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Autore: hanaemi_    30/01/2014    1 recensioni
[Crossover: Hetalia x Supernatural
Personaggi: Dean Winchester (2° stagione) / Elizaveta Héderváry]
N.B. Non intendo modificare la storia originale, ma hey, talvolta "crossover è bello"!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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Supernatural - Two hunters, one story

 

{Fandom: Axis Powers Hetalia x Supernatural
Personaggi: Dean Winchester; Hungary
Parole: 951(grazie a: http://www.freetiamo.altervista.org/index.php/conta-parole.html)}



“Dean, ho bisogno di un ginecologo.” disse a un tratto Eliza, voltando la testa a guardare il ragazzo, perplesso dalla sua affermazione.
“Un ginecologo? E perché mai? Non stai bene?”
“E’ affar mio, Dean. Prendi la prossima uscita e portami da un cazzo di ginecologo.”
“Io non ti porto da nessuna parte se non mi dici perché.”
“Perfetto, allora accosta, così ci vado da sola.”

Dean si girò verso di lei e la guardò fissa negli occhi, tante cose pronte a uscire dalla sua bocca, ma si trattenne e ritornò con lo sguardo sulla strada, alzando il volume della radio. All’uscita per Texas City, il ragazzo decelerò e la imboccò, lanciando una fugace occhiata all’altra. Perché tanto mistero? Tutto ciò gli puzzava, e anche molto. Però non disse nulla, voleva vedere dove sarebbe andata a parare.
 
Alla fine riuscirono a raggiungere la città e andarono al Mainland Medical Center, un ospedale tranquillo e circondato da un immenso prato verde.
 
“Vuoi che venga con te?” domandò Dean a Liz cercando di essere il più pacato possibile, una volta che ebbe parcheggiato e spento il motore.
La ragazza scosse il capo e si stiracchiò, slacciandosi la cintura.
“No, tranquillo. Aspettami qui, cercherò di fare subito, okay?” rispose, indaffarata a cercare una qualche carta d’identità o cartellino falsi per riuscire a passare subito nel reparto di ginecologia. Una volta fatto, poi, gli posò una mano sulla spalla e scese dalla Chevrolet, avviandosi così all’entrata. Dean non la perse di vista neanche un attimo, distogliendo lo sguardo dalla sua figura solo quando scomparve dalla sua vista. Sospirò, abbassando il finestrino e posando il gomito sinistro fuori, per poi accendere la radio e mettere i Led Zeppelin al massimo volume, cominciando a canticchiare a bassa voce. Era nervoso, non si era capito?
 
“Allora…allora c’avevo visto giusto.” Disse Liz, le mani incrociate in grembo e il capo chino verso il pavimento, la mente che vorticava in balia di mille pensieri.
“Sì. Mi spiace, signorina Thompson.” Sussurrò la dottoressa, carezzandole una spalla per poi uscire dall’ambulatorio.
La ragazza si sedette sul lettino da cui si era appena alzata dopo aver fatto l’ecografia e si posò una mano sul ventre piatto, sospirando lievemente. Era rimasta incinta e aveva perso il bambino. Il suo bambino. Il loro bambino, suo e di Dean. E per tutto quel tempo, circa quattro settimane, non si era accorta di nulla. Il ciclo le era venuto, non aveva avuto dolori, niente che facesse presagire un inizio di gravidanza, insomma. Aveva continuato a combattere e cacciare demoni e spettri come sempre, senza avere problemi. Era questo ciò che faceva e che amava fare, non era portata per essere la brava donna di casa con marito e figli. Amava la libertà, l’avventura, e il cacciare creature soprannaturali era il lavoro adatto a lei. Eppure…eppure ora, dopo aver avuto la conferma che era stata vicinissima dal diventare madre, quasi si sentiva morire, come se avesse avuto parte della colpa. Ovviamente non era così, ma aveva questo peso addosso che la faceva stare male. Ora, però, non poteva crollare. Doveva tornare da Dean, e lui non doveva assolutamente sapere nulla di ciò che era successo. Anche perché…anche perché loro erano semplicemente colleghi e nulla di più. Lo avevano messo in chiaro sin dall’inizio, erano una squadra, ma solo sul campo di battaglia. Al di fuori erano due lupi solitari, come amava definirsi lui. Due lupi solitari che però, una sera, si erano trovati e si erano appartati nel retro della macchina, dandosi da fare senza troppi complimenti. Ma da dopo quella sera, niente di più. Non un bacio, non una carezza, niente. Come se nulla fosse accaduto.


“Eliza, noi non siamo fatti per stare insieme. Se…se dovessi affezionarmi a te come un uomo si affeziona alla propria donna, io non so se sarei mai in grado di portarti ancora con me a combattere. Capisci?”
 
Un sorriso amaro comparve sul volto della ragazza al ricordo di quelle parole. Già, nessun legame, nessuna relazione. Tirò sul col naso, deglutendo sonoramente, cercando di stamparsi sul viso un’espressione che non lasciasse trasparire la sofferenza interiore che la travagliava, e uscì dall’ospedale, ritornando alla macchina.
 
Un quarto d’ora. Venti minuti. Mezz’ora. Quaranta minuti. Per Dean l’attesa era interminabile, odiava dover aspettare. Controllò per l’ennesima volta l’orologio, ringhiando a denti stretti un “Quanto cazzo ci mette…”, quando finalmente la vide arrivare, mani nelle tasche dei jeans ed espressione tranquilla. Buttò il capo contro  lo schienale, sospirando di sollievo, per poi raddrizzarsi e allungarsi ad aprirle lo sportello.

“Era ora, diamine! Avrò risentito “Stairway to Heaven” almeno tre volte!”
“Non mi freghi, cocco. L’hai risentita perché ti piace e ogni volta che la cassetta arriva a quella traccia la metti varie volte di seguito.”
rispose lei semplicemente, infilandosi in auto e sistemandosi, accennando un mezzo sorriso soddisfatto.


Il ragazzo scosse il capo e posò un braccio sul volante, sorridendo a sua volta.
“E va bene, touché. Allora, tutto okay? Qualcosa di grave?”

Eliza annuì, rimettendo al suo posto la carta di identità di Sophie Thompson e lasciandosi andare contro lo schienale, socchiudendo gli occhi.

“Allora, qual è la nostra prossima meta?”
“Per ora ci fermiamo a Texas City, sembra che qui ci sia un caso fatto apposta per noi, ne ho sentito parlare da alcuni infermieri in pausa. Ora andiamo in centro ad indagare, va bene?”
“D’accordo…”


Sospirò, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Dean si voltò verso di lei, un po’ timoroso, per poi allungarsi a darle un buffetto sulla guancia e sorriderle.

“Su, forza, non sei contenta?
È da qualche giorno che non troviamo pane per i nostri denti!”

Eliza si lasciò sfuggire una bassa risata, scuotendo la testa.

“Sei un idiota, Dean.” Sussurrò, a mezza voce.
 
Aveva perduto un bambino, sì, e stava terribilmente male per ciò che era successo. Ma forse, forse, data la pericolosità del loro lavoro, era meglio così.
   
 
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