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Autore: Mokona_    27/01/2014    7 recensioni
SPOILER ASSASSINO (nel senso che mi sta uccidendo) PER CHIUNQUE NON ABBIA ANCORA LETTO IL CAPITOLO 368
Perchè, andiamo, potevo non scrivere qualcosa sulla morte del mio personaggio preferito?
"A cosa diavolo era servito, allora, tutto quanto?
Era riuscito solo a portare dolore agli altri, nella sua misera, inutile vita.
Anche quei sette anni passati a distruggere gilde oscure…Non erano serviti a niente, alla fine.
La sua esistenza era stata completamente, ineluttabilmente inutile.
Inutile.
Quel sorriso amaro, consolatorio nei confronti di Meredy, non scomparve dalle labbra di Jellal, che chiuse gli occhi.
Avrebbe voluto vederla almeno un’ultima volta, prima di morire."
[...]
"“Stai mentendo!” Urlò Erza, lottando contro le catene che la tenevano prigioniera.
No.
Non era possibile.
Non l’avrebbe accettato.
“Oh?” Il sorriso di Kyouka si fece più ampio: poteva vedere il cuore della tanto temuta Titania spezzarsi, e rompersi definitivamente, senza possibilità di essere riparato. Dopo quello, non c’era modo che la maga avrebbe rappresentato ancora una potenziale minaccia, per loro. “Davvero i tuoi sentimenti per quel criminale sono così forti?”. "
Nonostante tutto, pare che alla fine il destino non voglia lasciare che stiano insieme.
A volte, però, l'amore supera persino la morte.
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Erza, Scarlet, Gerard
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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In the end






 
 
 
E poi, la sentì.
Quella sensazione si fece spazio dentro di lui, inibendo i suoi sensi, sfocandogli la vista.
Lei era in pericolo.
La stavano torturando.
Stava soffrendo.
E lui non era lì per proteggerla.
Jellal chiuse gli occhi, preparandosi al colpo che gli aveva scagliato Sorano.
“Ci divertiremo di più rispetto a sette anni fa.”.
Sentendo le parole di Midnight, deglutì e li riaprì, visualizzando il nemico di fronte a sé.
Se voleva raggiungere Erza, prima avrebbe dovuto risolvere quella faccenda.
 
 
 
Erza strinse i denti, cercando di ignorare il dolore.
Impossibile.
L’incantesimo del membro di Tartaros amplificava i suoi sensi del dolore.
Sentiva il proprio corpo urlare in preda agli spasmi, le lacrime che sgorgavano dagli occhi senza che lei potesse fare nulla, le urla che le salivano dalla gola, quasi come se il suo corpo fosse convinto che insieme alle grida sarebbe uscito anche tutta la sofferenza.
Ma, in mezzo all’inferno in cui era stata trascinata, un pensiero fisso si rifiutava di cedere al dolore. Ciò che la teneva cosciente, ancorata alla vita. La preoccupazione per la persona a lei più cara.
Jellal.
No, non sapeva dove si trovasse. Non aveva niente da dire, se non che l’unica cosa che sapeva: Jellal era ancora vivo, e stava bene. E non aveva alcuna intenzione di aiutare Tartaros ad ucciderlo, per il bene del mondo, per se stessa.
No, Jellal era forte, e già solo il fatto che non fossero ancora riusciti a trovarlo lo dimostrava. Lei aveva piena fiducia in lui.
Ma ciò non le impediva di temere per la sua sorte.
Strinse gli occhi, Erza, le lacrime che le rigavano il volto.
In mezzo al dolore lancinante che piano piano stava minando la sua sanità mentale, riuscì a formulare un ultimo pensiero.
Jellal, ti prego, non morire.
 
 
 
 
 
 
 
Sentiva le sue urla nella sua testa.
Urla della sua Scarlet, urla dovute a lui.
La sua Scarlet stava soffrendo per proteggere lui.
Non poteva sopportarlo un secondo di più.
No, non ce l’avrebbe fatta.
Possibile che la sua esistenza continuasse a procurarle nient’altro che dolore?
Aveva ragione, quindi, quando pensava che sarebbe stato molto meglio se fosse morto.
Jellal scosse la testa, scacciando quei pensieri, cercando con fatica di focalizzarsi sui correnti avversari: Oracion Seis. Doveva portarli dalla sua parte, per sconfiggere Tartaros. E l’unico modo per farlo era quello di mostrare loro la sua vera forza.
Perso com’era nei suoi pensieri, si accorse troppo tardi del raggio diretto al suo petto.
Venne colpito in pieno.
Non aveva avuto il tempo di realizzare cosa fosse successo, che si ritrovava a terra. Gli occhi erano rivolti al cielo.
Era limpido, quel giorno. Lo guardava morire, impassibile come sempre. Jellal aveva sempre ammirato la sua immensità; aveva il potere di calmarlo, persino in quel frangente.
Jellal sorrise amaramente.
Che modo patetico di morire.
Avrebbe voluto almeno poter morire proteggendo qualcuno, dare la sua vita per una buona causa.
Non come l’essere patetico che in fondo era, schiacciato da un nemico che, in un’altra situazione, avrebbe potuto sconfiggere ad occhi chiusi, sconfitto dal proprio destino.
Si rese conto che, in quel momento, poteva fare un’ultima cosa: “Scappa, Meredy!” La pregò.
Si era voltato verso di lei, e le aveva sorriso, senza pensare davvero che sarebbe servito a qualcosa.
Che morte patetica.
Sperava che almeno lei sarebbe riuscita a salvarsi, a vivere in pace, trovando la felicità.
Lui, invece…
Non era riuscito a nulla, alla fine.
A nulla.
Erza era prigioniera, e stava soffrendo, e lui ora la stava abbandonando.
Stava abbandonando anche Meredy.
Ce l’avrebbe fatta, ora che non solo Ultear, ma anche lui stava morendo?
A cosa diavolo era servito, allora, tutto quanto?
Era riuscito solo a portare dolore agli altri, nella sua misera, inutile vita.
Anche quei sette anni passati a distruggere gilde oscure…Non erano serviti a niente, alla fine.
La sua esistenza era stata completamente, ineluttabilmente inutile.
Inutile.
Quel sorriso amaro, consolatorio nei confronti di Meredy, non scomparve dalle labbra di Jellal, che chiuse gli occhi.
Avrebbe voluto vederla almeno un’ultima volta, prima di morire.
No, naturalmente neanche quell’ultimo desiderio gli sarebbe stato concesso. Si meritava anche quello, probabilmente.
E, forse, finalmente giungeva la sua punizione finale, quella che gli avrebbe permesso di espiare tutti i suoi peccati. Anzi, forse da morto sarebbe riuscito a proteggere Meredy e Erza; sicuramente sarebbe riuscito a fare più bene di quanto ne aveva fatto in vita.
Non riusciva però a togliere quella punta di rammarico conficcata nel petto.
 
 
Mi dispiace, Erza. Avevo davvero pensato, per un attimo, che forse saremmo riusciti a stare insieme.
Sembra che la risposta che avevamo trovato fosse sbagliata, alla fine.
Non piangere per me, Erza, è meglio così.
Ti amo.
Perdonami.
 
 
Jellal Fernandes morì.
I suoi ultimi pensieri furono completamente rivolti ad Erza Scarlet.
 
 
 
 
 
 
Erza urlava.
E le sue urla si diffondevano nei sotterranei.
Acute, strazianti.
Inumane.
Nessuno era disposto ad ascoltarle, se non la sua aguzzina, e colui che le aveva rovinato la vita, che l’aveva abbandonata, che aveva provato ad ucciderla, più di una volta. E che, ogni volta che il buio aveva soppresso ogni speranza, aveva rappresentato quella luce in grado di guidarla alla vittoria.
L’uomo che lei amava, Jellal Fernandes, riusciva a ricevere il suo dolore, attraverso collegamenti che nessuno dei due comprendeva.
Quando sarebbe finita quella tortura?
Da quanto tempo era lì?
Minuti? Ore?
Giorni?
Per quanto le riguardava, sembravano essere passati anni.
“Puoi fermarti, Yakdoriga”.
Non aspettava di sentire la voce di Kyouka così presto.
“Non ce n’è più bisogno.” Alzando lo sguardo offuscato dalle lacrime, Erza vide che il membro di Tartaros sorrideva.
Non era il suo solito sorrisetto malefico.
Era un ghigno ampio, che non poteva esprimere che un concetto: vittoria.
No.
“Alla fine, non abbiamo più avuto bisogno del tuo aiuto, Titania.”
No.
“Ora abbiamo da fare, ma non ti preoccupare, tornerò dopo a divertirmi con te.”
No.
“Jellal Fernandes è morto, e noi non abbiamo neanche mosso un dito.”.
“NO!” Questa volta Erza aveva urlato quella singola parola, che si ripeteva incessantemente nella sua testa.
Gli occhi le si erano spalancati, e il suo intero corpo stava iniziando a scuotersi in preda a un tremitio incontrollabile, incomparabile a quello dovuto al già immenso dolore provato fino a pochi secondi prima.
Le sembrava che il suo cuore si fosse fermato.
“Stai mentendo!” Urlò Erza, lottando contro le catene che la tenevano prigioniera.
No.
Non era possibile.
Non l’avrebbe accettato.
“Oh?” Il sorriso di Kyouka si fece più ampio: poteva vedere il cuore della tanto temuta Titania spezzarsi, e rompersi definitivamente, senza possibilità di essere riparato. Dopo quello, non c’era modo che la maga avrebbe rappresentato ancora una potenziale minaccia, per loro. “Davvero i tuoi sentimenti per quel criminale sono così forti?”.
Erza non l’ascoltava, era ancora troppo impegnata a rifiutare le sue parole: “Sei solo una bugiarda! Jellal non-“
Gli artigli di Kyouka la colpirono in pieno volto, impedendole di terminare la frase, facendole sputare altro sangue.
E, in quell’attimo in cui non era impegnata ad urlare, Erza lo sentì: il cuore di Jellal che smetteva di battere.
La vita che lo abbandonava.
Mi dispiace, Erza
Le sue ultime parole, anche se immaginava che lui non sapesse che la stessero raggiungendo.
Avevo davvero pensato, per un attimo, che forse saremmo riusciti a stare insieme.
Sembra che la risposta che avevamo trovato fosse sbagliata, alla fine.
No, non poteva essere, stava mentendo. Quello era solo un cattivo scherzo della sua mente.
O un nuovo metodo di Kyouka per torturarla; sì, doveva essere così.
Non piangere per me, Erza, è meglio così.
No, Jellal, no.
Non può essere finita così.
Nonostante quello che aveva appena sentito, gli occhi della maga si riempirono di lacrime, la mente che cercava di rifiutare quelle parole come vere.
Ti amo
No.
Perdonami
“NO!”
E il suo cuore si ruppe, la sua anima si spezzò.
Non stava mentendo.
Jellal era morto.
Ora lo sentiva.
Il cuore di Erza Scarlet si ruppe definitivamente in quella piccola, squallida cella.
No.
Gli occhi le si riempirono di lacrime, che iniziarono a tracciare nuove scie ardenti lungo le guance.
No.
Nuove urla riempirono i sotterranei, infinitamente più strazianti delle precedenti.
No, Jellal, no.
Perché?
Persino Kyouka spalancò leggermente gli occhi , un sorriso estasiato di fronte a quella manifestazione di dolore assoluto.
Erza pianse e urlò, a lungo. Troppo a lungo.
Questa volta, l’unica ad ascoltarla era solamente Kyouka, che non risparmiò di annunciarle che, presto, anche la sua famiglia sarebbe stata uccisa; ciò bastò a Titania a farle perdere anche gli ultimi rimasugli di sanità mentale, e le sue ultime speranze.
Non c’era confronto con il dolore procuratole poco prima dalla sua aguzzina.
La morte di Jellal la stava uccidendo dall’interno.
Perché?
Perché?
Non era giusto.
Non poteva vivere, senza di lui.
Non poteva.
Tutte le ferite curate dalla speranza nell’avere la possibilità di avere un futuro felice, insieme a lui, si stavano riaprendo, si facevano sempre più profonde; le stavano dilaniando l’anima.
La stavano distruggendo dall’interno; e, questa volta, non c’era modo che qualcuno riuscisse a ripararle.
Erza si arrese, per la terza volta nella sua vita.
Prima a Tenrou, poi durante la battaglia successiva al torneo contro i draghi, era stato Jellal a salvarla.
Quando tutto sembrava perduto, era stato sempre lui ad impedire che perdesse.
Questa volta, però, Jellal non poteva fare nulla. Erza lo sapeva.
E ne soffriva, molto più di quanto un essere umano, o un mago, o persino la regina delle fate, avrebbe mai potuto sopportare.
Erza aveva perso, e, per la prima volta, Jellal non poté salvarla dalla morte.
Era diventata una bambola rotta, che non poteva essere più aggiustata.
Quando Erza Scarlet espresse il desiderio di morire, Kyouka le rise in faccia: avrebbe prolungato ancora a lungo la sua tortura, prima di mettere fine al suo dolore.
 

Forse, in un’altra vita, il destino avrebbe permesso loro di stare insieme.
 


 




 

            
 
 
 
 
 
Beep.
Beep.
Beep.
Beep.
Jellal grugnì, e si sporse oltre a Erza, per spegnere l’inutile sveglia: sua moglie non avrebbe mai imparato a ricordarsi di disattivarla nei giorni festivi. Chinandosi verso di lei, le baciò la fronte, il naso, e infine le labbra.
Sentendo Erza farsi più vicina a lui, per affondare il volto nel suo petto nudo tra mugolii indistinti, sussurrò dolcemente:” Buongiorno, amore.”.
“Mmm.” Fu l’unica risposta che l’uomo ricevette.
Jellal ridacchiò, stringendola di più a sé, facendo aderire i loro corpi nudi sotto le coperte.
Sentì Erza stringerlo con insolita forza, quasi in un disperato bisogno: ”Ehy, va tutto bene?” Le chiese, preoccupato .
Quando la donna alzò lo sguardo, scoprì che questo era acquoso. Subito gli angoli della sua bocca andarono verso il basso: odiava vedere la sua Scarlet piangere: ”Erza, cos’è successo?”
Erza ancora una volta non rispose, ma si sporse verso di lui per catturare le sue labbra nell’ennesimo bacio passionale.
“Riguarda quella cosa.”.
Jellal annuì, capendo al volo di cosa stesse parlando.
“Io...Ho sognato come sono morta. E ho saputo come tu sei morto.” Lui spalancò gli occhi: in tutti quegli anni, quella era la prima volta che uno dei due riuscivano a ricordare com’erano finite le loro vite.
“Io…Era quando sono stata catturata da Tartaros. Mi chiedevano dove fossi, e io non lo sapevo, e…” Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma un bacio leggero del marito le diede la forza di continuare: “Mi avevano detto che tu eri morto, a-allora…I-io non potevo vivere senza di te, e-” Jellal le impedì di concludere la frase con un altro bacio: non aveva bisogno di sentire altro, aveva già capito tutto.
Ancora un altro tassello per complicare quel puzzle complicato, che solo loro conoscevano.
“Quella cosa”, quel mistero che li avvolgeva, di cui solo loro due erano a conoscenza.
La Reincarnazione.
Questa era stata l’unica risposta che avevano saputo darsi.
Da quando era bambino, Jellal aveva sempre avuto degli strani ricordi, aveva sempre fatto strani sogni. Tutti riguardavano questa “Erza Scarlet”.
Non l’aveva mai vista, ma sapeva tutto di lei: non solo il suo nome, ma anche il suo aspetto, le sue abitudini, i suoi gusti.
Il suo amore per lui.
Crescendo, sempre più ricordi affollavano la sua mente: una Torre, anni di schiavitù, tutti i loro momenti passati insieme; credeva di essere pazzo, per questo non ne aveva mai parlato con nessuno.
Poi l’aveva incontrata, per caso.
Persino più bella di come l’aveva vista nella sua testa.
E aveva scoperto che anche lei si ricordava di lui, e l’aveva sognato.
Avevano concluso che non c’era che una spiegazione a quello strano fenomeno: reincarnazione.
E l’unico motivo per cui pensavano che fosse potuta accadere una cosa del genere, e era che il loro amore era stato così forte da sopravvivere persino alla morte.
Da quando si erano ritrovati, avevano passato tutto il loro tempo insieme, e avevano iniziato a ricordare sempre più cose; ma si sentivano infinitamente tristi per i loro stessi di quell’altra vita, che avevano dovuto soffrire così tanto.
La loro vita, invece, era stata pressoché perfetta: dopo che si erano incontrati per  la prima volta, avevano fatto college e università insieme, ed erano finalmente riusciti ad aprire quel negozio di dolci specializzato in torte alle fragole che stava tanto a cuore ad entrambi; e poi, avevano anche da poco scoperto che Erza portava in grembo il loro primo bambino. O bambina.
Non avrebbero potuto volere nulla di più: tutto era così bello, così perfetto, da sembrare innaturale, surreale. Una vita così serena e felice, totalmente diversa da quella dei loro stessi di una dimensione parallela.
Avevano anche incontrato anche Laxus, Natsu e Lucy, ma nessuno di loro ricordava: loro stessi spesso faticavano a riconoscere i loro vecchi compagni.
L’importante era che loro due stessero bene.
E che fossero insieme.
Anche con quei fantasmi che qualche volta li tormentavano: “Stai tranquilla, Erza, è passato. Noi ora siamo qui.” Sussurrò Jellal alla moglie, per calmarla, stringendola a sé: “Siamo qui, non abbiamo più poteri magici, e nessuno ci vuole morti.”.
Erza ricambiò l’abbraccio, iniziando poco dopo a ridacchiare: ”Beh, penso che Ichiya stia ancora meditando di ucciderti; sai, Lucy dice che non ripete altro, dal giorno del nostro matrimonio.”.
Un basso ringhio salì dalla gola dell’uomo: ”Deve solo provarci, stai sicura che troverà pane per i suoi denti; sarei felicissimo di togliere quel tappo pervertito dalle scatole una volta per tutte.”.
Il sorriso di Erza si fece più ampio: “Come se tu non fossi affatto un pervertito.”.
Jellal ghignò, mettendosi sopra di lei e rubandole un bacio, lasciando intanto vagare una mano sul suo corpo: “Almeno sono in buona compagnia.” Le sussurrò seduttivamente all’orecchio.
Erza tappò quella bocca che parlava decisamente troppo con un bacio, già pregustando quello che avrebbero fatto di lì a poco.
Era vero, molto probabilmente in un’altra vita avevano sofferto tantissimo; alla fine, forse, non erano riusciti a stare insieme, a godere di quell’immensa felicità che solo l’altro poteva portargli.
Ma,proprio per questo, avrebbero fatto in modo di vivere quella meravigliosa vita che gli era stata donata al meglio: senza rimpianti, insieme.
Vivendo la propria felicità anche per i loro stessi di quell’altra vita.
 

 







Angolino di Mokona_
Ssssssalve.
Ciao.
Mokona crede nella reincarnazione? No, a dire la verità sono Cristiana. Ma credo in quello che ho scritto? Più o meno. E' una cosa strana.
Scusatemi, scusatemi tantissimo. So che questa fic è a dir poco crudele. Mi dispiace. Però dai, su, vi ho messo anche del fluff alla fine, non dovrebbe essere andata così male, no?
La parte finale che ho scritto era per dire: SONO UNA FANGIRL, PER ME JELLY E VIVO E COSI’ RIMARRA’ FINO A QUANDO NON LO DECIDO IO.
Che poi, dai, su, andiamo, che morte penosa. Davvero, Sieghart si sta rivoltando nella tomba.
Comunque. Vi è piaciuta la fic? Spero di sì. Sono quasi 3000 parole, le 3000 le raggiungerò e supererò con la cosina qua sotto che non ho voglia di pubblicare separatamente perché sono pigra.
Ora, sapete che io amo follemente il mio amatissimo Jelly.
Sto in una fase di negazione assoluta, non riesco ad accettare la sua morte. Sono certa, però, che se nel capitolo della prossima settimana la sua morte sarà confermata, cederò, e morirò. Con questo intendo dire che senza dubbio starò fuori gioco per un po’. Sul serio, mi muoiono tutti i miei personaggi preferiti, soffro tantissimo, c’è un limite a tutto. Se Jelly è veramente morto, prenderò una pausa dallo scrivere, dal fanartare, dai manga e anime in generale. Insultatemi quanto volete, ma non è la prima volta che muore il mio personaggio preferito, a tutto c’è un limite. Datemi qualche mese, poi tornerò. Nel frattempo probabilmente continuerò ad aggiornare, perché tanto ho un sacco di fics già scritte. Quindi ne ho tante da pubblicare,  ma questa potrebbe essere l'ultima che scriverò, e questo mi rende tanto triste.
Eeeee niente. Mi dispiace se  l’ultima notizia vi ha scioccato o simile. Spero che non ci rimaniate male. Anche perché, non lo so, starei anche perdendo un po’ di motivazione per scrivere. Vabbè. Lasciatemi perdere.
Spero che non stiate soffrendo troppo. Per quanto mi riguarda, non sto piangendo, ma il mio povero cuoricino di fangirl è rotto. E mi sono impersonata un po’ troppo sia in Jelly che Erza, che così sono diventati OOC, ma vabbè. È come se avessero tagliato il mio cuore a pezzettini, poi ci abbiano versato sale e limone, poi abbiano ridotto i pezzettini in polvere, e abbiano di nuovo versato sale e limone, poi abbiano versato il tutto in manga ardente; poi hanno tolto il magma e l’hanno portato in Antartide, dove hanno ripescato i pezzettini, e ripetuto tutto il processo. Ma non lo so, anche questo mi sembra poco.
Ok, me ne vado.
Ciao.
Mokona_

 
 
 
 
 
 
 
 
Liars

 
 
 
 
L’avevano promesso.
Avevano promesso che non l’avrebbero mai lasciata da sola.
 


Meredy tirò su col naso, sistemandosi più comoda nell’abbraccio confortante di Jellal.
“Come va, Meredy?” Le aveva chiesto lui, scompigliandole gentilmente i capelli.
“Va meglio, Jellal, grazie.”.
La ragazza sentì il petto dell’altro alzarsi e riabbassarsi solo molti secondi dopo, in un profondo sospiro.
“Ultear…Sicuramente aveva avuto una buona ragione per farlo. Vedrai che prima o poi la rincontreremo.”
Meredy scosse la testa, sentendo nuovamente quelle odiose lacrime pizzicarle gli occhi: “Se n’è andata, Jellal, non tornerà. Ci ha abbandonati”.
Mi ha abbandonata.
La ragazza sentì la mano dell’altra stringerla di più a sé, e lo ringraziò mentalmente: sapeva bene che anche a lui mancava Ultear, ma stava cercando di farsi forza per lei; era sempre così, cercava di nascondere le sue sofferenze, mettendo sempre gli altri al primo posto. Di solito era Ultear che lo rimetteva in riga, quando iniziava ad esagerare; ora che lei non c’era più, però, avrebbe dovuto pensare a lui da sola.
“Ma va bene, no? Ci siamo ancora noi.” Si scostò leggermente, quindi, per tentare di rivolgergli un sorriso; non le dovette venire molto bene, comunque,  perché Jellal, invece di risponderle, avvolse le braccia intorno a lei per stringerla in un nuovo abbraccio.
“Sì, Meredy, siamo insieme.” Le sussurrò, in tono amorevole.
La ragazza si abbandonò a quel contatto fraterno, lasciando ancora una volta che la tristezza per la perdita di sua madre avesse la meglio su di lei; altre lacrime iniziarono a scorrerle lungo le guance, ad aggiungersi a tutte quelle già versate. Erano passate settimane, ma proprio non riusciva a smettere di piangere, né di pensare a sua madre: come avrebbe fatto, senza di lei?
L’unica sua fonte di consolazione era Jellal. Era sempre stato come un fratello maggiore, per lei, e, anche in quella situazione, stava facendo di tutto per starle vicino, e tirarla su di morale. E, piano piano, stava tornando a sorridere. Immaginava che il suo cuore, però, non avrebbe saputo mai guarire completamente.
“Jellal –domandò, all’improvviso- Tu…Tu non mi abbandonerai mai, vero?”.
Il mago smise per un attimo di accarezzarle i capelli, per guardarla e sorridere: ”Come potrei lasciarti? Come faresti senza di me, e la mia superba cucina?” Si vantò, un ghigno sul volto. Meredy ridacchiò, prima di colpirlo scherzosamente sul braccio: “Sono seria, accidenti!”. Anche il fuggitivo si concesse un attimo per ridere, prima di assumere uno sguardo più serio: “No, Meredy.
Non ti abbandonerò; è una promessa.”.
 

 
 
Sì, l’aveva promesso.
Allora perché ora si trovava lì, da sola, davanti a due tombe?
Cosa avrebbe fatto, da allora in poi?
Non aveva più nessuno da cui tornare: la sua famiglia era stata uccisa, Fairy Tail era stata distrutta.
Non aveva una casa.
Non aveva più persone da cui tornare.
Le lacrime scorrevano imperterrite lungo le guance già segnate.
Gli occhi rossi esprimevano un dolore troppo profondo per essere sopportato da una ragazza della sua età.
Meredy cadde in ginocchio, davanti alle tombe vuote di quella che una volta era stata la sua famiglia, sopraffatta dal dolore.
 
 
 
Bugiardi.
 







Di nuovo, scusatemi tantissimo. Eh, oh, già. JELLAL NON E' MORTO.
   
 
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