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Autore: _juliet    31/01/2014    5 recensioni
{Lo Hobbit | La Desolazione di Smaug}
«Solo» cantilenò una voce.
Il giovane Nano si fermò, guardandosi intorno. L'oscurità era così profonda che, se anche ci fosse stato qualcuno, non sarebbe riuscito a vederlo. Stava per ricominciare a camminare, quando la sentì ancora.
«Kíli, figlio di Dís, della stirpe di Durin»
Da un punto indefinito alla sua destra, se ne aggiunse un'altra. O, forse, era sempre la stessa. «Tutto solo! Dove stai andando?»

Fuggendo da Bosco Atro, Kíli viene trafitto da una freccia Morgul e scivola lentamente nel delirio causato dal veleno.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kili, Tauriel
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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– You think she could have loved me? –



«Tu resti qui.»
«È mio dovere stare con i feriti.»
«Il mio posto è con mio fratello!»
Le voci si rincorrevano, rapide, sovrapponendosi le une alle altre. L'oscurità non era totale; Kíli era consapevole che, anche se non sulle sue gambe, in qualche modo si stava spostando. Lo sapeva perché, nonostante l'impossibilità di focalizzare l'attenzione su ciò che lo circondava, intuiva che c'era qualcuno a muoversi per lui.  
«No! Ho chiuso con i Nani. Andate via!»
«No, no, no! Per favore. Nessuno ci darà una mano!»
La voce di Bofur era insolitamente allarmata e sembrava lontana, come se per giungere al suo cervello dovesse passare attraverso molti strati di stoffa. «Per favore» ripeteva. Continuava a insistere, con urgenza, supplicando, come se dalla reazione dell'interlocutore dipendesse la sua vita. Kíli non capiva. Perché il suo compagno era così preoccupato, qual era il problema?
Il dolore. Esplose nella sua gamba destra e invase lentamente tutto il corpo, lasciando una traccia di fuoco nelle sue membra. Ogni movimento era una fitta lancinante, una pugnalata. Era come se innumerevoli artigli lo infilzassero e lo stritolassero, impedendogli di respirare. Kíli era consapevole che, intorno a lui, stava accadendo qualcosa; udiva voci rese stridule dalla preoccupazione e rumori di oggetti che venivano spostati. Per un istante, gli parve di riconoscere la voce di suo fratello, poi ancora quella di Bofur. Doveva, voleva dire loro qualcosa, che li sentiva, che stava bene. Ma stava soffocando, e riusciva a emettere solo grida strozzate.

 

***


Kíli si risvegliò con un sussulto, ma non riuscì a vedere nulla. Intorno a lui, regnava l'oscurità più profonda che avesse mai visto: una notte infinita, senza luna o stelle; il buio era vivo, lo opprimeva, lo soffocava. Per un istante, la sua memoria tornò alle notti della sua infanzia, quando scivolava silenziosamente nel letto di suo fratello, cercando scampo dagli incubi; la nostalgia di quei momenti lo colpì, gonfiandogli il petto di lacrime. Si permise di raccogliere le ginocchia al petto, indugiando ancora un po' su quei ricordi preziosi. Ma non era più un bambino.
Incapace di stare fermo, azzardò qualche movimento. Il dolore sembrava essere sparito e, con esso, la stanchezza. Il giovane Nano si guardò intorno, cercando di individuare qualunque dettaglio che gli permettesse di capire dove si trovava. In lontananza, flebile e tremula, si intravedeva una luce. Senza alcun dubbio che fosse quella giusta, Kíli iniziò a procedere in quella direzione.
«Solo» cantilenò una voce.
Il giovane Nano si fermò, guardandosi intorno. L'oscurità era così profonda che, se anche ci fosse stato qualcuno, non sarebbe riuscito a vederlo. Stava per ricominciare a camminare, quando la sentì ancora.
«Kíli, figlio di Dis, della stirpe di Durin»
Da un punto indefinito alla sua destra, se ne aggiunse un'altra. O, forse, era sempre la stessa. «Tutto solo! Dove stai andando?»
Kíli, silenziosamente, estrasse una freccia e la incoccò, in attesa. Non aveva idea di dove si trovasse o di chi fossero i suoi interlocutori, ma non intendeva permettere che lo canzonassero.
«Sei morto!»
«Morto, morto!»
L'arciere scoccò verso il punto da cui gli sembrava che arrivassero le voci. Tese l'orecchio, in attesa, ma non udì nulla; né il tonfo di un corpo, né il rumore lontano di una freccia che manca il bersaglio. L'aria stantia risuonò di risate stonate.
«Cosa credevi di fare, Kíli, erede di Durin?»
«Sei morto.»
«Morto e dimenticato da tutti.»
Le loro ultime parole echeggiarono sinistramente nella sua testa, ma Kíli riprese a camminare, senza prestarvi troppa attenzione. Forse avevano ragione e lui era morto; ma era qualcosa che aveva messo in conto da molto, molto tempo. Quando Thorin gli aveva parlato della missione, era pienamente consapevole della possibilità che essa si trasformasse in un suicidio. Non che non avesse sperato di tornare, anzi; si era spesso augurato di riuscire a rivedere la propria famiglia. Ma morire sarebbe stato un prezzo irrisorio da pagare, per l'avventura che aveva vissuto e per il riscatto del suo popolo. Se era morto, Aulë lo avrebbe guidato verso le Aule di Mandos, dove si sarebbe ricongiunto a suo padre e ai loro antenati e dove, un giorno, anche gli altri lo avrebbero raggiunto. Pensò con affetto ai suoi compagni; non era possibile che lo avessero dimenticato. Le voci mentivano.
Il tintinnio delle cinghie e il suono dei suoi passi erano l'unico rumore che lo accompagnava. Ne sentiva l'eco lontana, ma non riusciva a vedere nulla. Da quanto tempo stava camminando? Quanto gli mancava per arrivare? Sembrava che non ci fosse fine allo spazio. Kíli cominciò a desiderare che accadesse qualcosa, qualunque cosa, purché spezzasse la monotonia. Improvvisamente, i suoi piedi incontrarono un ostacolo; il giovane Nano incespicò e, appesantito dalle armi e dai vestiti, cadde a terra; riuscì ad appoggiare le mani, ma le sue ginocchia picchiarono contro il terreno, provocandogli una fitta di dolore.
Una risata lo avvertì che le voci nell'ombra erano tornate a fargli visita. Il loro tono canzonatorio lo innervosì. «Sei risoluto, Nano» questa volta, sembrava che parlassero tutte insieme, sovrapponendosi l'una all'altra.
Alle loro parole, Kíli percepì una leggera brezza accarezzare i suoi capelli. Grato di poter respirare aria pulita, inspirò profondamente; ma il suo sollievo scemò, quando si rese conto che quel soffio fresco stava rapidamente aumentando di intensità. Grosse gocce di pioggia iniziarono a cadere, inzuppandolo e appesantendolo. Presto, non riuscì a tenere gli occhi aperti, e dovette schermare il viso con le braccia. Si appiattì sul terreno, cercando di sfuggire alle frustate della tempesta che lo stava avvolgendo.
«Non capisci? Tu sei un albero e noi siamo vento» dissero le voci, che parevano girargli intorno, cantilenando.
«Che cosa vuoi dire?» Kíli gridò per sovrastare il rumore assordante. Appena le parole lasciarono le sue labbra, imprecò. Non doveva dare loro retta. L'oscurità era menzognera e pericolosa.
«Ti spezzerai» sibilarono. La loro risata echeggiò nel vento.
Il Nano nascose il viso fra le braccia e chiuse la mente alle loro parole. Non era reale. Niente di ciò che gli stava accadendo poteva esserlo. E sapeva a cosa era dovuto: la freccia degli Orchi doveva essere avvelenata; questo spiegava la sua stanchezza, la sua debolezza e l'incubo in cui era precipitato.
Lo scroscio della pioggia si riempì di altri rumori: urla di Orchi, cozzare di armi, grida strazianti di moribondi e canti di guerra. Kíli aprì gli occhi, sollevandosi di scatto; intorno a lui infuriava una battaglia.
Vide due Elfi correre verso di lui, le armi in pugno. Estrasse la spada e cercò velocemente un riparo, preparandosi a combattere, ma qualcosa in loro lo fermò: stavano chiaramente mirando un bersaglio alle sue spalle e non sembravano interessarsi alla sua presenza. Kíli si voltò appena in tempo per vedere un Orco stramazzare al suolo, la gola trafitta da una freccia. I due passarono oltre, parlando nella loro lingua.
Kíli li seguì, cercando di capire cosa stava accadendo, ma nulla avrebbe potuto prepararlo allo spettacolo che gli si presentò: Elfi, Uomini e Nani stavano combattendo, insieme, contro l'esercito di Orchi più sconfinato che avrebbe mai potuto immaginare. Alzò le mani, schermando gli occhi dalla pioggia battente, scrutando la miriade di corpi bagnati; era tutto così confuso. Le uniche figure che si distinguevano senza difficoltà erano quelle dei mannari.
Improvvisamente, colse fra gli altri un volto che fece saltare un battito al suo cuore. Thorin era nel cuore della battaglia; fradicio, sporco, maestoso, mulinava la grande spada, incutendo terrore nei suoi nemici. Lo guardò ridere, sprezzante, di fronte agli Orchi che fuggivano da lui. Ma Kíli aveva una visuale migliore, e sapeva che non era da lui che stavano scappando: Azog il Profanatore, gli occhi puntati sulla sua preda, gli si stava avvicinando, in groppa al suo miserabile mannaro albino; lento, ma inesorabile. Scudodiquercia era impegnato a difendersi e non poteva vederlo.
Kíli sentì la preoccupazione e la rabbia invadere il suo petto mentre, prima di pensare a quello che stava facendo, iniziò a correre verso suo zio. Sapeva che era troppo distante per arrivare in tempo ma, sfortunatamente per l'Orco pallido, lui poteva colpire da lontano, e non avrebbe sbagliato. Raggiunta una roccia si arrampicò e incoccò una freccia nell'arco. La confusione regnava sovrana sul campo di battaglia;  il rumore e l'odore erano insopportabili; nonostante la pioggia, la polvere si alzava dal terreno, creando una coltre che lo accecava, gli bruciava la gola. Si concentrò, cercando in tutti i modi di non tossire. La belva era poco lontano da Thorin ed avanzava verso di lui, schiumando. Non appena il mannaro gli offrì il fianco, Kíli scoccò la freccia, che sibilò e mancò il bersaglio, sparendo.
L'arciere non capì cosa fosse successo; la visuale era buona, la bestia enorme. Come aveva potuto sbagliare? Un grido straziante lo riportò sul campo di battaglia: Thorin era stato colpito. La mazza del Profanatore era conficcata in profondità nella sua schiena. Il viso del Nano era ancora distorto in quel sorriso, che ora sembrava un ghigno spezzato. Kíli cadde in ginocchio, incapace di distogliere lo sguardo da quella scena raccapricciante. L'Orco strattonò l'arma, gettando il corpo di suo zio nella polvere e nel fango. Thorin non si rialzò.
Con una risata lugubre, Azog si chinò appena, accarezzando il fianco del mannaro, mormorandogli qualcosa all'orecchio. Quel gesto risvegliò in Kíli una collera feroce. Si precipitò verso l'assassino, scagliando una freccia dopo l'altra, senza curarsi realmente di chi o cosa stava colpendo. «Qui, feccia!» gridò, quando vide il Profanatore scrutare la moltitudine di soldati con lo sguardo. I suoi occhi azzurri lo individuarono e lo guardarono con odio. Kíli non riuscì a reprimere un brivido, ma non vacillò. Non si mosse, quando il mannaro lo caricò; gonfiò il petto, costringendosi a non attaccare, non ancora, doveva aspettare il momento giusto. La bestia gli sfrecciò accanto, talmente vicina che avrebbe potuto facilmente porre fine alla sua miserabile vita; ma non diede segno di averlo visto. Proseguì la sua corsa verso un'altra preda.
Kíli si guardò intorno, confuso. Ovunque i suoi occhi si posassero, non vedeva altro che morte. La pioggia non riusciva a lavare via il sangue, che si raccoglieva in macabre pozze. Il Nano si trovava nel mezzo della battaglia, ma nessuno, amico o nemico, sembrava essere in grado di vederlo. Sentendosi debole, non poteva fare altro che assistere alla carneficina. Cercò con lo sguardo il luogo dove giaceva il corpo di Thorin, spezzato e abbandonato nella polvere.
"Non è reale" si disse, "tutto questo non è reale."
Vide un Orco affondare le zanne nel collo di un Elfo, che stramazzò al suolo, mentre un fiotto di sangue innaffiava il terreno bagnato. Kíli, disgustato, voltò le spalle alla battaglia e se ne andò.
«Mi avete sentito?» gridò al cielo. «Non è reale!»
Un passo dopo l'altro, si stava allontanando. L'ululato dei mannari sovrastava il clamore della battaglia. Kíli vide Nani, Elfi e Uomini combattere spalla a spalla, rifiutando di cedere terreno. Sentiva la rabbia e la bile bruciargli la gola ogni volta che vedeva qualcuno venire ucciso da un Orco, ma sapeva di non poterli aiutare.
"Non è reale" continuava a ripetersi, "devo andarmene di qui."
Improvvisamente, Azog riapparve. Era riuscito a penetrare tra le fila dei Nani e roteava la sua mazza, lasciando devastazione nella sua scia. Kíli si fermò, mentre colui che aveva preso la vita di Thorin smontava dalla sua cavalcatura e iniziava ad avvicinarsi, i lineamenti feroci distorti in un ghigno. Incredibilmente, sembrava che i suoi occhi azzurri, ora, potessero vederlo. O, forse, non vedevano lui.
«Sono qui, feccia!» gridò una voce alle sue spalle, una voce che Kíli avrebbe riconosciuto, seguito e amato ovunque. Si voltò, temendo quello che avrebbe visto.
Fíli aspettava l'Orco; mulinava la spada, le braccia allargate. Tutta la sua figura era rigida, nel tentativo di contenere la rabbia; il suo viso era stanco e devastato, ma i suoi occhi chiari brillavano di collera. Kíli vide che aveva l'armatura ammaccata e gli abiti strappati, macchiati di sangue; stava combattendo da molto, ed era visibilmente malridotto. Riusciva a vedere la paura dietro la sicurezza che suo fratello ostentava, ma sapeva bene che non si sarebbe mai sottratto a quello scontro.
«Non è reale» mormorò, mentre Azog piombava su Fíli, sovrastandolo, sputando parole velenose in lingua nera.
«No!» gridò, quando l'Orco alzò la sua mazza per colpire. Voltò le spalle alla scena e ricominciò ad allontanarsi, a passi incerti. Quando sentì il rumore della carne martoriata dal metallo, non riuscì a contenere un singhiozzo. Un urlo strozzato trafisse il suo cuore, ma continuò a camminare.
"Non è reale!" si disse, disperato.
«Kíli!» gridò quella voce fin troppo familiare. «Kíli! Ti prego!»
Le sue mani, le sue gambe, tutto il suo corpo tremava. Tenne gli occhi fissi sul fango sotto i suoi piedi, mentre i capelli gli ricadevano sul viso, impedendogli di vedere altro.
«Fratello! Ti prego, aiutami!»
Kíli sentì la risata disgustosa di Azog, mentre la mazza colpiva ancora. Un nuovo grido di dolore. Sapeva che, vivo o morto che fosse, non avrebbe mai potuto dimenticare quel suono: il suono della vita di suo fratello che gli veniva strappata.
Un sussurro: «Kíli, ti prego» sembrava che Fíli fosse proprio dietro di lui, a pochi sospiri di distanza. Voleva disperatamente voltarsi, uccidere il nemico e portarlo via da lì. Tremando, estrasse la spada dal fodero, preparandosi a colpire. Ma non era reale. Un ultimo singhiozzo scosse il suo corpo, mentre iniziava a correre. La pioggia lavò via le sue lacrime.
Nel vento che ululava, le voci risero. «Questo è il futuro, Nano.»
«Non hai la forza per salvarli.»
«C'è paura nella tua testa e nel tuo cuore.»
Kíli era molto più scosso di quanto avrebbe mai lasciato intendere, ma si era reso conto che il terreno bagnato si stava trasformando, lasciando il posto a qualcos'altro. Dunque, aveva ragione: niente era stato reale. Mentre l'oscurità lo avvolgeva, gettò la testa all'indietro e gridò «È tutto quello che sapete fare? Non avete altro?»
«Oh, Nano» mormorarono le voci, vicinissime al suo orecchio. «Speravamo che ce lo chiedessi.»
Kíli si gettò contro di loro, mulinando la spada, ma non colpì nulla. Inciampò in qualcosa, si sbilanciò e rovinò a terra, senza fiato. Imprecando contro la seconda caduta, le voci, gli Orchi e se stesso, si guardò intorno, osservando l'ambiente in cui la nuova visione l'aveva catapultato. La pioggia aveva cessato di cadere; il puzzo di sangue e di morte si era affievolito fino a scomparire, venendo sostituito da odore di muschio e verde. Alberi enormi, nodosi, dalle radici contorte, creavano con i loro grandi rami un labirinto impenetrabile e un tetto di foglie. Il Nano ricordava quel luogo, perché l'aveva già visitato.
Ma, ora, Bosco Atro era diverso. Non sembrava più così sinistro e pericoloso, non c'erano ragnatele tese fra i rami bitorzoluti. Certo, dava ancora l'impressione di essere una cosa viva, e questo era molto inquietante; ma non pareva così ostile come la prima volta. Kíli toccò il terreno con la lama della spada: rammentava che lo Stregone aveva detto che, per non perdersi, non avrebbero mai dovuto lasciare il sentiero; ed era proprio a causa di questo errore che si erano ritrovati ad essere catturati dai ragni giganti. Continuò a cercare per alcuni minuti, intenzionato a trovarlo; non desiderava ripetere l'esperienza, neanche in una visione che, per il momento, sembrava pacifica.
Infine, dovette arrendersi: il sentiero non c'era. Era stato catapultato lì da qualcuno che sembrava non volere altro che fargli perdere le sue certezze. Inoltre, non sapeva cosa gli stava accadendo, né perché. Gli sfuggì una risata amara. Lui si era già perso in partenza.
Camminò per quelle che parvero ore nella monotonia della foresta. L'orizzonte era invisibile, come se, dietro gli alberi, il cielo si fosse fuso con la terra. Il sole doveva essere calato dietro quella coltre, perché ora era buio. L'aria era umida, densa; gli si attaccò addosso, rendendo la pelle appiccicosa e la respirazione più complicata. Kíli si guardò intorno, alla ricerca di qualcuno, di qualunque cosa che, per gli dei, lo aiutasse a capire cosa gli stava accadendo. Non poteva fermarsi.
Si accorse che gli alberi iniziavano a diradarsi solo quando non dovette più fare attenzione per non inciampare nel groviglio di radici che ricopriva il terreno. L'erba era visibile, morbida e rigogliosa. Kíli guardò dietro di sé, lieto di non essere più nel bosco; ora che ne era uscito, gli sembrava che la foresta si muovesse, chiamandolo perché tornasse. Si affrettò ad allontanarsi, rabbrividendo al pensiero. Il prato pareva sconfinato, proprio come tutti gli spazi che aveva attraversato nelle altre visioni. Sapendo che non poteva fare altro, il Nano continuò a camminare, guidato dal cielo stellato.
Un soffio di vento freddo gli scompigliò i capelli. Mentre si stringeva negli abiti, si lasciò sfuggire un sospiro, avanzando spedito. Al suo respiro, piccole nuvole di condensa si disperdevano nell'aria. Lei apparve nel suo campo visivo dandogli l'impressione di esserci sempre stata, una figura nell'oscurità. Kíli sentì il suo volto distendersi in un sorriso. Allora le voci avevano ragione: era certamente morto, se gli veniva concesso di rivederla. Non avrebbe saputo spiegare cosa avesse di diverso dagli altri Elfi, ma sospettava che l'avrebbe riconosciuta ovunque. Lei spiccava su di loro, diversa, stupenda.
Era seduta sull'erba, scompostamente, il peso appoggiato sulle braccia, tese dietro la schiena; anche così, era più elegante di quanto lui avrebbe mai potuto essere. Teneva il viso rivolto verso il cielo, osservandolo con attenzione, per lei non esisteva altro. Kíli rise, ricordando l'espressione di lei quando gli aveva parlato della festa elfica, nelle prigioni del Reame Boscoso. Alzò lo sguardo e rivolse oziosamente gli occhi al cielo, trovandolo gremito di stelle come mai ricordava di averlo visto. I suoi piedi rallentarono lentamente fino a fermarsi, e la sua bocca si aprì senza emettere suoni.
Anche i suoi occhi si spalancarono, incapaci di gestire uno spettacolo così maestoso. Miriadi di punti luminosi creavano ragnatele fittissime. Alcune canzoni dicevano fossero buchi, da cui filtrava la luce di chissà quale dio, oppure un fiume celeste che impediva agli innamorati di incontrarsi. Magari, erano mondi diversi, lontani, che un giorno l'uomo avrebbe conosciuto.
Kíli girò su se stesso, gettando la testa all'indietro, cercò di inglobare l'intera volta del cielo nei suoi occhi, insieme con tutte le costellazioni. Riportò lo sguardo su Tauriel, ripercorrendo nella mente la loro conversazione. Pensava ancora che la luce delle stelle fosse remota e fredda; ma ora riusciva a capire perché fosse così preziosa, per gli Elfi. Al confronto, la luce artificiale era brutta, sporca.
Il bisogno di raggiungerla scosse il suo corpo. Voleva parlarle. Voleva condividere con lei un altro momento come quello trascorso nelle prigioni. Voleva rivedere i suoi occhi spalancarsi e inumidirsi al pensiero della luce stellare. Voleva conoscerla meglio, stare con lei.
«Tauriel!» chiamò.
Udì il sibilo inconfondibile di una freccia e, mentre l'impatto svuotava i suoi polmoni di tutta l'aria, si sentì sbilanciare all'indietro. Abbassò lo sguardo sul suo desolato aspetto; il legno che sporgeva dal suo petto stava ancora oscillando. Intorno all'estremità conficcata nella carne, una macchia scura si stava allargando sulla stoffa. Guardò verso di lei, senza riuscire a parlare; voleva chiamarla, chiederle aiuto: lei sarebbe corsa da lui, l'avrebbe salvato, come aveva già fatto altre volte. Ma Tauriel non era più seduta. Era rivolta verso di lui e tendeva la corda del suo arco bianco, prendendo la mira una seconda volta. Kíli sentì il suo respiro affannoso farsi sempre più lieve, mentre capiva. Il nuovo dardo si conficcò poco sopra il primo e lo sbilanciò definitivamente.
Cadde sul dorso, senza fiato, incredulo. Quella non era Tauriel. Non poteva essere lei, lei non l'avrebbe mai attaccato.
«Sì, invece» mormorò una delle voci, morbidamente. «Perché tu sei un Nano e lei è un Elfo.»
«Lei ti odia.»
Kíli scosse la testa, debolmente: lei non era come gli altri, ne aveva avuto la prova. Si stava avvicinando, il suo viso indefinito nell'oscurità. Afferrò una delle frecce e la strappò dal suo petto, ma lui non sentì dolore. Era come se non fosse più lì, come se stesse osservando la scena dall'esterno.
«E tu cosa provi, figlio di Dis?»
Non rispose, ma aveva la sensazione che le voci fossero dentro di lui, e sapessero già quello che lui stava scoprendo. Non riuscì a trattenere un sorriso amaro. Era curioso che l'avesse capito così, in punto di morte, in pieno delirio da veleno Morgul. Senza poterglielo dire.
Distolse lo sguardo da Tauriel e dal suo corpo esanime, mentre il loro ghigno stridulo riempiva l'aria, insieme a una sola parola, ripetuta all'infinito: «Amore!»
Il terreno gli mancò da sotto i piedi e cadde. L'acqua sotto di lui ululava e il cielo giocava a rincorrersi con la terra; l'umidità impregnava ogni cosa, e una risata echeggiava nel vento.
«Amore!» gridò una delle voci, disgustata. «L'amore ti rende debole, Nano.»
«L'amore ti spezzerà.» con un'ultima sghignazzata, sparirono.
L'impatto gli tolse il fiato. Tentò disperatamente di respirare, riuscendo solo a ingurgitare acqua melmosa. Le armi e i vestiti erano pesanti e lo spingevano a fondo. Allargò le braccia, sperando di rimanere impigliato in qualcosa e di sottrarsi alla forza della corrente, che lo trascinava via. Con un tonfo doloroso, riuscì ad aggrapparsi a una roccia e si affrettò a issarsi fuori dal torrente impetuoso.
Si alzò, respirando profondamente, e camminò lungo il corso d'acqua. Dovette fermarsi molte volte, per aspettare che i conati e i colpi di tosse cessassero di scuotere il suo corpo. Superata un'ansa, vide il cancello; era ancora chiuso, i barili erano ammassati contro il metallo, mentre gli Orchi piombavano sui suoi compagni. Notò una figura scura e agile che si arrampicava sulla pietra, dirigendosi verso la leva. Guardò mentre la freccia Morgul gli si conficcava nella gamba, fermando la sua salita.
In quel momento, apparvero gli Elfi. Si muovevano in silenzio, con eleganza; macchine da guerra rapide e bellissime. Un guizzo scarlatto attirò l'attenzione di Kíli.
«Tauriel!» gridò.
Lei fissava un punto lontano, senza distogliere lo sguardo, senza sbattere le palpebre. Fissava lui, sul cancello, sdraiato accanto alla leva. Stava eliminando, uno a uno, gli Orchi che si avvicinavano a lui.
Senza avere un'idea di cos'altro avrebbe potuto fare, Kíli si lanciò verso la scena. Si buttò di lato, evitando una lama; si ritrovò un sasso in mano e lo scagliò, alla cieca. Sapeva cosa voleva mostrargli la visione, ma non l'avrebbe permesso. Sentiva i grugniti e le disgustose urla in lingua nera degli Orchi mischiarsi con le grida dei suoi compagni. Avvertì la presenza di qualcuno dietro di sé. Ebbe appena il tempo di voltarsi, quando una spada calò su di lui, scontrandosi contro il suo arco, senza riuscire a ferirlo. Sembrava che, in questa visione, potesse interagire con gli eventi. Allontanò l'Orco con un calcio e usò l'arco per colpirlo alla testa.
Senza fiato, perlustrò con gli occhi l'ambiente, alla ricerca di Tauriel. Lei si trovava su un'altura e stava eliminando un discreto numero di nemici. Per qualche motivo, il petto di Kíli si gonfiò di orgoglio. Ma, in quel momento, udì l'altro se stesso gridare; era riuscito ad abbassare la leva e, cadendo, aveva urtato la pietra con la gamba ferita. Ora si contorceva, in preda al dolore bruciante del veleno che si stava diffondendo nel suo corpo.
Gli occhi di Tauriel furono subito su di lui, senza vedere l'Orco armato che incombeva alle sue spalle.
«Tauriel!» gridò Kíli.
Ma lei non poteva sentirlo. I suoi occhi erano spalancati di fronte all'agonia dell'altro lui.
«Tauriel! No!» si sgolò. «Io sto bene!»
La lama nera la trapassò da parte a parte, all'altezza dello stomaco. Quando fu estratta, uno schizzo di sangue uscì, pulsando, dalla ferita. Tauriel poggiò una mano al costato e osservò il liquido denso farsi strada fra le sue dita. Lentamente, voltò la testa fino a incrociare lo sguardo di Kíli, prima di stramazzare al suolo. Il Nano si rese conto che aveva smesso di respirare solo quando i suoi polmoni iniziarono a bruciare, reclamando aria. Notò anche che l'urlo spezzato che udiva proveniva dalla sua gola.
Chiuse la mente e iniziò a correre, ignorando il dolore, che stava ricomparendo, diffondendosi nella sua gamba. Doveva andarsene. Doveva trovare la via d'uscita dall'incubo. La pietra gli mancò da sotto i piedi, e cadde su un pavimento di assi di legno; non ebbe bisogno di una seconda occhiata, per riconoscere la stanza. Dis sedeva, immobile, al tavolo vicino alla finestra. Kíli sentì il battito del suo cuore accelerare, mentre incrociava lo sguardo di se stesso, seduto accanto a lei. Ricordava quel momento: era la notte prima della partenza per Erebor; c'era stato un temporale e lui si era svegliato, scoprendo la madre ancora alzata. Era stato allora, che lei gli aveva consegnato la pietra runica. Kíli si frugò in tasca, alla ricerca del talismano, mentre un fulmine illuminava a giorno la stanza. Quando rialzò lo sguardo, si accorse che la scena era cambiata: sua madre sedeva sulla stessa sedia, ma c'era Balin, con lei; i due evitarono di guardarsi negli occhi, quando l'anziano Nano prese qualcosa da una sacca e lo depose sul tavolo, di fronte a lei. Dis osservò la pietra per qualche secondo, prima di nascondere il viso tra le mani.
«No» gemette Kíli. Sentì le forze abbandonarlo, mentre la stanza si allontanava velocemente e lui veniva risucchiato fuori dalla visione. «Madre, tornerò! Tornerò!»
Si sporse verso la scena, gridando, e si scontrò con le sbarre di metallo elfico delle prigioni del Reame Boscoso. In quell'istante, Tauriel si voltò verso di lui, sul viso un'espressione che era sognante, ma anche divertita. Dischiuse le morbide labbra in un sorriso, mentre diceva «È Meleth en Gilith.»
La sua voce echeggiò a lungo, accompagnando Kíli in una nuova visione. Una casa sulle Montagne Azzurre, la neve che cadeva a grossi fiocchi, una poltrona accanto al fuoco. Thorin dormiva, con la testa appoggiata contro lo schienale, i lunghi capelli che ricadevano sul viso. Fra le braccia forti, stringeva i due bambini che, ora, erano il suo unico, vero tesoro. Kíli vide il giovane se stesso tirare la barba allo zio, sperando che si svegliasse e raccontasse una storia. Temendo che anche quel ricordo per lui così prezioso fosse stravolto, aprì la porta e, ignorando il dolore alla gamba, fuggì.
Corse a perdifiato sotto la neve, finché inciampò e cadde nella polvere e nel fango. Sapeva dove l'aveva condotto la nuova visione, ma sentiva di non avere la forza di affrontare quello che avrebbe visto. Tremando, si voltò verso l'ostacolo che aveva urtato con i piedi, e non riuscì a trattenere un conato. I corpi di Thorin e Fíli erano distesi uno accanto all'altro, scuri e gonfi. I volti lividi, gli occhi spalancati a contemplare l'aldilà. Kíli attese che gli spasmi cessassero, si pulì la bocca con la manica e si allontanò, trascinando la gamba bruciante.
«Rassegnati» le voci ricomparvero, sibilando e ridendo.
«Siamo dentro di te.»
«Non c'è un posto dove puoi nasconderti!»   
Gli alberi spuntavano dal terreno con fragore e arrivavano a molti metri di altezza, creando intorno a lui una enorme gabbia impenetrabile. Non ebbe il tempo di chiedersi cosa gli sarebbe accaduto, perché il ragno gli fu subito addosso; affondò le zanne nella sua gamba e iniziò a trascinarlo verso il folto della foresta. Kíli scalciò, ma si sentiva debole; e sapeva già che qualcuno stava per salvarlo. Tauriel piombò su di loro come un fulmine scarlatto, liberandolo e uccidendo altri insetti lontani. Il Nano la guardò, perdendosi nei suoi movimenti sinuosi, ammirandone l'assurda eleganza, anche nel dare la morte.
Quando si voltò, Kíli urlò, indietreggiando di corsa: somigliava a Tauriel, ma il suo viso era completamente privo di connotati. No, quella non poteva essere reale, non era lei.
Si sentì trascinare all'indietro, mentre la scena si ripeteva all'infinito di fronte ai suoi occhi: Tauriel che piombava sui ragni, salvandogli la vita. Ma, ogni volta che si rivolgeva verso di lui, c'era un particolare in lei, nel suo volto, qualcosa che gli sfuggiva. L'immagine del suo viso sembrava liquida, come se si stesse sciogliendo, fondendosi, e colava sui suoi vestiti, fino a rivelare il teschio bianco.
«No!» Kíli sussultò e aprì gli occhi, madido di sudore e tremante; accolse con sollievo l'oscurità che era tornata a circondarlo. Per qualche istante, l'unico rumore fu il suo respiro spezzato.
«Guarda!» esclamò una voce accanto a lui, mentre un braccio sottile si alzava ad indicare qualcosa.
I sensi del Nano si adattarono all'ambiente, permettendogli di capire di essere sdraiato sull'erba. Il suo cuore tremò, quando i suoi occhi misero a fuoco la persona distesa di fianco a lui e il cielo stellato sopra di loro .
«Hai visto?» lo incalzò Tauriel.
Kíli tacque, aspettando che succedesse qualcosa. Le altre visioni avevano sempre trasformato le sue paure in realtà spaventose. Non poteva mancare molto, prima che succedesse ancora; non poteva permettersi di lasciarsi cullare dalla fantasia. Non era reale.
Non ottenendo risposta, lei si issò, poggiando il peso sui gomiti, e gli rivolse uno sguardo, mentre il suo sorriso si spegneva. «Stai bene, Kíli?»
Lui sussultò, quando la sentì pronunciare il suo nome. Non ricordava di averglielo mai detto. Si sedette, cercando freneticamente le sue armi, ma non erano da nessuna parte.
«Forse è meglio se torniamo?» mormorò Tauriel.
Kíli rivolse lo sguardo verso di lei, temendo che il suo viso si sarebbe liquefatto. Ma non accadde. Insicuro, si chinò su di lei, per vedere meglio. Tutto quello che vide, furono i suoi lineamenti perfetti che si muovevano, componendo la stessa espressione che avevano nelle prigioni, mentre lei parlava della Festa della Luce Stellare. Sognante e divertita.
«Cosa c'è?» gli chiese. Alzò una mano, per spostare i capelli scuri che gli ricadevano sulla fronte. Iniziò ad arricciare una ciocca intorno alle dita lunghe. Il cuore di lui sussultò.
«Sta succedendo davvero?»
Tauriel scoppiò a ridere, una risata che richiamava il cinguettare degli uccelli e il soffio del vento fra gli alberi. Non esisteva niente di più bello al mondo. Kíli seguì con lo sguardo le dita di lei, mentre tracciavano delicatamente il profilo del suo volto. Incerto, spostò la sua mano callosa sulla guancia morbida di Tauriel. Pensava che l'avrebbe respinto, cercando di allontanarlo, ma, invece, appoggiò la testa contro la sua mano e gli sorrise.
Kíli percorse con le dita la sua pelle fino ad arrivare a intrecciarle nei capelli rossi e, facendo presa sulla sua treccia, la attirò a sé. Quando le loro labbra si incontrarono, gli sfuggì un sospiro. Inclinò la testa di lato, cambiando angolazione, baciandola più profondamente. Si staccò da lei solo per raccogliere aria. Avvertì Tauriel sorridere ancora, mentre il mondo spariva. I baci sapevano di erba e polvere, ed erano fuoco che si riversava nelle sue vene.
Le dita di Kíli scesero dal viso al suo corpo, toccando delicatamente, esplorando. Raggiunsero le mani di lei nello stesso istante in cui la sua bocca veniva invasa dal sapore metallico del sangue.
Aprì gli occhi di scatto. Tauriel sorrideva, ma un rivolo viscido colava dall'angolo della sua bocca. Sul suo addome, si apriva una profonda ferita da cui il sangue zampillava, raccogliendosi in una pozza che si allargava a vista d'occhio. Kíli iniziò a tremare, mentre si rendeva conto che gli occhi di lei si stavano spegnendo, e lui non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo. Una lama di ghiaccio gli trafisse il cuore.
Tauriel gonfiò debolmente i polmoni, raccogliendo aria. Riuscì ad alzare la mano, per spostare i capelli che gli ricadevano sulla fronte, come aveva fatto poco prima.
«Devo averti amato» tossì.
«Tauriel» singhiozzò Kíli. La sua voce era roca e spezzata, stonata.
Lei non rispose.
«Se n'è andata» mormorarono le voci. Non c'era traccia di scherno, nelle loro parole, il loro tono era grave. «Ha dato la sua vita immortale per combattere al tuo fianco.»
«Tu non vuoi questo, figlio di Dis.»
Kíli riaprì gli occhi, e scoprì di trovarsi di nuovo nell'oscurità senza fine in cui tutto era iniziato. Si guardò intorno, e vide la luce, lontana, farsi sempre più tenue, affievolirsi. Era questo che accadeva, quando si stava per perdere la speranza? Rimaneva solo il buio.
«Così, Nano» sibilarono le voci. «Muori da solo.»
Nonostante avesse sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, non aveva mai pensato veramente alla morte. Non avrebbe mai creduto che sarebbe morto così, solo e infelice. A dire il vero, non avrebbe mai creduto che sarebbe morto; non ancora. Ma, in fondo, la vita trova sempre il modo di stupire. Si sentì inutile. Tutta l'ironia e la testardaggine che lo caratterizzavano da sempre erano scomparse. L'oscurità lo circondava sempre di più, il nulla si preparava ad accoglierlo fra le sue braccia. Guardò verso la luce, vedendola traballare lontano.
Improvvisamente, la sua gamba esplose. Kíli non riuscì a non urlare. Cercò freneticamente di strappare la stoffa dei pantaloni: era sicuro che la ferita stesse pulsando. La ferita era viva e l'avrebbe ucciso dall'interno. Il dolore era bruciante, insopportabile, poteva sentirlo muoversi nel suo corpo attraverso le vene, come fosse un veleno.
Un bagliore attirò la sua attenzione; la luce stava aumentando rapidamente di intensità, il buio si ritirava di fronte al suo avanzare, contorcendosi in tentacoli bitorzoluti. Le voci sibilavano e sputavano insulti, indietreggiando con l'oscurità a cui appartenevano. Kíli riuscì ad alzarsi in piedi e, correndo, si gettò in quello splendore, ignorando il fuoco che gli stava bruciando la gamba.
La luce lo inglobò, penetrando con violenza nei suoi occhi, stampando in fondo alla sua retina l'immagine di un viso dagli occhi chiari e dai lunghi capelli rossi.

 

***


Kíli sollevò le palpebre, ma non riuscì a vedere nulla. La luce lo accecava, creando una nebbia chiara e impenetrabile davanti ai suoi occhi. Intuì la presenza di qualcuno che si muoveva, accanto a lui.
«Tauriel?» chiamò.
Il bagliore era troppo forte, feriva la sua retina e gli impediva di mettere a fuoco il mondo. La figura disse qualcosa e voltò il viso verso di lui, troppo velocemente perché Kili riuscisse a identificarne i tratti.
Ma chi voleva prendere in giro? Quella non era Tauriel. Lei non era lì, non era quello il suo posto. Il suo posto era con i suoi simili, nel Reame Boscoso. Il suo posto era con il principe dai capelli biondi.
«Tu non puoi essere lei» si disse.
Aveva davvero preso in considerazione l'idea che potesse esistere un legame, fra loro? Non poteva. Nessuna canzone ne parlava, nessuna ne avrebbe mai parlato. E anche se fosse esistito, era qualcosa che nessuno avrebbe mai capito. Non faticava ad immaginarsi le richieste che sarebbero arrivate a Thorin, una volta diventato re. Richieste di escludere lui, Kíli, dalla linea di successione al trono; in fondo, la pazzia aveva già colpito la stirpe di Durin: innamorarsi di un Elfo poteva solo essere segno premonitore. Era quasi divertito da se stesso e dalle ingenue, vuote speranze che si era permesso di nutrire.
Intravide la figura misteriosa riapparire nel suo campo visivo. Tentò nuovamente di metterla a fuoco, ma senza successo; il senso della vista sembrava non obbedirgli più. L'ombra incombeva su di lui, immobile, come se fosse in attesa. Kíli si chiese se avesse parlato ad alta voce. «Lei è molto lontana» si affrettò a spiegare. «Lei-»
Le parole gli morirono in gola, quando realizzò che, forse, era per quello che quella persona rimaneva lì a osservarlo; perché stava delirando. Non voleva che qualcuno lo vedesse in quelle condizioni, ma ormai aveva iniziato a parlare e non poteva fermarsi. «Lei è molto, molto lontana da me. Lei cammina nella luce delle stelle in un altro mondo.»
Notò che il bagliore si stava facendo meno intenso, permettendogli di riconoscere a grandi linee la stanza in cui si trovava. L'ombra era sempre lì, accanto a lui. Aveva inclinato la testa di lato, come se non avesse capito qualcosa. In effetti, le parole che aveva detto non facevano altro che confondere le idee, persino a lui che le aveva pronunciate.
«È stato un sogno e basta» ci riprovò. Cercò di adottare un tono sbrigativo, ma aveva l'impressione che la sua bocca fosse impastata. Chiedendosi quanto si stesse coprendo di ridicolo, sperò che l'ombra capisse che la sua presenza non era desiderata e se ne andasse, lasciandolo solo con la sua amarezza.
Riuscì a intuire che la persona aveva chinato la testa. Kíli pensò che, forse, non era in attesa. Forse, rimaneva con lui semplicemente perché non c'era nessun altro. Si sentì improvvisamente solo, più solo di come si era sentito nell'oscurità senza fine da cui stava riemergendo. Con fatica, allungò il braccio, fino a toccare con le dita la mano di chi stava accanto a lui.
Kíli ripercorse il lungo incubo che aveva appena vissuto, le visioni, i momenti trascorsi con Tauriel. Anche se li aveva solo immaginati, li avrebbe custoditi a lungo nel suo cuore. Ricordò dolorosamente la visione in cui lei era morta tra le sue braccia, le sue ultime parole.
Rivolse lo sguardo verso l'ombra e, prima che la luce si diradasse completamente, chiese: «Credi che avrebbe potuto amarmi?»

 

  
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