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Autore: dichiarandoguerre    27/01/2014    1 recensioni
Abbiamo visto l'alba perso la calma, fatto di un errore in dramma, dell'amore un'arma, la puntavi su di me piangevi, ero la cosa più bella che avevi.
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 5.


Era passato un mese, un mese in quella sedia, un mese a guardarti, un mese tra quei dottori, un mese da sola o quasi. 
Il pomeriggio diventava sera e il buio invadeva quella finta camera che sapeva di disinfettante. Io restavo così, nell'ombra di quella porta aperta, preferivo non accendere la luce, restare cosi, piangere in silenzio. Nessuno poteva vedermi. Lui in quel buio sembrava vivo, sembrava con me nel letto che dormiva, sembrava lì. Invece non era lì. 
Tuo padre veniva ogni sera e mi abbracciava forte. Mi abbracciava per rimettere a posto qualche pezzo del mio cuore al posto tuo. Siete uguali. Poi mi mandava via. 
“Basta. Vai a casa, ti prego.” 
Mi guardava, stava male per me, per come ero ridotta, stava male per se. Mi ringraziava in silenzio. 
Non protestavo, lo lasciavo da te e me ne andavo.
“Buonanotte.” Sorrideva, quel sorriso che ci accomunava tutti. 
Passavo davanti la porta delle infermiere. Mi fermavo cinque minuti, volevo delle notizie. Non dicevano mai nulla. Chiamavo i dottori. I tuoi dottori. 
“Buonanotte pure a voi, me ne sto andando a casa, anche se non voglio, posso dormire qua?” 
Mi dicevano di no ogni sera. 
“Non sappiamo niente. Bisogna solo aspettare.” 
E io aspettavo. Ogni giorno ti aspettavo. Nessuno penso che riuscirà a capire tutto questo. Non dormivo la notte, nel mio letto, pensavo e basta. Pensavo a quanto eravamo felici, a quante ne avevamo combinate, a quanto bene ti volevo, a quanto ti amavo ogni giorno nonostante tutto. 
Prima di questo disastro non mancava un giorno senza stare insieme, almeno un giorno, almeno dieci minuti il pomeriggio, un'oretta alla sera. 
L'estate era sempre difficile per una coppia ma non per noi, tu stavi in una spiaggia con i tuoi amici, quelli di scuola che ora vengono qua a vederti, io con i miei che vedevo solo d'estate. 
Non era importante, stavamo insieme comunque, con la testa, sempre, mi chiamavi troppo spesso, ti mancavo. Tu mancavi a me. 
“Sono in spiaggia, non sto bene, dove sei?” 
Non stavi male davvero, avevi solo bisogno di me per sorridere un po'. Stavo male anche io quando non c'eri. 
Dove sei? Già dove sei tu? 
Ti ricordi i viaggi mentali? A volte ne parlavamo, non so, forse mi racconterai, ma tu in quel mese hai sognato in continuazione. Milioni su milioni di viaggi e immaginazione. 
C'è gente che si sveglia dal coma dopo un sacco di tempo e non riconosce più perchè è cresciuto, invecchiato, ha perso la sua immagine, l'amore, ha perso tutto. Ma si svegliano a volte. E tu ti saresti svegliato, te l'ho promesso. 
Poi una mattina, non ero a scuola, era domenica. Sono arrivata all'ospedale con il fiatone, ho fatto le scale. Ho paura degli ascensori. Erano le otto e le infermiere della sera prima mi salutarono, erano stanche, io no. 
Entrai nella tua stanza e tu non c'eri. Urlai. Pensavo fossi morte la notte prima quando me ne ero andata, e ti avessero già portato di sotto, senza flebo, senza tubo, senza macchine. 
E invece era arrivata l'infermiera e pure tuo padre, che aveva dormito lì. Ti avevano sposato in un'altra stanza e si erano dimenticati di dirmelo. La paura che era entrata dentro di me e dentro quella stanza mi stava facendo a pezzi e mi sedetti a terra vicino alla finestra a piangere. Fottetevi, pensai. 
Tuo padre mi tirò su. 
“Sta bene, calmati, è ancora qua.” 
Ma io non mi calmai mai più.


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Ps. Scusate il ritardo, ma non ho avuto tempo!
E scusate anche la lunghezza di questo capitolo, mi dispiace.
Spero vi piaccia, baci.

 

  
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