Sei
venuto qui per vedere il tuo desiderio realizzato a tre dimensioni tra i fiori
di loto; il mondo d'evasione dell'infanzia proiettato a ripetizione nell'età
adulta (qualcosa di metaforico, come, ad esempio, tenerti per mano ad una madre
immaginaria finché non hai scoperto la masturbazione); il miraggio che da così
tanto tempo prometteva l'invito
allettante di riflettori e amplificatori di alto livello. -Insieme alle fontane
di birra e al sistema divistico dal quale ti sei lasciato travolgere come un
mozzicone di sigaretta inghiottito dallo sciacquone del cesso- Un sole perpetuo, perfetto per nascondere la
desolazione di un grigio inverno, perduto negli abissi della memoria sotto un
pesante strato di neve. E in ultimo, l'invito verso una splendente libertà.
L'invito
a disfarsi nell'oblio, a morire senza accorgersene, a diventare vecchi
sembrando giovani, a spalancare le braccia credendo di aver raggiunto i confini
del mondo, per poi scoprire che quello che ti è rimasto in mano non è altro che
costosa polvere bianca e un vuoto incolmabile.
Un enorme
cartellone pubblicitario va a coprire l'intera facciata di un edificio, colori
sgargianti e abiti accattivanti per una nuova band lanciata ai fasti dei media,
poco importano i contenuti, l'importante è l'immagine e l'inganno.
Withe Oleander.
Nome
idiota per una punk band.
Ma forse
anche il nome Trapnest era altrettanto idiota.
O
meglio...
quel nome
era chiaro come la scritta sulla porta dell'inferno dantesco. Sarebbe bastato
prestarvi più attenzione.
Ma adesso
non ha più nessuna importanza.
E' ciò
che, quando sei arrivato, speravi ti avrebbe curato. Con cui speravi di essere
curato venendo qui -vale a dire, è il caso di sottolinearlo, ciò per cui
qualcun altro voleva farsi curare, poiché la tua malattia è stata la cura di
qualcun altro-
La città
freme nel traffico, nel vociare, nella frenesia di una società troppo di corsa,
troppo caotica, troppo arresa.
Sulle
prime sei deluso, perchè ti aspetti di vedere le stelle sopra la tua testa - le
stesse con cui Reira desiderava giocare- ma le sole che vedi sono quelle
plastificate appese ai lampioni che contornano i marciapiedi. Scintillanti di
lustrini, le lunghe file di negozi e ristoranti self-service, bar e banchetti
di hot dog Red Devil, cinema.... Ma non resterai deluso per molto, se scaverai
sotto la superficie di queste strade rutilanti di luci al neon per turisti.
Di fronte
il chiosco dei giornali, i professionisti dell'esistenzialismo, sfogliano libri
tascabili e le checche s'inseguono davanti alle riviste di culturismo, mentre
la signora dal trucco impeccabile che aspetta di partecipare a un congresso
dell'associazione genitori-insegnanti, compra una rivista di moda lanciando
occhiate significative ai teppisti delle superiori che fanno cagnara alle sue
spalle. Parole tonanti come il tema senza musica di questa strada.
Facce
imbambolate emergono dalle macchine parcheggiate nel buio: a prima vista
sembrano vuote finché erompe la favilla di un accendino e di colpo ti rivela un
paio d'occhi fissi nel volto ombreggiato dalla fiammella.
Forse
quello che cerchi.
Sarà bene
arrivare alla fine della strada, lontano dallo splendore fluorescente di luci
pastello, per frugarsi nelle tasche dove gli spinelli di marijuana attentamente
razionati per sogni artificiali non saranno mai un valido sostituto di quello
che ti manca.
Una
furiosa ricerca ancora insaziata. I sensi tesi come corde di violino, quasi
fossi ubriaco senza aver bevuto. E ti riscopri a pensare che, spesso, senza
preavviso torna il desiderio struggente di tornare a casa. La tua vecchia casa,
stretta e spoglia ma affacciata sul mare, con la vasca da bagno e posacenere
ovunque. Là dove tutto è cominciato. Là dove tutto è finito.
Lei non
sarà lì ad aspettarti. Lei sembra non esserci più da nessuna parte.
Lei..
Sfiori il
lucchetto che ti ostini a portare al collo.
Quei
giorni..
Butti giù
pasticche alla cieca, passate da una persona all'altra con più noncuranza di
una sigaretta. E poi sai come proseguirà. Come sempre. Snifferai allineando
strisce sottili sul lavandino di qualche cesso pubblico, e al risveglio,
ovunque sarai, invariabilmente sentirai un'apprensione improvvisa, perchè
dovrai affrontare lo specchio che ti fisserà livido, e tu cercherai Qualcuno;
eppure non vedrai chi vorrai vedere, bensì, in quell'ora mattutina -l'ora
del risveglio, che sia pomeriggio o sera- uno strano volto accusatore.. Te
stesso. Con occhi consapevoli e vacui che giudicherai non essere più tuoi: una
faccia violentata dalla sua consapevolezza.
Tornerà
l'immagine di quel qualcuno che hai perduto o smarrito da qualche parte
nei ricordi labirintici che riportano a una finestra serena... Ma nonostante
questo tu sai, naturalmente, che non sei più un "ragazzo" . Sei
ancora giovane, certo, ma dentro è come se si fossero snodate migliaia di anni
da quando hai lasciato quella finestra per salire su quel treno.
Staccandoti
dallo specchio ti sentirai trafitto dalla colpa. Una nuova pasticca ti aiuterà a formulare una
nuova domanda.
Ma quale
colpa? Forse la tua colpa è un modo contorto di chiedere scusa per vivere in un
mondo di cui non ti senti responsabile.
E un
altro giorno sarà trascorso. Ma a che serve che un giorno trascorra così
facilmente, quando d'improvviso c'è il sole divorante e un altro giorno,
un'altra vuota distesa di tempo prima che tu possa di nuovo nasconderti?
E' meglio
svegliarsi di notte, così da non dover snebbiare gli occhi e il tuo io oscuro
per adattarli al sole.
In quel
sole dove ricomincerà di nuovo il tentativo di riempire il nulla con qualcosa,
con qualunque cosa!
Ti
trascini di nuovo per le strade. Ancora tra le orde di persone e alle loro voci
ovattate, come un vinile che gira lento e sregolato su di un vecchio giradischi
anni 70. Nessuno sembra riconoscerti. Nessuno sembra fare caso a te. Se non
qualche perbenista in giacca e cravatta che scuote contrariato la testa al tuo
passaggio.
Da uno
dei locali, affollato della più disparata umanità, il tuo orecchio distingue
bene la radio ad alto volume e la voce
del dj (uguale a quella di mille altri dj) che commenta il pezzo di un band
sulla quale i riflettori si sono spenti già da tempo.
-Se non
li ricordate vi rinfrescherò la memoria, questi sono i Trapnest con Wish-
Che
beffa. E sogghigni divertito dell'ironia del destino mentre la voce magnifica
di Reira ti accompagna ancora per qualche metro.
E mentre
ascolti le parole di quella canzone che tu hai scritto, sopra i rumori della
città e lo strepitio delle strade, hai l'improvvisa sensazione di aver sognato
per lungo tempo. O meglio, di essere stato nel sogno di qualcun altro.
E in
quanti altri sogni?
Eri un
figo raffigurato in centinaia di poster, la posa da duro, lo sguardo incurante
eppure ardente. La tua immagine appesa in chissà quante stanze di eccitate
ragazzine che avevano scritto di te, del loro idolo sul loro diario. In questo
modo hai invaso i sogni degli altri, quelli che cercavano in te non ciò che sei
veramente ma ciò che loro volevano trovare.. Sei esistito solo come un aspetto
di quei sogni inesauditi.
Le loro
vite, i loro desideri che durano giorni, anni, e continuano molto dopo che ne
sei uscito, tu che sei stato presente solo in una minuscola capocchia di spillo
della loro vita che sta proseguendo senza di te, ora che non sei più nessuno.
Già,
perchè come sarà ricordato Ren dei Trapnest? Se mai lo sarà, da quelle
centinaia e centinaia di voci adoranti in quel lungo addio in cui si trasforma
la vita?
Sei
semplicemente passato come una folata di vento.
Nana,
se mi lascerai morire allora tu morirai con me
Il tuo
dito è premuto al campanello. Una strada buia, deserta. L'ostinazione ubriaca
che non ti fa desistere dal tuo intento. Forse sta dormendo. Forse è con
qualcuno. Forse hai sbagliato casa, hai sbagliato quartiere, hai sbagliato
tutto. Stai sbagliando tutto. Ancora e ancora.
di
nuovo il tentativo di riempire il nulla con qualcosa, con qualunque cosa!
Rinunci
traendoti da parte contro il muro della palazzina, sentendoti spezzare da
un’ondata di depressione; una depressione resa cento volte più spaventosa dal
fatto che ha a che vedere con la vulnerabilità. –come le mille paure senza nome
sperimentate nel buio quando sappiamo che qualcosa si acquatta lì in agguato-
Chiudi
gli occhi alla nebbia fitta che li invade.
-è molto
che sei qui?-
Quando li
riapri vedi in piedi davanti a te un ragazzo capace sempre di sorprendere per
la bellezza che lo caratterizza. Ha le mani affondate nelle tasche e non sembra
per nulla sorpreso di trovarti lì.
Ma
dopotutto ha imparato a non sorprendersi più di nulla già da parecchio tempo.
-ho
suonato il campanello- dici massaggiandoti gli occhi –non rispondevi-
-probabilmente
non lo hai notato ma non ero in casa. Le riprese sono finite mezzora fa e sono
arrivato adesso- e estrae le chiavi di casa da una delle tasche. Il portachiavi
è un semplice filo di raso rosso che le tiene unite. Fa scattare la
serratura d’ingresso. Due rampe di scale per arrivare all’appartamento. Nessun
ascensore.
-ce la
fai a salire le scale?- ti lancia un’occhiata ironica
-ovvio-
ti concedi un sorrisetto.
Fuori, un
furgone di hot dog fuma sinistro come un relitto dell’inferno.
Le
persone con cui vado, forse saranno frivole, ma sono anche incredibilmente
sole. Due corpi che si scaldano a vicenda danno l’illusione di due anime che si
toccano. Poco male se è un inganno. Illudersi alle volte è una buona medicina.
Provato
dalla risoluta eiaculazione, giunta dopo che l’avevi trattenuta fino al momento
vero e proprio della liberazione, in spasmi doppiamente orgasmici, quasi avessi
cercato di prosciugarti di qualcosa che andava oltre il mero sperma, ti sei
disteso sul letto e ti sei addormentato all’istante. Svegliandoti con la stessa
subitaneità –vigile, come se qualcuno ti avesse chiamato- lo vedi ancora
disteso sull’altro lato del letto, intento a guardarti con gli occhi azzurri
freddi come schegge di vetro. Occhi di chi ha visto e vissuto troppo e troppo
in fretta.
-Sono
così interessante?- allunghi le braccia fino a toccare la spalliera del letto
scuro, fuggi lo sguardo rifugiando gli occhi sul soffitto scrostato.
-dovresti
dare un’imbiancata qui dentro- commenti senza pensare, portandoti una sigaretta
alle labbra –sembra la tana dell’uomo ragno-
-Aveva
uno tana? Comunque non ne varrebbe la pena, non ci starò ancora per molto-
porta il braccio verso di te, nella sua
mano brilla un accendino. E’ davvero sobrio e differente da quello che una
volta portava al collo.
-ah no?
Hai deciso di migrare?- il fumo azzurrognolo si solleva sopra la tua testa
-più che
altro ho esaurito i soldi per l’affitto- seguita a guardarti, ti sta studiando.
Lo fa ogni volta. La capacità di Shin nel cogliere le più varie sfumature
dell’animo umano si è affinata negli anni. Così come l’arte di inventare se
stesso e chiudere a scompartimenti le emozioni perché, ormai, il suo animo ha
decisamente troppe cicatrici per permettersi la debolezza di procurarsene delle
altre.
- mi è
spuntato un brufolo da qualche parte?- ironizzi incrociando il suo sguardo – è
per questo che mi fissi?-
-no- dice
svogliato – e per rispondere alla tua prima domanda: non sei affatto
interessante-
-grazie
tante- l’ultimo sbuffo di fumo, l’odore a mischiarsi con quello del sesso
-nonostante
tu sia sempre fatto, la strada per arrivare fin qui la trovi- e non c’è nulla
di particolare nel suo tono, è solo una constatazione.
-In compenso
non ricordo mai dove abito io- le crepe sul soffitto ti rendono davvero
malinconico – o magari non voglio ricordarlo. Credo che presto nemmeno io sarò
più in grado di pagare l’affitto-
In
fretta, ti drizzi a sedere tra le lenzuola arruffate e tendi la mano verso i
vestiti sparsi sul pavimento
-hai
notato che tra tutta la roba che finisce per terra le mutande sono sempre le
più difficili da ripescare?-
-questo
perché presti poca attenzione ai dettagli. E’ sempre stato un tuo vizio-
-Mh, è
strano sentirsi criticare da uno che una volta vedeva in me un obbiettivo da
raggiungere-
- Peccato
che chi volevo raggiungere fosse portato alla distruzione tanto quanto il
sottoscritto- ti tende un’altra sigaretta, ben conscio di come il colpo sia
andato a segno. Non puoi ribattere ma solo constatare che Shin ti ha fatto
nuovamente oltrepassare lo spartiacque sicuro costruito dalle pastiglie, dalla
coca e dall’alcool. La pacatezza della sua voce, la sua calma, ti porta sempre
ad entrare in una marea di follia. Non c’è nulla di razionale in quello che
fate. L’unione dei corpi è solo ricerca di una liberazione reciproca. Poco
importa il limite dell’entità sessuale o della morale. Sono cose di cui non ti
è mai fregato niente. Le limitazioni non si adattano certo all’anima randagia e
irragionevole di un musicista. Se ancora puoi considerarti tale.
-Sei
sempre un cecchino impeccabile- ti lasci cadere di nuovo sul letto a simulare
un uomo colpito a morte. Non è distante dalla verità.
-come
mai..- non lo guardi –.. nel momento in cui l’orgasmo è finito, o nel momento
in cui non se ne ha memoria.. come mai le persone vogliano andarsene, quasi
volessero dimenticare con qualcun altro quello che è successo fra loro, e che
succederà ancora e ancora, e di nuovo dovrà essere dimenticato?-
-oh,
questo è un chiaro riferimento?- Shin apre una birra riesumata da sotto il
letto – una domanda di un ex musicista ad un ex boy toy, dovrò trovare una
risposta soddisfacente-
-Non ti
sto chiedendo nessuna risposta, Shin. Per la maggior parte delle cose le
risposte valgono poco- lo guardi
sottecchi, il profilo ormai adulto, i capelli castani tenuti lunghi a
solleticare le spalle nude. Un gioco di luce per un attimo te lo fa riapparire
ragazzino, capelli azzurri e un audace pearcing
(che hai sempre giudicato pericoloso) a caratterizzarlo. E più di tutto
non puoi scordare gli sguardi d’ammirazione incondizionata con il quale ti
accoglieva in passato. Anche quelli sono soltanto un pallido riflesso in iridi
troppo azzurre da sostenere con lo sguardo.
-boy
toy?- esclami poi sorridendo
- sono
mai stato qualcosa di diverso?- Shin sorride della bugia che è stata la
sua vita e quel sorriso è molto più
simile ad una smorfia
- un
musicista-
-uh uh-
-dico
davvero-
-lo so-
ti bacia e senti il liquido ambrato della birra invaderti la gola – un
musicista e un boy toy. Non me ne vergogno di certo. Ho avuto più donne di
quanto ne potevi vantare tu alla mia età-
-che ne
sai! Vuoi che ci mettiamo a fare i conti?!-
-ti batterei
su tutta la linea, Ren-
Ridi –
sei agguerrito. Ma adesso sei a letto con un uomo..- lo canzoni e vorresti un
altro goccio di birra. Shin ti passa la lattina prima di avvolgere stancamente
le braccia intorno al cuscino e lanciare uno sbuffo divertito.
-Non fa
una gran differenza. Il sesso è sempre sesso. E poi ho sempre creduto nella
necessità di rimuovere la vergogna legata alla sessualità e ai limiti
dell’appartenenza sessuale. Se fossi stato appresso alle limitazioni mi sarei
già suicidato da tempo- chiude gli occhi ma non per la stanchezza.
-come
siamo profondi-
Le labbra
abbozzano un sorriso – forse mi sto solo tutelando- il tono di voce basso –
come se ne avessi davvero bisogno. Se fossi stato un cultore del moralismo non
avrei mai potuto fare il boy toy e andare con donne più grandi di me, ti pare?-
-Non c’è
dubbio. La penso esattamente come te,amico- lanci la lattina ora vuota da
qualche parte nella stanza, il tuo obbiettivo era il cestino accanto al
televisore, ma hai sbagliato di molto la mira.
di
nuovo il tentativo di riempire il nulla con qualcosa, con qualunque cosa!
-perché
lo facevi?- ti riscopri a domandare d’un tratto. Figurandoti l’immagine di un
quindicenne tanto abile come amante da suscitare l’interesse di un numero
indefinito di donne pronte a mettergli un pacchetto di soldi in tasca per
elemosinare piacere o, a volte, illudersi di possedere qualcosa.
-i soldi
sono un buon motivo- risponde incolore, eppure sapete entrambi che ti stai
avventurando su un sentiero molto più irto di quel che può sembrare. Per cosa,
poi? Hai ottenuto la tua ora di roseo limbo, ora potresti benissimo tornartene
in strada e darci dentro di nuovo, sballarti con la buona probabilità di finire
addormentato da qualche parte, magari
sopra i sacchi della spazzatura e rischiare di non svegliarti più. Sempre più
spesso l’idea ti sembra la soluzione finale ad ogni cosa.
Shin ha
gli occhi nuovamente aperti ma non sta guardando te. Sta guardando il suo
passato, gli scorre davanti come una pellicola vista e rivista di cui conosce a
memoria ogni fotogramma,l’amara certezza di non poterne tagliare o modificare
nemmeno uno.
-mi
aggrappavo a loro- esordisce, ancora con lo sguardo distante mille miglia, come
stesse parlando più con se stesso che con te. – Loro mi cercavano, mi pagavano,
ed io mi sentivo desiderato. Credevo che il fatto di andare con donne più
grandi dipendesse solo da un fattore economico. Una della mia età non avrebbe
mai potuto pagarmi, giusto? E io avevo bisogno di soldi. Però…- sembra farsi
più piccolo tra le lenzuola, la frangia a velare occhi indefinibili – forse non
era solo per questo. Avrei potuto trovare un lavoretto normale, anche se
minorenne qualcosa da fare l’avrei trovato comunque. Ma non ci ho mai
minimamente pensato. Forse è per questo che sono finito in galera così
facilmente- scosta i capelli dalla fronte, tu seguiti a guardarlo, ad attendere
il seguito come se tra il suo passato e il tuo ci fosse una correlazione simile
al filo rosso che tiene unite le sue chiavi di casa, o, ancora più sconvolgente,
simile al lucchetto che porti al collo.
-talvolta
ho pensato che dipendesse da mia madre- sembra arreso al suo stesso pensiero
– roba freudiana, ti pare? Magari andavo
con donne più grandi per rievocare un calore materno mai conosciuto. Quando il
sesso finiva mi abbracciavo a loro e mi sentivo bene. Mi piaceva il calore
protettivo dei loro corpi, le loro braccia avvolte intorno a me. Come se i
ruoli si fossero improvvisamente invertiti. Poi però quando riaprivo gli occhi
mi rendevo conto della verità, come un ubriaco che smaltisce la sbornia. Quindi
non mi facevo più alcun problema ad accettare i loro soldi e a spenderli nei
miei capricci adolescenziali-
Vi
guardate per un lungo istante. Siete cresciuti entrambi in fanghi troppo densi
per poter provare compassione l’uno per l’altro. E’ un sentimento che non vi è
mai appartenuto. Ed è questa la prima cosa che vi rende simili.
Shin si
rigira nel letto. Gli occhi puntati al soffitto, le braccia allargate come
fosse stato crocifisso, le dita sottili della mano destra a sfiorarti appena la
spalla.
-Abbiamo
avuto tutti e due un sacco di donne, Ren- commenta poi, come stesse parlando
del tempo –ma tu a differenza mia ne hai avuta una che ti ha amato-
T’irrigidisci
e l’effetto che ti ha fatto quella frase ti lascia in balia di pensieri troppo
cupi per avere il cuore di manifestarli.
Shin
intanto continua a guardare il film della sua vita, proiettato sul soffitto
scrostato. “Un film di terza categoria, con attori troppo prevedibili” pensa,
mentre le sue iridi si ingrandiscono sotto il peso dei ricordi.
“Una
lussuosa camera d’albergo, una donna di una bellezza intensa, lo sguardo vivace
e il sorriso di bambina.. Mentre la guardava Shin si era chiesto perché una
donna del genere pagasse per avere ciò che con ogni evidenza avrebbe potuto
facilmente trovare in un rapporto di
scambio reciproco. Ed era arrivato alla conclusione che forse era un altro il
motivo che l’aveva spinta a dargli dei soldi fondamentalmente non richiesti.
Una sensazione improvvisa, non motivata da nulla che sia effettivamente
accaduto. Eppure forte. Quante volte, incontro dopo incontro, il denaro era
rimasto sul comodino come una realtà sempre presente e tuttavia non
riconosciuta..
-Ti amo,
Shin-
E’ stata una bella bugia, Reira”
-Lo hai
fatto ancora- esordisci e riporti Shin accanto a te, al presente. Per quanto
sfasciato possa essere.
-cosa?-
-lo sai-
-oh- e ti
guarda con un’ironia rimproverante mentre tu prendi l’ennesima sigaretta,
ricordandoti poi che hai ancora qualche canna nella tasca della giacca e che
forse il rimedio sarebbe più efficace, tanto più che non hai accanto un bambino
per cui preoccuparti di dare cattivo
esempio.
-non
parlarne risolve tutti i tuoi problemi, Ren?-
-magari
non li risolve ma di certo ne contiene la valanga- sei stizzito, vuoi
l’accendino ma Shin ci giocherella passandoselo fra le dita e sembra non avere
intenzione di accontentarti.
-infatti
basta guardarti-
Gli
strappi l’accendino di mano e ruggisci un –finiscila- che non lo scompone.
- Continuando
a scappare e a ridurti una larva le cose secondo il tuo punto di vista si
sistemeranno?-
-nessuno
ti ha chiesto di preoccuparti della mia vita, ragazzino-
-la
storia del “ragazzino” non attacca più da un sacco di tempo- scandisce bene le
parole e tu sei combattuto tra il prendere ed andartene o il restare e vedere
stavolta dove ti trascinerà la marea.
- di cosa
vuoi che ti parli, Shin? C’è ancora qualcosa che potrei fare o dire che
potrebbe cambiare la situazione? Mi pare di no. E tu sei l’ultima persona che
può permettersi di farmi la paternale-
-Tu dici?
Io non ho nessun problema a parlare di Reira, se è a questo che ti stai
riferendo. Non ho nessun problema ad ammettere che sto ancora soffrendo, così
come potrei ammettere molte altre cose più pesanti sul mio conto. Ma così ti
darei solo delle scusanti per non esporti. Quella tra te e Nana era una cosa
diversa-
-E questo
ti da un diritto in più nel giudicarmi?-
-Non ho
quasi mai giudicato nessuno Ren, non inizierò a farlo ora. Sto solo guardando
la persona che ho davanti e non posso fingermi sordo e cieco-
- Se era
un sermone quello di cui avevo bisogno sarei andato da Yasu- sbotti rinunciando
ad accendere la sigaretta. La mano trema troppo, hai bisogno di un po’ di
polverina. Solo un po’.
Posso
smettere quando voglio
Shin
scuote lentamente il capo –non andresti mai da Yasu-
-ah no?-
-no
perché ti vergogni-
Touché.
Scoppi in una risata liberatoria, tutto quello che hai ingoiato sembra volersi
sfogare a questo modo.
-hai
ragione- confermi sprofondando la faccia nel cuscino – mi vergogno, e non
sopporterei il suo sguardo. Non sopporterei nemmeno la sua voce. A volte
l’amore e l’ammirazione che provo per Yasu si trasformano nei loro esatti
opposti. La gelosia è un sentimento abbietto, dicono-
- dicono-
anche lui ride, e sai che Shin ha provato un sentimento comune.
-e
constatato questo, Shin, dove vogliamo arrivare? Sarei il mio redentore?-
-non ti
servirebbe a nulla, e sono ben poco adatto. Nobu non te lo ha mai detto? Ho la
lingua pronta e una mente svelta, ma la mano troppo scivolosa per poter tenere
quella di qualcun altro-
Ti
concedi un ghignetto e con una mano sotto il lenzuolo gli sfiori la gamba –
Nobu non ha mai detto niente del genere. E’ un pensiero troppo contorto per una
mente ingenua come la sua-
-forse-
-e allora
se non vuoi salvarmi, perché mi accogli nel tuo letto, Shin?-
-per lo
stesso motivo per il quale tu ti ci infili con tanta disinvoltura-
non avrei mai voluto nascere
Ti
sporgi, gli afferri i capelli per la nuca e porti la tua bocca alla sua. Gusto
di tabacco, alcool e lacrime mai versate. E’ una miscela intensa, abbastanza
potente da far fluire la marea del dolore.
Il punto
che vi accomuna. Due randagi e il loro dolore.
Lo spingi
sotto di te, e non hai mai voluto chiederti perché si lasci sottomettere così,
benché il suo corpo sia ora più robusto del tuo e le sue gambe forti e
perfettamente in grado di disarcionarti. Forse è perché Shin ti vede. E vedere
è diverso dal guardare. Shin vede, si accomuna a te, l’idolo della sua
adolescenza che per un sacco di tempo ha desiderato emulare, e per questo ti
concede un appiglio. Un rifugio caldo dopo riversare te stesso e il grido della
tua anima che ha il suono acuto e stridulo di una gibson che è stata messa a
tacere. Shin accompagna i tuoi movimenti e non ti chiede perché tra tante porte
hai scelto la sua. Lo sa già. L’ha
saputo fin dalla prima volta. Quando negli occhi non avevi altro che un mondo
opaco come un vetro sporco, le braccia formicolanti e il corpo instabile nei
movimenti. Quando lo hai preso senza rendertene conto e lui ti ha lasciato fare
per quella tacita sofferenza che comprende. In fondo, non aveva più nulla da
perdere. Shin ha lasciato la stima di se stesso in una scatola di giochi per
bambini. La tua invece… quale treno ha preso?
“Ti
stai sbagliando Ren, tu non sei assolutamente una persona gelida. Man mano che
le nostre vite vanno avanti i nostri cuori sono costretti a reggere pesi più
grandi e questo ci porta a non comportarci come vorremmo. Ecco perché è
necessario trovare qualcuno che ci aiuti a sopportare quei pesi.
Non
può essere così con lei?
No.”
Ancora
una volta i pensieri convergono in un sentiero pericoloso. Le mani di Shin ti
arpionano le spalle, senti le sue dita premere forte sulla pelle e questo ti
costringe a guardarlo negli occhi. E’ come tuffarsi nel mare, arrivare ad una
profondità inaudita e non avere più aria nei polmoni per poter tornare in
superficie.
Dio,
ma sono solo!
Lo pensi
d’improvviso e guardi stupito il suo viso, mentre i vostri corpi sono ancora
allacciati e l’affanno del respiro è l’unico suono che anima la stanza. Shin ti
guarda a sua volta come se per una via segreta avesse condiviso quella
fantasmagoria inquietante di volti che tenti inutilmente di cancellare con
volti nuovi, le facce che continuano ad assillarti come volessero punirti per
non aver dato veramente, o non essere stato in grado di dimostrarlo veramente.
Nana
Il suo
egoismo
Il tuo
egoismo
“Sposiamoci”
Ti
abbracci a Shin come un bambino, e la fottuta debolezza che hai sempre nascosto
sotto un’aria spavalda alla Sid Vicius, una maschera perfetta, ritorna, rompe
le barriere e scivola dai tuoi occhi. Non vorresti piangere, ma al diavolo
ormai ogni più inutile forma di orgoglio. Sei rotto in pezzi e nessuno potrà
mai aggiustarti, perciò, al diavolo ogni cosa. Spinto fino a questo punto,
impulsivamente, non hai più bisogno di curarti di quanto hai rivelato di te
stesso.
-Non vuoi
più provare nessun tipo di emozione?- con le mani ti circonda il viso, come un
fratello maggiore che consola il più piccolo dopo un incubo troppo lungo e
spaventoso. Ma il maggiore dovresti essere tu.
Valuti
quello che ha appena detto e non riesci a risponderti. Come se dentro di te fosse
stato premuto un bottone che impedisce l’evolversi dei pensieri, stagnanti come
acqua ferma.
-Io la
pensavo così- continua Shin – quando lei ha scelto, mi sono detto che non avrei
mai più voluto provare emozioni per nessuno-
“Sai
Reira, se ora mi dicessi che ti senti sola, volerei a Londra in un battibaleno.
Andrei ovunque se questo servisse a scaldare il tuo cuore e il tuo corpo, non
tanto, ma almeno quanto un raggio di sole scalda il mare freddo d’inverno.
Dicendo queste cose mi sento più bambino che mai, ma per me ora tu sei la cosa
più importante. Non so cosa mi porterà il domani ma non ho paura. Perdonami se
sono un egoista”
-Anche
quando mia madre morì pensai la stessa cosa. Mi dissi: Non ho mai amato
nessuno. Per non soffrire. Ma questo era davvero infantile. Le cose da cui
scappi prima o poi ti raggiungono. Sempre.-
Riprendi
il contegno, il controllo dei nervi. Ti rendi conto che sei ancora dentro di
lui e che lui continua a tenerti il viso tra le mani. Forse ha paura che una
volta lasciato di sbriciolerai come creta grezza.
Ren,
ti voglio chiedere una cosa. Se io morissi, tu moriresti insieme a me?
-l’ho
già fatto- rispondi
alla voce indimenticabile che echeggia nella mente. Shin non capisce. Tu scuoti
il capo, di nuovo prendi le sue mani e le appoggi sul tuo corpo. Sono fredde,
molto fredde. Il tuo peso a premere su di lui.
Tutto
finito. Gli orgasmi hanno nuovamente separato le due dimensioni. Tu e Shin,
anime che sono arrivate a conoscersi fin troppo intimamente, scavando troppo a
fondo e trovando troppa parte del mondo disprezzato in ciascuno.
-ciò che
ti lasci alle spalle ti raggiunge sempre?- chiedi prima che l’oblio del sonno
vi colga entrambi, complici e cospiratori della vostra disfatta. Shin annuisce,
scostandoti i capelli neri e sudati dalle tempie.
- e
allora rispondi a quest’altra domanda, Shin- fuori lo scrosciare improvviso
d’un acquazzone, l’acqua battente, furiosa sui vetri.
-un uomo
può continuare a vivere senza volontà? Senza un cuore, senza uno scopo. Un uomo
che si trascina vuoto, non è forse morto?-
-sei
morto, Ren?- ti chiede serio, le sue
mani ti abbandonano e la mancanza di quel contatto è nostalgica e liberatoria
al contempo.
Fissi i
suoi occhi, scruti la tua piccola immagine riflessa in essi e la risposta ti è
chiara.
-sì-
rispondi –sì-
Hai
mantenuto fede alla tua promessa.
Shin
distoglie lo sguardo ma non sembra sorpreso dalla risposta. La conosceva già. E
fin dal principio non ha mai avuto la pretesa di cambiare la situazione.
Osserva curioso le gocce d’acqua scivolare lungo la superficie liscia del
vetro, intravedendo, attraverso le tende sottili della palazzina di fronte,
sagome riflesse nel chiarore azzurrognolo da acquario dei televisori.
-resta
qui a dormire, sta diluviando- lo dice pur sapendo che la cosa non t’importa.
Non farebbe differenza vagare sotto la pioggia per te. Nessuna differenza. Ma
annuisci e resti accanto al suo corpo, il solo calore umano che ti concedi da
quell’estate lontana.
– Hachi
mi ha chiesto se ci sarai alla stanza 707 per andare a vedere i fuochi sul
fiume tutti insieme..- sei grato di quel tentativo d’ingenuità da parte sua.
Gli sfiori una guancia e poi indichi il vetro. –non ci saranno fuochi
d’artificio-
Shin
arriccia le labbra in uno strano sorriso, l’ultimo degli innumerevoli che ti ha
concesso in questa nottata che per il resto del mondo risulterebbe priva di
senso, ma che per voi, chiusi in una dimensione senza più giudizio, ne ha avuto
molto più di quanto voi stessi riusciate
a concepire.
Nel buio,
nel respiro regolare di chi dorme accanto a te, pensi che forse domani ci sarà
il sole. Che forse i fuochi verranno fatti ugualmente, e Yasu t’accoglierà con
un sorriso e tornerà ad essere la figura paterna alla quale ti sei troppo
spesso aggrappato. Magari riuscirai a buttare la roba nel cesso. Anche solo per
un giorno senza sentirne il bisogno. Riuscirai a non investirti di colpe. Della
colpa. E scherzerai con Nobu come una volta, entrambi fingendo che tutto
possa tornare a posto. Guarderai gli occhi di Shin ogni qualvolta i tuoi nervi
staranno per cedere e sorriderai raggiante ad Hachi e al suo matrimonio
fallito, non badando all’anello di diamanti che si ostina a portare al dito,
proprio come fai tu con un lucchetto ormai vecchio di secoli.
Lo
stesso anello.
Sì, forse
ce la farai.
Sperimentando
quell’unica vera morte, che è la morte dell’anima. La morte dell’anima, non del
corpo, a creare gli spettri, e tu ti senti uno spettro, prosciugato di tutto
ciò che rende sopportabile questa viaggio senza salvezza. La tua mano si ferma
sul cuore. Un cuore freddo perché a un passo dalla resa, anche se ignori il suo
grido di cibo, da qualunque fonte provenga (ma forse non è proprio così,
altrimenti non saresti sdraiato su questo letto) per sostentarsi nell’attimo prima
che la scintilla morente venga soffocata.
Chiudi
gli occhi all’oscurità, ricerchi ancora il calore del corpo vicino al tuo. Per
farti male di più, puoi immaginare che sia lei, che il respiro che ti solletica
l’orecchio sia il suo. Ma preferisci chiudere gli occhi e “tornare” a casa, a
un magazzino scalcinato che ti è stato dimora per tanto tempo.
Qui,
presso un’altra finestra, ti volterai a guardare il mondo e cercherai di
capire.. Ma forse, misteriosamente, tutto è al di là di ogni spiegazione. Forse
è altrettanto futile che tentare di catturare la pioggia o il vento.
E piove,
ancora,qui.
Per
quanto serri le finestre o tiri le tende o cerchi di nasconderti o di
ripararti, la pioggia è lì. Impossibile sfuggirle.
La senti
ancora cadere. Sai che sta sempre lì. In attesa.
Realizzi.La
soluzione non esiste. Un cerchio che si avvolge su se stesso senza principio,
senza fine.
Le nuvole
si precipitano rabbiose per il cielo nero. Si lanciano l’una contro l’altra
come a darsi battaglia. Ogni anno, dopo la neve d’inverno e la pioggia, si ha
la consapevolezza sbalordita che presto arriverà la primavera e l’estate, con
le foglie verdi sugli alberi scheletrici, lasciando presagire una rinascita
potenziale.
Ma una
nuova sferzata di pioggia contro il vetro, soffoca questa illusione.
E allora
capisci che quello che ancora non è successo non succederà mai.
Che
quella speranza è un fine in sé.
Sentiti
libera di vivere come preferisci
Sentiti
libero di morire come preferisci
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Note: era
da qualche giorno che mi ronzava in testa l’idea di scrivere qualcosa sul caro
signor Honjo, e questo ne è stato il risultato.
La cosa che più mi è piaciuta è stato farlo interagire con Shin e aprire
così due finestre sulle loro rispettive vite. Detto questo il mio intento non
era certo quello di creare una storia d'amore tra i due (diciamo che la cosa è
nata dopo aver letto il 13 v della Nana colletion dove i due amoreggiano seppur
in ironia) , e nonostante l'atto fisico penso di aver un po' reso quanto invece
siano soli con i loro pensieri. Per questo non ho messo l'avvertimento shonen ai.
Infatti se per Shin sarebbe stato più possibile accantonare Reira in un angolo
del cuore, per Ren trovo sia praticamente impossibile togliere Nana. Fatto sta
che adoro Shin e Ren e mi piacerebbe portare avanti ancora qualcosaltro su di
loro. Chissà.
Intanto
mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di questa ficcina ^^
(ve ne
sarete già accorti da soli ma le frasi in corsivo sono per la quasi totalità
prese dal manga)
see ya