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Autore: Megan Alomon    31/01/2014    1 recensioni
"... e riempiva di acqua la via come se fosse un mare abusivo."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La linea.
 
Il piombo del cielo veniva giù a gocce enormi, si spiaccicava per terra e trasformava le crepe del catrame, che si riempivano di acqua sporca e straripavano, in piccoli fiumi che scorrevano lungo la sagoma inclinata della strada verso il tombino più prossimo, che irrimediabilmente intasato dalle foglie in putrefazione dei platani, non faceva il suo lavoro e riempiva di acqua la via come se fosse un mare abusivo.
Ma io guardavo la televisione con la bocca piena di biscotti insipidi e non potevo vedere tutto questo, i miei capelli avevano ancora le punte bagnate e avevo freddo alle braccia ma la pigrizia mi impediva di afferrare la coperta di lana ripiegata con cura posta all’altro capo del divano.
Ancora non so con precisione cosa sia stato a farmi venire in mente, come un fulmine a ciel sereno, l’immagine nitida e viva del tuo viso. La sensazione, di primo impatto, mi sembrava un pugno allo stomaco e il biscotto che stavo per portarmi alle labbra è rimasto sospeso a mezz’aria, trattenuto dall’indice e dal pollice della mano destra.
Non credo che la gente si sia mai accorta che la linea del tuo viso, la linea che va dall’attaccatura dei capelli al mento, quella che si può vedere quando si è di profilo, è perfetta.
Parte dalla fronte, disegna una curva appena accennata, attraversa le sopracciglia e giù sul naso, dove non curva mai e rimane dritta, poi passa per il labbro superiore e diventa una specie di dosso, si infossa un secondo, risale e finisce sul mento. C’è la perfezione, un orizzonte nuovo, nella linea del tuo viso.
È una frontiera di un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, fuori da questo mondo, è la chiave d’accesso per il Paradiso, quella linea e io me ne ero resa conto solo in quel momento.
Avevo sempre notato i tuoi occhi, che sono un pezzo di mare venutosi a sistemare nelle tue cavità oculari; c’è sempre stato qualcosa di magico in quegli occhi, qualcosa che mi faceva tremare ginocchia e mi faceva venire voglia di sorridere.
Ma quella linea, quella sagoma che si staglia nitida, è qualcosa di più e io mi sono maledetta all’infinito per non essermene accorta subito.
Da dove arriva quella sagoma perfetta, chi te l’ha data? Dio stesso?
In televisione stavano trasmettendo una strana televendita americana, cercavano di rifilarmi una miracolosa cintura per addominali che, anche se stai seduto sul divano, lei lavora per te e te li scolpisce come fossero marmo di Carrara.
Ho messo giù il biscotto che ancora tenevo tra la morsa delle due dita, mi sono stretta a me stessa e ho pianto, ho trasformato i miei occhi in laghi e le mie guance in ruscelli. Non mi sono vergognata del mio pianto infantile, pieno di singhiozzi e di sospiri, di aria che entra a scatti nei polmoni e di trucco colato, perché piangevo come quella volta in cui avevo visto una mostra su Van Gogh e i quadri erano così belli che mi chiedevo come avesse potuto farli un uomo.
Il tuo viso, quegli occhi, quella linea, sono un capolavoro, un filo di nylon teso per farci inciampare qualcuno e farlo cadere nella sconvolgente meraviglia dell’infinito e della perfezione assoluta, e io ci ero inciampata tra un biscotto e l’atro, mentre l’americana continuava a cercare di vendermi quella porcheria per addominali, mentre il cielo si scioglieva affogava questa città già morta almeno un centinaio di volte.
 
 
  
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