrono con le cuffiette nelle orecchie, quelle di cui il tempo che ci si impiega per percorrerle è utile per riflettere e schiarirsi le idee più confuse.
Ed era questo che si ostinava a fare, da un tempo a questa parte.
Da circa un mese, ormai, smise di essere la sola a preferire quel tipo di scorciatoia.
Era una persona tremendamente mattutina; amava svegliarsi presto per concedersi qualche minuto in più per rilassarsi una volta fuori casa, e che quindi poteva permettersi di attendere, tutte le mattine, l’uscita pochi minuti più avanti di Santana Lopez, che partiva per qualche ignota destinazione.
La guardava allontanarsi e sviare finalmente l’angolo. Solo allora si sarebbe incamminata a tutti gli effetti lungo il resto della stradina.
Be’, questo accadde finché Santana non se ne accorse e non iniziò a deriderla all’infinito, divertita.
Dani contava un un paio di settimane dal giorno in cui presero a parlarsi regolarmente, ma spesso erano più che altro frecciatine e allusioni provocatorie continue e reciproche.
Quella ragazza non le piaceva. O meglio, la reputava bellissima, certo, ma tremendamente ambigua.
In un certo senso, le incuteva timore, e non perché usasse vestirsi come una dark, anzi, quel suo lato misterioso e sorprendentemente sarcastico l’attirava molto.
Aveva labbra perfettamente contornate da un lucidalabbra rosso, forse un po’ troppo rosso per non rimanerne invaghiti. Portava spesso jeans strappati alle ginocchia e alle caviglie, un giacchetto di pelle nera, il solito cappellino invernale di lana nera schiacciato sulla testa e qualche immancabile, fighissima, maglietta a tema, spesso riguardante artisti e gruppi musicali poco conosciuti, ma ugualmente talentuosi.
Perché, ebbene sì, da qualche tempo, nel bel mezzo di qualche chiacchierata irrimediabilmente intrisa di sarcasmo, le due avevano scoperto di avere gli stessi gusti musicali. Sebbene Dani potesse sembrare la classica secchiona odiatrice del cosiddetto “rumore”, amava i gruppi rock storici, e Santana non poteva che esserne contenta.
Almeno una sapeva qualcosa in più dell’altra.
Stavano imparando a conoscersi, con fatica, certo, ma lo stavano facendo. Ci stavano provando.
Perché Dani, alla fine, assomiglia fin troppo a quel grande puzzle a cui Santana dedica nottate intere.
Non aveva mai trovato in sé stessa il coraggio di chiederle il perché di tutti quei giorni passati a disegnare su un muro dalle dimensioni bibliche. Non sapeva come introdurre l’argomento, fondamentalmente.
Temeva una sua probabile risposta involontaria, aveva il timore di toccare tasti dolenti o intimi e personali.
Quindi restava in silenzio.
E Dani si sedeva lì, a distanza di sicurezza da Santana, ad osservarla. Restava ferma a guardarla mettersi all’opera con il classico pretesto dell’autobus in ritardo o partito in anticipo, ormai Santana non importava neanche più. Le piaceva che Dani stesse a guardarla “lavorare”, si sentiva felice per non essere continuamente giudicata come una fallita destinata a non diventare l’ennesimo granello schiavo della società e della banalità in cui il resto del mondo si divertiva a sguazzare, o essere presa per una che aveva mollato gli studi e preso a disegnare personaggi schizofrenici su muri bianchi.
Ed erano questi i loro pensieri più frequenti, mentre percorrono quella strada, che era un po’ la loro, ormai. Erano le uniche a conoscerla e passarci sopra. Non erano intenzionate a spartirsela equamente e a camminarci sopra in temporanea, ma nessuna delle due aveva mai dimostrato di essere disposta di rinunciarci.
A volte nessuna delle due parlava. Il silenzio si alzava minaccioso, coprendo come una sorta di velo invisibile quella stradina deserta, interrotto solo dagli spruzzi leggeri di quelle bombolette dall’odore quasi radioattivo.
Dani girava sempre con la sua inseparabile borsa a tracolla, dentro la quale soggiornavano un paio libri, quaderni per appunti, album, matite e penne sparse di ogni genere, forma, colore, tratto o spessore.
Santana, seppur tentata, non aveva mai mostrato particolare interesse riguardo il contenuto di quella borsa, eppure, fatto sta’ che uno di quegli innumerevoli pomeriggi, un piccolo album a righe riempito da schizzi di notevoli dimensioni, sparì dalla sua cartellina riservata ai documenti personali.
E non sa perché, ma Dani rimase irrimediabilmente convinta che, per qualche stregoneria aliena a lei ancora sconosciuta, il suo disegno fosse finito tra le mani creative di Santana.
 
Si tolse gli occhiali da vista e li poggiò sul comodino, esausta.
Sente le tempie appesantirsi, probabilmente a causa della miriade di pensieri che le si avvinghiano ad ogni singolo nervo, sul fatidico punto di esplodere.
Se voleva quel posto, avrebbe dovuto chiedere un’esclusiva a quella dark nevrotica, e avrebbe dovuto farlo alla svelta, considerata la vicina data di scadenza, acidamente assegnatole da quello scorbutico del direttore, che la sua ambizione reputava già suo futuro capo.
Recupera la tracolla abbandonata sul divano e se l’attorciglia saldamente alla spalla sinistra, stringendo tra le mani una penna blu e un block notes dagli angoli smussati.
Scende pochi scalini e già sente l’umidità di quel pomeriggio autunnale infestarle le narici. Piccole gocce di pioggia bagnano timide la strada su cui cammina a singhiozzi ridicoli.
Stessa scorciatoia, stessa strada, stessa storia.
Si affianca al marciapiede che costeggia l’angolo di fronte a lei e, dopo svariati minuti, si ritrova davanti al suo muro, al loro muro.
E Santana è ancora lì, in lontananza, che lavora senza sosta alla parte centrale del murales. Non appena posa gli occhi sul suo giacchetto di pelle strappato ai gomiti, sente una morsa e un forte senso di nausea avvinghiarle lo stomaco.
Se ne pente subito, guadagnandosi l’appellativo di codarda dell’anno.
In fondo, avrebbe potuto sempre sbirciare su internet, anche se, be’, sarebbe stato l’esatto equivalente di un’immatura e disonesta copiatura di un compito in classe per cui si studia ma non ci si reputa all’altezza.
No. Non sarebbe mai scesa così in basso. Non avrebbe mai fatto qualcosa di tanto stupido. Non gliel’avrebbe data vinta.
Le serviva qualcosa di autentico e veritiero, qualcosa di ascoltato e successivamente trascritto su carta.
Qualcosa che solo una persona sarebbe stata in grado di darle.
Lei.
La nevrotica.
La pazza.
La strana.
La dark.
La tizia acida.
La paint artist della porta accanto.
Santana.
Eppure Dani è sul punto di girare i tacchi e tornarsene nel suo loft ad accartocciare fogli di carta.
Perché vorrebbe sparire e non farsi notare da lei.
Vorrebbe evitare in qualsiasi modo possibile i suoi occhi scuri e i suoi capelli neri come la pece, terminanti in leggeri boccoli appena accennati.
Continua a ripensare ai modi più impensabili per non sprecarsi a chiedere aiuto al nemico.
Che poi, non sa neanche realmente spiegarsi come quella ragazza si sia guadagnata un appellativo del genere.
Infatti il punto non è Santana. Non adesso, almeno.
Il problema è Dani.
Dani e la sua incapacità di fare chiarezza, la sua paura di imboccare una strada che suo malgrado la spaventava e attraeva allo stesso tempo, o forse più dalla persona che ci si trascinava svogliatamente sopra ogni mattina alle sei e venti.
Puntuale e precisa come un orologio svizzero.
Scuote la testa e la osserva portare il panno inumidito, intriso di colori mischiati e sfocati, ad una parte notevolmente asimmetrica di quel tabù artistico, cancellandone lievemente alcuni tratti errati.
Non si rende conto che ad ogni sguardo intensificato che le riservava, diminuiva letteralmente la distanza che le divideva.
Non ancora, almeno.
“Oh, ma guarda chi si rivede! Ciao nerd.” La voce provocatoria di Santana le rimbomba pesantemente nella testa quasi fosse una bomba ad orologeria sul punto di esplodere.   
Cazzo, ti sta guardando! Di’ qualcosa, avanti! Si può sapere che ti prende?
Perché, ovviamente, la voce di Santana non bastava ad occuparle i pensieri, no, quella nella sua testa doveva per forza confonderla ancora di più.
Dani apre e chiude la bocca un paio di volte, indecisa su cosa dire, mentre osserva Santana chinarsi per accatastare lungo la parete il materiale da lavoro.
“Cosa ti porta qui?” continua Santana, inarcando le labbra perfette in un piccolo ghigno di superiorità
Dani si lascia scappare una smorfia seccata, finalmente tornata alla realtà.
“H-ho bisogno..– boccheggiò nervosa, in cerca di un appiglio – Diamine, sì, ho bisogno del tuo aiuto. “ la fatica con cui pronunciò quella frase divertì parecchio Santana, che le si avvicinò stranamente incuriosita.
“E’ per un articolo sulla street art da consegnare alla redazione entro dopodomani.” Secondo l’inconfutabile udito Santana, c’era imbarazzo nella voce di Dani, e l’accurata tortura che stava riservando alle sue unghie non fece che rafforzare la sua teoria.
La osserva per un attimo fissare il pavimento, per poi lasciarsi scappare un sorriso beffardo dalle labbra marcate di rosso. Affonda le mani nelle tasche, mentre sembra pensarci per un istante che sembra interminabile, poi riposa lo sguardo su quello ancora basso dell’altra.
“Va bene.”
“Cosa? Dici sul serio?”
La mora sembra ignorare beatamente le classiche domande sconcertate della più piccola, che continua a rimanere palesemente stupita. “Sì.” Risponde semplicemente “Be’, il muro è nostro. Per quanto mi urti il solo pensiero di dover condividere qualcosa con il tuo ego spropositato, ci sei anche tu, e questo fa di me e te un noi.”
Osserva il sopracciglio alzato di Dani, e questa volta sembra proprio lei quella divertita.
“Non credi che possa essere gentile per una volta?” continua, più infastidita che realmente curiosa.
“No, a dire il vero.” controbatte l’altra, che sembrava davvero divertita dallo stato di imbarazzo in cui Santana stava lentamente scivolando.
“Simpatica” borbotta in risposta, iniziando a dubitare di aver accettato quella proposta che avrebbe ovviamente compreso la presenza di quell’esserino odioso.
“E va bene, nerd. Vieni, prima che cambi idea.” Le fa segno di posizionarsi accanto a lei, e non appena Dani le sfiora involontariamente il gomito, quel contatto le provoca una scarica di brividi mai sentita prima d’ora. Non ci fa caso e riporta l’attenzione sulla mora al suo fianco.
“Cosa vedi, nerd?” Santana le indica il muro ancora incompleto, osservando l’altra inclinare leggermente il capo.
“E’ una sottospecie di seduta terapeutica o-”
“Per l’amor del cielo, nerd, o vuoi o no quel posto da apprendista? Rispondi e basta!” la mora rotea gli occhi, allontanandosi da Dani, che sembra finalmente propensa a continuare.
La prima cosa che le salta all’occhio, nel bel mezzo di quella nuvola di disegni indistinti, è una serie ordinata di scarabocchi già visti.
Si blocca per un secondo, avvicinandosi. Poggia la mano su quella linea curva composta da piccoli disegni incrociati tra loro, non curandosi della lieve sfumatura che il contatto tra le sue dita e il muro avevano appena creato.
Finalmente si ricordò; quel disegno era suo. Era il disegno scarabocchiato svogliatamente, originariamente accostato agli appunti presi durante una lezione al corso di scrittura creativa. E quello faceva parte della collezione di scarabocchi contenuti ne suo album personale. Era un estratto di quel famoso album scomparso. E ne era sicura perché su quel muro ne erano riportati anche i più piccoli dettagli in modo perfetto.
Ma perché Santana avrebbe copiato con così tanta cura e precisione una schifezza simile?
Dani si allontana nuovamente, mentre quel rebus iniziava a cambiare vertiginosamente composizione e ordine, nella sua testa. Ogni più piccolo dettaglio era fedelmente riportato e riprodotto su quel muro.
E Dani finalmente capisce.
Perché c’era lei su quel muro. C’era simbolicamente scritta ogni singola impressione, opinione o parere che la riguardasse. Ogni emozione che graffiava la pelle di Santana nel momento stesso in cui incrociava i suoi occhi. Ogni parola non detta o appena accennata. Ogni paura o insicurezza che Dani trasudava e che Santana avvertiva perfettamente. Ogni motivazione che l’avesse spinta a trascorrerci nottate in bianco, perché assalita da idee e spunti che potesse aiutarla a rendere il tutto ancora più chiaro agli occhi increduli dell’altra.
Per un attimo, Dani ripiomba in quella sorta di trance di cui solo Santana è a conoscenza.
E quando si riprende, le parole le escono spontanee.
“Sono io.” Sussurra lentamente, cercando di imprimere ogni singolo istante di quel momento nella sua mente che sembra essersi appena liberata da ogni paranoia inutile.
“Be’, nerd, non pensare che sia-“
“Ah, senti, taci!” Dani si volta, ritrovandosi a pochi centimetri di distanza dal viso dell’altra, costringendola ad indietreggiare. “Ti risulta così difficile ammettere di ritenermi un soggetto interessante? Ecco, appunto, perché ti interesso tanto, si può sapere?”
“Perché reagisci così?”
“Non lo so, forse perché nessuno l’ha mai fatto!”
“Fatto cosa?”
“Nessuno ha mai provato a sforzarsi di capirmi. Nessuno è mai riuscito a rappresentarmi così dannatamente bene!” ed è talmente sopraffatta dalla frustrazione che non fa neanche caso a quei soliti pochi centimetri che la dividono da Santana, che ha praticamente smesso di allontanarsi.
“Hai finito? No perché sto per fare qualcosa che non avevo previsto di inserire lì dentro” l’avverte Santana, mentre le si avvicina così tanto da sfiorarle le labbra. Dani non sente neanche più il suo cuore battere regolarmente, anzi, le si blocca letteralmente il respiro. Ed è talmente impegnata a scegliere tra l’opzione ‘restare viva’ o quella ‘morire, causa infarto’ che ci mette non poco a realizzare le labbra di Santana premute sulle sue.
Sta succedendo tutto troppo in fretta. Sembra tutto così surreale che Dani arriva a chiedersi se stia davvero vivendo la realtà o semplicemente sognando, se Santana fosse solo una sua illusione o se quel muro non fosse mai stato davvero riempito.
E poi, a dirla tutta, Santana non stava collaborando, e quel bacio neppure. Non aveva nulla di casto e sembrò durare una piacevolissima infinita di tempo.
Quando si staccarono, Dani si affrettò a prendere aria, senza la minima intenzione di allontanarsi dall’altra.
“Questo dovresti scriverlo, sarebbero punti bonus assicurati.” sussurra, ancora troppo vicina all’altra.             
“Non conosci il mio capo.”
“Però.. Lo ritieni già il tuo capo?”
“Dopo tutto questo come potrei non aspettarmi il meglio per il mio futuro?” domanda retorica e orgogliosa, sotto lo sguardo indecifrabile dell’altra.
“Nostro.”
“Eh?” l’espressione sconvolta e terribilmente rossa sul volto di Dani, la ripaga di tutte quelle nottate passate a disegnarne tutte le infinite sfumature.
“Puoi anche sbollire, scherzavo. E’ che mi piace vederti arrossire, sembri ancora più nerd, sempre se possibile.”
Dani sorride; per la prima volta trova un significato in quell’arte così sottovalutata e poco considerata, senza contare che proprio in quel momento il nomignolo “nerd” non l’aveva toccata o infastidita minimamente, anzi, sente che ora inizino addirittura a piacerle entrambe le cose.
 


 
  
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