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Autore: Kary91    29/01/2014    12 recensioni
|Johanna!centric - Johanna&Joel Hawthorne Jr. | Accenni Gale/Johanna| Spin off di "Io non ho paura"|
“Johanna” scandì tutto a un tratto, sollevando il capo per guardarla negli occhi. “Ti chiami quasi come me.”
Johanna ricambiò lo sguardo, cercando di riconoscere nel volto di quel ragazzino i tratti della donna che, sette anni prima, l’aveva messo al mondo: non ci riuscì. Quando lo guardava negli occhi, Johanna ci vedeva solo Gale, infuso con prepotenza nel suo sguardo.

|Storia partecipante alla - Un anno colmo di prompt - challenge con il prompt "pioggia".|
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Io non ho paura;'
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Premessa. Questa storia è ambientata dopo Il Canto Della Rivolta e si collega a una precedente one-shot su Johanna, intitolata Io non ho paura. Secondo la mia concezione del futuro tratteggiata in quella storia Johanna vive nel Distretto 2 assieme a Gale e a Joel, il figlioletto di Gale, avuto da una relazione di breve durata con un’altra donna. Spero che risulti tutto comprensibile!

 

Shelter from the Rain

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Johanna scoccò un’occhiata torva fuori dalla finestra, regalando al vialetto di fronte a casa la prima imprecazione a denti stretti della giornata: pioveva. Le gocce tamburellavano contro il vetro ormai da ore, alimentando la tensione che le aveva impresso addosso l’incubo della sera precedente. Si appoggiò al cornicione con il fianco, rabbrividendo al contatto con il legno freddo. Incrociò le braccia al petto, nascondendo le mani sotto le maniche della felpa, per scaldarle. Non si era ancora decisa a mettere sui fornelli qualcosa per il pranzo, ma se non altro aveva fatto lo sforzo di indossare qualcosa di più che non solo un paio di mutande, dato che c’era lui in giro per casa. E quella era di gran lunga la cosa più responsabile che Gale si potesse aspettare da lei, quando li lasciava soli. D’altronde non era di certo colpa sua se Gale Hawthorne era stato così idiota da mettere incinta una che non aveva voglia di fare la madre. O se aveva scelto di tenersi il bambino. L’unica colpa che aveva lei era quella di essersi lasciata convincere a restare.

“Perché non andiamo a pranzo fuori da qualche parte?”

Una voce si intrufolò nella stanza, facendole roteare istintivamente gli occhi. Joel si arrampicò sul tavolo e appoggiò le mani al legno. “Papà non torna prima delle tre e tu non sai cucinare.”

“Non hai visto come piove?” lo interrogò la donna, indicando la finestra con un cenno del mento. “Se vuoi beccarti una polmonite, accomodati pure. Io non vengo con te.”

Joel lasciò oscillare i piedi nel vuoto.

“Pensavo che l’acqua ti facesse un po’ meno paura, quando ci siamo io o papà a proteggerti” ammise infine, stringendosi nelle spalle. Johanna gli rivolse un’occhiata bieca. Aprì la bocca per rispondere qualcosa di tagliente, ma quando fu sul punto di ribattere decise di lasciar perdere.

“Dove è andato tuo padre?” chiese invece. Joel sostenne il suo sguardo con espressione tranquilla.

“A scuola” rispose, scoccando poi una breve occhiata fuori dalla finestra. “La mia insegnante voleva parlare con lui, ma non mi ha detto perché.”

Johanna fece una smorfia.

“La tua insegnante vuole portarselo a letto, non ci vuole parlare” commentò.

Joel roteò gli occhi.

“Che hai?” lo interrogò la donna, sciogliendo la posizione a braccia conserte. “Hai dieci anni, sei praticamente un adulto, le puoi sentire queste cose.”

“Ne ho sette” la corresse Joel, tornando a far oscillare i piedi.

“Fa lo stesso. Che hai combinato a scuola?”

 

Il bambino si strinse ancora una volta nelle spalle.

“Niente, credo,” ammise infine. “Ho dei bei voti e non alzo mai le mani.”

“E allora vedi che ho ragione io?” ribatté la donna, facendo sbuffare il ragazzino. Rimasero entrambi in silenzio per qualche minuto. Joel si fissò la punta delle scarpe con espressione indecisa, prima di tornare a rivolgersi a Johanna.

"Chi è Sawyer?" chiese, squadrandola incuriosito. La donna si irrigidì.

"Chi ti ha parlato di Sawyer?"

Joel sostenne con decisione il suo sguardo, ma i suoi occhi chiari sembravano velati da una punta di preoccupazione.

“Hai detto il suo nome mentre sognavi, ieri notte,” spiegò. “Assieme a tutte le altre parolacce.”

Johanna alzò gli occhi al cielo e riprese a guardare fuori dalla finestra. Le giornate di pioggia erano già una fonte di nervosismo, per lei. Non aveva bisogno di irritarsi ulteriormente, assecondando le domande di un moccioso stalker che origliava le sue farneticazioni notturne.

“Anche papà ripete sempre un nome, quando ha gli incubi” proseguì Joel, scendendo dal tavolo per raggiungerla. Non disse altro sul padre, ma la donna non ebbe bisogno di chiedere spiegazioni. Quando condividi il letto con qualcuno, fai lo stesso con i suoi incubi. Se, per via delle sue urla, Gale conosceva ormai ogni insidia affrontata da lei nelle arene, Johanna aveva assistito a piogge di bombe continue, dividendosi fra il Distretto 12 e Capitol City. Aveva ascoltato il pianto dei bambini caduti vittime delle esplosioni e visto i loro corpi, dilaniati dalle fiamme. Erano solo ragazzini, bambini come Sawyer, bambini come Joel. E come Prim Everdeen, La ragazzina cui nome risuonava in un sussurro per la stanza, ogni volta che Gale si svegliava di soprassalto, tormentato dai sensi di colpa.

“Sawyer era mio fratello” rivelò infine Johanna, tornando a guardare fuori dalla finestra. La pioggia si stava facendo più copiosa e le gocce schiaffeggiavano il vetro con impertinenza, quasi volessero sfidarla. L’espressione della donna si indurì ulteriormente. “Ti assomigliava.”

Joel la squadrò con attenzione.

“È morto?” chiese con semplicità. Johanna gli rivolse un’occhiata torva.

“Secondo te perché ho parlato al passato, Hawthorne?” lo rimbeccò, “Sì, è morto.”

Joel si morse il labbro, visibilmente in imbarazzo. Fissò a lungo la donna, prima di appoggiare una spalla al cornicione della finestra.

“Io non morirò” dichiarò infine con decisione, tornando a osservare la pioggia. “Te lo prometto.”

Johanna gli rivolse un’occhiata di sottecchi, non riuscendo a trovare nulla di sufficientemente pungente con cui ribattere. La irritava, quando faceva così. La irritava il fatto che, piccolo com’era, riuscisse sempre a trovare la cosa giusta da dire, anche se spesso non otteneva risposta dai suoi interlocutori. Lo faceva in una maniera talmente spontanea che, alle volte, Johanna aveva perfino rischiato di credergli, di avvertire nello stomaco una punta di rassicurazione, quando parlava con lui.

“Buon per te” concluse, asciutta, appoggiando una mano contro il vetro. “Anche perché se muori ti ammazzo” aggiunse, rivolgendogli un’occhiata d’intesa. Joel le sorrise, scuotendo il capo rassegnato. Rimasero una decina di minuti in silenzio, concentrati sul ticchettio della pioggia e sul turbinare lento dei rispettivi pensieri. Quando il bambino notò le dita di Johanna, adagiate contro il vetro ci appoggiò sopra le proprie, come a volerla riparare dalle gocce d’acqua che scorrevano al lato opposto della lastra.

“Johanna” scandì tutto a un tratto, sollevando il capo per guardarla negli occhi. “Ti chiami quasi come me.”

Johanna ricambiò lo sguardo, cercando di riconoscere nel volto di quel ragazzino i tratti della donna che, sette anni prima, l’aveva messo al mondo. Non ci riuscì. Forse Joel aveva ragione nel dire che una madre, lui, non ce l’aveva. Quando lo guardava negli occhi, Johanna ci vedeva solo Gale, infuso con prepotenza nel suo sguardo. Non c’era traccia di nessun’altro nel volto di quel ragazzino. Forse era per quello che non gli dispiaceva poi più di tanto averlo attorno.

“Io sono quasi come te” osservò la donna, fissando la propria mano e quella di Joel, ancora appoggiata alla sua. “Nemmeno io ho mai avuto una madre.”

Il bambino le rivolse un’occhiata incuriosita, prima di stringere più forte le dita di Johanna.

“Però io ho te” le rispose, dando una scrollata di spalle.

Le labbra di Johanna si arricciarono a formare un sorrisetto ironico.

“Che culo, Hawthorne!” commentò la donna, strofinandogli un pugno sui capelli. “Allora sei proprio rovinato!”.

Joel si mise a ridere, cercando di divincolarsi alla sua presa. Johanna abbozzò un mezzo sorriso e lo lasciò andare, chiedendosi quanto male potesse essere ridotto quel ragazzino per sforzarsi di riconoscere in lei una figura materna. Fece un rapido bilancio mentale dei danni e dei benefici comportati dalla sua presenza nella vita di Joel. I secondi erano senza dubbio inferiori, ma il bambino non sembrava pensarla così; ne fu la prova il sorriso allegro che le rivolse quando la donna gli arruffò con un gesto spiccio i capelli.

In quel momento l’attenzione di entrambi venne catturata da un uomo che si stava avvicinando a passo svelto verso casa loro. Johanna sorrise divertita del modo in cui teneva il cappello calcato sugli occhi e le spalle incurvate, per proteggersi dalla pioggia.

“Ma come diavolo cammina?” lo prese in giro, inarcando un sopracciglio.

“Papà!” esclamò Joel, indicandolo; la mano libera del bambino era ancora appoggiata a quella della donna.“È tornato presto.”

Gale li notò dalla finestra e sorrise, frugandosi poi nelle tasche per cercare le chiavi. Il volto del bambino si illuminò e, per un attimo, Johanna temette di aver riconosciuto un’espressione simile nel proprio sguardo, attraverso il riflesso nel vetro.

 

Quel pensiero la spaventò più della pioggia che continuava ad aggredire la finestra.

 

 

Nota dell’ autrice.

L’idea per questa storia è nata quando trovai questa immagine, ecco perché ci sono tutti questi riferimenti alle mani dei due protagonisti. La one-shot è nata principalmente perché ci tenevo ad approfondire il legame fra Johanna Mason e Joel Hawthorne Jr., appena accennato nell’altra one-shot. È nata più come una cosetta fra me e me, visto che si appoggia a molte cose che non vengono approfondite né in questa, né nella storia precedente, ma delle persone mi avevano chiesto di pubblicarla e così ho provato ad aggiustarla un po’ per poterla inserire anche qui. Spero di riuscire a concludere, prima o poi, qualcuna delle Johanna/Gale che ho incominciato, e che sono ambientate quasi tutte nel D13, così anche le dinamiche fra di loro al futuro risulteranno più comprensibili. So che ho dimenticato di dire qualcosa, ma non mi viene proprio in mente in questo momento :/ Non fa niente. Grazie come sempre a chiunque sia passato a leggere questa storia <3

 

Un abbraccio!

 

Laura

   
 
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