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Autore: irishdance    01/02/2014    0 recensioni
"Il futuro ci tormenta, il passato ci trattiene, ecco perché il presente ci sfugge."
Gosh :))
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: George Shelley, Josh Cuthbert
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Londra, 24 Novembre 12
 
Pov. George
 
“A hundred days have made me older 

since the last time that I saw your pretty face 

a thousand lies have made me colder 

and I don't think I can look at this the same 

but all the miles that separate 

disappear now when I'm dreaming of your face 

I'm here without you baby 

but you're still on my lonely mind 

I think about you baby 

and I dream about you all the time 

I'm here without you baby
 
but you're still with me in my dreams 

and tonight it's only you and me”

 
Le dita mi facevano male per il freddo, non sapevo quanto tempo fosse passato da quando mi ero seduto su quei gradini con la chitarra in mano.

Ogni volta che mi mettevo lì a suonare e cantare, il tempo sembrava smettere di esistere. C’eravamo solo io e la mia chitarra. La mia fedelissima chitarra.

Ignorai il dolore che mi provocavano le dita fredde a contatto con le corde dure, tese e vibranti, continuando a suonare. Volevo finire la canzone.
 
“The miles just keep rollin' 

as the people leave their way to say hello 

I've heard this life is overrated 

but I hope that it gets better as we go 

I'm here without you baby 

but you're still on my lonely mind 

I think about you baby 

and I dream about you all the time 

I'm here without you baby 

but you're still with me in my dreams
 
and tonight girl its only you and me”




Cantavo spesso seduto sui gradini di Trafalgar Square, e le nuvole grigie che ricoprivano Londra da più di qualche settimana, non mancavano nemmeno oggi.

Ma non avevano ancora lasciato cadere nemmeno una goccia di pioggia, per questo le persone che mi passavano davanti passeggiavano con ombrello alla mano, il tempo era imprevedibile.

L’inverno era così in Inghilterra, niente neve, solo umido e tanto freddo, che se ci vivi da quando sei nato, come me, alla fine ci fai l’abitudine.

Le labbra mi si erano tutte screpolate, e il fiato mi usciva in sbuffi condensati dalla bocca ad ogni strofa.
 
“Everything I know, and anywhere I go 

it gets hard but it won’t take away my love 

and when the last one falls
 
when it's all said and done 

it gets hard but it won’t take away my love 

I'm here without you baby 

but you're still on my lonely mind 

I think about you baby 

and I dream about you all the time 

I'm here without you baby 

but you're still with me in my dreams
 
and tonight girl its only you and me”

 
 
Come terminai di cantare, un tintinnio attirò la mia attenzione: qualcuno aveva lasciato cadere qualche sterlina nella custodia della mia chitarra, quasi vuota.

Alzai lo sguardo incontrando gli occhi azzurri del ragazzo che stava di fronte a me. Ci fissammo per qualche secondo in silenzio, prima che la sua voce calda parlasse.
 
-Sei bravo, complimenti- mi sorrise, un sorriso sincero sul suo viso. Quel viso. Scostai alcuni ciuffi di capelli che, mentre suonavo,erano sfuggiti da sotto il mio berretto di lana.
 
-Grazie mille- lo ringraziai, potevo contare sulle dita di una mano le volte in cui qualcuno aveva avuto il coraggio di farmi un complimento, da quando mi appostavo qui per cantare.
 
-Di nulla. Da quanto tempo suoni?- mi chiese lui, vivamente interessato. Il suo viso quei lineamenti marcati, le labbra piene e scolpite, ero sicuro di averlo già visto da qualche parte.
 
-Da circa sei anni. Ci siamo già visti da qualche parte?- mi decisi a chiederglielo.
 
-Passo di qui tutti i sabato mattina, non è la prima volta che ti sento cantare- ora ricordavo, lui era il ragazzo che, mani nelle tasche, testa bassa e tanti pensieri nella testa, passava di qui ogni sabato mattina.
 
-Non ho mai avuto l’occasione di farti i complimenti, te li meriti tutti davvero- i suoi complimenti mi avrebbero fatto arrossire se non fosse stato che, per il freddo, guance e naso dovevano già essere rossi.
 
-Grazie, sei davvero gentile- lo ringraziai sorridendogli cordialmente, prima di riporre la chitarra nella custodia e di richiuderla.
 
-Comunque io sono Josh- sorrise porgendomi la mano calda, nettamente in contrasto con la mia gelida per il freddo, che strinsi.
 
-George- mi presentai.

-Piacere di conoscerti George. Dio, starai congelando qui fuori. Hai freddo?-  chiese allarmato, era un ragazzo molto premuroso.
 
-In effetti sì, sono qui fuori da un bel po’- mi misi la custodia in spalla, strofinando le mani nel tentativo di scaldarle un po’.
 
-Ti va di bere qualcosa?- mi chiese guardandomi con quegli occhi color del cielo. Due pezzi di cielo. Un cielo molto diverso da quello londinese, uno di quelli che avrei tanto voluto vedere.
 
Josh mi portò in un bar poco distante dalla piazza. Ci sedemmo in un piccolo tavolino per due, vicino alla vetrina che dava sulla strada.
 
-Già meglio no?- mi sorrise lui, vedendo che stavo già riprendendo un colore meno simile a quello di un pomodoro.
 
-Decisamente- ricambiai il sorriso, mentre il ragazzo teneva lo sguardo fisso sul legno del tavolino per alcuni secondi, prima di alzarlo e incontrare il mio.

In quel momento arrivò la cameriera, blocchetto alla mano, grandi occhi scuri e grembiulino rosso.
 
-Posso portarvi qualcosa ragazzi?- ci chiese gentilmente con un sorriso.
 
-Per me un caffè grazie, niente zucchero- le rispose Josh.
 
-Io un the caldo, grazie- le lasciai anche la mia ordinazione, mentre lei scribacchiava in quel piccolo blocchetto.
 
-Un the e un caffè amaro- ripeté prima di andarsene con un -Arrivano subito- la ragazza sparì dietro il bancone, e alla sua uscita di scena seguì qualche minuto di silenzio.

Normalmente essere al bar a prendere un the con uno sconosciuto nel totale silenzio mi avrebbe messo a disagio, ma con Josh no. Era un silenzio piacevole in realtà.
 
-Allora George- iniziò lui, indeciso su come iniziare la conversazione -Sei giovane, vai al college?- chiese poi giocherellando con il porta salviette al centro del tavolino.
 
-Sì, sono al secondo anno- poi, buttai giù la stessa domanda, così, per parlare e conoscerlo meglio.
 
-Ultimo anno, hai in programma di andare all’università?- chiese poi, rimettendo a posto il porta salviette, mentre la cameriera di poco prima appoggiava al tavolo le nostre ordinazioni.

-Ecco qua- disse sorridendoci, la ringraziammo prima che lei se ne tornasse alla cassa.
 
-In realtà no, frequento il college solo per accontentare mia madre- iniziai scaldandomi le mani sulla tazza di the fumante.

-Ma vorrei vivere della mia musica, farmi un nome e viaggiare per il mondo-
 
-Un sognatore insomma- sorrise lui, sorseggiando il suo caffè.
 
-Sono dell’idea che se uno crede davvero nei sogni prima o poi si avverano. Tu invece? Università?- gli chiesi soffiando sul the ancora bollente.
 
-Odio le università in generale, soprattutto i professori universitari. Sono tutti così noiosi- rispose appoggiando la tazzina vuota al tavolo.
 
-Quindi che farai? Insomma, l’anno è quasi finito- iniziai aggiungendo due zollette di zucchero nella tazza.
 
-Non ho un’idea precisa di quello che sarà il mio futuro- sospirò  -Avrei in programma di tornare ad Ascot, con mia sorella. Ha sempre desiderato vedere dov’è nata- sorrise.

Un sorriso che nascondeva tristezza, dolore, nostalgia, ma anche speranza.
 
-Sembra una buona idea- annuii, prendendo finalmente a sorseggiare anche io il mio tanto agognato the caldo.
 
-Come mai due zollette?- chiese dopo alcuni minuti di silenzio.
 
-Non mi piace troppo dolce, ma neanche senza dolcificante. Tu perché amaro?- gli chiesi anche io, chiedendomi internamente il motivo di quella domanda, che testimoniava quanto stesse attento ad ogni cosa che facevo.
 
Lui sorrise, divertito.

-Non mi piacciono le cose troppo dolci-
 
 *   *   *
 
Pov. Josh
 
Una volta salutato il “ragazzo di Trafalgar Square”, era così che lo chiamavo prima di quel giorno, tornai al mio appartamento. Terzo piano.
 
-Jaymi sono a casa- avvertii, mettendo le chiavi di casa sul tavolino nel piccolo soggiorno, lasciai la giacca sul divano ed entrai in cucina.
 
-Ehi Oreo, hai fame?- chiesi accarezzando il pelo morbido del gatto sopra il bancone della cucina.

Gli lasciai un po’ di cibo nella ciotola, prima di andare a cercare Jaymi.
 
-Jay, sei qui?- chiesi, bussando appena, prima di entrare nella sua camera.

-Posso?- entrai.

Jaymi era disteso sul letto con un cuscino sulla faccia, ridacchiai a quello spettacolo.

-Ma che fai?
 
Lui sbuffò, prima di rimettere il cuscino a posto.

-Ciao Joshie, come sta Victoria?-
 
Mi passai una mano tra i capelli, ripensando a come l’avevo trovata quella mattina.

-Come al solito, nessun miglioramento e nessun peggioramento- annuì pensieroso, sapeva che non mi piaceva parlare di Victoria, soprattutto in quel periodo.
 
-Sono in crisi, non so cosa mettermi per il mio appuntamento con Oliver. Mi aiuti?- cercò di cambiare argomento, sorrisi e mi sedetti vicino a lui.
 
-A proposito di te e Oliver, quanti anni sono?- la mia domanda lo fece arrossire mentre istintivamente accarezzava il tatuaggio con il nome del suo ragazzo sul polso.
 
-Tre anni- rispose mordendosi il labbro sorridendo.
 
-Ti ha detto dove andrete?- mi piaceva vederlo felice. Io e Jaymi ci conoscevamo da quando condividevamo quell’appartamento a Londra, esattamente da due anni. Nonostante io fossi una persona che non parlava molto e Jaymi sembrava avere un carattere tutto l’opposto del mio, eravamo diventati amici fin da subito.
 
-Ha detto che sarà una sorpresa. Ammetto di essere un po’ nervoso, lo so che non dovrei, ma- prese un bel respiro prima di continuare e -Non lo so- sospirò infine, passandosi entrambe le mani tra i capelli distrattamente.
 
-E’ normale Jay, ma andrà tutto bene- lo abbracciai, aiutandolo poi a scegliere cosa mettersi.

Alla fine, optò per qualcosa di semplice: una camicia bianca e dei jeans neri stretti ‘A Olly piacciono, dice che mi fanno un bel culo’ aveva detto.
 
-Quindi hai parlato con il ragazzo di Trafalgar Square?- chiese ad un certo punto Jaymi, mentre si asciugava i capelli con il phon.
 
-Sì ci ho parlato, si chiama George- risposi ripensando a quello di cui avevamo parlato quella mattina.
 
-E?- insistette, iniziando a pettinando i suoi capelli scuri in modo che stessero in ordine.
 
-E niente, abbiamo bevuto qualcosa insieme, non è successo nulla di eclatante- dissi facendo spallucce.
 
Jaymi finì di prepararsi in fretta, Oliver era già arrivato e lo stava aspettando in macchina sotto casa.

-Vi rivedrete?-chiese infilandosi il cappotto per uscire.
 
-Ha detto che suona lì tutti i sabato mattina, perciò penso di sì- dissi passandogli la sciarpa e le chiavi.
 
-Grazie tesoro, sei un angelo. Finiamo di parlarne quando torno, non mi aspettare in piedi- scherzò, prima di scoccarmi un bacio sulla guancia.
 
-Salutami Oliver, buona serata- lo salutai, mentre si precipitava giù per le scale dell’appartamento.
 
-Sicuro, ciao Joshie- ricambiò lui, affannandosi sull’ultima rampa di scale. Sorrisi scuotendo la testa, prima di rientrare.


-E così siamo solo io e te- accarezzai Oreo dietro l’orecchio, lo presi in braccio prima di stendermi sul divano, lui si acciambellò sulla mia pancia.

Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dalla quiete che regnava in casa.
 
Angolo dell'autrice

Buonsalve sexy faces!
Anche questa fanfiction si trovava nel mio secondo account qui su efp, ma per comodità, appunto, l'ho spostata e continuerò ad aggiornarla qui, chiedo scusa in anticipo, per la frequenza con la quale aggiornerò.
Premetto che non sono una Jcat, ma che comunque ho sentito alcune loro canzoni e sono bravi, come al solito vi chiedo di lasciarmi, se volete, qualche recensione :))
bacioni a tutti
Sam

 
 
  
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