1. L’inizio di tutto
(Se pensi che la vita non ti riservi nessuna sorpresa, preparati: il tuo mondo sta per essere sconvolto.)
Diario di
Kagome
"Il
mio nome è Kagome,
Kagome Higurashi.
So
che lo sai già e so
anche ciò che mi stai per chiedere. La risposta
è: no, non ho trovato un inizio
migliore di questo, così ora posso solo sperare che tu non
abbandoni la lettura
di questo diario dopo appena due righe dal suo inizio.
Sai, prima di questo momento non avevo mai tenuto un diario, è una cosa nuova per me, perciò spero davvero che il risultato non sia troppo caotico e che tu riesca a trarre da ciò che ti racconterò tutti gli aiuti, i consigli e gli insegnamenti di cui potrai avere bisogno in futuro; e se non avrai imparato niente… beh, non importa: avrai comunque letto una bella storia, no?
Ci
ho pensato tanto
prima di prendere la penna in mano e macchiare la carta con
l’inchiostro, ma
alla fine mi sono decisa. Ho voluto scrivere questo diario,
perché in tutto
questo tempo ho capito una cosa importante, una cosa fondamentale: il
passato
deve essere tramandato.
È importante che i
ricordi, le azioni, le persone e i sentimenti non vadano persi.
Quella
che voglio
raccontarti non è una storia normale. È la mia
storia, la nostra storia e allo
stesso tempo è semplicemente la vita, con tutti i suoi
misteri, i suoi colpi di
scena, le gioie e i dolori: di come le cose vadano bene e sembrino
perfette un
secondo prima, di come possano essere rovesciate l’attimo
successivo.
La
mia storia ha inizio
più o meno tre anni fa: era quasi finito
l’autunno, ero all’ultimo anno di
liceo e gli esami di ammissione all’università si
avvicinavano ad una velocità
spaventosa.
Anche se è passato un
bel po’ di tempo e in questi tre anni ne sono successe
davvero di tutti i
colori, ricordo quel giorno come se fosse ieri…"
Domenica!
Finalmente era domenica.
Quel
giorno Kagome si era svegliata di buon’ora con il sorriso
sulle labbra.
Dopo aver
passato tutta la settimana, china sui libri a studiare o rannicchiata
in mezzo
ad una folla con qualche centinaio di ragazzi delle sua stessa
età, a sentir
parlare di quale fosse il metodo migliore per affrontare gli imminenti
esami
d’ammissione all’università, finalmente
era domenica.
Il giorno
che, da un po’ di tempo a quella parte, considerava il suo
preferito, perché
era l’unico a trasmetterle ancora una sensazione di
libertà, come se il futuro
fosse ancora lontano e lei avesse tutto il tempo del mondo per vivere
come più
le piaceva.
In
realtà
avrebbe fatto meglio ad abituarsi all’idea che quella
domenica sarebbe stata l’ultima
giornata di libertà prima di iniziare uno studio folle e
disperato in vista
degli esami, ma per un ultimo giorno ancora poteva permettersi di
sognare in
pace, giusto? Le sue
migliori amiche, neanche a dirlo, avevano subito approfittato del
momento per
organizzare una giornata all’insegna dello shopping e dello
svago.
“Conquisteremo
il centro commerciale!”, così aveva esordito la
sua amica Eri e per un attimo
Kagome aveva avuto davvero paura che si presentasse armata fino ai
denti di
spade, lance e forconi, pronta a barricarsi dentro i negozi per non
uscirne
più.
Insomma,
era Eri! Se una cosa del genere l’avesse detta Ayumi sarebbe
scoppiata a ridere
e magari le avrebbe dato anche tutto il suo appoggio, ma a parlare era
stata
proprio Eri e da lei ci si poteva aspettare qualsiasi cosa.
Aveva
finito di vestirsi, canticchiando a mezza voce il motivo di una qualche
canzone
di cui non ricordava bene il titolo né tantomeno le parole;
si era truccata
leggermente e aveva poi iniziato la sua quotidiana battaglia con i
capelli, da
cui ne era uscita come sempre miseramente sconfitta.
Li aveva
ripresi da sua madre, così le diceva suo padre quando la
trovava impegnata in
un combattimento contro un nodo estremamente tenace, convinto di dover
continuare ad esistere. Lei si limitava ad alzare le spalle e a
guardare da
un’altra parte.
Non
voleva somigliarle, non voleva avere niente che gliela ricordasse, ma
nonostante questo suo desiderio, tutto di lei richiamava a gran voce
l’aspetto
della madre: i lunghi capelli corvini leggermente ondulati, gli occhi
grandi
color cioccolato, le guance sempre rosate, le labbra piene e rosse, i
lineamenti dolci.
Avevano
una sua foto in casa, posta sul comodino all’ingresso, era
una foto di quando
era giovane e frequentava forse l’università. Le
persone che entravano dentro
casa e la vedevano otto volte su dieci erano sicuri che la ragazza
ritratta
fosse Kagome.
Improvvisamente
sobbalzò ridestandosi.
Era così
presa dai suoi pensieri da non aver fatto neppure caso
all’ora: se non fosse
uscita immediatamente avrebbe fatto tardi all’appuntamento e
se fosse arrivata
tardi per l’ennesima volta, era certa che avrebbe subito
l’ira di Eri.
Erano
amiche praticamente da sempre e le voleva un mondo di bene, ma quando
la
ragazza si arrabbiava niente riusciva a distrarla e la classica
punizione era
una ramanzina infinita senza alcuna possibilità di fuga.
In fretta
e furia finì di prepararsi, prese la borsa, buttandoci
dentro alla rinfusa
tutto il necessario e corse poi verso la porta.
- Kagome!
-
La
ragazza sussultò per lo spavento imprevisto.
-
P-papà.
– balbettò tornando sui suoi passi, - Credevo
fossi già uscito. -
L’uomo
la
guardò contrariato, incrociando le braccia al petto, con
aria di rimprovero.
- Kagome,
si può sapere dove stai andando? Non dovresti studiare per
gli esami? -
- Oh
papà
ti prego! È l’ultimo giorno libero che abbiamo e
avevo promesso ad Eri, Yuka e
Ayumi che saremmo andate in giro per negozi. Ti prometto che poi mi
metterò
seriamente a studiare. Ti prego, ti prego, ti prego! –
L’uomo
sospirò, ormai rassegnato all’evidenza che far
cambiare idea alla figlia era
impossibile tanto quanto negarle ciò che desiderava quando
metteva su
quell’espressione da cucciolo implorante.
- Va
bene, d’accordo, ma ad una condizione. – le disse
alzando l’indice destro come
a voler rendere quelle parole più veritiere. –
Niente più distrazioni. Lo sai
che è una cosa seria, Kagome: gli esami
d’ammissione all’università non sono
certo una passeggiata e tu devi cercare di dare il massimo piccola: ne
va del
tuo futuro. -
-
Papà,
lo so molto bene credimi. – gli disse dopo averlo
abbracciato, - Ormai non sono
più una bambina. Non li sto affatto sottovalutando e
farò del mio meglio,
perciò puoi stare tranquillo. –
- Beh, se
le cose stanno così allora non ho niente in contrario: vai
pure a divertirti
con le tue amiche, tesoro. – concluse accarezzandole i
capelli per poi
lasciarla andare.
- Grazie
mille papà! – gli disse scoccandogli un bacio
sulla guancia. – Cercherò di non
tornare troppo tardi. Ciao, ti voglio bene! –
Si
richiuse la porta alle spalle e si mise subito a correre: era
dannatamente
tardi ed Eri l’avrebbe senza alcun dubbio uccisa.
Un
giovane ragazzo dalle sembianze demoniache simili a quelle di un lupo,
dai
profondi occhi azzurri e dai lunghi capelli neri, raccolti in cima alla
testa in
un’alta coda da un logoro elastico marrone, camminava per le
strade del paesino,
facendo ondeggiare ritmicamente la lunga e folta coda, tenendo le
braccia
incrociate al petto e con un’espressione pensierosa in volto.
- Credi
che abbiamo sbagliato? – chiese ad un tratto
all’amico che gli camminava
accanto, il quale sembrava anche più pensieroso e
preoccupato.
Era alto
quanto lui e ad occhio e croce sembravano avere la stessa
età. Gli occhi erano
di un blu scuro simile alla notte senza stelle e i capelli neri erano
legati in
un basso codino dietro la nuca; a differenza dell’altro non
aveva alcun segno
che ne rivelasse la natura demoniaca.
- Pensavo
la stessa cosa Koga… Non avremmo dovuto lasciarlo andare da
solo. Se dovesse
accadere qualcosa e Sesshomaru lo dovesse scoprire… -
-
Tzè! Se
quello stupido botolo si caccia nei guai, lo faccio fuori io stesso!
–
-
Sì,
così Sesshomaru farà fuori noi perché
non abbiamo saputo controllarlo. Non mi
sembra una prospettiva allettante, se vuoi il mio parere. –
- Allora
sentiamo, signor ottimismo, cosa proponi di fare?! –
Il
ragazzo alzò gli occhi al cielo stizzito, pensando per
qualche istante ad una
soluzione, prima che la sua attenzione venisse completamente catturata
da delle
voci femminili che si stavano avvicinando.
- Oh
salve leggiadre fanciulle! È una giornata perfetta per una
passeggiata all’aria
aperta non credete? Vi dispiace se ci uniamo a voi? Come vi chiamate? -
- Miroku!
– urlò Koga, tirandolo per un orecchio e
allontanandolo dalle due ragazze, che
leggermente spaventate accelerarono il passo e fuggirono via.
- Sei
sempre il solito guastafeste! – si lamentò Miroku,
guardandole andar via con la
coda dell’occhio. – Volevo solo passare un
po’ di tempo con quelle belle
fanciulle… – continuò sospirando.
- Ho
promesso a Sango che ti avrei tenuto d’occhio e se proprio
devo morire
preferisco che sia per mano di Sesshomaru piuttosto che per mano sua:
la tua
ragazza mi terrorizza! Non che non abbia ragione, maniaco come sei!
Certe volte
mi domando proprio come faccia a sopportarti. –
Miroku
sospirò rassegnandosi all’evidenza che anche se la
sua dolce metà non era
fisicamente presente, era come se i suoi occhi fossero ovunque, pronti
a tenerlo
costantemente sotto controllo. Non che gli dispiacesse, certo! Farla
ingelosire
era una delle esperienze più divertenti che la vita gli
avesse donato.
Lei
diventava tutta rossa e si arrabbiava tantissimo, poi quando
assottigliava leggermente
gli occhi era il segno che stava per arrivargli un pugno dritto in
faccia; a
quel punto lui faceva finta di essersi fatto più male di
quanto non fosse e lei
se ne andava via stizzita.
Era
sempre lui a fare il passo successivo e a tornare da lei: che le
chiedesse di
perdonarlo, la facesse ridere, le facesse un complimento o le dicesse
qualcosa
di romantico non era importante. Qualsiasi cosa lui si inventasse
– ed erano
davvero tante cose, ognuna diversa dall’altra – lei
lo perdonava sempre, tornando
a sorridere e a dargli dello stupido, troppo orgogliosa per dirgli che
lo
amava.
Era il
loro gioco. Nessuno dei due se la prendeva mai sul serio: entrambi
sapevano che
l’amore che li legava era troppo forte e che non si sarebbe
incrinato.
- Allora,
ritornando al problema del botolo, cosa facciamo? – gli
domandò Koga
distogliendolo dai suoi pensieri.
- Niente.
– sospirò Miroku, - Non possiamo fare proprio
nulla. È andato chissà dove e
sicuramente non vorrà farsi trovare, quindi non ci resta che
sperare che non
gli accada nulla. Piuttosto direi di muoverci: abbiamo una lista
infinita di
cose da prendere. – concluse facendo ondeggiare tra due dita
un foglietto di
carta ripiegato più volte.
***
Per fortuna, pensava Kagome mentre correva, il luogo dell’appuntamento non era troppo lontano dalla sua casa.
Aveva
sempre pensato che fosse una grande fortuna non abitare in una di
quelle grandi
città in cui le distanze sembravano essere infinite e dove
un tragitto di
un’ora veniva tranquillamente definito normale. Quanto grande
sarebbe stato il
suo ritardo se la strada da percorrere fosse stata da calcolare in
chilometri,
anziché in metri?
Non
avrebbe mai voluto saperlo, pensò rabbrividendo. Adorava il
paesino in cui
viveva, i negozi che conosceva a memoria, la gente che la salutava per
strada e
adorava il fatto che la sua casa fosse solo a qualche centinaio di
metri dal
centro. Quest’ultimo elemento, a dire la verità,
lo considerava l’unico pregio della
piccola villetta in cui viveva con suo padre.
L’uomo
le
raccontava spesso la storia di quando l’avevano comprata,
prima che lei
nascesse: le diceva che insieme con sua madre avevano guardato decine e
decine
di case e quartieri, quando un giorno, dopo essersi persi, si erano
imbattuti
quasi per caso in quella piccola villetta con giardino.
Era stata
proprio sua madre a volere a tutti i costi quella casa. Sin da subito
era
rimasta affascinata dall’antico pozzo in legno, quasi
nascosto dietro il
giardino, che riposava all’ombra di una grande quercia.
A quel
tempo la casa era abitata da un’anziana donna che gentilmente
li aveva invitati
in casa sua, aveva offerto loro da bere e aveva spiegato di voler
vendere
l’abitazione, perché ormai era troppo vecchia per
riuscire a mantenerla e che
il suo desiderio sarebbe stato trasferirsi in una casa di riposo con i
soldi
derivanti dalla vendita.
I suoi
genitori, sorpresi dal colpo di fortuna e fortemente attratti dalla
casa,
avevano contrattato con la signora per il prezzo e ancora prima che
fosse messa
in vendita era già loro.
Suo padre
le ripeteva continuamente come sua madre adorasse quel posto: passava
ore seduta
vicino a quel pozzo, tenendolo sempre ordinato, impedendo che vi
crescessero le
erbacce e prendendosene la massima cura.
Sua madre
amava quel posto.
Kagome
aveva sempre saputo come dietro quella singola frase si celasse tutto
un mondo
di verità nascoste che sarebbe stato crudele dire ad alta
voce: sua madre amava
quel posto perché odiava tutto il resto. Odiava il paese, la
casa, l’uomo che
aveva sposato, odiava la famiglia da cui era nata e con cui aveva
tagliato ogni
contatto, tanto che Kagome non avrebbe saputo neppure dire se qualcuno
fosse
ancora in vita o se fossero tutti morti, odiava tutta la sua vita e
forse più
di ogni cosa odiava lei, la sua stessa figlia.
Rallentando
la corsa, con il cuore che sembrava volerle uscire fuori dal petto per
lo
sforzo, prese una piccola scorciatoia che tagliava di netto due negozi,
riuscendo così a recuperare almeno due minuti sul ritardo
che ormai aveva
accumulato.
Superò il
negozio di fiori che faceva angolo, salutando sbrigativamente la
proprietaria
che conosceva praticamente da sempre. Inspirò a pieni
polmoni il buonissimo
profumo che si respirava lì intorno e che dal negozio
arrivava fino alla fine
del marciapiede; infine dopo aver svoltato anche l’ultimo
angolo vide in
lontananza le sue amiche che la aspettavano e le salutò con
la mano,
avvicinandosi in tutta fretta.
- Mi
dispiace tanto! Scusate, ho fatto prima che ho potuto. -
- Tranquilla
Kagome. – la fermò subito Yuka sorridendole e
permettendole così di riprendere
fiato, - Non sei in ritardo, cioè sì, lo sei, ma
di appena due minuti, quindi
tranquilla. –
- Come?
Davvero? Ma non è possibile… -
Guardò
il
grande orologio della piazza, ma la confusione non si risolse:
l’ora era giusta
e lei era in ritardo di quasi venti minuti. Come se avesse letto i suoi
stessi
pensieri, Ayumi le svelò il mistero.
- Immaginando
che come al solito saresti arrivata tardi, Eri ti ha dato un orario
sbagliato e
a quanto pare il suo piano è riuscito alla perfezione. -
Kagome la
guardò sempre più stupita, mentre la diretta
interessata annuiva con aria
saccente.
-
Voi…
siete davvero perfide! – esclamò infine scoppiando
a ridere e facendo ridere
anche le amiche.
Come per
un tacito accordo iniziarono a camminare lungo la via principale,
guardando i
negozi e chiacchierando allegramente.
Kagome
raccontò loro della reazione di suo padre e della sua
preoccupazione a
proposito degli esami d’ammissione e scoprì che
anche le sue amiche stavano
attraversando una situazione simile: tutti i genitori guardavano a
questi
famigerati esami con grandi aspettative e timore e questo non faceva
altro che
mettere maggiormente sottopressione gli studenti, già
normalmente provati.
Ascoltò
distrattamente Ayumi dar voce alla sua preoccupazione di
deludere i genitori, qualora avesse fallito gli esami e non fosse
riuscita ad
entrare nella facoltà di medicina; seguita poi da Yuka che
al contrario si
rallegrava delle poche pressioni che stava ricevendo grazie al
fratellino più
piccolo di qualche anno che attirava tutta l’attenzione su di
sé.
Ad
un tratto Kagome si fermò, guardandole mentre continuavano a
camminare chiacchierando come se niente fosse. Era stato solo un
secondo, ma
aveva avvertito un brivido lungo la schiena e una strana sensazione di
allerta
l’aveva come paralizzata.
Si sentiva stranamente a disagio, ma le sue amiche sembravano non
aver notato nulla di strano, quindi forse si stava immaginando tutto.
Forse
tutti quei discorsi l’avevano impensierita più di
quanto credesse.
Mosse
un piccolo passo avanti, quando improvvisamente quella
brutta sensazione si intensificò, dandole
l’impressione di aver appena ricevuto
una scossa.
Si voltò di scatto, puntando gli occhi sulla strada dietro
di sé,
facendo vagare lo sguardo sul marciapiede, osservando i negozi e le
persone che
camminavano tranquillamente.
Aveva davvero sentito la presenza di due occhi fissarla
insistentemente?
Si diede della stupida, sospirando e tornando a guardare avanti,
per poi raggiungere le sue amiche. L’ultima cosa che le
mancava e di cui aveva
bisogno erano proprio le manie di persecuzione.
Si
sforzò di essere il più normale possibile,
ignorando quel
continuo campanello d’allarme che, se l’avesse
assecondato, l’avrebbe
probabilmente fatta sembrare pazza.
Non
fecero che pochi metri quando una voce attirò la loro
attenzione.
-
Higurashi! Higurashi! -
Si
voltò,
cercandone tra la folla la provenienza.
- Guardate,
è Hojo. – lo indicò Ayumi.
In meno
di due secondi Kagome se lo ritrovò davanti e
sussultò per lo spavento.
- Hojo,
ciao! – lo salutò amichevolmente, - Come mai da
queste parti? -
Quando il
ragazzo iniziò a parlare, Kagome perse quasi immediatamente
il filo del
discorso. Conosceva il ragazzo dalle scuole medie e in tutto quel tempo
non era
cambiato di una virgola: era diventato più alto, questo
sì, però era rimasto lo
stesso esagerato chiacchierone che era da piccolo, estremamente
generoso e
cordiale verso tutti. Aveva sempre dimostrato una particolare
attenzione per
Kagome, era sempre attento che stesse bene e che non le mancasse nulla;
quando
era stata male era venuto persino a portarle dei “rimedi
naturali”, così diceva
lui, per farla guarire più in fretta.
Era
sempre stato un ottimo amico e anche se era chiaro a tutti ormai che
avrebbe
voluto essere qualcosa di più per la ragazza, non le aveva
mai messo fretta. Le
chiedeva e richiedeva però imperterrito di uscire insieme e
nonostante tutte le
volte in cui lei aveva rifiutato per un motivo o per un altro, lui non
si era
ancora dato per vinto.
Kagome
non era riuscita a capire se il comportamento del ragazzo fosse dovuto
al suo
essere così ostinatamente caparbio o al fatto che in
realtà non avesse ancora
capito che lei non era interessata.
- Senti
Higurashi, io mi stavo chiedendo, se non hai impegni la prossima
settimana, se
ti andasse di uscire insieme. Allora, cosa mi dici? - chiese speranzoso
e
leggermente imbarazzato.
Kagome ci
pensò su qualche istante cercando di trovare una scusa per
declinare, mentre
sentiva le sue amiche, a qualche passo di distanza, vociferare qualcosa
a
proposito di accettare.
- Mi
dispiace Hojo, ma non credo proprio di poter uscire domenica prossima.
Sai, gli
esami d’ammissione si avvicinano e mio padre vuole che mi
metta a studiare sul
serio, non me lo permetterebbe mai. – disse tirando un
sospiro di sollievo,
contenta che per una volta la verità fosse anche la scusa
perfetta per
rifiutare.
Il
ragazzo sospirò, sembrando davvero dispiaciuto per un
secondo, ma subito
ripartì all’attacco più convinto di
prima.
- Tranquilla
Higurashi, non importa. Allora forse potremmo fare una volta terminati
gli
esami, che ne dici? Dopo inizierà
l’università e molto probabilmente le nostre
strade si separeranno, così non avremmo più molto
tempo per vederci. -
Kagome
gli sorrise esasperata, ringraziando che i Kami che lo avessero spedito
in
un’università diversa dalla sua e cercando di
essere il più cordiale possibile
gli disse che sarebbe uscita volentieri e che si sarebbe risentiti in
futuro
per mettersi d’accordo.
Sapeva
che era solo un provvedimento temporaneo e che per quanto potesse
rimandare
Hojo non se ne sarebbe mai scordato e alla fine sarebbe stato
inevitabile
ritirare fuori l’argomento.
Vide il
ragazzo andare via e solo allora poté finalmente tirare un
sospiro di sollievo.
- Kagome
ma si può sapere perché non gli dai mai una
possibilità? -
- Eri ha
ragione! – continuò Yuka, - Hojo ti viene dietro
da anni e tu lo rifiuti
sempre. Non mi pare che tu abbia già un ragazzo no?
–
- Un
ragazzo? –
- Dico
solo che non ti vedi con nessuno e quindi forse potresti concedere una
possibilità a quel poverino. –
- No,
questo è vero, però… -
sussurrò pensierosa, venendo però subito
interrotta da
Ayumi.
- Ma
Kagome fa così solo perché sta aspettando il suo
vero amore! –
Le tre
ragazze la guardarono con gli occhi spalancati per la sorpresa e
scoppiarono a
ridere.
Ayumi
all’interno del loro gruppo era sempre stata la ragazza
più romantica, una vera
e propria sognatrice, al contrario di Eri e Yuka, decisamente
più pratiche e
con i piedi per terra. Ayumi aveva un’idea tutta rose e fiori
dell’amore e
alcuni per questo forse l’avrebbero definita
un’ingenua, ma a Kagome piaceva la
sua spensieratezza e riteneva senza ombra di dubbio che fosse un
pregio.
Continuarono
a camminare entrando in vari negozi e uscendo di tanto in tanto con
delle buste
in più, fino a che Eri non propose di fermarsi a mangiare
qualcosa.
Kagome
stava quasi per assecondarle, quando la libreria del paese, a solo
pochi metri
di distanza, attirò prepotentemente la sua attenzione. Prima
ancora che avesse
modo di aprire bocca e manifestare così i suoi desideri, Eri
le aveva lanciato
un’occhiata complice: le aveva preso le buste dalle mani e
sorridendo le aveva
detto che l’avrebbero aspettata sedute al bar. Kagome
era corsa via senza neppure farselo ripetere.
Era
entrata nella libreria e immediatamente un sorriso entusiasta le si era
dipinto
sulle labbra. Amava
quel posto: i libri accatastati, l’odore della carta
stampata, la miriade di
colori che dalle copertine saltava agli occhi, destando la massima
curiosità.
Si
guardò
intorno osservando la gente che girava curiosa tra gli scaffali e
decise che si
sarebbe lasciata il piano superiore – al momento il
più affollato - per ultimo,
così da poter guardare tranquillamente tutti i libri del
piano terra.
Iniziò a
sbirciare tra i vari scaffali, leggendo rapidamente tutti i titoli che
i suoi
occhi incontravano, fermandosi di tanto in tanto su qualcuno
particolarmente
accattivante.
Si
estraniò rapidamente da tutto, dimenticando la gente che
aveva intorno, il
tempo che passava e la brutta sensazione di ansia che l’aveva
accompagnata fino
a poco tempo prima.
Era
così concentrata sulle sensazioni che le procurava leggere
quelle poche frasi di presentazione dei libri che arrivò a
non sentire altro
all’infuori di lei e di quelle parole che, fluttuando davanti
ai suoi occhi,
prendevano forme d’immagini nella sua mente.
Era così concentrata che non avvertì
l’irreale silenzio calato
improvvisamente nella libreria, né il successivo brusio di
sottofondo.
Se avesse alzato gli occhi, anche solo per un secondo, avrebbe capito immediatamente che qualcosa non andava.
Se
avesse assecondato quella brutta sensazione che si portava
dietro da quando aveva iniziato a camminare per il centro, forse
avrebbe capito
che non era solo una sensazione.
Se
avesse avuto i riflessi più pronti si sarebbe scansata
nell’esatto momento in cui i suoi sensi le avessero detto che
c’era qualcuno
alle sue spalle, una presenza troppo vicina, eccessivamente vicina.
Ma
Kagome era troppo concentrata, non alzò gli occhi in tempo,
non
diede retta a quella sensazione e non ebbe i riflessi pronti.
Sentì
solo quella presenza dietro di sé, prima di ritrovarsi
appoggiata ad un torace muscoloso, con due braccia estranee a
stringerle con
forza le spalle.
"Ricorda
bene le parole
che sto per dirti, perché anche se sul momento potrai
trovarle scontate o
esagerate, nel mio caso si sono rilevate terribilmente vere. Non
pensare mai
che la vita non ti riservi delle sorprese, non dare mai niente per
scontato e
non abbassare mai la guardia, perché nel momento in cui lo
farai la vita
stravolgerà tutte le carte in tavola e tu non potrai fare
niente per impedirlo,
potrai solo sentirti persa.
Prima
di quel momento
vedevo chiaramente il futuro davanti ai miei occhi, come se fosse reale
e lo
potessi toccare con mano. Ci avrei scommesso la mia stessa vita.
Infondo quante
possibilità c’erano che le cose andassero in modo
diverso? Era più probabile
che un meteorite colpisse il tetto della mia casa, mi dicevo.
Avrei scommesso tutto
e avrei perso miseramente, perché come ti dicevo quel giorno
cambiò tutto.
Nulla,
tra tutte le
cose che ritenevo sicure, accadde; in compenso tutte le certezze che
avevo
crollarono, come se non fossero altro che un castello di sabbia,
lasciato per
troppo tempo sotto il sole.
Quello
fu il giorno in
cui tutto cambiò.
Quello
fu l’inizio di
tutto."
- Fermi!
Non muovetevi, non osate fare un solo passo! E tu… posa
immediatamente quel
telefono o giuro che la uccido. -
"Quello
fu il giorno del
mio rapimento."
Angolino
di Aredhel
Ciaaaaao
XD *fa un
piccolo
cenno con la testa, rimanendo nascosta dietro il divano*
È
da un po’ che non ci si “legge” eh? ^///^
Perdono,
sono una frana. T_T
Non
avrei dovuto postare una nuova storia, ma non sono
riuscita a trattenermi, così ormai il danno è
fatto. Avrei voluto aggiornare I’ll
always, ma sono bloccata con una
conversazione parecchio ostica che mi sta causando più
problemi di quanto
pensassi all’inizio. Come se non bastasse, mi è
tornata voglia di scrivere
quest’altra storia che mi porto dietro ormai da un anno e
mezzo e beh, come ho
detto su, non sono riuscita proprio a trattenermi.
Vi
avevo già accennato di quest’idea, quando parlavo
di una long
very long che era in programmazione. Sì, la storia
sarà molto lunga e divisa in
due o tre (più probabile due, ma deciderò
più avanti) parti.
Il titolo per il momento non mi convince moltissimo, perciò
potrei
anche decidere di cambiarlo più avanti. (Se avete
suggerimenti, sappiate che
sono graditissimi!)
Il rating: per il momento ho messo giallo, ma potrebbe diventare
arancione più avanti. È praticamente impossibile
che diventi rosso. XD
Non ho messo l’avvertimento OOC perché spero di
non uscire mai
così tanto fuori dai personaggi, ma dal momento che
è un AU e il rischio
purtroppo c’è, vi invito a farmelo presente se
leggerete comportamenti strani o
anche assurdi. XD
Il
prossimo capitolo (e questo sarà forse uno dei pochi
aggiornamenti lampo) lo posterò domani e si
intitolerà: Il
rapimento – Ricorda che
quando ti dicono di fermarti a riflettere prima di agire
c’è un motivo.
Uhuhu
bene, mi pare di aver detto tutto.
Ora
indovinate un po’: chi sarà mai la misteriosa
presenza dietro
Kagome?
A domani, baci, Aredhel <3