Don’t leave
me behind
“Please don't go, I want you to
stay
I'm begging you please, please don't leave here
I don't want you to hate;
For all the hurt that you feel,
The world is just illusion, trying to change you.”
“Shepard!”
“You gotta get out of here.”
“Yeah. That’s not gonna happen.”
“Don’t argue with me Kaidan!”
“Don’t leave me behind...”
“No
matter
what happens, know that I love you. Always.”
“… I love you too. Be careful.”
“Go…!”
Il braccio di
Kaidan
rimase sospeso a mezz’aria e i
loro sguardi rimasero uno immerso in quello
dell’altro per una frazione di secondo che sembrò
un tempo indefinito, lunghissimo,
ma anche troppo breve: uno sguardo in cui vi erano racchiuse parole,
sentimenti, emozioni. Uno sguardo con cui Kaidan avrebbe voluto gridare
a
Shepard di non andare, che era pericoloso, di rimanere assieme a lui,
che
avrebbero trovato un’altra soluzione o – quantomeno
– di lasciare che lo
seguisse. Uno sguardo con cui Shepard avrebbe voluto dirgli che sarebbe
andato
tutto bene, che lo avrebbe raggiunto presto, che non avrebbe dovuto
preoccuparsi… Eppure sapeva che non era così,
sapeva che erano più le
probabilità di uscirne morto di quelle di uscirne vivo. Ma
era fiducioso, lo
era per le persone che amava, per tutte le specie, per la galassia
intera:
aveva un obbiettivo e a costo della sua stessa vita lo avrebbe portato
a termine
o, per lo meno, avrebbe dato il tutto e per tutto per tentare.
Il Comandante indietreggiò di un paio di passi, senza
interrompere il contatto,
ma quel momento arrivò presto e Shepard volse le spalle al
compagno che sentì
il petto dilaniato dal dolore, un’orribile sensazione, come
se il cuore gli
fosse stato strappato via.
“Forza...!” Lo intimò Garrus il quale lo
teneva con un braccio attorno alla
vita, intento a dargli sostegno e – per lo più
– per non farlo fuggire.
Lo tirò con sé e risalirono i pochi metri che li
dividevano dall’hangar mentre
il portellone cominciava a chiudersi.
Tutto quello che Kaidan vide fu la figura di Shepard correre via tra
soldati
caduti, macchine distrutte, macerie e fiamme. Il tutto divenne
velocemente
annebbiato per via delle lacrime che sopraggiunsero l’attimo
dopo. Strinse i
denti e lasciò il braccio cadere lungo il fianco mentre il
Turian lo sorreggeva
e lo portava verso l’ascensore. Entrambi poterono sentire la
Normandy sotto i
loro piedi muoversi e lasciare il suolo devastato della Terra.
Prese un profondo respiro e represse quel violento bisogno di piangere:
non era
finita, non poteva essere finita! Shepard sarebbe tornato, ce
l’avrebbe fatta e
sarebbe tornato tutto intero. Glielo aveva promesso, in un qualche modo
glielo
doveva.
“Dov’è il Comandante?”
Sopraggiunse qualche attimo dopo Vega, il quale era
stato fatto evacuare assieme a tutti gli altri. Notò che le
condizioni del
Maggiore non proprio delle migliori. Anche Garrus sembrava ferito,
seppur in
maniera più lieve.
“Sta andando a prendere a calci quei bastardi dei Razziatori
per rispedirgli da
dove son usciti fuori.” Gli spiegò Garrus, mentre
assieme a Kaidan salirono
sull’ascensore.
“Oh, Loco...” Mormorò seguendo i due,
“Speriamo se la cavi.”
Quelle parole furono un’ulteriore pugnalata per Kaidan, il
quale aveva smesso
ormai di parlare da un pezzo.
“Ce la fai?” Chiese il Turian ad Alenko, aiutandosi
con la mano a posizionarsi
il braccio di quest’ultimo meglio attorno alle spalle. Il
Maggiore gemette
appena ed un’espressione di dolore gli si dipinse sul volto.
“Sì…” sussurrò.
Le porte si aprirono di fronte a loro e Garrus si preoccupò
di portare il
compagno in infermeria dalla dottoressa Chakwas.
Karin stava medicando alcuni dei soldati che avevano trovato conforto
nelle sue
cure dopo l’inferno al quale avevano assistito sulla Terra.
Appena la porta si
aprì, la dottoressa si voltò e vide Vakarian
assieme ad Alenko entrare,
entrambi feriti.
“Ragazzi… Santo cielo!” Andò
incontro ai due ed aiutò Garrus a far sedere
Kaidan su uno dei lettini.
“State bene?”
“Sono stato meglio…” Rispose il Turian:
aveva un’espressione triste dipinta sul
volto, così come anche il Maggiore. La Chakwas aveva sentito
delle ingenti perdite.
“Il… Comandante?” Azzardò.
“Ci sta salvando la pelle. Prenditi cura di Kaidan, io vado
di sopra a vedere
che cosa sta succedendo. I miei sono solo dei graffi.” Gli
spiegò prima di
voltarsi e raggiungere la porta, sparendo dietro essa.
Karin volse il capo verso Alenko, quest’ultimo teneva lo
sguardo fisso sul
pavimento.
“Andrà tutto bene Maggiore.” Gli
portò una mano sulla spalla, sulla fredda e
pesante armatura.
“Questa credo che dovrai toglierla. Ti aiuto.”
La dottoressa aiutò Kaidan a spogliarsi e
dopodiché cominciò a medicarlo: aveva
alcune ferite e delle bruciature, ma fortunatamente nulla di grave o
– per lo
meno – irreversibile.
Per tutto il tempo che la dottoressa Chakwas medicò Alenko,
quest’ultimo sembrò
distante, assente. Il suo sguardo era fisso sull’uscita, in
attesa di chissà
che cosa, forse di buone notizie, forse in attesa di vedere Shepard
varcare
quella dannata porta. Eppure ciò non avvenne e Kaidan rimase
ad attendere una
cosa che non sarebbe mai accaduta.
Una volta che Karin finì di medicarlo il Maggiore si
rivestì e decise di salire
al ponte di comando per sapere se ci fosse qualche novità.
Non appena le porte dell’ascensore gli si aprirono di fronte
tirò dritto e
percorse tutto il ponte fino ad arrivare alla porta della cabina di
pilotaggio.
Tali e James erano lì fuori mentre accanto a Joker
v’erano Liara,
Garrus ed IDA.
Avevano da poco ordinato la ritirata, riferendo ad Hackett che non
v’erano
superstiti. Non appena Kaidan varcò la soglia
notò i volti abbattuti dei
compagni.
“Che succede?” domandò. Vedendo le loro
facce gli venne istintivo allarmarsi.
Nessuno di loro fece in tempo a rispondere che si sentì la
voce di Hackett,
ancora, informare che Shepard ce l’aveva fatta: era sulla
Cittadella.
Tutti poterono tirare un sospiro di sollievo: oltre ad
un’altra possibilità per
la galassia, Shepard era ancora vivo.
Il Comandante Shepard si ritrovò da solo di fronte quella
scelta: distruggere
le macchine, farle vivere in pace per sempre assieme agli organici
oppure prenderne
il controllo.
Era probabilmente la scelta più difficile che avrebbe mai
dovuto prendere in
vita sua… E sicuramente anche l’ultima.
Non voleva morire, questo era era ovvio. Ma come mai sarebbe potuto
essere così
egoista da pensare a sé stesso quando in ballo
c’erano così tante vite? Era
impossibile. Non era da lui. Non era una persona simile. Quale scelta
sarebbe
stata la migliore?
Inevitabilmente cominciò con lo scartare la distruzione di
tutte le macchine: i
Geth, sarebbe stato un sacrificio vano quello di Legion.
Quella fu la prima cosa che gli venne in mente, seguita subito
dopo dalla voce e dal
volto di IDA. Poi Joker. Non glielo avrebbe mai perdonato. Sarebbe
stato ciò
che Anderson avrebbe voluto, ma non era Anderson ad essere
lì. Non più. Non
aveva visto ciò che lui aveva visto, ed ora non si ritrovava
dove lui si era
ritrovato.
Il controllo… Era assurdo che ora quell’idea
potesse sembrare plausibile.
L’Uomo Misterioso. Lui era stato soggiogato, la sua sete di
conquista, di
elevare l’umanità, di farla progredire su tutto ed
oltre tutto.
Portò poi lo sguardo di fronte a sé: il raggio.
Mosse un passo. Poi un altro. La pace. Di tutti. Per sempre.
Una morte sicura, ma quello non importava. L’importante era
la salvezza della
galassia.
Si rese conto che, mentre lui vacillava tra una scelta o
un’altra, migliaia di
vite venivano spezzate.
Un passo. Poi un altro.
Cominciò ad avvicinarsi piano, gli sembrava come se in un
istante fosse
divenuto tutto chiaro ma anche che quella distanza appariva enorme,
lunghissima, eterna.
Strinse i pugni e serrò la mandibola e con uno scatto
cominciò a correre verso
quel fascio di luce che avrebbe spazzato via ogni sofferenza.
Nella sua mente si fecero spazio i volti dei suoi compagni, e le loro
voci.
La rettitudine di Vega.
“E’ stato un onore combattere al tuo fianco,
Loco.”
La fedeltà di Garrus.
“Non so se il paradiso dei Turian è lo stesso ma
se tutto va bene e ci
ritroviamo lì… Ti aspetterò al bar.
Offro io.”
La diversità di IDA.
“Posso farti una domanda, Shepard?”
La fede di Thane.
“Questa preghiera non era per lui. Era per te.”
La devozione di Samara.
“Sei l’unica persona di cui mi fido,
Comandante.”
La purezza di Liara.
“Ho un regalo per te, Shepard.”
L’audacia di Jack.
“Meno male, cominciavo a non riuscire più a
sopportare il tuo bel faccino.”
La forza di Grunt.
“E… Shepard. Grazie per avermi tirato fuori da
quella vasca.”
L’imperfetta perfezione di Miranda
“Non so come ci riesci
ma… Ok. Non è
ancora finita.”
La correttezza di Jacob.
“Conosco un localino a Rio che devi
assolutamente
vedere.”
La bontà di Steve.
“E Comandante… Grazie per avermi ridato un
po’ di fiducia. Senza di te, ecco, è
bello avere uno scopo nella vita.”
Il coraggio di Legion.
“Questo corpo ha un’anima?”
La tenacia di Mordin.
“Peccato. Sarebbe piaciuto fare esperimenti su
conchiglie.”
La lealtà di Anderson.
“Hai fatto un buon lavoro, figliolo…”
Il candore di Tali.
“Keelah Se L’Ai, Shepard”
L’amore di Kaidan.
“Per chi mi hai preso? Mi farò in quattro per
avere la possibilità di
riabbracciarti.”
Continuò a correre ormai stanco ed affaticato da
quella lunga lotta, da quella
guerra che si era protratta per troppo tempo, che aveva spazzato via
troppe
vite innocenti.
Ed una volta che arrivò al raggio saltò.
Aprì le braccia e si sentì libero: libero
di poter prendere finalmente respiro, libero di non dover
più pensare, libero
dalla guerra, libero dai doveri, libero dalle
responsabilità. Libero da tutto
quanto.
Sentì un’intensa sensazione di calore pervaderlo e
percorrere il suo corpo: non
provò dolore.
Socchiuse gli occhi e vide distintamente i volti dei compagni che lo
avevano
accompagnato in quella lunga avventura ed infine Kaidan sorridergli: il
suo
unico rimpianto era non aver avuto abbastanza tempo da passare insieme,
da
passare con lui. Era l’unica strada, l’unica via,
l’unica possibilità… Avrebbe
capito.
Gli sembrò di risentire la sua voce, per l’ultima
volta.
“Ti amo anch’io.”
‘Perdonami.’
Rimasero tutti con il fiato sospeso dopo aver appreso la notizia che
Shepard
era riuscito ad arrivare alla Cittadella mentre i Razziatori
continuavano a
decimare le flotte.
Ma poi accadde qualcosa: i bracci della Cittadella cominciarono a
colorarsi di
un verde luminoso.
L’equipaggio rimase ad osservare dalle vetrate ciò
che stava accadendo, mentre
Liara si avvicinò al pilota, appoggiandogli una mano sulla
spalla.
“Jeff, dobbiamo andare…”
Sussurrò a malincuore.
Lui aveva un’espressione affranta sul volto: dovevano
fuggire, ma fuggire da
cosa? Avrebbero dovuto lasciare lì il Comandante?
Strizzò gli occhi per un
istante, prendendosi ancora un attimo di tempo, ma qualcosa
nell’aria stava
cambiando e lo si sentiva.
“Maledizione!” Imprecò l’uomo:
dovette lottare con tutte le sue forze contro sé
stesso, contro la voglia di rimanere lì. Si
affrettò a far ripartire la
Normandy.
Una bolla di un verde vibrante cominciò ad espandersi dalla
Cittadella, mentre
la Normandy prendeva velocità e lasciava l’orbita
della Terra.
La guerra
era finita. Sintetici ed organici lavoravano per un obbiettivo comune:
la
ricostruzione.
L’equipaggio della Normandy si era riunito di fronte al muro
memoriale per
portare onore, per l’ultima volta, al grande Comandante
Shepard: colui che
aveva salvato la galassia a costo della sua vita, colui che aveva dato
quest’ultima
in cambio di quella di tutte le specie. Colui che aveva lottato contro
tutto e
tutti, colui che non si era mai fermato di fronte a nulla. Colui che
appariva
indistruttibile, che non sembrava accusare danni, fatica, perdite,
sconfitte…
Colui che, dopotutto, era solo un semplice umano.
Il Maggiore Alenko osservò quella targhetta nominativa tra
le sue mani, una
placca in metallo con inciso il grado ed il nome di un uomo,
di una leggenda.
Mosse un passo ed un altro, allungò
le
braccia e posizionò la targhetta sopra a quella
dell’ammiraglio Anderson: due
eroi che avevano lottato fino alla fine per un ideale, non per una
semplice
vittoria. Un’ideale di speranza, di libertà, di
uguaglianza.
Indietreggiò di un passo, osservando quel muro ormai
completo: erano tutti lì,
non mancava più nessuno. Arricciò le labbra e si
morse l’interno della guancia
sentendo una profonda sensazione di sconforto pervaderlo: solo in
quell’istante
realizzò che lo aveva perso… Per sempre.
Con quell’amara certezza si voltò e vide gli occhi
dei compagni cercare i suoi,
i quali evitarono quei sguardi per poi – per puro caso
– posarsi su IDA.
La cyborg lo guardò con
espressione
di sincero rammarico. Quando il Maggiore si avvicinò lei
stessa mosse un passo
verso di lui ed allargò le braccia per accoglierlo in un
caldo e sincero
abbraccio.
I due si strinsero in quel silenzio intenso, pieno di sentimento. Non
v’era
bisogno di parole: tutti erano lì per lo stesso motivo e
tutti potevano
immaginare e comprendere i sentimenti dei compagni accanto.
Una volta che quell’abbraccio si sciolse, il Maggiore
incrociò per un’ultima
volta lo sguardo di IDA per poi raggiungere l’ascensore
lì accanto.
Salì fino al primo piano, quello della cabina del
Comandante. Ogni luogo su
quella nave, da quando avevano lasciato il sistema Sol, gli sembrava
troppo
caotico ed affollato, fin quando non mise piede però nella
cabina di Shepard.
Quel luogo… Quella stanza sembrava deserta, fin troppo
vuota.
Si mosse piano mettendo un piede di fronte all’altro,
guardandosi intorno.
Quello era stato il loro piccolo rifugio: non importava chi altri
avesse
varcato quella soglia, quello era il posto dove si erano parlati, dove
si erano
confidati, dove avevano sperato di vedere l’alba di una nuova
era insieme. Ovunque portava il suo
sguardo vedeva lui, vedeva loro.
Quello
era il luogo dove si erano amati.
Arrivò fino ai piedi del letto e lì si sedette.
Portò i gomiti sulle ginocchia
e lasciò ciondolare le mani tra le gambe osservando un punto
indefinito della
stanza. Quel silenzio era quasi assordante: troppi pensieri, troppe
emozioni,
troppi sentimenti tutti insieme. Gli sembrava quasi di poter sentire il
battito
del suo stesso cuore, quel cuore straziato ormai stanco e dolorante,
privo di
speranza. Quando aveva salutato Shepard a Londra, prima di tornare
sulla
Normandy, avrebbe dovuto capire che quello sarebbe stato un addio.
Sapeva che
un pezzo del suo cuore era rimasto lì, con lui, e mai lo
avrebbe riavuto
indietro. Quel pezzetto era ormai andato distrutto, mentre quello che
ne era
rimasto era stato colpito da un male immenso: era stato corrotto,
rovinato. Era
come un campo di sole macerie, devastato dopo la guerra. Nessun
germoglio,
nessun rigoglio, solo morte e desolazione.
Sentì una fitta lacerargli il petto e lasciarlo senza fiato:
gli occhi
cominciarono a bruciare mentre le guance si bagnavano di lacrime
salate, di
lacrime amare. Portò il capo tra le mani, spinse i palmi
contro l’incavo degli
occhi per poi scivolare con le dita tra i capelli corvini,
stringendoli. In un
attimo tutte quelle emozioni che aveva cercato di reprimere da quando
aveva
detto addio a Shepard,
sopite in fondo
dentro di lui, uscirono con una violenza inaudita, brutale.
Si sentì impossibilitato a fare qualunque cosa: incapace di
fermare le lacrime,
incapace di respirare, incapace di continuare semplicemente a
sopravvivere.
Cosa sarebbe stata la vita senza di lui, di lì in poi, se
non un semplice sopravvivere?
Si erano giurati eterno amore nei loro ultimi istanti e sapeva che il
loro era
un sentimento che andava oltre il semplice desiderio carnale o il
sesso. Era
qualcosa di più profondo, di più completo, che
forse non avrebbe più provato
con nessun altro. Non aveva mai desiderato un uomo come era accaduto
con
Shepard, non si era mai concesso con tale semplicità, con la
stessa facilità
con cui lo aveva fatto con lui. Era un amore puro, incondizionato: per
una
volta in vita sua si era innamorato della persona e non del sesso e non
gli
importava di che cosa pensassero gli altri.
I violenti singhiozzi scuotevano il corpo del Maggiore che poteva
contare di
trovare forza e conforto solo in sé stesso e nelle sue
memorie: le memorie che
aveva di loro. Eppure, invece che
aiutarlo, sembravano solo spingerlo sempre più
giù, più in fondo, e seppellirlo
tra sentimenti di amarezza, dispiacere e dolore.
Alcuni minuti dopo, nei quali aveva dato sfogo alla parte
più oscura di tutta
la frustrazione accumulata in quelle ore, sentì
l’ascensore fermarsi al piano e
qualcuno uscirne fuori.
Si asciugò velocemente le lacrime e tentò di
reprimere i singhiozzi, i quali –
a quell’atto – si manifestarono come un nodo alla
gola, un groviglio che gli
toglieva il respiro.
La porta si aprì e mostrò le figure di Garrus e
Vega. Sembrarono forse un po’
imbarazzati, forse un po’ a disagio.
Non appena i due compagni varcarono la soglia, Kaidan si
alzò. Lo guardarono e
poterono notare gli occhi ancora lucidi, le guance umide seppur pulite
dalle
lacrime e le goti lievemente arrossate. Era a pezzi, lo si vedeva
benissimo.
“Possiamo… Fare qualcosa?”
domandò il Turian, dopo aver sceso gli scalini. Vega
si fermò accanto all’alieno. Si guardò
intorno per poi posare lo sguardo sul
Maggiore. Quest’ultimo scosse il capo.
“Sto bene.“ Rispose con voce roca. “Non
c’è bisogno che vi preoccupiate.”
Bene era una gran parola. Forse in un’altra circostanza
Kaidan sarebbe stato
bravo a mentire, ma in quel momento stava palesemente negando
l’evidenza.
“Non volevamo disturbarti ma… Volevamo solo dirti
che se ti dovesse servire
qualcosa. Beh… Sai dove trovarci.”
Alenko scosse il capo. “Non è solo il mio
dramma.” mormorò. Sentì nuovamente
l’impellente bisogno di piangere, ma si trattenne.
“E’ il dramma del nostro
equipaggio, della razza Umana… Se non dell’intera
galassia. Shepard… Era vicino
a tutti noi. Indistintamente.”
“Lo sappiamo bene ma… Tu e
Shepard…” azzardò Garrus.
“Io e Shepard nulla. Tutti abbiamo lo stesso diritto di
piangere il nostro
Comandante. Tutti. Alla stessa maniera. “
L’alieno annuì. “Sì, hai
ragione. Ma nessuno di noi è solo in tutto questo. Ci
siamo dentro tutti insieme, proprio come sempre.”
Allungò una mano e gliela
appoggiò sulla spalla. “E’
chiaro?”
Il Maggiore incrociò gli occhi del Turian. Fece un cenno
assenso.
“E’ chiaro.”
Vakarian nell’incrociare il suo sguardo poté
notare quanto quest’ultimo fosse vuoto,
privo di qualsiasi energia, di quella grinta che di solito animava gli
scuri
occhi del Maggiore. Sembravano uno specchio impenetrabile.
“Lo stesso vale per voi.” Aggiunse infine Kaidan.
Sul volto del Turian comparve l’ombra di quello che sembrava
quasi un sorriso.
Gli strinse la spalla e – dopodiché – si
voltò ed assieme a Vega tornarono da
dove erano venuti. Capirono che avrebbe avuto bisogno di tempo, forse
un po’
come tutti loro.
Non appena i due compagni lasciarono la stanza, Kaidan si rese conto
che per
quanto quest’ultima si potesse riempire di persone sarebbe
sempre risultata
vuota. Mancava lui, mancava tutto. Mancava l’essenza.
Si sedette nuovamente ai piedi del letto e si lasciò
ricadere indietro, con la
schiena sul materasso. Osservò lo spazio infinito sopra di
lui, oltre la
vetrata, e si chiedeva se da qualche parte Shepard lo stesse guardando,
se
stesse vegliando su di lui proprio come aveva sempre fatto quando era
stato
sotto il suo comando.
Ricordò le notti in cui, proprio dove era sdraiato, si
stringevano l’uno
all’altro e realizzò ancora, crudelmente, quanto
gli mancasse. Socchiuse gli
occhi e vide il suo volto sorridergli, l’immagine di Shepard
quasi imbarazzato
quando a cena gli aveva confessato che avrebbe voluto passare il resto
della
vita assieme a lui.
“Io e te… Mi piace.
Molto.” Gli aveva
detto.
Inspirò piano, a fondo.
I suoi occhi animati dalla speranza, dalla forza,
dalla volontà di vedere e di credere in un
futuro migliore. L’espressione di preoccupazione dipinta sul
volto e la mano
raggiungere il suo viso insanguinato per un’ultima, fugace
carezza.
“Qualsiasi cosa accada…
Sappi che ti amo.
E ti amerò sempre.”
Si abbandonò a quei pensieri pieni di malinconia
ed afflizione ormai
stanco. Due lacrime scivolarono giù
dall’estremità dei suoi occhi lungo le
tempie. Si lasciò cullare dai ricordi del suo
Comandante mentre lentamente, senza neppure accorgersene,
cadde in un
tiepido torpore, sfinito. Che cosa avrebbe dato per riaverlo indietro,
anche
solo per un istante, anche solo per essere cullato dalle sue braccia in
quel
momento, proprio come una volta…
Erano
passate ormai più di ventiquattro ore dalla fine della
guerra. Quelle ore erano
sembrate infinite dal momento che furono piene di risvolti, di
novità: nessuno
rimase con le mani in mano, si misero tutti in movimento per
ricostruire tutto
dall’inizio, per seminare vita lì dove giaceva la
distruzione.
Kaidan aprì gli occhi e solo un attimo dopo mise a fuoco
l’acquario nel quale
nuotavano i pesciolini del Comandante. Era raggomitolato in posizione
semifetale al centro del letto, aveva dormito a lungo.
Piantò il palmo della
mano sul materasso e si tirò su seduto, guardandosi intorno:
la cabina era vuota
e lui era solo. Quella sensazione di pace con la quale si era svegliato
svanì
in un istante lasciando un pesante macigno gravargli sul petto.
Si passò una mano sul viso e scivolò fino ai
piedi del letto, alzandosi: si
riscoprì privo di energie nonostante avesse dormito
parecchie ore. Lanciò
un’occhiata all’orologio e si rese conto che era
notte fonda, almeno per
l’orario terrestre. Sì avviò alla porta
ed uscì dalla cabina del Comandante,
prese l’ascensore e scese fino al piano dove si trovavano le
cabine
dell’equipaggio e la parete memoriale.
Non appena le porte gli si aprirono di fronte svelando tutte quelle
targhette
piene di nomi sentì una fitta stringergli il petto.
Il ponte era deserto come era chiaro che fosse a quell’ora.
Mosse un paio di
passi e si fermò di fronte il muro, osservandolo. La mano
del Maggiore scivolò
sulla parete liscia accanto alle targhette dell’Ammiraglio
Anderson e del
Comandante Shepard. Il suo sguardo si fermò proprio su
quest’ultima.
“Ammiraglio.” Disse piano. “Sono felice
che qualcuno sia rimasto accanto a lui
nei suoi ultimi istanti... E forse
la persona più giusta era proprio lei.”
Sussurrò abbassando il capo.
Tutto l’equipaggio era passato di fronte a quel memoriale da
quando erano state
poste quelle due targhette e tutti quanti si erano fermati
lì almeno per alcuni
minuti per parlare, per confessarsi e sfogarsi. Tutti volevano
illudersi che il
Comandante Shepard fosse lì e che li avrebbe ascoltati,
proprio come aveva
sempre fatto. L’unico che non ne aveva avuto ancora il
coraggio era stato
proprio Alenko.
L’uomo scese piano, piegandosi sulle ginocchia per poi
appoggiare queste ultime
sul pavimento. Voleva approfittare di un attimo di calma per rimanere
da solo
con il Comandante, e quale momento migliore se non il cuore della
notte, quando
tutti dormivano?
Passarono lunghi minuti di silenzio mentre Kaidan rimase nella medesima
posizione, senza dire nulla, con lo sguardo fisso sul pavimento.
“Dove sei, Shepard?” Iniziò allora.
Teneva entrambe le mani sulle cosce. Le
strinse, stropicciando la stoffa dei pantaloni. “Avevi detto
che finito tutto
ci saresti stato.” Sussurrò con un velo di
risentimento. “Ma mi hai
abbandonato… E’ proprio così che mi
sento: abbandonato. So che non avevi scelta
e so che era necessario, che lo hai fatto per un bene comune e
superiore ma…
Diamine Shepard, era proprio necessario?!”
La sua voce vacillò, tremò appena.
Deglutì e strinse i denti.
“Mi manchi. Mi manchi dannatamente… Ed
è assurdo perché so che questo è solo
l’inizio, perché so che dovrà
peggiorare ancora molto prima di poter
migliorare. Mi sembra un tunnel senza fine sinceramente, adesso. Vedo
tutto
nero.”
Sospirò frustrato. Cominciò a sentirsi uno
sciocco solo per essere lì, che
quasi prese in considerazione l’idea di alzarsi e andarsene
via e fare finta
che quella conversazione non fosse mai accaduta.
Si prese un altro momento, poi continuò.
“Puoi sentirmi…?”Domandò, a
quel punto alzando il capo ed osservando la placca
di metallo brillante, con su inciso il suo nome.
“Non so quali fossero le tue intenzioni, Shepard…
Ma qualunque cosa tu abbia
fatto lì, sulla Cittadella, ha funzionato: i Razziatori non
sono più una
minaccia, lavorano affinché possano portare ogni specie
della galassia a
rifiorire. Sono nostri… Alleati, oramai. Ma
io…” Sospirò. “Io non riesco
ad
accettarli come tali. Credo… Credo di
disprezzarli.” Si lasciò sfuggire
un’amara risata. “E’ per colpa loro se tu
ora non sei qui. Con me.”
Abbassò nuovamente il capo, scuotendolo appena.
“Gira voce che vogliano
mettermi a capo della Normandy. Il secondo Spettro umano, dopo che tu
sei stato
il primo, il nuovo comandante della Normandy, dopo che tu lo sei stato
prima di
me. E’ questa l’eredità che mi hai
lasciato?”
La domanda rimase sospesa nell’aria, lo sapeva che non
avrebbe mai ricevuto
risposta.
Silenzio, ancora.
“Devo… Devo dirti la verità: sono
arrabbiato, deluso, frustrato. Inizialmente
lo ero a causa tua, perché te ne sei andato… Ma
non mi ci è voluto molto per
capire che in realtà l’unica persona con cui sono
in collera sono io: è il mio
egoismo il problema. Non so se riesci a seguire il filo del
discorso…” Un’altra
lieve risata, nervosa.
“Shepard io…” Si morse il labbro. La
vista gli si appannò al sopraggiungere
delle lacrime e – nello stesso istante in cui la prima gli
rigò la guancia –
Kaidan poté sentire un qualcosa scattare in lui e quel freno
inibitore – che
fino a quel momento lo aveva tenuto così freddo e distaccato
– scomparve.
“Ti amo.” Un’altra lacrima
scivolò sulla sua pelle. “E non so se
riuscirò a
riprendermi… Io e te, mi piaceva così
tanto.” Deglutì, a fatica. Il nodo alla
gola era tornato. “Sarei voluto essere vicino a te nei tuoi
ultimi istanti. Nei
nostri ultimi istanti. Ed invece
non
c’ero… Sono furioso con te! Non hai lasciato che
venissi, non hai lasciato che
ti proteggessi… Perché? Era la cosa
più importante per me! Era il mio scopo…
Almeno sarei morto al tuo fianco o sarei sopravvissuto con la
consapevolezza di
aver fatto il massimo per proteggerti.”
La sua voce tremò ancora mentre ormai le emozioni avevano
preso il sopravvento
e le lacrime scendevano copiose.
“Ed ora cosa mi resta? Una manciata di ricordi, di rimpianti,
di rimorsi. Mi
maledico per averti voltato le spalle su Horizon, per non aver
approfittato di
ogni istante che avrei potuto passare al tuo fianco… E
Cerberus, come ho potuto
lontanamente pensare che fossi con l’Uomo
Misterioso?”
Le sue mani cominciarono a torturarsi l’una con
l’altra, fin quando non si
portò il dorso di una di esse al viso, asciugandosi le
lacrime.
“E’ che non credo di essere ancora pronto a
lasciarti andare… E non so quando
lo sarò. Se mai lo sarò. Eri speciale per
me… Forse più di quanto io sia
riuscito a trasmetterti. E se al posto tuo ci fossi stato io? Se fossi
morto
io? Come avresti reagito? Ti saresti rialzato?”
Domandò alzando nuovamente lo
sguardo.
“Sì. Lo avresti fatto. Tu ti rialzi sempre,
Shepard. Ed io non sono forte tanto
quanto te… Non… Non lo sono affatto.”
Si morse con forza il labbro, sentendo il
sapore salato delle lacrime.
Rimase in silenzio e fermo ancora qualche istante, poi con le mani fece
leva
sulle ginocchia e si alzò in piedi.
“Almeno ora so che sei in buona compagnia,
Comandante.” Sussurrò. “E…
Dì ad Ash
che mi dispiace, mi dispiace tanto. Dille che non avrei voluto che
finisse
così. Ho tutt’oggi ancora degli incubi per quanto
riguarda Virmire.” E molto
probabilmente da quel giorno in poi i suoi incubi non avrebbero
riguardato solo
Ashley e Virmire.
“Shepard. Ti chiedo solo una cosa: ovunque tu sia…
Non dimenticarti mai di me.
Io…” Appoggiò una mano sulla parete e
serrò le labbra. “Io non lo
farò.”
Sussurrò prima di non riuscire più a trattenersi
e scoppiare in un pianto
silenzioso e disperato.
Rivisse in un istante tutti i momenti passati assieme a lui, dai
più vecchi ai
più recenti: migliaia di ricordi che si accavallarono uno
sull’altro e che –
uno dopo l’altro – lo colpivano come pugnalate al
petto, mentre il dolore lo
dilaniava.
Si piegò in avanti ed appoggiò la fronte contro
l’avambraccio sulla parete
mentre l’altra mano si strinse sul muro liscio fino a
sfiorare la placca fredda
di metallo sotto le sue dita.
“E’ così…
Difficile… T-ti prego… Torna da me,
Shepard…” Sentì la sua stessa
voce afflitta, distrutta… Ecco che cos’era: un
uomo distrutto dal destino.
Kaidan rimase lì, per un tempo indefinito, fintanto che i
sensi di colpa non si
sarebbero attenuati, fintanto che avrebbe avuto lacrime da versare,
mentre il
suo corpo veniva scosso da numerosi singhiozzi.
“Lost in thoughts on open seas,
Let the currents carry me.
If I could would I remain
Another life or another dream.
No turning back, face the fact
I am lost in space and time,
Turning here, looking back in time.”
________________________________________
Angolo Autrice:
Ed
eccoci qua ancora!
Sinceramente? Non pensavo di essere così presente su questo
fandom! x°D
Non saprei davvero che dire oltre che - dopo aver finito ME3 - una
grande sensazione di sconforto mi ha pervasa e ho dovuto incanalare
questo sentimento in qualche modo... E quale migliore se non una storia?
Yay!
Ovviamente dovete sapere (e credo che pian piano lo scoprirete da voi)
che sono davvero una drama queen X°D drammi ovunque,
dappertutto! Le mie storie sono un dramma continuo!
(Non è vero! Non sempre! :P)
Quiiindiiii boh, non saprei che dire (:
Spero che la storia vi sia piaciuta (per chi ha avuto il coraggio di
leggerla tutta fino in fondo!)
E... Basta, credo!
Ora mi sto giocando il dlc Citadel che mi sta ritirando un po' su di
morale x°D fantastico!
Ancora mi prendono gli scompensi se penso alla fine...
ç_____ç
They were supposed to stay together forever ç.ç
*Se ne va in un angolino a piangere e disegnare cerchietti sul
pavimento*
Ok, basta!
Ahahahahah! Riprendiamoci! *Si prende a schiaffi*
Comunque indubbiamente più avanti scrivero un qualcosa su
Joker e IDA (li amo *-*) e... Appena postata questa mi
metterò subito all'opera per una nuova fyccina, sempre su
Kaidan e Shepard, purtroppo per voi! Lo so, sono pallosa... Ma visto
che su questo fandom siete tutti fan di Garrus 'Calibration' Vakarian e
Thane, qualcuno dovrà pur pensare al nostro piccolo biotico,
no?! :D
A presto!