Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: monnie    26/01/2014    1 recensioni
Ian corre.
Corre sempre, lo fa da tutta la vita. Lo fa da quando è nato. Corre quando è in ritardo per l'ultima metropolitana della sera, corre quando deve andare a quel lavoro che non gli piace e corre quando ha voglia di stare da solo.
Non si sa bene se lo faccia perché lo ama, perché vuol tenersi in forma o se ne ha bisogno.
Ian corre e basta.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


cosa sai della fine?







Ian corre. 
Corre sempre, lo fa da tutta la vita. Lo fa da quando è nato. Corre quando è in ritardo per l'ultima metropolitana della sera, corre quando deve andare a quel lavoro che non gli piace e corre quando ha voglia di stare da solo. 
Non si sa bene se lo faccia perché lo ama, perché vuol tenersi in forma o se ne ha bisogno. 
Ian corre e basta. 
Le scarpe da ginnastica sono sul terrazzo al sole, i pantaloncini in lavatrice e la maglietta da qualche parte sul pavimento della sua stanza, insieme ad un altro mucchio di vestiti sporchi. Il cellulare è in carica sul comodino, la luce della cucina spenta e la porta dello studio aperta. 
Un'altra cosa che Ian fa ogni giorno è suonare. Il pianoforte è nero, lucido ed è riposto in un angolo della stanzetta davanti all'enorme finestra priva di tende.
Ian suona, ogni sera dopo il tramonto. Suona perché la musica è un po' come la corsa: ti toglie il respiro e ti ripulisce l'anima. La sera dopo il lavoro, spegne il cervello e accende le mani, che rapide e sapienti scorrono sui tasti come se fossero nate per quello.
Ian ha i capelli corti di un  colore che sua sorella reputa strano – a metà tra il biondo e il castano –, e gli occhi liquidi e scuri. Le spalle larghe, le gambe muscolose e la mascella squadrata. Ha ventiquattro anni – che non gli daresti mai –, e non sa cosa fare della sua vita. Non sa perché si è laureato anni fa, e non sa perché sua madre si ostina a chiamarlo “piccolo”.  
Ian suona perché gli viene naturale, perché lo libera e lo ingabbia allo stesso tempo. Soffoca e poi respira, e non esiste tortura migliore di quella. Qualche volta accompagna la musica con la voce bassa e sussurrata, intonando parole mai dette e mai scritte. Parole troppo forti da tenere dentro, ma troppo segrete per essere urlate. Ian lo sa che sono le parole che rovinano tutto. Spesso sono proprio loro che distruggono le persone. Allora sta zitto, non parla, non vuole rovinare la musica. Lascia scivolare le dita sulle ultime note di quello spartito. Si ferma.
Sospira, dopo aver spento la luce dello studio. Per stasera basta musica, ha bisogno di un bicchiere di Bourbon per alleggerire la testa e andare a dormire. 
Domani è un altro giorno, e dovrà di nuovo correre per non arrivare in ritardo a quel lavoro che detesta ma che gli serve. 
La notte cala in fretta per chi non riesce a dormire.





Hanna dorme. 
Dorme tanto, troppo a volte. Crede di essere nata con le batterie scariche, e che dormire le serva per riprendere le energie. Ma ogni giorno si sveglia più stanca del precedente, come se avesse dormito senza riposarsi davvero. 
Hanna ama dormire. Lo farebbe tutto il giorno, e se un giorno perdesse le ragioni che la mantengono attiva, dormirebbe senza svegliarsi più. Ma deve andare a lavoro, deve portare la spesa a sua madre, deve studiare per l'università, andare a prendere la sorella a scuola e deve portare il cane della signora Cole a fare i bisogni. 
Hanna ha una vita caotica dalla quale vorrebbe uscire, ma non trova il modo, se non quello di dormire. Si annulla, non esiste nient'altro che la sua mente assopita e le sua gambe stanche sotto il lenzuolo.
Se potesse scegliere, Hanna sceglierebbe di dormire. 
Lo avrebbe scelto, sempre e comunque. Prima di sentire quella musica. Prima di quella sera, prima di affacciarsi alla finestra e vedere la figura di una persona suonare, nel palazzo affianco.
E' come un sussurro, un alito di vento, ma perfettamente udibile. E Hanna rimane incantata dalla forma che prendono le note sotto le mani di quello che dall'ombra che proietta sembra un ragazzo.
Hanna ha vent'anni, un ex-fidanzato geloso, un paio di gambe da modella e i capelli castani. Si guarda allo specchio e non si vede abbastanza, si guarda in quegli occhi verdi e non ci vede niente di particolare. Li trova vuoti, inespressivi, anonimi.
Ad Hanna piacciono gli occhi – tranne i suoi –, le piaccio tutti i tipi di occhi. Quelli neri, quelli azzurri, quelli a mandorla e quelli caramello. Le piacciono anche quelli contornati di rughe dell'anziana signora Cole. Le piacciono e basta. Ma non i suoi.
Torna ad osservare lo sconosciuto al pianoforte e si lascia affogare nella musica soave che risuona oltre le mura e oltre il vetro della sua finestra. Sa che il pezzo si sta dirigendo verso la fine, e si detesta per non essere rientrata in camera sua in tempo per sentirne qualche nota in più. Si lascia andare finché la musica scema del tutto, e c'è silenzio. La luce della stanza si spegne e piomba il buio. Hanna è rimasta incollata alla finestra per altri dieci minuti, con la speranza di un nuovo pezzo da ascoltare. 
Ora vuole dormire. Dormire di nuovo, perché si sente stanca dentro. 





Correre non gli è mai sembrato più stancante di quella mattina. E' in ritardo – più del solito –, ed è riuscito a mancare anche l'ultima metropolitana che l'avrebbe fatto arrivare a lavoro ad un orario decente. 
Ian corre, le Converse – che un tempo devono essere state bianche –, salde nei piedi e i capelli ancora umidi della doccia. Le strade a quell'ora sono gremite di gente, che come lui cerca di arrivare in tempo ai propri impegni, e a Ian la confusione non piace. Si sente in colpa per le spallate che inevitabilmente dà alle persone e a lui i sensi di colpa danno il voltastomaco. Ma è più forte di lui, e nonostante ci abbia provato, non riesce a cambiarsi. Non ci è riuscito nemmeno per Chantal, la sua ex-ragazza storica, che alla fine aveva deciso di lasciarlo con una telefonata. Si chiede cosa ci sia che non va in lui, e non si spiega perché alla fine tocchi sempre a lui correre. 
Correre dietro a qualcuno, correre per raggiungere qualcosa che gli sfugge, correre per non sentirsi completamente solo. 
Ian corre. Non sa far altro, a parte suonare. 
“Sei in ritardo, di nuovo”
La voce del suo datore di lavoro ormai sembra un disco rotto, tanto ha già sentito quelle parole. Non risponde, si limita ad abbassare il capo e a riprendere fiato.
“Spiegami perché non ti ho ancora licenziato” lo guarda andare dietro al bancone del bar ad asciugare le tazze. “A servire la clientela fai pena, e non riesci nemmeno ad arrivare in orario una mattina alla settimana”
Ian sguscia furtivo sul retro e si infila silenziosamente il grembiule azzurro a righe blu che detesta quasi più che stare a contatto con la gente di quel locale. 
Ma non può farci nulla, spera che un giorno riesca ad essere felice.





Hanna non ha dormito.
Ha passato la notte a pensare a quella musica che le è entrata dentro fin nelle ossa. 
Ha passato la notte ad immaginare le dita di quello sconosciuto scorrere saggiamente sul pianoforte. Ha passato tutta la notte ad immaginarne il volto, i lineamenti.
Ma soprattutto ha passato tutta la notte ad immaginarne gli occhi. A come potrebbero essere gli occhi di chi riesce ad esprimere così tanto con la musica. A che forma potrebbero avere, al loro colore, alle loro sfumature e a cosa potrebbe esserci nascosto, infondo alle iridi.
Hanna non ha mai – nei suoi vent'anni di vita – passato una notte senza dormire. Senza riuscire a spegnere il cervello e senza smettere di pensare. 
E non le piace per niente. Non le piace la sensazione di attesa che la sta attraversando dalle prime luci dell'alba, che ha visto sorgere, nel risentire di nuovo quella musica. 
Non le piace dipendere da qualcosa. Specie se è qualcosa di stupido come un pianoforte, una musica e un ragazzo che nemmeno ha mai visto.
Si scosta le coperte dal corpo, guarda la sveglia. Sono le sette meno un quarto. Non si è mai alzata così presto, ma dato che tecnicamente non è nemmeno andata a letto, lascia correre.
Ha un sacco di cose da fare e non ha tempo da perdere. Sua madre aspetta il pane fresco acquistato in mattinata, sua sorella ha bisogno di un passaggio fino a scuola e la signora Cole la attende per i bisogni quotidiani del suo cane. Ed è proprio in quei momenti che Hanna vorrebbe dormire. Dormire e non pensarci più.





Ian ha bisogno di una pausa.
Dal lavoro, dalla corsa, da se stesso. Ha bisogno di una pausa, non essere Ian Miller per qualche giorno – o qualche anno – e dimenticarsi di tutto. 
Ma non della musica.
Di quella, ne è certo, non si stancherà mai. E' l'unica sua via di fuga che funziona per davvero e che non gli ha mai fatto del male.
Ian ha bisogno di una pausa per leccarsi le ferite e lasciare se stesso chiuso in qualche angolo. Rientra in casa, ormai è tardi. Il suo capo lo ha fatto rimanere più del dovuto per punizione, e a Ian sta bene. Sa che potrebbe essere senza lavoro, perciò manda giù il groppo amaro e ringrazia. Anche se lo strema, perché di essere sempre nel torno sta iniziando a stargli stretto.
Accende la luce, il telefono lampeggia – segno che c'è un messaggio nella segreteria – e il frigorifero è di nuovo vuoto. Si è scordato di fare la spesa, ma non gli importa: non ha fame, vuole solo suonare. 
Il pianoforte è ancora lì, e Ian lo invidia. Perché non cambia, nonostante il tempo che passa è immutabile. Si siede e lascia le dita scorrere lungo i tasti bianchi e freddi. Gli sembra di rinascere e di morire nello stesso tempo. La musica risuona, lo avvolge, lo scalda e lo ama.
Ian ha bisogno d'amore, ma ancora non riesce a capirlo. E' troppo preso dalla sua monotonia per accorgersene. Si lascia trasportare in un mondo tutto suo, dove può essere finalmente se stesso.
Il pezzo termina e Ian vorrebbe continuare, ma sa che non può. 
Alza lo sguardo oltre il vetro della finestra e, nella luce fioca della sera, scopre che forse esiste ancora qualcosa da scoprire.





Il cuore le batte forte, le rimbomba nelle orecchie e il respiro è accelerato. I palmi premuti sul vetro freddo della sua finestra e il volto perso dentro un paio di occhi di cui non riesce a decifrare il colore. 
Hanna si sente nuda, scoperta ad osservarlo mentre suona. Come se avesse rotto l'incantesimo che avvolgeva l'atmosfera, come se si ritrovasse parte di qualcosa che non dovrebbe riguardarla.
Ma di staccare gli occhi da quella figura proprio non ci riesce. Si sente morire al solo pensiero e di dormire adesso non se ne parla. 
Dopo averlo visto, non vorrebbe chiudere gli occhi mai più. 
La luce si spegne, come il giorno prima, e lo sconosciuto si confonde con l'oscurità.
Hanna è confusa, stordita ma anche un po' felice. Non sa spiegarsene la ragione ma si sente bene, bene per davvero, per la prima volta. Vorrebbe saltare, urlare, piangere e ballare. E nella sua testa sta facendo tutte queste cose insieme, sotto la pelle che in apparenza rimane la stessa. Sua sorella la chiama dalla cucina che, pur essendo solo al piano di sotto, le sembra lontanissima. E' tardi, domani deve andare a lavoro, e si sente stanca.
Questa volta solo nel corpo.
Hanna è libera. E sa che un giorno libererà anche lui.





Due settimane.
Ian non corre da due settimane. Non ne sente più il bisogno. Passeggia, cammina ma non corre.
Si ferma, osserva, guarda, respira, e sorride. Ma non corre. Non più.
Forse vederla tutte le sere, alla finestra ad ascoltarlo ha fatto nascere in lui la voglia di assaporare di più quello che lo circonda.
Forse. Ma Ian non lo sa con certezza. Tutto quello che ha sempre pensato si è frantumato come un bicchiere di cristallo davanti ad un viso magro, due occhi verdi, e un'infinità di capelli scuri. Ian si è frantumato di fronte ad una finestra lucida senza tende.
C'è ancora qualche cliente nel bar: una vecchietta china sul giornale seduta vicino alla porta, due ragazzi che parlano animatamente sull'andamento dell'anno scolastico, un signore che beve un caffè macchiato – con doppia panna –, e una mamma che allatta un neonato. Sorride.
Pulisce il bancone, uno straccio in una mano e l'altra a cercare il cellulare. Sono le diciotto e ventisette minuti. 
E' felice. 
Per la prima volta Ian è felice. Ha uno scopo: suonare non più per se stesso, ma per lei, per farla sorridere ancora.
Non vede l'ora di andarsene, perché sa che la rivedrà.
Perché sa che dall'altra parte del muro ha ritrovato se stesso.
Ian non è più solo.





C'è una tazza di caffè bollente sulla scrivania, i cuscini in ordine tra due peluche sul letto e le scarpe vicino alla porta. 
Hanna aspetta.
E' tutto il giorno che attende quel momento, così come il giorno prima e quello prima ancora.
Due settimane.
Un tempo così limitato ma che le sembra un'eternità. 
Quel giorno ha portato la spesa alla madre, accompagnato la sorella a scuola, portato il cane della signora Cole a fare i bisogni e poi è andata a lavoro.
Come tutti i giorni anche se quell'impiego le sta un po' stretto. Le sue amiche le fanno i complimenti, perché “Cavolo, lavorare da un avvocato è davvero un bell'impiego”, ma non per Hanna. Non per lei che ha sempre sognato di viaggiare.
Perché Hanna sogna di vedere il mondo, di esplorarlo, di viverlo. 
Si affaccia alla finestra e lo vede. 
Come tutte le sere e come nei sogni che popolano le sue notti insonni.  
La musica risuona oltre la finestra e Hanna respira.
Respira di nuovo. 
Non resiste, vuole vederlo.
Vederlo davvero, e non da una finestra.
Hanna corre. 
Corre mentre scende dalle scale, corre mentre si precipita fuori dal suo appartamento e corre mentre poggia i piedi sull'asfalto.
Sente le sue duecentosei ossa fremere dall'emozione. 





Lei è lì. 
La ragazza è davanti alla sua porta e Ian ancora non ci crede. 
“Scusa, i-io non vorrei disturbarti” 
E' bella, e a Ian le cose belle mettono paura. 
“No” sorride. “Non mi disturbi”
Silenzio.
Occhi negli occhi. Il respiro che si fonde, si confonde e diventa minimo fino a scomparire del tutto.
Ian ha smesso di correre e Hanna ha smesso di voler dormire per sempre. 
Ian sta imparando che spesso le cose vanno guardate in una luce diversa, che la fretta è nemica dell'emozione e Hanna sta imparando che vivere è un atto di fede.
Si stanno scoprendo, vivendo, senza nemmeno toccarsi. Solo guardandosi negli occhi.
“Puoi suonare per me?” 
Ian la legge, la scava dentro quel verde che a lei nemmeno piace ma che lui trova incredibilmente vivo e limpido. Ian la guarda, come non ha mai guardato nient'altro in vita sua. 
“Volentieri”
Perché c'è una storia nei suoi occhi, e lui non vuole perdersela per niente al mondo. 



 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: monnie