5)Mi manchi, purtroppo, mi
manchi.
La
mattina dopo mi sveglio di umore strano e cerco di appiccicarmi in
faccia
l’espressione più normale che riesco a produrre.
Stranamente anche Isabel
sospetta qualcosa e non voglio darle altri indizi o motivi di sospetto
comportandomi
in modo strano.
Scendo
a fare colazione e saluto tutti apparentemente insonnolita, in
realtà sono
vigile come se mi trovassi in un territorio nemico e forse è
così: io sono
un’aliena in fondo.
Finito
di fare colazione, andiamo a scuola.
In
macchina io e Isabel manteniamo una conversazione leggera e divertente,
entrambe vogliamo rimanere distanti dal vero nodo della questione.
Arrivate
a scuola, Tom ci aspetta con in braccio Ava.
“Ciao,
ragazze!”
“Ciao,
Tom!”
Rispondiamo
in coro sorridendo.
“Oggi
Ava la tieni tu.”
“Va
bene.”
Me
la porge e come arriva tra le mie braccia inizia a piangere, io le do
il
biberon, sperando di calmarla e ce la faccio, per fortuna.
“Cosa
le avrò fatto?”
“La
tratti come una bambola.”
Mi
risponde Tom.
“È
una bambola, Tom.”
Lui
sbuffa.
“Non
per questo devi essere così poco affettuosa.”
“Ok.”
Entriamo
a scuola e ci dividiamo, ognuno ha lezioni diverse. Io mi sto avviando
alla mia
quando vengo circondata da un gruppo di ragazze. Dio, ti prego
fa’ che non sia
per Tom, queste cose succedono solo nei telefilm!
“E
così sei la ragazza di Tom!”
Esordisce
una cheerleader che per la prima volta mostra il suo volto da arpia nel
sorriso
cattivissimo e nelle rughe d’espressione che affiorano da
sotto tre quintali di
fondotinta,
“No,
devo solo fare un progetto con lui per scuola.”
“Se
è così gira alla larga da lui!”
“Devo
prendermi cura di questa bambola con lui, è ovvio che non
posso, idiota!”
Lei
scrocchia le dita e fa per tirarmi un pugno, io però la
blocco e comincio a
stringere il polso, lei geme per via del dolore.
“Sentitemi
bene, imbecilli.
Se
amate o siete cotte di Tom non mi interessa, sono problemi vostri e
dovete
risolverli da sole. Osate ancora una volta disturbare me o Izzie e vi
ammazzo,
sono stata chiara?”
Stringo
ancora un po’il polso della cheerleader, sento
l’osso che è pericolosamente
vicino allo spezzarsi – è un bel rumore
– e le sue guance sono solcate da
lacrime di dolore.
“Avete
capito?”
Loro
annuiscono e io lascio andare la loro capa improvvisata e me ne vado
verso la
classe di arte, per un paio d’ore mi rilasserò
dipingendo.
Che
bello!
La
mia lezione trascorre tranquillamente, peccato che entro
l’intervallo tutta la
scuola sappia dello scontro tra me e le ammiratrici di DeLonge e come
leggenda
metropolitana o pettegolezzo
è stata
gonfiata fino all’incredibile. Nelle versioni più
truculente si narra che io
abbia spaccato il polso alla capo cheerleader e poi steso le altre a
colpi di
konfu.
È
una vera seccatura arrivare a mensa e sentirsi gli occhi di tutti
addosso e dare
loro una qualche soddisfazione quando mi siedo in un tavolo con mia
sorella e
Tom.
“E
così hai pestato qualcuno per me.”
“No,
non ho pestato nessuno. Ho solo stretto un po’ troppo il
polso della capo
cheerleader dato che lei e le tue ammiratrici volevano picchiarmi per
farmi
smettere di girarti intorno.”
“Quindi,
alla fine tu hai picchiato qualcuno per me.”
“E
che credi che mi piaccia?
Io
non voglio picchiare nessuno, soprattutto per te. Sono stanca di questa
situazione, sono stanca di te!”
“Cosa?”
“Sono
stufa del fatto che mi giri continuamente attorno quando non
è necessario per
la bambola. Sono stanca, non mi piaci, sei solo uno stalker e uno
stronzo che
vuole solo scoparmi.
Beh,
non sarò un’altra che si aggiunge alla tua lista,
né ho intensione di darti
spiegazioni, ringrazia il buon Dio che ti ha lasciato vivere e
basta!”
Lui
mi guarda per un attimo – e giurerei che i suoi occhi
avessero uno sguardo
ferito – e poi se ne va senza dire una parola.
“Hai
esagerato.”
Mi
dice mia sorella.
“Ecchissenefrega!
Adesso voglio solo mangiare!”
Questa
volta Tom non mi aspetta alla mia macchina alla fine delle lezioni, mi
aspetta
sul portone, prende Ava e il suo set senza dire una parole e se ne va.
Forse
me lo sono tolto di torno, anche se in fondo al cuore la cosa mi
strazia. Sono
salva, ma con il cuore a pezzi, per quanto sia insopportabile e
pericoloso io
amo Tom.
Izzie
non mi dice nulla, ma nota che non sono troppo felice.
Devo
ringraziarla per non avere infierito.
Mi
manca.
Incredibilmente
– benché sia stato una seccatura per tutto il
tempo – mi manca e darei
qualsiasi cosa per tornare indietro nel tempo e non dire nulla.
Lo
vedo fare lo scemo con le ragazze nei corridoio e vedo che loro sono
tornate
felici, una volta lo becco addirittura a pomiciare con quella puttana a
cui ho
quasi rotto il polso nel cesso delle femmine.
Me
ne sono andata senza dire nulla, anche se dentro di me pensavo che quel
giorno avrei fatto bene a spaccarglielo quel cazzo di polso e magari
ficcarglielo nel culo.
Sono
imprigionata nelle conseguenze delle mie azioni, io di sicuro non gli
chiederò
scusa e – se conosco bene lui – non si
farà certo vivo, perché l’ho offeso.
Cosa
posso fare?
Non
lo so e i giorni passano. Ci alterniamo con Ava come due perfetti
estranei, da
parte sua non c’è più nessun tentativo
di comunicare con me, forse ha capito di
aver perso la guerra per avermi.
“Perché
non gli chiedi semplicemente scusa?
Sono
sicura che gli farebbe piacere, l’hai ferito.”
Mi
dice Izzie, io alzo le spalle.
“Ho
ferito solo il suo orgoglio, quello che si era fissato su di me per
potermi
scopare.”
“No,
non è così. Tu non lo conosci.”
“Tu
sì, vero?
Adesso
che esci con Mark credi di conoscere anche il suo migliore
amico!”
Sputo
acida.
“Ok,
io lascio perdere. Fai come vuoi, ma ricordati dei miei consigli,
almeno
quello..”
Io
annuisco e penso che la mia vita ha preso una brutta piega a causa di
Tom e
questa volta nemmeno Johnny riesce a tirarmi su.
Mi
sento uno schifo e l’unico sfogo è parlare con
Ava, che almeno tace e non mi fa
pesare il fatto di aver fatto io il danno.
È
strano occuparsi di lei, volente o nolente una voce dentro di me mi
rinfaccia
che nessuno ha fatto questo per me. Non so chi sia mai madre, non so
chi sia
mio padre, non so se siano stati felici quando lei ha scoperto di
essere
incinta.
Mi
piace pensare che lo siano stati e che poi qualcosa di brutto li abbia
costretti ad allontanarsi da me e a mandarmi su questo pianeta per
salvarmi.
Un’altra
voce dice che forse mi hanno semplicemente qui, perché non
mi volevano.
Abbandonata
come un cane in autostrada d’estate, indifesa e senza gli
strumenti adatti per
cavarsela e qualcuno di adulto a cui chiedere aiuto quando le cose
erano troppo
difficili.
Qualcuno
mi ha mai coccolata?
Qualcuno
mi ha mai nutrita o
mi ha cantato una
ninna nanna per farmi addormentare?
Qualcuno
ha mai vegliato il mio sonno perché
mi
voleva bene e voleva stare con me?
Sono
domande che rimangono e sono sempre rimaste senza risposta, ma che ora
dentro
di me generano un buco nero.
È
come se stessi tornando a essere la bambina che vagava nel deserto
appena fuori
Poway e questa volta non c’è la mano di Johnny che
stringe la mia.
Sono
da sola, terribilmente da sola.
Mia
madre sembra accorgersi che ho qualche problema, perché la
penultima sera in
cui mi tocca Ava entra in camera mia.
“Tutto
bene, tesoro?”
“No,
niente va bene. ogni volta che guardo questa bambola mi chiedo se
qualcuno
prima che mi lasciasse nel
deserto,
abbia fatto le stesse cose per me.
Allattarmi,
coccolarmi, cantarmi una ninna nanna, semplicemente guardarmi come se
fossi una
bella cosa.
E
poi mi chiedo perché sono finita nel deserto e che ne
è stato dei miei genitori
mi hanno abbandonato? Hanno avuto un incidente e sono stati mangiati
dai
coyote?
Perché?”
Lei
si siede sul letto.
“Non
so dove siano i tuoi genitori, né perché ti
abbiamo abbandonato, ma so una
cosa: ti hanno voluto bene.
Per
cinque anni ti hanno cresciuto bene, senza farti mancare nulla
perché quando
sei arrivata all’istituto eri ben tenuta e non denutrita.
Se
per te è così importante, non smettere di
cercarli.”
“Così
mi sembra di fare un torto a voi. Da voi ho avuto amore e sono stata
cresciuta
benissimo in mezzo a tanto affetto.
Non
so come ringraziarvi.”
Lei
sorride.
“Mi
fa molto piacere sentirti dire questo perché il nostro
obbiettivo quando ti
abbiamo adottata era che tu ti sentissi amata. Sono contenta che ci
siamo
riusciti, malgrado i nostri litigi e incomprensioni.
Per
il fatto che vuoi cercare i tuoi veri genitori è
perfettamente normale cercare
le proprie origini e voler sapere perché i tuoi genitori ti
abbiano lasciato
alle cure di altre persone.
È
perfettamente normale voler sapere la verità, in modo da
poter decidere con
equilibrio, una volta avuti tutti gli elementi in mano.”
Io
abbraccio mia madre e penso che sia una donna fantastica, mi piacerebbe
essere
come lei. È dolce, forte e comprensiva nello stesso tempo,
se ti trovi nei guai
lei arriva e ti ci toglie.
Le
sono infinitamente grata e sono spaventata, perché un giorno
dai guai dovrò
togliermici da sola e non so se sarò in grado.
L’ultima
giornata con Ava trascorre un po’ tristemente.
Quasi
quasi mi dispiace consegnarla alla Jenkins insieme alla mia
relazione,Tom non
mi guarda nemmeno di striscio e questo mi procura una piccola fitta al
cuore.
Non
era quello che volevo?
Non
volevo ch mi lasciasse in pace?
E
allora perché fa così male?
A
mensa mi siedo al tavolo di mia sorella e delle sue amiche, Tom fa il
cretino
al tavolo delle cheerleader. Fingo che non mi importi, ma infilzo con
fin
troppa violenza il mio nugget.
“Chia,
stasera mi accompagni al Soma?
Così
mamma mi lascia andare.”
“Va
bene, ma io non penso di rimanere lì.”
“E
dove vai?”
“Fatti
miei!”
Rispondi
piuttosto brusca, mia sorella si è abituata al mio malumore
di questi giorni e
non dice nulla.
Finite
le lezioni, mia
sorella chiede a mia
madre il permesso di andare al Soma.
“Solo
se ci va tua sorella.”
“L’accompagno
io, mamma. Non ti preoccupare.”
Lei
annuisce e mia sorella quasi mi stritola nel suo abbraccio. La sera
arriva
comunque troppo presto per i miei gusti.
In
un attimo siamo a cena e l’attimo dopo siamo sulla nostra
macchina dirette
verso il Soma, Izzie non sta più nella pelle, io invece sono
depressa come non
mai: non ho voglia di incontrare Tom.
Arrivate
nel parcheggio e trovato un posto, vediamo Mark che la aspetta davanti
all’entrata, lei scende dalla macchina e gli salta in
braccio, io li raggiungo
pigramente.
“Ciao,
Mark. Ti affido mia sorella, trattala bene visto che i miei credono sia
sotto
la mia protezione.
Adesso
vado a farmi un giro, divertitevi.”
Torno
alla macchina e guido fino alla spiaggia, lì la parcheggio e
scendo.
Lo
so che è da pazzi fare una cosa del genere, che i maniaci
sono in agguato
ovunque, soprattutto sulle spiagge, ma io ho bisogno di stare da sola.
La
storia con Tom si è risolta in un gran casino, che mi fa
stare male e che forse
fa stare male lui. Non ne sono tanto convinta, una volta che io gli ho
detto di
andarsene lui è tornato dalle cheerleader come se nulla
fosse successo.
Forse
ha capito che ero una preda troppo difficile o forse…
La
verità è che tra tutti i miei
“forse” non ho idea del perché sia
successo e il
mio orgoglio ferito manda deboli lamenti, la mia voglia di stare con
lui
aumenta e mi chiedo quando tornerà alla carica per capire
cosa sia successo al
Blue Moon.
Ho
troppi pensieri nella testa, ho paura che scoppi.
Mi
avvio lungo un sentierino che porta verso la battigia,
c’è qualcuno che ha
acceso i fuochi e ancora canta, nonostante sia passato un bel
po’ tempo
dall’estate e ci sono coppie che amoreggiano.
Che
tristezza!
Arrivo
alla battigia e mi siedo sull’ultima striscia di sabbia
asciutta, ascoltando
semplicemente il rumore del mare. Un’onda se ne va e una
arriva, con calma e
naturalezza.
Alcune
cose vengono depositate sulla spiaggia, altre vengono
portate via con la stessa naturalezza delle
onde.
Noi
umani siamo diversi, non riusciamo a farci portare via alcune cose e
farne
arrivare di nuove. Alcune rimangono per secoli dentro di noi, come una
cancrena, distruggendoci lentamente e occupano così tanto
spazio che non può
entrare più nulla, sia di buono che di cattivo.
Stasera
c’è una luna fantastica, illumina tutta la
spiaggia come un faro, io prendo un
bastoncino e inizio disegnare sulla sabbia umida quegli strani segni
che porto
sulla schiena, forse aspettando una rivelazione divina.
Non
arriva ovviamente, quando ti serve – quando ogni
più piccola fibra del tuo
essere è inginocchiata in attesa di qualcosa in una tensione
spaventosa – non
arriva nulla.
C’è
solo silenzio e, in questo caso, il rumore.
Vai
e torna.
Vai
e torna.
Chissà
chi sono i miei genitori?
Chissà
da dove vengo?
Perché
sono qui?
Perché
sono qui da sola?
E
con queste domande tornano anche quelle che mi sono posta qualche
giorno fa, è
come un fiume che tenta di rompere uno sbarramento e ce la sta facendo.
Sono
stanca di portarmi queste domande addosso, sono stanca di essere
diversa,
vorrei che qualcuno dei miei si svelasse e mi dicesse che va tutto bene
e che –
anche se i miei sono morti o non
potevano tenermi con me – i miei genitori mi hanno voluto
bene e per loro sono
stata una fonte di gioia.
La
risposta è sempre il silenzio, un fragoroso silenzio in cui
non c’è niente.
Nessuno mi risponderà, nessuno verrà qui per me,
nessuno mi batterà sulla
spalla dicendo che va tutto bene e mi racconterà chi sono.
Devo
accettare che la mia vita sarà sempre un buco prima di
uscire dalle uova e che
è inutile sperare in una qualche sorta di risposta.
Scoppio
a piangere, lasciando che le lacrime corrano sulle mie guance sempre
troppo
pallide e poi vadano a cadere sulla spiaggia già umida.
La
marea le porterà via, come se non fossero mai esistite,
purtroppo non potrà
portarsi via i motivi, quelli rimarranno sempre lì a farmi
male.
Erano
anni che non piangevo così e probabilmente avrei continuato
ancora a lungo se
una mano – grande, un po’ callosa, calda e maschile
– non si fosse appoggiata
sulle mie spalle.
Io
sobbalzo, ho abbassato del tutto le difese e ora rischio che un maniaco
mi
faccia fuori, cerco di nuovo di mettermi sulla difensiva e mi volto
pronta a dare
battaglia.
La
persona che mi ha toccato non è un maniaco, ma Tom.
“Tutto
bene?”
Mi
chiede, è piuttosto a disagio.
“Sì.”
“E
come mai stavi piangendo?”
Non
riesco a trovare le parole giuste per rispondergli, così gli
butto le braccia
al collo, mi faccio abbracciare da lui e continuo a piangere, lasciando
che
questa volta le mie lacrime cadano sulla sua maglietta.
È
tutto sbagliato, ma non riesco a staccarmi da lui, è come se
fossimo attirati
l’uno verso l’altra da una potente calamita
invisibile.
“Cosa
succede? Come mai piangi?”
Non
riesco a trovare le parole adatte a spiegare quello che mi è
successo con
grandi e incomprensibili gesti, tanto che lui mi guarda incredulo,
senza
capirci molto.
“C’entra
Ava in tutto questo?”
Io
annuisco.
“Mi
sono chiesta come fossero i miei veri genitori, se mi abbiano voluta o
no e
perché a cinque anni mi hanno abbandonata nel
deserto.”
“Tu
sei stata adottata?”
La
sua faccia stupita sarebbe comica, se non fosse che mi viene ancora da
piangere.
“Sì,
sono stata adottata. Molta gente non se ne accorge perché io
e Izzie ci
somigliamo molto, per uno strano caso delle vita.”
“Capisco
e cosa c’entra Ava in tutto questo?”
“Te
l’ho detto prima, mi sono chiesta se qualcuno ha fatto tutto
quello che noi
abbiamo fatto per Ava per me e non ho una sola cazzo di risposta.
Non
ho ricordi antecedenti a prima che mi trovassero nel deserto.
Niente,
non una faccia, non un suono.
Niente.
Il
mio primo ricordo è il deserto e percorrere una strada mano
nella mano con
Johnny.”
“Capisco,
cioè…”
Io
faccio un sorriso sghembo.
“In
realtà non capisci del tutto, vero?”
Lui
annuisce.
“Beh,
hai avuto fino all’anno scorso una madre e un padre, quindi
non sai come sia non
avere radici. Soffri perché si sono separati, ma sai che in
fondo saranno
sempre lì per te.
Anche
la mia famiglia adottiva sarà sempre lì per me e
gliene sono grata, ma non sarà
mai come la mia vera famiglia.
Magari
se li incontrassi mi farebbero schifo, ma ho bisogno di vederli e farmi
un‘idea
e non posso.”
“Capisco,
mi dispiace.”
Io
rimango un attimo in silenzio a guardare il mare.
Vieni
e vai.
Vieni
e vai.
“Mi
dispiace per tutto quello che ti ho detto, ero solo
fuori di me per questi motivi.”
“Figurati,
forse sono stato un po’ invadente.”
“Un
po’?”
Lui
ride.
“Ok,
molto invadente. Non mi capita tutti i giorni di incontrare una ragazza
che mi
rifiuti, dovevo, devo, vederci chiaro.”
Io
scuoto la testa, senza sapere cosa dire, è davvero uno
strano ragazzo.
“Sei
davvero strana, Malone.
Molto
strana, quasi come se fossi un’aliena e questo mi
intriga.”
“Basta
che non diventi di nuovo invadente e ti fai vedere in compagnia delle
oche
cheerleader per farmi incazzare.”
“Te
ne sei accorta?”
“Diciamo
che le ragazze hanno, come dire?
Un
occhio più sviluppato per queste cose, voi pensate di essere
dieci passi davanti
a noi, in realtà siete almeno venti indietro.”
Rido
divertita,la risata di Tom fa eco alla mia ed è una
sensazione bellissima.
Forse
non è poi così male questo sabato sera, posto che
mia sorella si comporti bene.
Sì,
non è male e nemmeno essere amica di Tom lo è.
Vai
e vieni e a volte ci lasci qualcosa, vero mare?