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Autore: Aredhel92    31/01/2014    6 recensioni
Ricorda bene le parole che sto per dirti, perché anche se sul momento potrai trovarle scontate o esagerate, nel mio caso si sono rilevate terribilmente vere.
Non pensare mai che la vita non ti riservi delle sorprese, non dare mai niente per scontato e non abbassare mai la guardia, perché nel momento in cui lo farai, la vita stravolgerà tutte le carte in tavola e tu non potrai fare niente per impedirlo, potrai solo sentirti persa.
Prima di quel momento vedevo chiaramente il futuro davanti ai miei occhi, come se fosse reale, come se lo potessi toccare con mano. Quante erano le possibilità che le cose andassero diversamente?, mi dicevo.
Avrei scommesso tutto e avrei perso miseramente, perché come ti dicevo quel giorno cambiò tutto.
Nulla, tra tutte le cose che ritenevo sicure, accadde; in compenso tutte le certezze che avevo crollarono, come se non fossero altro che un castello di sabbia, lasciato per troppo tempo sotto il sole.
Quello fu l’inizio di tutto.


- Fermi! Non muovetevi, non fate un solo passo! E tu… posa immediatamente quel telefono o giuro che la uccido. -

Quello fu il giorno del mio rapimento.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il segreto della mia Vita
 







 
1. L’inizio di tutto
(Se pensi che la vita non ti riservi nessuna sorpresa, preparati: il tuo mondo sta per essere sconvolto.)







 

Diario di Kagome

 

"Il mio nome è Kagome, Kagome Higurashi.

So che lo sai già e so anche ciò che mi stai per chiedere. La risposta è: no, non ho trovato un inizio migliore di questo, così ora posso solo sperare che tu non abbandoni la lettura di questo diario dopo appena due righe dal suo inizio.

Sai, prima di questo momento non avevo mai tenuto un diario, è una cosa nuova per me, perciò spero davvero che il risultato non sia troppo caotico e che tu riesca a trarre da ciò che ti racconterò tutti gli aiuti, i consigli e gli insegnamenti di cui potrai avere bisogno in futuro; e se non avrai imparato niente… beh, non importa: avrai comunque letto una bella storia, no? 

Ci ho pensato tanto prima di prendere la penna in mano e macchiare la carta con l’inchiostro, ma alla fine mi sono decisa. Ho voluto scrivere questo diario, perché in tutto questo tempo ho capito una cosa importante, una cosa fondamentale: il passato deve essere tramandato. 
È importante che i ricordi, le azioni, le persone e i sentimenti non vadano persi.

Quella che voglio raccontarti non è una storia normale. È la mia storia, la nostra storia e allo stesso tempo è semplicemente la vita, con tutti i suoi misteri, i suoi colpi di scena, le gioie e i dolori: di come le cose vadano bene e sembrino perfette un secondo prima, di come possano essere rovesciate l’attimo successivo.  

La mia storia ha inizio più o meno tre anni fa: era quasi finito l’autunno, ero all’ultimo anno di liceo e gli esami di ammissione all’università si avvicinavano ad una velocità spaventosa.  
Anche se è passato un bel po’ di tempo e in questi tre anni ne sono successe davvero di tutti i colori, ricordo quel giorno come se fosse ieri…"

 

 ***

 

 

Domenica! Finalmente era domenica.

Quel giorno Kagome si era svegliata di buon’ora con il sorriso sulle labbra.

Dopo aver passato tutta la settimana, china sui libri a studiare o rannicchiata in mezzo ad una folla con qualche centinaio di ragazzi delle sua stessa età, a sentir parlare di quale fosse il metodo migliore per affrontare gli imminenti esami d’ammissione all’università, finalmente era domenica.

Il giorno che, da un po’ di tempo a quella parte, considerava il suo preferito, perché era l’unico a trasmetterle ancora una sensazione di libertà, come se il futuro fosse ancora lontano e lei avesse tutto il tempo del mondo per vivere come più le piaceva.

In realtà avrebbe fatto meglio ad abituarsi all’idea che quella domenica sarebbe stata l’ultima giornata di libertà prima di iniziare uno studio folle e disperato in vista degli esami, ma per un ultimo giorno ancora poteva permettersi di sognare in pace, giusto? Le sue migliori amiche, neanche a dirlo, avevano subito approfittato del momento per organizzare una giornata all’insegna dello shopping e dello svago.

“Conquisteremo il centro commerciale!”, così aveva esordito la sua amica Eri e per un attimo Kagome aveva avuto davvero paura che si presentasse armata fino ai denti di spade, lance e forconi, pronta a barricarsi dentro i negozi per non uscirne più. 
Insomma, era Eri! Se una cosa del genere l’avesse detta Ayumi sarebbe scoppiata a ridere e magari le avrebbe dato anche tutto il suo appoggio, ma a parlare era stata proprio Eri e da lei ci si poteva aspettare qualsiasi cosa.

Aveva finito di vestirsi, canticchiando a mezza voce il motivo di una qualche canzone di cui non ricordava bene il titolo né tantomeno le parole; si era truccata leggermente e aveva poi iniziato la sua quotidiana battaglia con i capelli, da cui ne era uscita come sempre miseramente sconfitta. 
Li aveva ripresi da sua madre, così le diceva suo padre quando la trovava impegnata in un combattimento contro un nodo estremamente tenace, convinto di dover continuare ad esistere. Lei si limitava ad alzare le spalle e a guardare da un’altra parte. 
Non voleva somigliarle, non voleva avere niente che gliela ricordasse, ma nonostante questo suo desiderio, tutto di lei richiamava a gran voce l’aspetto della madre: i lunghi capelli corvini leggermente ondulati, gli occhi grandi color cioccolato, le guance sempre rosate, le labbra piene e rosse, i lineamenti dolci.

Avevano una sua foto in casa, posta sul comodino all’ingresso, era una foto di quando era giovane e frequentava forse l’università. Le persone che entravano dentro casa e la vedevano otto volte su dieci erano sicuri che la ragazza ritratta fosse Kagome.

Improvvisamente sobbalzò ridestandosi. 
Era così presa dai suoi pensieri da non aver fatto neppure caso all’ora: se non fosse uscita immediatamente avrebbe fatto tardi all’appuntamento e se fosse arrivata tardi per l’ennesima volta, era certa che avrebbe subito l’ira di Eri. 
Erano amiche praticamente da sempre e le voleva un mondo di bene, ma quando la ragazza si arrabbiava niente riusciva a distrarla e la classica punizione era una ramanzina infinita senza alcuna possibilità di fuga.

In fretta e furia finì di prepararsi, prese la borsa, buttandoci dentro alla rinfusa tutto il necessario e corse poi verso la porta.

- Kagome! -

La ragazza sussultò per lo spavento imprevisto.

- P-papà. – balbettò tornando sui suoi passi, - Credevo fossi già uscito. -

L’uomo la guardò contrariato, incrociando le braccia al petto, con aria di rimprovero.

- Kagome, si può sapere dove stai andando? Non dovresti studiare per gli esami? -

- Oh papà ti prego! È l’ultimo giorno libero che abbiamo e avevo promesso ad Eri, Yuka e Ayumi che saremmo andate in giro per negozi. Ti prometto che poi mi metterò seriamente a studiare. Ti prego, ti prego, ti prego! –

L’uomo sospirò, ormai rassegnato all’evidenza che far cambiare idea alla figlia era impossibile tanto quanto negarle ciò che desiderava quando metteva su quell’espressione da cucciolo implorante.

- Va bene, d’accordo, ma ad una condizione. – le disse alzando l’indice destro come a voler rendere quelle parole più veritiere. – Niente più distrazioni. Lo sai che è una cosa seria, Kagome: gli esami d’ammissione all’università non sono certo una passeggiata e tu devi cercare di dare il massimo piccola: ne va del tuo futuro. -

- Papà, lo so molto bene credimi. – gli disse dopo averlo abbracciato, - Ormai non sono più una bambina. Non li sto affatto sottovalutando e farò del mio meglio, perciò puoi stare tranquillo. –

- Beh, se le cose stanno così allora non ho niente in contrario: vai pure a divertirti con le tue amiche, tesoro. – concluse accarezzandole i capelli per poi lasciarla andare.

- Grazie mille papà! – gli disse scoccandogli un bacio sulla guancia. – Cercherò di non tornare troppo tardi. Ciao, ti voglio bene! –

Si richiuse la porta alle spalle e si mise subito a correre: era dannatamente tardi ed Eri l’avrebbe senza alcun dubbio uccisa.

 

 

***

 

 

Un giovane ragazzo dalle sembianze demoniache simili a quelle di un lupo, dai profondi occhi azzurri e dai lunghi capelli neri, raccolti in cima alla testa in un’alta coda da un logoro elastico marrone, camminava per le strade del paesino, facendo ondeggiare ritmicamente la lunga e folta coda, tenendo le braccia incrociate al petto e con un’espressione pensierosa in volto.

- Credi che abbiamo sbagliato? – chiese ad un tratto all’amico che gli camminava accanto, il quale sembrava anche più pensieroso e preoccupato.

Era alto quanto lui e ad occhio e croce sembravano avere la stessa età. Gli occhi erano di un blu scuro simile alla notte senza stelle e i capelli neri erano legati in un basso codino dietro la nuca; a differenza dell’altro non aveva alcun segno che ne rivelasse la natura demoniaca. 

- Pensavo la stessa cosa Koga… Non avremmo dovuto lasciarlo andare da solo. Se dovesse accadere qualcosa e Sesshomaru lo dovesse scoprire… -

- Tzè! Se quello stupido botolo si caccia nei guai, lo faccio fuori io stesso! –

- Sì, così Sesshomaru farà fuori noi perché non abbiamo saputo controllarlo. Non mi sembra una prospettiva allettante, se vuoi il mio parere. –

- Allora sentiamo, signor ottimismo, cosa proponi di fare?! –

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo stizzito, pensando per qualche istante ad una soluzione, prima che la sua attenzione venisse completamente catturata da delle voci femminili che si stavano avvicinando.

- Oh salve leggiadre fanciulle! È una giornata perfetta per una passeggiata all’aria aperta non credete? Vi dispiace se ci uniamo a voi? Come vi chiamate? -

- Miroku! – urlò Koga, tirandolo per un orecchio e allontanandolo dalle due ragazze, che leggermente spaventate accelerarono il passo e fuggirono via.

- Sei sempre il solito guastafeste! – si lamentò Miroku, guardandole andar via con la coda dell’occhio. – Volevo solo passare un po’ di tempo con quelle belle fanciulle… – continuò sospirando.

- Ho promesso a Sango che ti avrei tenuto d’occhio e se proprio devo morire preferisco che sia per mano di Sesshomaru piuttosto che per mano sua: la tua ragazza mi terrorizza! Non che non abbia ragione, maniaco come sei! Certe volte mi domando proprio come faccia a sopportarti. –

Miroku sospirò rassegnandosi all’evidenza che anche se la sua dolce metà non era fisicamente presente, era come se i suoi occhi fossero ovunque, pronti a tenerlo costantemente sotto controllo. Non che gli dispiacesse, certo! Farla ingelosire era una delle esperienze più divertenti che la vita gli avesse donato. 
Lei diventava tutta rossa e si arrabbiava tantissimo, poi quando assottigliava leggermente gli occhi era il segno che stava per arrivargli un pugno dritto in faccia; a quel punto lui faceva finta di essersi fatto più male di quanto non fosse e lei se ne andava via stizzita.

Era sempre lui a fare il passo successivo e a tornare da lei: che le chiedesse di perdonarlo, la facesse ridere, le facesse un complimento o le dicesse qualcosa di romantico non era importante. Qualsiasi cosa lui si inventasse – ed erano davvero tante cose, ognuna diversa dall’altra – lei lo perdonava sempre, tornando a sorridere e a dargli dello stupido, troppo orgogliosa per dirgli che lo amava.

Era il loro gioco. Nessuno dei due se la prendeva mai sul serio: entrambi sapevano che l’amore che li legava era troppo forte e che non si sarebbe incrinato. 

- Allora, ritornando al problema del botolo, cosa facciamo? – gli domandò Koga distogliendolo dai suoi pensieri.

- Niente. – sospirò Miroku, - Non possiamo fare proprio nulla. È andato chissà dove e sicuramente non vorrà farsi trovare, quindi non ci resta che sperare che non gli accada nulla. Piuttosto direi di muoverci: abbiamo una lista infinita di cose da prendere. – concluse facendo ondeggiare tra due dita un foglietto di carta ripiegato più volte.

 

 

***

 

Per fortuna, pensava Kagome mentre correva, il luogo dell’appuntamento non era troppo lontano dalla sua casa.  

Aveva sempre pensato che fosse una grande fortuna non abitare in una di quelle grandi città in cui le distanze sembravano essere infinite e dove un tragitto di un’ora veniva tranquillamente definito normale. Quanto grande sarebbe stato il suo ritardo se la strada da percorrere fosse stata da calcolare in chilometri, anziché in metri? 
Non avrebbe mai voluto saperlo, pensò rabbrividendo. Adorava il paesino in cui viveva, i negozi che conosceva a memoria, la gente che la salutava per strada e adorava il fatto che la sua casa fosse solo a qualche centinaio di metri dal centro. Quest’ultimo elemento, a dire la verità, lo considerava l’unico pregio della piccola villetta in cui viveva con suo padre.

L’uomo le raccontava spesso la storia di quando l’avevano comprata, prima che lei nascesse: le diceva che insieme con sua madre avevano guardato decine e decine di case e quartieri, quando un giorno, dopo essersi persi, si erano imbattuti quasi per caso in quella piccola villetta con giardino. 
Era stata proprio sua madre a volere a tutti i costi quella casa. Sin da subito era rimasta affascinata dall’antico pozzo in legno, quasi nascosto dietro il giardino, che riposava all’ombra di una grande quercia.

A quel tempo la casa era abitata da un’anziana donna che gentilmente li aveva invitati in casa sua, aveva offerto loro da bere e aveva spiegato di voler vendere l’abitazione, perché ormai era troppo vecchia per riuscire a mantenerla e che il suo desiderio sarebbe stato trasferirsi in una casa di riposo con i soldi derivanti dalla vendita. 
I suoi genitori, sorpresi dal colpo di fortuna e fortemente attratti dalla casa, avevano contrattato con la signora per il prezzo e ancora prima che fosse messa in vendita era già loro.

Suo padre le ripeteva continuamente come sua madre adorasse quel posto: passava ore seduta vicino a quel pozzo, tenendolo sempre ordinato, impedendo che vi crescessero le erbacce e prendendosene la massima cura. 

Sua madre amava quel posto.

Kagome aveva sempre saputo come dietro quella singola frase si celasse tutto un mondo di verità nascoste che sarebbe stato crudele dire ad alta voce: sua madre amava quel posto perché odiava tutto il resto. Odiava il paese, la casa, l’uomo che aveva sposato, odiava la famiglia da cui era nata e con cui aveva tagliato ogni contatto, tanto che Kagome non avrebbe saputo neppure dire se qualcuno fosse ancora in vita o se fossero tutti morti, odiava tutta la sua vita e forse più di ogni cosa odiava lei, la sua stessa figlia.

Rallentando la corsa, con il cuore che sembrava volerle uscire fuori dal petto per lo sforzo, prese una piccola scorciatoia che tagliava di netto due negozi, riuscendo così a recuperare almeno due minuti sul ritardo che ormai aveva accumulato. 
Superò il negozio di fiori che faceva angolo, salutando sbrigativamente la proprietaria che conosceva praticamente da sempre. Inspirò a pieni polmoni il buonissimo profumo che si respirava lì intorno e che dal negozio arrivava fino alla fine del marciapiede; infine dopo aver svoltato anche l’ultimo angolo vide in lontananza le sue amiche che la aspettavano e le salutò con la mano, avvicinandosi in tutta fretta.

- Mi dispiace tanto! Scusate, ho fatto prima che ho potuto. -

- Tranquilla Kagome. – la fermò subito Yuka sorridendole e permettendole così di riprendere fiato, - Non sei in ritardo, cioè sì, lo sei, ma di appena due minuti, quindi tranquilla. –

- Come? Davvero? Ma non è possibile… -

Guardò il grande orologio della piazza, ma la confusione non si risolse: l’ora era giusta e lei era in ritardo di quasi venti minuti. Come se avesse letto i suoi stessi pensieri, Ayumi le svelò il mistero.

- Immaginando che come al solito saresti arrivata tardi, Eri ti ha dato un orario sbagliato e a quanto pare il suo piano è riuscito alla perfezione. -

Kagome la guardò sempre più stupita, mentre la diretta interessata annuiva con aria saccente.

- Voi… siete davvero perfide! – esclamò infine scoppiando a ridere e facendo ridere anche le amiche.

Come per un tacito accordo iniziarono a camminare lungo la via principale, guardando i negozi e chiacchierando allegramente.

Kagome raccontò loro della reazione di suo padre e della sua preoccupazione a proposito degli esami d’ammissione e scoprì che anche le sue amiche stavano attraversando una situazione simile: tutti i genitori guardavano a questi famigerati esami con grandi aspettative e timore e questo non faceva altro che mettere maggiormente sottopressione gli studenti, già normalmente provati. 
Ascoltò distrattamente Ayumi dar voce alla sua preoccupazione di deludere i genitori, qualora avesse fallito gli esami e non fosse riuscita ad entrare nella facoltà di medicina; seguita poi da Yuka che al contrario si rallegrava delle poche pressioni che stava ricevendo grazie al fratellino più piccolo di qualche anno che attirava tutta l’attenzione su di sé.

Ad un tratto Kagome si fermò, guardandole mentre continuavano a camminare chiacchierando come se niente fosse. Era stato solo un secondo, ma aveva avvertito un brivido lungo la schiena e una strana sensazione di allerta l’aveva come paralizzata. 
Si sentiva stranamente a disagio, ma le sue amiche sembravano non aver notato nulla di strano, quindi forse si stava immaginando tutto. Forse tutti quei discorsi l’avevano impensierita più di quanto credesse.

Mosse un piccolo passo avanti, quando improvvisamente quella brutta sensazione si intensificò, dandole l’impressione di aver appena ricevuto una scossa. 
Si voltò di scatto, puntando gli occhi sulla strada dietro di sé, facendo vagare lo sguardo sul marciapiede, osservando i negozi e le persone che camminavano tranquillamente. 
Aveva davvero sentito la presenza di due occhi fissarla insistentemente? 
Si diede della stupida, sospirando e tornando a guardare avanti, per poi raggiungere le sue amiche. L’ultima cosa che le mancava e di cui aveva bisogno erano proprio le manie di persecuzione.

 

Si sforzò di essere il più normale possibile, ignorando quel continuo campanello d’allarme che, se l’avesse assecondato, l’avrebbe probabilmente fatta sembrare pazza.

Non fecero che pochi metri quando una voce attirò la loro attenzione.

- Higurashi! Higurashi! -

Si voltò, cercandone tra la folla la provenienza.

- Guardate, è Hojo. – lo indicò Ayumi.

In meno di due secondi Kagome se lo ritrovò davanti e sussultò per lo spavento.

- Hojo, ciao! – lo salutò amichevolmente, - Come mai da queste parti? -

Quando il ragazzo iniziò a parlare, Kagome perse quasi immediatamente il filo del discorso. Conosceva il ragazzo dalle scuole medie e in tutto quel tempo non era cambiato di una virgola: era diventato più alto, questo sì, però era rimasto lo stesso esagerato chiacchierone che era da piccolo, estremamente generoso e cordiale verso tutti. Aveva sempre dimostrato una particolare attenzione per Kagome, era sempre attento che stesse bene e che non le mancasse nulla; quando era stata male era venuto persino a portarle dei “rimedi naturali”, così diceva lui, per farla guarire più in fretta. 
Era sempre stato un ottimo amico e anche se era chiaro a tutti ormai che avrebbe voluto essere qualcosa di più per la ragazza, non le aveva mai messo fretta. Le chiedeva e richiedeva però imperterrito di uscire insieme e nonostante tutte le volte in cui lei aveva rifiutato per un motivo o per un altro, lui non si era ancora dato per vinto. 
Kagome non era riuscita a capire se il comportamento del ragazzo fosse dovuto al suo essere così ostinatamente caparbio o al fatto che in realtà non avesse ancora capito che lei non era interessata.

- Senti Higurashi, io mi stavo chiedendo, se non hai impegni la prossima settimana, se ti andasse di uscire insieme. Allora, cosa mi dici? - chiese speranzoso e leggermente imbarazzato.

Kagome ci pensò su qualche istante cercando di trovare una scusa per declinare, mentre sentiva le sue amiche, a qualche passo di distanza, vociferare qualcosa a proposito di accettare. 

- Mi dispiace Hojo, ma non credo proprio di poter uscire domenica prossima. Sai, gli esami d’ammissione si avvicinano e mio padre vuole che mi metta a studiare sul serio, non me lo permetterebbe mai. – disse tirando un sospiro di sollievo, contenta che per una volta la verità fosse anche la scusa perfetta per rifiutare.

Il ragazzo sospirò, sembrando davvero dispiaciuto per un secondo, ma subito ripartì all’attacco più convinto di prima.

- Tranquilla Higurashi, non importa. Allora forse potremmo fare una volta terminati gli esami, che ne dici? Dopo inizierà l’università e molto probabilmente le nostre strade si separeranno, così non avremmo più molto tempo per vederci. -

Kagome gli sorrise esasperata, ringraziando che i Kami che lo avessero spedito in un’università diversa dalla sua e cercando di essere il più cordiale possibile gli disse che sarebbe uscita volentieri e che si sarebbe risentiti in futuro per mettersi d’accordo.

Sapeva che era solo un provvedimento temporaneo e che per quanto potesse rimandare Hojo non se ne sarebbe mai scordato e alla fine sarebbe stato inevitabile ritirare fuori l’argomento.

Vide il ragazzo andare via e solo allora poté finalmente tirare un sospiro di sollievo.

- Kagome ma si può sapere perché non gli dai mai una possibilità? -

- Eri ha ragione! – continuò Yuka, - Hojo ti viene dietro da anni e tu lo rifiuti sempre. Non mi pare che tu abbia già un ragazzo no? –

- Un ragazzo? –

- Dico solo che non ti vedi con nessuno e quindi forse potresti concedere una possibilità a quel poverino. –

- No, questo è vero, però… - sussurrò pensierosa, venendo però subito interrotta da Ayumi.

- Ma Kagome fa così solo perché sta aspettando il suo vero amore! –

Le tre ragazze la guardarono con gli occhi spalancati per la sorpresa e scoppiarono a ridere. 
Ayumi all’interno del loro gruppo era sempre stata la ragazza più romantica, una vera e propria sognatrice, al contrario di Eri e Yuka, decisamente più pratiche e con i piedi per terra. Ayumi aveva un’idea tutta rose e fiori dell’amore e alcuni per questo forse l’avrebbero definita un’ingenua, ma a Kagome piaceva la sua spensieratezza e riteneva senza ombra di dubbio che fosse un pregio.

 

 

Continuarono a camminare entrando in vari negozi e uscendo di tanto in tanto con delle buste in più, fino a che Eri non propose di fermarsi a mangiare qualcosa.

Kagome stava quasi per assecondarle, quando la libreria del paese, a solo pochi metri di distanza, attirò prepotentemente la sua attenzione. Prima ancora che avesse modo di aprire bocca e manifestare così i suoi desideri, Eri le aveva lanciato un’occhiata complice: le aveva preso le buste dalle mani e sorridendo le aveva detto che l’avrebbero aspettata sedute al bar. Kagome era corsa via senza neppure farselo ripetere.

Era entrata nella libreria e immediatamente un sorriso entusiasta le si era dipinto sulle labbra. Amava quel posto: i libri accatastati, l’odore della carta stampata, la miriade di colori che dalle copertine saltava agli occhi, destando la massima curiosità.

Si guardò intorno osservando la gente che girava curiosa tra gli scaffali e decise che si sarebbe lasciata il piano superiore – al momento il più affollato - per ultimo, così da poter guardare tranquillamente tutti i libri del piano terra. 
Iniziò a sbirciare tra i vari scaffali, leggendo rapidamente tutti i titoli che i suoi occhi incontravano, fermandosi di tanto in tanto su qualcuno particolarmente accattivante.  
Si estraniò rapidamente da tutto, dimenticando la gente che aveva intorno, il tempo che passava e la brutta sensazione di ansia che l’aveva accompagnata fino a poco tempo prima.

Era così concentrata sulle sensazioni che le procurava leggere quelle poche frasi di presentazione dei libri che arrivò a non sentire altro all’infuori di lei e di quelle parole che, fluttuando davanti ai suoi occhi, prendevano forme d’immagini nella sua mente. 
Era così concentrata che non avvertì l’irreale silenzio calato improvvisamente nella libreria, né il successivo brusio di sottofondo.

Se avesse alzato gli occhi, anche solo per un secondo, avrebbe capito immediatamente che qualcosa non andava. 

Se avesse assecondato quella brutta sensazione che si portava dietro da quando aveva iniziato a camminare per il centro, forse avrebbe capito che non era solo una sensazione.

Se avesse avuto i riflessi più pronti si sarebbe scansata nell’esatto momento in cui i suoi sensi le avessero detto che c’era qualcuno alle sue spalle, una presenza troppo vicina, eccessivamente vicina.

Ma Kagome era troppo concentrata, non alzò gli occhi in tempo, non diede retta a quella sensazione e non ebbe i riflessi pronti.

Sentì solo quella presenza dietro di sé, prima di ritrovarsi appoggiata ad un torace muscoloso, con due braccia estranee a stringerle con forza le spalle.

 

 

 

"Ricorda bene le parole che sto per dirti, perché anche se sul momento potrai trovarle scontate o esagerate, nel mio caso si sono rilevate terribilmente vere. Non pensare mai che la vita non ti riservi delle sorprese, non dare mai niente per scontato e non abbassare mai la guardia, perché nel momento in cui lo farai la vita stravolgerà tutte le carte in tavola e tu non potrai fare niente per impedirlo, potrai solo sentirti persa.

Prima di quel momento vedevo chiaramente il futuro davanti ai miei occhi, come se fosse reale e lo potessi toccare con mano. Ci avrei scommesso la mia stessa vita. Infondo quante possibilità c’erano che le cose andassero in modo diverso? Era più probabile che un meteorite colpisse il tetto della mia casa, mi dicevo.
Avrei scommesso tutto e avrei perso miseramente, perché come ti dicevo quel giorno cambiò tutto.

Nulla, tra tutte le cose che ritenevo sicure, accadde; in compenso tutte le certezze che avevo crollarono, come se non fossero altro che un castello di sabbia, lasciato per troppo tempo sotto il sole.

Quello fu il giorno in cui tutto cambiò.

Quello fu l’inizio di tutto."

 

 

- Fermi! Non muovetevi, non osate fare un solo passo! E tu… posa immediatamente quel telefono o giuro che la uccido. -

 

 

 

"Quello fu il giorno del mio rapimento."

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino di Aredhel

 

 

Ciaaaaao XD   *fa un piccolo cenno con la testa, rimanendo nascosta dietro il divano*

È da un po’ che non ci si “legge” eh? ^///^

Perdono, sono una frana. T_T

Non avrei dovuto postare una nuova storia, ma non sono riuscita a trattenermi, così ormai il danno è fatto. Avrei voluto aggiornare I’ll always, ma sono bloccata con una conversazione parecchio ostica che mi sta causando più problemi di quanto pensassi all’inizio. Come se non bastasse, mi è tornata voglia di scrivere quest’altra storia che mi porto dietro ormai da un anno e mezzo e beh, come ho detto su, non sono riuscita proprio a trattenermi.

Vi avevo già accennato di quest’idea, quando parlavo di una long very long che era in programmazione. Sì, la storia sarà molto lunga e divisa in due o tre (più probabile due, ma deciderò più avanti) parti. 
Il titolo per il momento non mi convince moltissimo, perciò potrei anche decidere di cambiarlo più avanti. (Se avete suggerimenti, sappiate che sono graditissimi!) 
Il rating: per il momento ho messo giallo, ma potrebbe diventare arancione più avanti. È praticamente impossibile che diventi rosso. XD
Non ho messo l’avvertimento OOC perché spero di non uscire mai così tanto fuori dai personaggi, ma dal momento che è un AU e il rischio purtroppo c’è, vi invito a farmelo presente se leggerete comportamenti strani o anche assurdi. XD

Il prossimo capitolo (e questo sarà forse uno dei pochi aggiornamenti lampo) lo posterò domani e si intitolerà: Il rapimento – Ricorda che quando ti dicono di fermarti a riflettere prima di agire c’è un motivo.

Uhuhu bene, mi pare di aver detto tutto.

Ora indovinate un po’: chi sarà mai la misteriosa presenza dietro Kagome?

 
A domani, baci, Aredhel <3

 

  
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