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Autore: Breathinfire_    30/01/2014    1 recensioni
Provò ad accarezzarle la guancia, ancora una volta, ed ancora una volta rimase deluso: la sua mano attraversava completamente il suo viso, e lui sentiva qualcosa frantumarsi dentro di sé: poteva il suo cuore spezzarsi ancora non essendo altro che anima, fantasma, invisibile?
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Klaus, Kol Mikaelson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Vorrei che tu fossi qui. - sussurrò, mentre gli occhi le pizzicavano a causa delle lacrime che continuavano a premere violentemente per uscire. Ma lei lottava, lottava contro quelle piccole gocce d'acqua salata come se lo scorrere di queste sulla sua guancia significasse cedere alla debolezza, farsi travolgere dalle emozioni; tutto quello di cui aveva bisogno era proprio piangere, scatenare quella tempesta che sarebbe durata minuti, ore, giorni, settimane, mesi, metabolizzare e rielaborare quell'evento così tragico, che le aveva sconvolto la vita per sempre.
Kol era morto, e non c'era niente che avrebbe potuto fare per tenerlo in vita: il pugnale di quercia bianca era l'unico punto debole dei vampiri originali, e la patetica Gilbert insieme al piccolo fratello psicopatico, l'avevano fra le loro mani.
Elena non aveva esitato neanche un secondo prima conficcare quel maledetto paletto di legno nel cuore del ragazzo, e un secondo dopo Kol era lì, davanti ai loro occhi, che continuava a bruciare, velocemente. Il fuoco combureva ogni singolo lembo di pelle, obbligava il suo sangue ad arrivare al punto di ebollizione e ustionare, liquefare ogni singolo organo, distruggendolo dall'interno.
- Mi manchi. - continuava a ripetere, dondolandosi sul divano, difronte al camino nel quale la legna continuava a bruciare, e continuava a costringerla ad immaginare la scena della morte dell'amore della sua vita, e non c'era niente a cui potesse aggrapparsi per uscire dalla sua mente: la teneva bloccata lì, in quella casa, in quel luogo dove lui era bruciato vivo.
La sua unica consolazione era non dover sopportare quell'agonia, quel dolore ulceroso che le divorava lo stomaco, le distruggeva la mente e le strappava ogni singolo pezzo di cuore, con una tale brutalità da farle perdere i sensi.
- Sono sempre al tuo fianco, amore mio. - sedette accanto a lei, incurante del fatto che lei non potesse né sentirlo, né vederlo.
Sentiva il suo stesso bisogno di tenerla stretta fra le sue braccia, baciarle ogni centimetro di pelle per tranquillizzarla e far sparire tutte le sue paure, rassicurarla del fatto che prima o poi si sarebbero rivisti e mai più lasciati; ma non poteva farlo, e questo lo distruggeva più del non essere più in vita, ed il pianto della ragazza, seppur silenzioso, rimbombava nelle sue orecchie come la sirena di un allarme, che gli ricordava quanto inutile fosse il suo essere bloccato nell'Altro Lato.
Provò ad accarezzarle la guancia, ancora una volta, ed ancora una volta rimase deluso: la sua mano attraversava completamente il suo viso, e lui sentiva qualcosa frantumarsi dentro di sé: poteva il suo cuore spezzarsi ancora non essendo altro che anima, fantasma, invisibile?
- Spero che tu abbia trovato pace. - pensò ad alta voce la ragazza, portando alle labbra la tazza di tè che aveva nelle mani, ancora fumante; una lacrima finalmente le rigò il viso, mentre lui impotente cercava di asciugarla.
- Spero di trovarla il più tardi possibile, se trovare pace significa vederti morire. - sussurra prima di sparire, per non dover sopportare ancora un secondo di più il suo sguardo vuoto, spento, morto.

 

 

 

Klaus da tempo era appoggiato allo stipite della porta, ma non aveva avuto il coraggio di interrompere il primo momento di intensa intimità tra Elizabeth e il suo dolore; da mesi non aveva visto altro che una ragazza spenta, che cercava di nascondere, sopprimere i suoi sentimenti, diventando quasi un mostro senza emozioni, come quelli da cui aveva sempre voluto correre lontano.
La verità era che nel trasformarsi in un pezzo di ghiaccio, aveva completamente perso di vista la realtà, la sua vita, le persone che l'amavano.
Respingeva chiunque, persino lui, il quale primario obiettivo era proteggerla dal dolore, ed aiutarla ad uscire dall'oblio nel quale si era rinchiusa, e dal quale, sapeva, non sarebbe ritornata più.
Si avvicinò cautamente al divano, per poi sedersi al suo fianco: né troppo vicino, ma neanche troppo lontano, quel tanto che bastava per farle sentire che lui era lì per lei, in qualsiasi momento.
Le accarezzò una spalla, ma lei neppure se ne accorse, continuava a guardare nel vuoto, incatenando i suoi occhi al legno che scoppiettava e cadeva sul tappeto antico, il suo preferito.
Riusciva perfettamente a percepire il bruciore interno della ragazza, che la stava divorando pian piano, ed ironicamente pensò al fatto che il suo elemento era proprio il fuoco: non avrebbe dovuto proteggerla, invece di bruciare e spazzare via ciò a cui lei teneva di più?
Non sarebbe dovuto esistere un incantesimo, un antidoto, una qualsiasi dannata cosa che lei avesse potuto fare per suo fratello, invece che guardare la sua salma – costituita soltanto da ossa nere, deteriorate, ustionate - ?
- Vent'anni passati a costruirmi un muro alto migliaia di chilometri, e un secondo per distruggerlo, innamorandomi. - sussurrò Elizabeth, abbastanza forte da poter essere sentita dall'uomo al suo fianco.
- Più di mille anni passati a convincermi di odiare mio padre, e quando l'ho ucciso ho pianto di gioia e dolore insieme. - disse piano lui, con il suo solito accento inglese, la sua erre arrotolata, e per la prima volta una voce vagamente dolce e compassionevole.
Elizabeth stette alcuni secondi in silenzio, poi si voltò verso di lui, quasi accorgendosi solo in quell'istante della sua presenza.
- Cesserà mai quest'agonia? - gli chiese, e lui capì che tutto ciò che lei voleva era essere rassicurata del fatto che il suo dolore sarebbe sparito, prima o poi e sarebbe tornato a giacere in una gabbia, incatenato, in un angolo remoto della sua mente, del suo cuore, della sua anima.
Doveva fare la cosa giusta, e proprio per questo, aveva un suo effetto collaterale – No, vivrai per sempre con questa sofferenza, non ti abbandonerà mai, si attaccherà al tuo cuore e lo attanaglierà fino alla fine. - lei continuava a fissarlo con i suoi grandi occhi verdi, che non ricordava essere così particolarmente rossi e distrutti.
- Ma io sono qui, al tuo fianco. - le prese il viso e l'abbracciò, come una sorella più piccola, come l'amore della sua vita, come sua figlia, come sua madre, come sua nonna, come la donna più importante della sua lunga esistenza.

  
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