Il passato non è morto; non è
nemmeno passato.
Ce ne stacchiamo e agiamo come se ci fosse estraneo.
Christa Wolf
Fino a che non lo
ritroviamo?
Dagger Meat
Molly
ha curve che sono solo l’accenno delle dolcezze che contengono.
Ha
mani più grandi di quel che sembrano. Potrebbero contenere il mondo e conservano
un vago sentore di limone e verbena e alcool.
E
i suoi capelli, una volta sciolti dai mille imbrogli in cui li intreccia, sono
una cortina che le avvolge le spalle minute, le scapole.
Ha
le ossa di un uccellino, minuscole, cave. Pungono quando preme un po’ più forte,
come stiletti.
Molly
ha segni bianchi sui seni, smagliature che risalgono all’università, al periodo
in cui è morto suo padre. Aveva smesso di mangiare quasi del tutto perché ogni
boccone era vita, quella che il corpo di lui si rifiutava di accogliere oltre,
non riusciva più a racchiudere. Ero sola.
La mia famiglia era morta. È un periodo di cui non le piace parlare, in cui
il nero incombeva come un’ombra, minacciosa. Terra bruciata che non apparteneva
più a nessuno.
Sull’interno
dell’avambraccio ha due macchioline di un rosa appena più scuro sulla
carnagione chiara. E poco più sotto, vicino a un neo stellato, una di quelle
cicatrici da morbillo o varicella.
Ci
sono mille altri particolari. Piccole offese, sulla pelle di Molly, che la
tappezzano, la compongono, la rendono Molly.
Molly. Un nome così piccolo e
dolce e morbido e astratto.
Molly,
piena di contraddizioni, gentile e ostinata, macabra e divertente, una persona
straordinaria e magnifica.
Ha
il collo di un Modigliani, le espressioni sfumate e vivide dei paesaggi degli
impressionisti francesi.
Ed
è sua. Molly è…
“She-”
Molly
si raggomitola su se stessa come una virgola. Le ciglia lunghe e scure fremono
sulle palpebre al ritmo dei sogni che insegue.
Mormora
nel sonno parole indistinte. Apre e chiude le dita affusolate, accartoccia le
lenzuola. Ripete un nome, una, due volte. Sembra che pronunciarlo la privi di
ogni forza perché appare esausta. Deve trattarsi di un incubo.
Ma
poi, nel sonno, le labbra di lei si incurvano in un sorriso incantevole, tanto che
Tom si trattiene a stento dal chinarsi a spegnerlo a furia di baci.
Si
curva sopra di lei, protettivo. Le sfiora la fronte con la carezza del suo
respiro, le disegna una scia di amore e devozione dalla tempia all’arco attraente
della gola, le convessità sopra il petto, tra le clavicole.
Molly
si inarca contro di lui, il sorriso – una linea di luce soffusa nella penombra
della stanza – ancora più pronunciato, fragile e sul punto di spezzarsi per la
troppa pressione giocata.
“Sherlock”,
la sente dire, allora, in modo distinto, chiaro, inconfondibile.
Tom
si irrigidisce. Sa chi è. Lo sa.
Sherlock. Non Tom.
E
Tom sgrana gli occhi. Li apre per la prima volta e per la prima volta decide di
richiuderli. Perché Molly ne vale la pena.
Ci
sono particolari infinitesimali nella trama enorme che è la sua presenza nella vita di Molly.
La
prima volta che è stato nel suo appartamento, Toby gli si è avvicinato e si è
allungato sulle zampe posteriori per grattare il bordo del cappotto. Tom si è
piegato sulle ginocchia con un sorriso. “Sei proprio un bel tipo, eh?” ha detto
e ha fatto per accarezzargli il muso. Toby lo ha guardato in faccia, si è
allontanato di scatto con un balzo, ha soffiato con rabbia e disappunto,
riconoscendo in lui un nemico e non l’amico che aveva creduto.
L’imbarazzo
di Molly, Dio, non lo dimenticherà
mai.
Non
era imbarazzo, non era disagio, era rimpianto.
Sherlock è lontano,
morto e allo stesso tempo vivo come solo i morti riescono ad essere nei ricordi
di chi è rimasto indietro a piangerli.
I morti sono più vivi
dei vivi nei ricordi di chi continua a piangerli.
Sherlock è un fantasma che
incombe, come certe stupide leggende stregate sulle vecchie case disabitate.
La solitudine non ha
reso Molly una sciocca sentimentale come credono in molti. L’ha resa solo più
determinata a non accontentarsi. Tom glielo ha letto nello sguardo. Molly merita
il meglio e lui è deciso ad essere il meglio che lei possa desiderare.
Molly
è una personcina che sembra più bassa e giovane di quello che è nella realtà. Molly,
come chiunque altro, ha le sue manie, i suoi vezzi, le sue incoerenze.
Non
sopporta di mischiare i sapori. L’odore delle spezie la nausea, ma il riso al
curry è uno dei suoi piatti preferiti. (Popcorn
al cioccolato? – inarca le sopracciglia e stringe le labbra, raccapricciata
per l’accostamento dolce-salato. Tom nasconde un sorriso quando la vede
mangiare i cioccolatini che le ha regalato. Sulla lingua deve avere ancora il
retrogusto dei popcorn al burro da poco finiti).
Molly
trova ridicoli i film dell’horror e a ragione, viste le spiegazioni dettagliate
che gli fornisce al riguardo. (Insomma,
guarda là! C’è troppo sangue! Quella è una vena second- Tom la bacia perché
vuole, ma soprattutto perché può).
Molly
ama i fiori, ma è allergica al polline. (Ricorda la gioia che le è sbocciata
sul volto quando le ha regalato una campana di vetro in cui tenerli).
Molly
è carne e pugnale, appartiene a un sistema binario dove non c’è posto per lui.
È
il dannatissimo pugnale di carne che ridicolmente, alla fine, gli spezza il
cuore.
N/a:
Si
dica quel che si vuole. Copia a carboncino di Sherlock o meno, Tom a me fa una
gran pena. Credo che lui amasse davvero Molly, anzi togliamo il credo – e che
lei amasse lui. Tom è l’uomo che ha aiutato Molly a diventare la donna che è
sempre stata, senza saperlo. Le ha aperto gli occhi sulla “persona magnifica e
straordinaria” che è, questo nel mio personale e perciò più che discutibile
punto di vista. Mi dispiace per lui e ciò nonostante non potevo esimermi dal
giocare attorno a quella sua ipotesi infelice. Andiamooo, un PUGNALE DI CARNE
XD
Dagger Meat, per l’appunto: pugnale di carne.
Precisazione
dovuta: l'ipotesi, vaga e costruita, di un presunto disturbo alimentare di cui
Molly avrebbe sofferto in passato è qualcosa di molto popolare nel fandom
inglese. Non ne capisco il perchè, ma ho cercato di motivarlo meglio che ho potuto (di fronte
alla malattia del padre, per orrore, dolore e ansia).