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Autore: Amor31    01/02/2014    0 recensioni
Due ragazze da sempre rivali.
Due sconosciuti in attesa del loro arrivo.
Un'avventura che le unirà nel bene e nel male.
*PROSSIMO AGGIORNAMENTO: SABATO 5 APRILE*
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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41. Escursione cubana

La prima nottata trascorsa nella locanda di Bloody Hatchet fu una delle più brutte che Courtney Bennet avesse mai vissuto.
Continui scricchiolii avevano disturbato il sonno della nobile, che alla fine si era arresa ed aveva passato le restanti ore buie a fissare stupita la propria dama di compagnia, che al contrario dormiva beata.
“Ma guardatela! Sembra come se fosse nel letto di casa sua”, pensò la ragazza stropicciandosi gli occhi stanchi. “Certo, rispetto alla sottoscritta sarà pur abituata ad un ambiente tanto orribile, ma ci vuole davvero coraggio a riposare sotto quelle sudice lenzuola! Chissà quali e quanti disgustosi uomini vi hanno giaciuto prima di lei!”.
Si alzò dal letto, sui cui si era limitata a sedere, e misurò a grandi passi la stanzetta, cercando di impegnare il tempo in una qualsiasi attività, anche se non troppo entusiasmante. Ogni due giri si voltava verso la finestra, scrutando la porzione visibile di cielo per controllare se il sole avesse cominciato a rischiarare l’aria, ma subito sbuffava d’impazienza nel vedere che nulla era cambiato rispetto a pochi istanti prima.
“Ah, ma cosa ho fatto di male per meritare questa tortura?”, si chiese sconsolata appoggiandosi al bordo del giaciglio abbandonato. “Se avessi saputo che sarei finita in mano di una banda di pirati, lontana da casa e in pessima compagnia, non avrei mai lasciato la mia adorata Southampton!”.
Ripensò rapidamente a tutti gli avvenimenti degli ultimi tre mesi; ricordò l’entusiasmo che l’aveva invasa quando le era stata recapitata la prima lettera di Don Alejandro e la voglia di riscatto nei confronti di Gwen. Spinse l’attenzione al giorno in cui si era improvvisamente spenta l’eccitazione per la vicina partenza e al momento in cui si era definitivamente separata dalle braccia del padre.
Per quanto non fosse avvezza ai sentimentalismi, Courtney sentì il proprio cuore pesarle al centro del petto.
Rammentò la permanenza sull’American Hope e l’arrembaggio a cui questa era stata soggetta; mai avrebbe dimenticato di essere stata portata e imprigionata nella cella di una nave pirata, a bordo della quale aveva incontrato di nuovo la rivale Thompson.
“Quella ragazza è una maledizione!”, pensò la nobile battendo un pugno sul letto. “Ovunque vada, me la ritrovo sempre tra i piedi. Ed io che credevo di non vederla mai più! Invece eccomi qui, a sopportarla da mattina a sera… Ah, presto giungerà il giorno della mia vendetta! Allora Gwen sarà spazzata via, come se non fosse mai esistita. Sì, sarò in prima fila per assistere alla sua pubblica esecuzione!”.
Per Courtney, solo la pena capitale sarebbe potuta essere adeguata alle colpe di cui si era macchiata Lady Thompson. Stringere una relazione con un uomo ricercato in tutti i Paesi del Commonwealth implicava la morte; significava tradire la patria. Dunque l’impiccagione sarebbe stata d’obbligo.
“Che sciocca!”, continuò a riflettere la ragazza. “Avrebbe potuto ottenere ingenti ricchezze sposando l’uomo da cui sarebbe stata ospitata, invece ha preferito un buzzurro come Crouch. Deve essere più folle di quanto non credessi già. Ma come sarà caduta nella trappola di quell’uomo? Cosa l’avrà spinta a legarglisi in modo tanto intimo?”.
Courtney immaginò i due amanti soli, nella cabina che ben conosceva. Entrambi le apparvero disordinati, intenti a sfiorarsi e a baciarsi: sembravano non poter fare a meno l’uno dell’altra. Le loro labbra si cercavano, le loro mani esploravano lembi di pelle proibiti a chi non fosse unito dal sacro vincolo del matrimonio; ma non se ne curavano affatto. Le convenzioni stabilite dai loro avi non li avrebbero condotti da nessuna parte, se non verso un’inevitabile separazione. L’unica cosa che aveva importanza erano essi stessi. Il mondo al di fuori di quella cabina sarebbe anche potuto marcire, purché loro due rimanessero insieme.
Lady Bennet studiò attentamente l’immagine che aveva preso forma nella sua testa. Osservando le carezze e i baci che i due si davano, provò un indescrivibile moto d’ira, invidia e gelosia. Neanche lei sarebbe stata in grado di spiegare l’insieme di sensazioni che l’avevano attraversata in quel momento.
L’unica cosa che in seguito ricordò per lungo tempo fu il fatto di aver involontariamente sostituito le sembianze di Gwen con le proprie. Davanti ai suoi occhi prese vita una scena non molto casta che la ritraeva stretta tra le braccia di Duncan ed unita passionalmente alle labbra del pirata; era intenta a cercare di privare quell’uomo della camicia lercia che indossava per poter finalmente ammirare la muscolatura che raramente aveva intravisto durante le sue passeggiate sul ponte della nave, ma evidentemente avrebbe dovuto spostare la propria attenzione dagli occhi al petto di Duncan, se voleva davvero riuscire nella missione che si era prefissata.
“Ma sei impazzita?”, si riscosse Courtney dandosi uno schiaffo sulla guancia. “Cosa direbbe tuo padre se sapesse ciò su cui hai fantasticato? Hai appena tradito te stessa, la tua patria e il tuo onore! Non vorrai abbassarti all’infimo livello di Gwen, vero?”.
Si diede un’altra pacca sul viso, tentando di allontanare le immagini che ancora tornavano a galla nella sua mente, poi scattò in piedi e riprese a passeggiare in tondo per la camera, non badando al rumore dei propri passi.
Per alcuni minuti si concentrò sul pavimento, studiando le asimmetriche assi di legno che lo componevano. Si rese conto che alcune non erano state inchiodate molto bene, motivo per cui gli scricchiolii non potevano mancare, e che nell’angolo opposto rispetto alla posizione che occupava in quel momento, un bel ragno stava tessendo con cura la propria tela, deciso a procacciarsi qualche zanzara vagante.
Ma la pace durò poco. Il suo pensiero scavò nei meandri degli eventi più recenti e le riportò il ricordo più vivido che mai del ballo nella stiva, sotto lo sguardo dell’intera ciurma pirata e di Gwen. Rammentò come il tempo si fosse improvvisamente fermato nel momento in cui Duncan l’aveva prima attratta a sé, poi allontanata con un casquet da capogiro, tenendola sempre ben stretta per non farle perdere l’equilibrio.
Courtney incrociò le braccia sul petto, accarezzandole lievemente e immaginando che a compiere quel gesto fosse il capitano Crouch; si sfiorò il labbro inferiore con l’indice e il medio della mano destra, chiedendosi se mai il pirata l’avrebbe guardata sotto una diversa luce.
Guardò di nuovo oltre l’incrostato vetro della finestra e dedusse che dovevano essere passate da poco le tre di notte. Nonostante l’orario, la ragazza non aveva più sonno, anzi, era convinta di avere perfino sufficienti forze per uscire dalla locanda e fare una passeggiata senza allontanarsi troppo.
Ponderò appena questa possibilità, dicendosi subito dopo che sarebbe stata un’autentica follia anche il solo provare a mettere un piede fuori da quella camera. Inoltre, pur non avendo paura dei pericoli che si celavano nell’oscurità degli stretti vicoli di Puerto Carupano, appoggiati alla porta se ne stavano sicuramente Lightning e Sam, a cui Duncan aveva ordinato di montare la guardia per tutta la notte.
“Forse dovrei cercare di dormire”, pensò Courtney lanciando un’occhiata al letto appena disfatto. “Stare in piedi fino a domani mattina non contribuirà a migliorare il mio pessimo umore”.
Si avvicinò al giaciglio e vi sedette, testando la qualità della branda su cui era poggiato il materasso. Sentì scricchiolare il pavimento ancora una volta ed infine si distese, evitando di poggiare la testa sul cuscino.
“Non ho nessuna intenzione di far soggiornare una famiglia di pidocchi tra i miei capelli”, pensò disgustata lanciando lontano il pesante guanciale di piume d’oca. “Già dovrò convivere con le pulci… Figuriamoci altri odiosi parassiti!”.
Si coprì con il solo lenzuolo e provò a chiudere gli occhi, pensando al padre lontano.
“Chissà come sta… Non ho avuto nemmeno modo di scrivergli una lettera! Crederà che io mi sia dimenticata di lui o forse che sono troppo impegnata con Don Alejandro per rivolgergli un singolo pensiero. Ah, quale errata supposizione! Se potessi, tornerei a casa immediatamente. E al diavolo gli scambi commerciali con la famiglia Burromuerto! La mia vita e quella di mio padre valgono molto di più di un’immensa montagna di denaro. Se il Governo venisse a sapere delle trattative illegali in corso, perderemmo tutto  ciò che abbiamo. Ma no, questo non accadrà. Farò ritorno in patria e informerò mio padre di che razza di persona è Don Alejandro. Un efferato assassino come lui non diventerà mai mio sposo!”.
Si massaggiò le palpebre, diventate d’improvviso pesanti come macigni, e rimase in ascolto del lieve respiro di Heather, profondamente addormentata nel letto alla sua sinistra. Rifletté ancora alcuni istanti sul da farsi per poi crollare, sfinita, nel mondo dei sogni.
 




-My Lady, dovete alzarvi. Si sta facendo tardi-.
Courtney si rigirò dall’altra parte, ignorando i richiami della sua dama di compagnia.
-Sono stanca, Heather. Lasciatemi riposare…-.
-Lo farei, se fosse possibile. Vi prego, uscite da questo letto-.
Per tutta risposta, la nobile si tirò il lenzuolo fin sopra la testa, provocando l’irritazione dell’altra ragazza.
-Vi supplico di non farmi perdere la pazienza…-, mormorò a denti stretti Heather tentando di restare calma.
-Ed io vi ordino di lasciarmi in pace. Non sapete che orribile nottata ho passato-.
-Posso immaginarlo-, replicò la dama scostandole le lenzuola dal viso. -Avete delle tremende occhiaie. Come mai non avete dormito?-.
-Pensavo, ecco tutto-.
-E vi siete ricordata di farlo nel bel mezzo della notte?-.
Stizzita per il tono ironico usato da Heather, Courtney scattò a sedere sul letto e la guardò negli occhi: -Ho avuto bisogno di riflettere. Avete problemi in merito? O forse volete decidere voi come e cosa io debba fare?-.
-Sapete che non mi permetterei mai di fare una cosa simile. Trovo solo insolito che, nonostante la stanchezza, abbiate preferito star sveglia, piuttosto che riposare-.
Courtney si alzò e andò alla finestra, scrutando il cielo. Il limpido azzurro che fino a quel momento aveva accompagnato il loro viaggio era adesso macchiato da sporadiche, ma spesse nuvole bianche.
-Sapete che ore sono?-, chiese.
-Sam ha bussato dieci minuti fa, dicendo che fossero le nove. Ci ha ordinato di sbrigarci, perché il capitano Crouch ha delle commissioni da sbrigare e ci tiene ad essere accompagnato da tutte le sue prigioniere-.
Il viso di Lady Bennet si contrasse in una smorfia all’udire quelle ultime parole.
-E se io non volessi seguirlo?-.
-Credo che verrà a prendervi lui stesso. Avete già dimenticato cosa è successo ieri con Gwen?-.
No, la nobile non lo aveva affatto scordato. Quando Lady Thompson si era rifiutata di uscire di sua spontanea volontà dalla propria cabina, Duncan l’aveva raggiunta e costretta a rimanere al suo fianco.
“Costretta… L’avrà sicuramente convinta. D’altronde, se è riuscito a soggiogarla attraverso una studiata seduzione, non avrà avuto troppi problemi a persuaderla sul momento”, pensò Courtney scacciando di nuovo dalla mente la scena che aveva immaginato nel corso della notte.
-Bene, dunque. Raggiungiamo il resto del gruppo-.
La ragazza aprì la porta e si affacciò sul corridoio, notando Light vicino alla cima delle scale.
-Da questa parte-, fece loro segno quello.
Le due giovani si lasciarono scortare dal pirata giù per le scale, raggiungendo l’atrio della locanda poco meno di un minuto dopo. Un forte odore amaro investì le narici delle Inglesi.
-Cielo, cos’è questo tanfo?-, esclamò Courtney, portandosi istintivamente le mani al naso.
-Ben svegliata-, la salutò con un ghigno Duncan, seduto in un angolino. -Deduco che abbiate passato una buona nottata: vi trovo in forma smagliante-.
-Credete?-, chiese irritata la nobile, scendendo gli ultimi scalini, preceduta da Light e seguita da Heather. -Io non sono d’accordo!-.
-Ma come? Il vostro atteggiamento è il solito, anzi, sembrate pronta a dar battaglia-.
-Oh, su questo avete ragione-, concordò lei, avanzando verso il ragazzo. -Sarei capace di affrontare le fiere più feroci, in questo momento!-.
-Splendido. Questa prontezza ci servirà, quest’oggi-.
Duncan si alzò e si avvicinò alla porta d’ingresso, intenzionato ad uscire. Courtney, perplessa e sospettosa, domandò: -Che intendete dire?-.
-Vi consiglio di conservare le forze, my Lady. Sarà una lunga giornata all’insegna di passeggiate nei meandri dell’isola-.
-Ma… No, voi state scherzando! Smettetela di prendevi gioco di me, suvvia…-.
-Non sono mai stato tanto serio. Cos’è, vi spaventa fare una bella escursione di Cuba? Dovreste ringraziarmi, piuttosto; se non vi avessi fatto mio ostaggio, non avreste mai avuto l’opportunità di visitare un luogo così caratteristico-, rise il pirata.
-Oh, sì, sono stata davvero fortunata!-, tuonò ironica Courtney. -Per tutta la vita non ho fatto altro che desiderare di essere rapita da un uomo come voi!-.
-Lo immaginavo-, disse Duncan, senza dar peso alle parole della ragazza. -Ah, un’altra cosa: il tanfo, come lo chiamate voi, è l’aroma del caffè. Vi costringerò a provarlo, prima di ripartire. Gwen, andiamo-.
Lady Thompson, rimasta fino a quel momento seduta in disparte tenendo tra le mani una piccola tazzina contenente uno strano liquido nero, finalmente si alzò e fiancheggiò il pirata, che le porse un braccio al quale ella si appoggiò solo dopo un istante di esitazione.
“Eccola, la traditrice”, pensò dietro di lei Courtney, stringendo i pugni così forte da farsi male con le sue stesse unghie.
-Che state aspettando? Dobbiamo seguire il capitano Crouch-, la spintonò leggermente Light.
-Tenete lontano da me le vostre sudice mani!-, esclamò Lady Bennet voltandosi di scatto. Un’espressione furiosa le infuocava il volto.
-Courtney, cerchiamo di evitare scontri-, le suggerì Heather, abbassando la voce. -Non penso che sia vostra intenzione iniziare male la giornata, vero?-.
-Perché, finora vi è sembrata positiva?-, ribatté, alludendo al discorso avuto con Duncan e alla sempre fastidiosa presenza di Gwen.
-Vi consiglio soltanto di essere più transigente-, disse la dama di compagnia. -Vedrete che il vostro nuovo atteggiamento sarà apprezzato da tutti, soprattutto da Crouch-.
-Heather, vi prego, evitiamo questo argomento-, ordinò stizzita Courtney.
-Ma, my Lady, credevo che voi voleste scoprire quali segreti egli stia cercando di nascondere…-.
-Ed è così. Ma, per amor mio, lasciamo decadere il discorso. Lo riprenderemo quando sarà il momento opportuno-.
-Come desiderate-.
Un muro di silenzio si eresse tra le due ragazze per gran parte della durata della camminata. Seguivano ad alcuni passi di distanza la “coppia dello scandalo”, come Courtney la definiva, stando comunque bene attente a captare qualche parola che i due amanti si scambiavano di tanto in tanto. Dietro di loro se ne stava invece Light, che chiudeva il piccolo drappello.
-Capitano, potrei sapere dov’è Sam?-, chiese Heather all’improvviso, spiazzando anche la propria padrona.
-Come mai questa curiosità?-, domandò Duncan senza voltarsi.
-Di solito è a lui che affida la nostra custodia-, fece notare la dama, -e poiché adesso non è presente, cercavo di capire dove fosse-.
-È in ricognizione-, disse sbrigativo il pirata. -Gli ho affidato delle commissioni per mio conto-.
Quella risposta sviante insospettì Heather, che provò di nuovo ad informarsi: -Credete che possa essere di ritorno entro questa sera?-.
Il capitano arrestò il passo. Si girò verso la ragazza e le chiese, allusivo: -Sbaglio o il vostro tono di voce tradisce un certo interesse per uno dei miei uomini?-.
-Non potrebbe essere altrimenti-, sostenne il discorso Heather.
-Ah, se lo avessi saputo, avrei detto a Bloody Hatchet di riservare la camera doppia a voi e al vostro… amico. Immagino che alla vostra padrona non sarebbe dispiaciuto dormire in corridoio, sentite le polemiche riguardanti lo stato della stanza-.
-Come vi permettete di insultare me e la mia dama di compagnia?-, esplose nuovamente Courtney. -Non osate fare assurde insinuazioni!-.
-E comunque non avete ancora risposto alla mia domanda-, ricordò Heather, sovrastando gli sbuffi della nobile.
-Dunque tenete davvero a quest’informazione, eh?-.
-Molto-.
Duncan ci pensò un po’ su, riflettendo rapidamente. -Sì-, concluse, -dovrebbe tornare entro il tramonto. Siete più tranquilla, ora?-.
Heather fece un cenno di assenso con il capo, rifugiandosi nuovamente nel mutismo che teneva in occasioni simili.
-Bene. Mi sarebbe dispiaciuto sapervi in pensiero-, ghignò il pirata, riprendendo a camminare.
Passeggiarono per oltre due ore tra vicoletti e strade più ampie, ammirando i tanti colori che rallegravano Puerto Carupano. Minuscole botteghe si celavano dietro ogni angolo, pronte ad accogliere i visitatori con i loro profumi e prodotti inusuali; gente sorridente dava qua e là il proprio benvenuto a quanti si arrischiavano ad entrare.
-Allora, che ve ne pare? Non è un luogo incantevole?-, domandò Duncan a Gwen.
-Lo è. Per me è un sogno essere qui, oggi-, rispose la ragazza guardandosi intorno.
-E pensare che ieri stavate rifiutando di scendere a terra-, le sussurrò ad un orecchio il pirata. -Invece questo sarà il vostro paradiso. Il mio modo di chiedervi perdono, se ho ferito i vostri sentimenti-.
Duncan la prese per mano e la condusse attraverso il groviglio di viuzze, accelerando di tanto in tanto il passo.
“Che cosa sta facendo quel buzzurro?”, pensò Courtney sempre più spazientita. “Perché si mette a correre senza motivo?”.
Cercò di stargli alle calcagna, seguita sempre da Heather e Light. Sentiva le proprie gambe leggere, quasi fluttuanti nel venticello che le soffiava sul viso, ma allo stesso tempo percepiva un masso al posto del cuore. Non avrebbe sopportato ancora per molto la vista di Gwen in compagnia del capitano.
Verso mezzogiorno il gruppetto si fermò nei pressi di una piccola osteria poco distante dal molo. L’invitante profumo di pesce appena arrostito fece desistere Courtney dall’inveire per l’ennesima volta contro la rivale, che sedette ad un tavolino in compagnia di Duncan.
“Ma guardali, giocano a fare i piccioncini”, si disse Lady Bennet prendendo posto accanto a Heather e Light a circa dieci metri dai due amanti. “Quanto li odio! Se non dovessi riuscirci io, possa la sorte tirar loro qualche brutto scherzo!”.
-Courtney, mangiate. Non sapete cosa vi state perdendo-, Heather richiamò la sua attenzione.
-Lo so bene, invece-, disse a denti stretti la nobile, senza smettere di guardare la coppia.
La dama di compagnia si chiese per un attimo se quella risposta si riferisse al pesce che le avevano appena servito o se fosse rivolta a Crouch, ma preferì non indagare. Ci sarebbe stato molto tempo per appurare i sentimenti della padrona.
“È tutto così dannatamente ingiusto!”, pensò Courtney, mentre privava il pesce della lisca. “Quella ragazza riesce sempre a mettersi in mostra! Anche nelle difficoltà, se la cava sempre! Possa marcire all’inferno!”.
Per quanto quelle maledizioni rientrassero pienamente nel suo stile personale, Lady Bennet si chiese se davvero la sua ira fosse indirizzata solo a Gwen. Fin dalla notte precedente aveva cominciato a nutrire dubbi in merito; dubbi che ora si stavano rafforzando sempre di più nella sua testa.
“No”, rifletté, mandando giù i primi bocconi, “la colpa del mio malessere non è esclusivamente sua. È quel… quel Crouch che mi fa andare in bestia. Eppure due sere fa non ha avuto il coraggio di guardarmi negli occhi; mi ha definita una piccola tigre parlando con Chef; mi ha respinta e continua a farlo. Ma perché? Il suo atteggiamento nei miei confronti si è irrigidito dopo quel ballo: possibile che quell’evento c’entri con il suo attuale comportamento? O sono soltanto io a vedere la realtà in maniera distorta?”.
-My Lady, avete intenzione di tagliare anche il piatto?-, le chiese Heather. Soltanto in quel momento Courtney notò di aver divorato il pesce e aver iniziato a raschiare la superficie vuota con coltello e forchetta.
-Certo che no-, disse frettolosamente, abbandonando le posate a destra e a sinistra del piatto.
-Andiamo, il capitano è già fuori-, le richiamò Light, alzandosi e raggiungendo l’uscita del locale.
Ripresero la camminata, facendo il giro del porto e raggiungendo la spiaggia, lì dove il giorno prima avevano tirato in secca le scialuppe. Vi trovarono alcuni membri dell’equipaggio, intenti a tracannare rum e a giocare a carte, mentre il violinista Cameron rallegrava ulteriormente l’atmosfera con la sua musica.
All’udire quel suono, Gwen si irrigidì vistosamente e pregò sottovoce Duncan di andare altrove. Il pirata obbedì docilmente alla richiesta, conscio che una situazione simile le avrebbe sempre ricordato lo spiacevole episodio del ballo sulla nave, mentre Courtney, alle loro spalle, trattenne una risata, ringraziando il Cielo per l’occasione di rivalsa immediatamente concessa dopo le sue preghiere.
In vista delle ore più calde della giornata, il drappello riparò ancora in un’osteria, dove Duncan ne approfittò per ordinare del caffè.
-Grazie, ma ne faccio volentieri a meno-, Lady Bennet rifiutò la tazzina che il gestore mingherlino le offriva.
-Vi ordino di assaggiarne almeno un sorso-, le disse Duncan, buttando giù l’ultima goccia rimasta nel suo bicchiere. -È un ottimo digestivo, sapete?-.
-My Lady, se il capitano Crouch ha ragione, vi converrà davvero prenderne un po’: credo proprio che voi abbiate mangiato pesante, oggi-, convenne Heather, cercando di nascondere il sorriso beffardo che le stava distendendo le labbra. Più ripensava all’ira della padrona nei confronti di Gwen, più faceva fatica a reprimere la propria risata.
-No. Mi rifiuto di bere qualcosa di così disgustoso!-, sbottò la nobile, calcando l’ultimo aggettivo mentre osservava la rivale Lady Thompson intenta a sorseggiare la seconda tazzina di caffè in giornata.
-D’accordo, allora. Lo prenderò io-, disse Duncan, afferrando la tazzina dalle mani del gestore e bevendo tutto d’un fiato.
-Puah, che odore!-, esclamò Courtney, sventolandosi una mano davanti al naso.
-Smettetela di comportarvi come una bambina! Sappiate che i vostri modi offendono grandemente gli abitanti: rifiutare un caffè è rifiutare ospitalità e amicizia, da queste parti-, le spiegò il pirata.
-Non me ne faccio nulla della loro ospitalità, figuriamoci della loro amicizia!-.
-Ve ne pentirete. Se mai aveste bisogno di aiuto, tutti qui vi negheranno la loro mano-.
-Ma questo non accadrà-, ribatté la ragazza, sistemandosi le pieghe della gonna. -So come farmi rispettare, io-.
Si trattennero nell’osteria per una mezz’ora, poi tornarono all’aperto. Il sole, che fino a quel momento era riuscito ad illuminare l’intera isola, fu definitivamente nascosto dalla densa coltre di nuvole che già da alcune settimane seguiva il viaggio della ciurma pirata; il caldo fin lì sofferto si fece più fievole e l’aria divenne finalmente respirabile.
-Ci sarà da prepararsi ad una bella tempesta-, disse tra sé e sé Light, guardando in alto.
-L’importante è che non intralci il proseguire della nostra navigazione-, disse Duncan, in testa al gruppo.
-Capitano, non credete che sia più sicuro far avvicinare il vascello al porto? Potrebbe essere esposto a rischi, in alto mare-.
-Light, è forse la prima volta che navigate?-.
-No, ma…-.
-Allora saprete che la nave non corre nessun pericolo, lì dov’è-.
-Capitano, penso solo che…-.
-Fidatevi di me. Vi ho mai deluso, fino ad oggi?-.
Light non proferì parola e Courtney si chiese se il pirata avesse delle critiche da muovere al suo stesso capitano.
Proseguirono l’escursione fino alle quattro del pomeriggio. Sebbene Duncan volesse mostrare altre meraviglie alla sua amata Gwen, fu quest’ultima a dirgli di preferire tornare nella locanda in cui avevano alloggiato.
-Non ti senti bene?-, le chiese preoccupato.
-Sono solo un po’ stanca. E poi non sopporto il caldo soffocante che c’è qui. Sarebbe meglio uscire più tardi, con delle temperature più fresche-.
-Come vuoi, allora. Torniamo indietro-.
Il gruppo ripercorse i passi già compiuti nelle ore precedenti e velocizzando il passo presto si ritrovarono tutti di fronte all’entrata della Salt’s Inn, dove sulla soglia se ne stava Chef.
-Hatchet-, lo salutò Duncan, entrando.
-Salute a voi, Crouch. Credevo che le signore vi avrebbero costretto a tornare pieno di buste e pacchetti-, gli disse l’uomo.
-Sapete che non sono un tipo che si lascia trasportare tanto facilmente, specialmente se si tratta di acquisti femminili-.
-Ah ah, lo credo bene!-.
-Le nostre stanze sono pronte?-.
-Certamente. Le ho preparate io stesso, subito dopo la vostra partenza, stamattina-.
-Perfetto. Pensate che sarà possibile cenare qui, stasera? Le mie prigioniere sono stremate e non vorrei che si affaticassero ancora-.
-Senza dubbio. Ditemi solo cosa cucinare e vi ritroverete piatti deliziosi-, promise Chef accarezzandosi i baffi.
-Le specialità cubane andranno benissimo. Desidero che i miei ostaggi serbino nel cuore un buon ricordo di questa magnifica isola-.
-D’accordo. Se non avete altro da chiedere…-.
-Tornate pure alle vostre incombenze, Hatchet. Non vi tratterrò oltre-.
Il locandiere uscì, sparendo tra i vicoli, mentre Duncan guidò il gruppo al primo piano dell’edificio.
-Light, rimani qui di guardia. Ora che il gestore non c’è, è necessario che qualcuno controlli l’ingresso-, disse il capitano.
-Agli ordini, signore. Posso fare altro per voi?-.
-Sì, in effetti qualcosa ci sarebbe… Gwen, accompagna di sopra Lady Bennet e Miss Wright; assicurati che siano chiuse dentro la loro stanza e poi va’ a riposare-.
-Non preferisci che ti aspetti?-, domandò perplessa la ragazza.
-Non ce ne sarà bisogno. Tra cinque minuti sarò da te, stai pure tranquilla-.
Le rivolse un suo raro sorriso addolcito ed aspettò che le tre giovani svanissero alla sua vista, poi si lanciò in una breve discussione con Light.
-Chissà che cosa stanno dicendo-, si domandò a voce alta Courtney, raggiungendo il pianerottolo che dava sul corridoio su cui si affacciava la sua camera.
-Qualsiasi cosa sia, dubito che possa davvero interessarvi-, ribatté Gwen con tono piatto.
-E voi come fate a saperlo?-.
-Posso immaginarlo. Dovreste provarci anche voi, qualche volta. Immaginare tiene allenato quel cervello che evidentemente non avete sviluppato pienamente-, disse secca Lady Thompson.
-Ah! Osate prendervi gioco di me? Proprio voi, lo zimbello di tutta l’Inghilterra?-, esclamò Courtney.
-Perché dovrei? Non è forse la verità, quella da me appena descritta?-.
L’atteggiamento distaccato di Gwen rese ulteriormente furente la rivale, pronta a menare calci e pugni nonostante l’aspetto delicato.
-Ma perché mi ostino ancora a chiedervi come facciate ad avere tante informazioni?-, riprese Lady Bennet dopo un attimo di pausa. -È evidente che il vostro amante sia disposto a confessare alcuni suoi segreti, in cambio della quotidiana compagnia di letto che voi gli fornite!-.
-Se fosse davvero così, Courtney, finalmente avreste capito qual è il vostro vero problema-, le rispose Gwen, lanciandole un’occhiata infuocata.
-E sarebbe?-, domandò l’altra, confusa.
-Non è forse un uomo ciò che vi manca? Non siete partita per andare a riscaldare il giaciglio di un completo sconosciuto?-, le fece notare Gwen con un urlo.
Courtney s’immobilizzò, come pietrificata. Heather, al suo fianco, si accorse che aveva gli occhi sbarrati.
-Cosa avete detto?-, disse in un soffio la nobile.
-Ciò che avete sentito, sì-, replicò Lady Thompson.
“È la fine”, pensò Heather, pronta a fermare la padrona nel caso in cui avesse aggredito Gwen.
-Voi… Non sapete nulla di me!-, gridò Courtney. -Non avete idea di quanto io abbia sofferto e stia soffrendo, non conoscete la verità sugli eventi a cui avete accennato! Non permettetevi mai più di paragonarmi a voi, perché non sono io la donna che si è spinta a tradire tutto ciò in cui credeva pur di soddisfare le proprie pulsioni!-.
Lady Bennet corse lungo il corridoio e raggiunse l’ultima porta, spalancandola e rifugiandosi all’interno della sua stanza. All’esterno, Gwen, sorpresa per l’isterica ed esagerata reazione dell’altra, incrociò per un secondo lo sguardo di Heather e le fece un cenno con la testa, come a dirle di far calmare Courtney.
La dama di compagnia attese che Lady Thompson entrasse nella camera che le era stata assegnata, prima di raggiungere la propria. Si avvicinò alla porta, ancora aperta, e si affacciò sulla soglia.
Rimase sconvolta nel vedere la padrona in lacrime. Ella piangeva in silenzio, inginocchiata per terra, accanto al letto, e tenendo la testa tra le braccia, incrociate sulla coperta di lino.
Heather mosse un passo verso di lei e si pose al suo fianco, provando a consolarla senza sortire però alcun effetto. Era la prima volta che la ragazza si abbandonava al pianto, almeno in sua presenza.
-My Lady, tornate in voi. Le lacrime non giovano al vostro stato d’animo-.
Courtney non pronunciò una singola sillaba in risposta.
-Non avreste dovuto provocarla… Sapete che Gwen…-.
-Io l’avrei provocata?!-, urlò la nobile, sollevando la testa. Heather fu quasi sul punto di lasciarsi impietosire da quell’espressione tremendamente sofferente, fatta di calde lacrime e guance di porpora, ma preferì mostrarsi forte e non cedette ad alcun sentimentalismo.
-My Lady, non potete negare che…-. 
-È stata lei ad iniziare, dannazione! Mi ha offesa, quando io avevo posto solo un’innocente domanda!-.
“In effetti…”, rifletté la dama.
-Adesso dov’è, quella sgualdrina? Si è rintanata nel suo buco, ad aspettare quel verme lussurioso?!-.
-Calmatevi, Courtney, vi prego. Non lasciate che l’ira annebbi i vostri sensi. Pensiamo, piuttosto, a ciò che sta complottando il capitano Crouch-.
Quel proposito sembrò riscuotere la nobile, che si asciugò rapidamente le lacrime e sedette sul letto: -Sì, avete ragione. Piangere non risolverà nulla. Ma ditemi, ora che possiamo discuterne opportunamente: come vi è sembrato oggi quell’uomo? Stamattina parevate pronta a tempestarlo di domande-.
-E l’avrei fatto. Non a caso gli ho chiesto di Sam-.
-Ah, già… Che risposta indecente, la sua!-.
-Non pensate alle allusioni che ha fatto. Concentratevi per un attimo solo ed esclusivamente sulle sue parole: ha detto che il pirata sta svolgendo delle commissioni su suo ordine e che sarebbe tornato entro il tramonto. Ora, mi chiedo, e credo che sia anche la domanda che vi state ponendo: che tipo di commissioni? E, soprattutto, perché? Cosa stanno cercando di nascondere?-.
-Begli interrogativi, amica mia. Ripensando alla discussione che ha avuto ieri pomeriggio con Chef, forse le cose potrebbero essere più chiare-.
-State parlando della conversazione “in codice”?-, chiese Heather.
-Proprio quella. Sappiamo che Duncan deve incontrare qualcuno, ma chi? Con quale scopo? Abbiamo solo una vaga idea di quando avverrà questa riunione, ma ignoriamo il luogo in cui si terrà-.
-Stando a quanto mi avete raccontato, i due si ricongiungeranno entro domani-.
-Precisamente-.
Heather chiuse gli occhi e pensò freneticamente a cosa potesse essere interessato il capitano, ma non le sovvenne nulla che fosse utile alla loro causa.
-Senza dimenticare gli ordini che sta impartendo in questo momento a Light-, aggiunse.
-Sì. Sta accadendo qualcosa proprio sotto i nostri occhi, eppure non riusciamo a venirne a capo-, sentenziò di nuovo afflitta Courtney.
Nella stanza cadde un profondo silenzio, interrotto solo dagli scricchiolii provenienti dal pavimento; le due si stesero sui rispettivi letti e riposarono un po’, attendendo di essere chiamate per la cena.
“E se rientrassimo anche tutte noi nei loschi piani di Crouch?”, pensò Lady Bennet, come folgorata da un’intuizione. “Se tutto ciò che è accaduto finora, dai nostri rapimenti alle vicende personali, facesse parte di un disegno più grande? Possibile che sia stato solo un caso l’aver rincontrato Gwen a bordo del suo vascello? O forse Duncan ci stava… aspettando?”.
Un rumore di stivali interruppe il suo flusso di pensieri e, scambiata un’occhiata con Heather, la ragazza si precipitò alla porta, aprendosi uno spiraglio senza essere vista o sentita.
-È solo Crouch-, disse alla dama, seppur sottovoce. -Torna dalla sua colombella-.
-Siamo alle solite-, affermò con uno sbuffo Heather, tornando a giacere sul letto.
-Sì, è così-, concordò Courtney.
Stava già per richiudere completamente la porta, quando un concitato vociare attirò di nuovo la sua attenzione. Decise quindi di spiare ancora attraverso la fessura e tese l’orecchio, sperando di carpire qualche parola della conversazione che stava avvenendo nella camera della sua rivale.
-Dunque? Cosa significa?-, Courtney riconobbe la voce di Gwen, che si trovava sulla soglia insieme a Duncan.
-Nulla, è solo… un’incombenza. Non temete, non vi farò aspettare molto-.
-Vi siete accorto delle urla di poco fa? Non voglio rimanere sola con quella pazza!-.
“Ah! Pazza, io!”, pensò adirata Lady Bennet.
-Credo che tutto il vicinato abbia avuto il privilegio di ascoltare gli insulti che vi siete scambiate-.
-Allora, cosa ne deducete?-.
-Che dovrò comunque andare-.
“Heather, presto, avvicinatevi!”, esortò Courtney, facendo spazio alla dama.
-Ma dove? E perché?-.
-Ve lo dirò, ma non adesso. Sappiate, però, che non c’è nulla di cui voi dobbiate avere paura-.
-Duncan, lasciatemi venire con voi, vi prego! Basterà dire a Bloody Hatchet che avete cambiato i vostri piani, che preferite una cena in privato con me…-.
-Gwen, no-, le disse con fermezza il pirata. -Per voi sarebbe…-.
-Pericoloso?-, lo interruppe lei. -Cosa che a quanto pare non sembra valere per voi-.
-Non stiamo parlando di un pericolo, ma di un rischio. Aspettatemi qui, cenate in tranquillità e tornate a riposare. Vedrete, sarò qui prima che possiate accorgervi della mia assenza-.
-Voglio credervi-.
Gwen si alzò sulle punte dei piedi e depositò un bacio sulla fronte di Duncan, che ricambiò stringendola a sé e baciandola.
-Vi amo-, le disse, allontanandosi subito dopo.
“Siate maledetti entrambi!”, pensò Courtney, richiudendo la porta. Ciò che aveva visto aveva alimentato ancora la sua ira, la sua invidia, la sua gelosia.
-My Lady, credo che…-, provò a dire Heather.
-Elaboriamo un piano. Ora-.
   
 
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