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Autore: avalon9    11/06/2008    8 recensioni
Il manga è finito. Rumiko Takahashi ha disegnato la parola "fine". Il monaco è vivo; la sterminatrice ha suo fratello. Inuyasha e Kamone hanno vinto; la sfera è stata distrutta. Il solito finale aspettato da tanto. Il solito e vissero tutti felici e contenti.
Ma è davvero così? Davvero tutti sono soddisfatti della fine?
Genere: Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naraku, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In incipit

In incipit

 

 

 

Il risultato di una serata fra Calvino, Eronda e una tazza di tè, senza zucchero e con troppo limone.

Inizio seriamente a preoccuparmi. Sembra impossibile ormai che mi passi qualcosa per la testa prima delle due e mezza di notte.Mah! Però...è vero che, a sera, ad un certo momento, si supera come un confine. E allora scrivere diventa piacere. Puro e semplice piacere.

 

Era già da un po’ di tempo che un canovaccio di trama mi fluttuava in testa. Gli arcani. Avevo deciso di scrivere sugli arcani. Sul loro valore. Il punto, però, era un altro. Chi? Chi abbinare alle carte della divinazione?

Ci ho pensato. Ci ho pensato tanto. E nel frattempo l’idea restava lì, nella testa e in un file del computer con tutti i riferimenti delle carte. Poi. Poi, l’ispirazione.

Girovagando sul forum, una frase. E tutto è andato a posto.

Naraku. Doveva esser lui a giocare con gli arcani. Ma non da solo, certo. E allora, perchè non affiancargli il suo solito, eterno, opposto, complementare avversario? Va bene: ho scomodato il Demone.

E li ho buttati in un mondo che non è nè qua nè là. Un grande teatro vuoto e un po’ polveroso. Decisamente, i corsi di storia dello spettacolo uniti all’epilogo del manga formano un amalgama pericoloso.

Un riscatto? No; non credo. Solo una chiacchierata davanti a un mazzo di carte, una sigaretta e un po’ di amarezza.

 

 

 

 

 

Arcani maggiori

o del trionfo

 

 

 

 

 

Lecca il filtro. Sensualmente.

Aspirando a piccoli tratti. Chiude gli occhi. Il fumo è in bocca; inghiotte. Solletica la trachea, riscalda i polmoni. Soffia. Una nuvoletta grigia, o forse è azzurrina, nell’aria vecchia e chiusa.

Le poltrone sanno di polvere. Appoggia il viso alla mano; con la carta che sfrigola accanto all’orecchio. C’è una macchia scura, sul sedile in terza fila. In altro. A destra. Si allarga sorniona lungo lo schienale. Sembrano piccole mani che colano. Verso qualcosa.

Una macchia scura. Come quelle del sangue sul kimono di Inuyasha. I contorni che divorano la stoffa e stordiscono i colori.

Sulla sua schiena c’è una macchia. L’ha voluta Lei. E non è mai riuscito a liberarsene.

Ci ha provato. Tante volte. Così tante volte, senza riuscirci mai. Si è accanito.

 

[Inutilmente]

 

C’è una macchia anche sul legno del palcoscenico. Proprio a cavallo della botola. Un bel salto. Dentro. In fondo. Giù e ancora giù. Aspira di nuovo. Raffinatissimo tabacco inglese. Gli piace. Come gli piacciono i suoi capelli un po’ troppo lunghi, e le zanne appena accennate.

Gli piace.

 

[Ma non ti basta]

 

Vero. Verissimo.

Non si accontenta. Non è da lui accontentarsi.

Perchè dovrei farlo? È l’unica cosa, l’unica, che apprezza nei ningen. Anche se apprezzare è un po’ esagerato. Interessa? Sì; interessa. L’unica qualità capace di destare la sua attenzione.

I ningen non si accontentano. Vogliono, desiderano, bramano. Da ciechi. Da sciocchi e ciechi egoisti. Non vedono oltre il loro piccolo mondo.

Bramano. Denaro, donne, potere. Ma non sanno superare il loro desiderio. Ci restano aggrappati. Saldamente. Quasi con...disperazione.

Lui sì. Lui ha superato.

Ha trasformato il brigante. Lentamente; ha lasciato che si addormentasse. Ha lasciato che credesse di avere il controllo, di ottenere quello che voleva. Oh, non l’ha ingannato. Non sa ingannare. Sono gli altri; sono i ningen. Loro non capiscono. Loro non riescono a capire.

 

Trascina una sedia in mezzo al palco. Ha acceso due riflettori e si lascia bagnare da quella luce accecante. É solo in scena. In un teatro buio.

 

[Il tuo trionfo]

 

Accavalla le gambe e soffia il fumo.

Già: il trionfo. Gli ha tolto anche quello. Quella donna maledetta. Gli ha tolto l’orgoglio, e lo ha distrutto. Stiracchia un sorriso amaro. Alla fine, se lo aspettava. Lo immaginava. Non ha capito. Nemmeno Lei.

Non si è accorta di chi avesse creato; non ha guardato cosa si fosse plasmato fra le sue mani sudaticce, con l’anulare e il mignolo sempre macchiati di inchiostro. Nero e oro. Non ha pensato, mentre lucidava soddisfatta gli occhiali, che lo stava uccidendo. La testa sospesa alla ragnatela poteva accettarla; il corpo costruito con sapiente pazienza, limato e perfezionato di continuo, distrutto. Si può ricostruire.

Tutto si può ricostruire, ma non quello. Non quello che Lei gli ha tolto.

 

[Orgoglio]

 

Aspira e chiude gli occhi.

La testa gettata all’indietro. É pallido. Troppo pallido. La luce scherza sul viso in due ombre che si allungano fra le cavità oculari e la radice del naso. Naso aristocratico. Chi lo diceva? Mmm; qualche fans. Sì; un fan. Ridacchia.

E’ stata una sorpresa il suo aspetto. Un cattivo è brutto, repellente, disgustoso. Lui no. Lui è particolare. Gli occhi sottili e il colore inusuale; la voce melliflua e un po’ roca.

 

[Quale voce?]

 

Ridacchia di nuovo, la sigaretta tamburella sulle labbra.

Ne ha tante, di voci. E tante lingue. Le conosce tutte. Quelle di tutti ningen che hanno voluto vederlo. E che stanno aspettando. Con gli occhi dilatati e la bava alla bocca. Contando i giorni che mancano, che li separano. Qualcuno ha caricato il cellulare, lo sa. Qualcuno si diverte a pensare al dopo. Qualcuno esulta che sia finita, e che lui abbia perso.

Non è il problema. Sapeva di dover perdere. Lì non si può vincere. Ma non così. Non in quel modo. Perdere; venir sconfitto, ucciso. Anche annullato.

Ma non accetta di essere cambiato.

 

Soffia e arriccia le labbra. Avrebbe voglia di urlare. Avrebbe voglia di poter uccidere Lei. E non può. Non la può toccare: distruggi Lei, distruggi te stesso. Anche se quello che ti ha fatto diventare non ti piace; è un’offesa.

Poteva accettare altro. Lo hanno storpiato in molti. In troppi, forse.

Non gli interessava. Sorrideva beffardo. Sesshomaru non lo sopporta. Gli bastava la rabbia trattenuta solo per decoro del demone, gli occhi che si stringono disgustati e la coda che si muove sorniona al suo passo sicuro e un po’...Irritato. Ridacchia e si liscia le labbra.

A lui andava bene. Non era entusiasta che lo trasformassero, che lo sbagliassero, ma non si arrabbiava. É stato anche utile. Gli ha permesso di apprendere qualcosa di nuovo; ogni tanto, una curiosità che gli stuzzicava la mente.

In fondo, erano solo storie. L’importante era la sua storia, la sua caccia.

 

[Il tuo desiderio]

 

Migliorare.

 

Può accettare di esser fermato; può accettare di morire.

Ma non così. Non in quel modo, per quello.

Lascia cadere il mozzicone a terra. Il tacco preme e ripreme. Schiaccia, frantuma, sminuzza. Fosse Lei. Lei che lo ha tradito, che lo ha distorto, che non lo ha capito.

Lo ha creato perfetto. Un antagonista che non è mosso dalle solite, squallide, banali idee. Non gli interessa che i ningen vivano o muoiano; il mondo non lo attrae minimamente.

 

[Vuoi il potere]

 

Certo. Il potere. Quello degli youkai; la loro perfezione.

E Lei lo distrugge. Lei lo precipita.

Lei gli dà tutto, lo disegna assoluto, e poi...poi!

Lo rigetta fra i ningen, fra la loro piccolezza.

 

[Per Kikyo]

 

Nuova sigaretta, nuova boccata.

La legge è potente, ma più potente è il bisogno1.

Lo ha letto su un classico. Romanticismo tedesco. E si è divertito a riprovare le scene con una mefistofele a premere sui capelli e il volto bianco con due righe sottili e alte per sopracciglia. E la bocca. Quella bocca rossa sempre aperta in un ghigno malizioso e beffardo. Gli aveva ricordato la maschera di hannya.

Scrolla le spalle.

 

[Bisogno]

 

Lei aveva bisogno di un perchè.

E ha scelto il banale. Ha sacrificato la sua intelligenza, la sua diversità, quel modo nuovo e completo di sentire, e lo ha fatto cadere. Giù. Di nuovo fra i ningen; di nuovo ningen. E quel corpo improvvisamente pesa addosso, è diverso ed estraneo. Carne che non controlla, che lo preoccupa, lo spaventa.

 

Naraku intreccia le braccia.

Sigaretta alle labbra stretta fra due dita. Un tremito leggero; e il rex traemende a soffiare con il fumo.

 

[Rex tremendae maiestatis,

qui salvandos salvas gratis,

salva me, fons pietatis.]2

 

 

 

*****

 

 

 

La gonna si solleva vaporosa.

Gonna a balza; due. Nera in raso sgualcito e sfilacciato e rossa di chintz. Con i fiori troppo grandi. Papaveri. Papaveri neri con un bottone rosso cardinale. La zingara sorride, muove le anche e solleva la gonna. É scalza nella piazza affollata di Granada.

 

Gennaio 1492.

I re Cattolici sono entrati trionfanti con il crocifisso in mano. Hanno cacciato gli infedeli; Ferdinando II ha messo fine alla Reconquista.

La zingara continua a ballare, nell’aria fredda d’inverno. Il tamburello tintinna e i capelli si alzano. Ha una grande bandana annodata sulla nuca e ciuffi ribelli e un po’ unti a frustarle il viso. Una voglia fa capolino sotto la manica bianca della camicia; porta un solo orecchino d’oro, grande.

 

Naraku si liscia divertito il mento.

La scollatura troppo generosa lascia intravedere il neo sul seno destro. Ride. Ride e getta indietro la testa. Piacerà. Ai ningen piace una donna così: sfrontata, irriverente. Una donna che ti guarda con occhi da gatta.

Guadagnerà, quella notte. E anche in quelle successive. Granata festeggia; la Spagna festeggia. I mori sono stati cacciati, e San Jago protegge di nuovo l’amata Spagna.

 

[Grande è la gioia che vanno facendo

per quella terra quando il mio Cid

ha conquistato Valenza]3

 

Sfiora la croce gigliata appuntata al petto.

Rossa. L’ha ricevuta con gli encomi dal re in persona. Come miglior ufficiale durante l’assedio. Sorride appena. Alejandro Kemen Vázquez si fa chiamare. Ufficiale del terzo reggimento di Ferdinando II d’Aragona e Castiglia, sovrano cristianissimo. Sconosciuto.

Si diverte.

Crea il suo personaggio, nelle pause. E prova altre storie, altre situazioni. I ningen lo incuriosiscono e lo disgustano. Ma deve conoscerli.

Gli è necessario conoscere tutto. Vuole liberarsi di ogni cosa lo leghi al loro mondo; tutto quello che lo ferma.

E per tagliare, devi sapere cosa selezionare. Devi riconoscere.

 

Osserva i ningen.

Ridono, urlano, fischiano. Maiali che lo disgustano. Le bocche troppo larghe unte di carne allo spiedo e sudore. Arriccia infastidito il naso. Odore di urina, umori, sporcizia e animali.

 

[Disprezzi]

 

Come li disprezza Sesshomaru. Vuole imparare.

Vuole capire. Ma quell’orgia non serve a niente. Quei vizi li conosce già da tempo. I primi che si è affrettato a eliminare. I primi che Lei ha eliminato per lui. Offrendogli ogni soluzione, ogni mezzo.

Strappa annoiato l’onorificenza e la getta alla zingara. Non visto.

 

Señor! Señor General!

Tenede! Por la vostra caridad!

Buena suerte!”

 

Il foulard di satin è un po’ vecchio e stropicciato, con una melagrana ricamata in filo blu. La zingara glielo preme sulla mano, e continua a sorridere. É la prima che si avvicina così tanto a lui; è la prima da quando è lì che non arretra davanti all’ombra strana, sanguigna, dei suoi occhi.

 

“Adiós, mio bel Beng4!”

 

Ride. E si allontana. Le mani sui fianchi e i piedi sporchi di fango e neve.

Verso i soldati che si ammassano nelle stradine strette e anguste del l'Albaycín. E i capelli neri sono fuoco, gli occhi aperti spiritati e il sorriso un urlo. Bruja! I bracciali corde che segano la pelle. Bruja! La gente rumoreggia. Non canta adesso; urla. Eccitata. Compiaciuta, ammalata: Muerte alla bruja!

E le fiamme salgono. Rosse. Contro la Sagrada Familia, sotto un cielo fumo. Sotto l’ombra di aerei mortali come i rapaci.

 

[Devi tornare]

 

Naraku annuisce.

Nasconde lo strano pacchetto del farsetto e si allontana.

Il tamburello suona ancora, una voce fredda come l’aria dell’inverno. Campane a morto.

E ride. Ride. Ride.

 

[Pero nada pueden bombas

rumba la rum ba ba

donde sobra corazón

ay Carmela, ay Carmela]5

 

 

 

*****

 

 

 

L’ultima sigaretta è la più gustosa.

Quella che accendi con il pensiero lucido che è l’ultima volta che compi il gesto; le labbra che trattengono lentamente il filtro e la lingua che lo inumidisce appena. Cerca l’accendino e lo fai scattare. E il suono della pietrina focaia echeggia nel teatro vuoto.

L’ultima sigaretta; e la vuole assaporare tutta. Con il tabacco amaro raschiare la lingua e grattare un po’ la gola.

 

[Delizioso]

 

Naraku sistema meglio la camicia di seta nera. Lucida.

Non ricorda dove l’ha presa. Londra, forse. No. New York. La prima volta che si è accorto di essere libero.

Preme la mano sulla tempia. Adesso è davvero libero. La donna non lo chiamerà più nella storia; la storia non ci sarà più. Ha disegnato il finale. La sua morte; l’odioso finale.

L’hanyou e la miko hanno vinto.

L’houshi è libero e la tajiya ha di nuovo il fratello.

 

[Patetico]

 

Incastra la sigaretta fra le labbra e allunga le mani sul tavolo.

Mobilio di scena. Lo ha recuperato dalle quinte incrostate di muffa e polvere. Un bel tavolo ruvido di taverna; con le schegge che ti si piantano nella pelle se solo ti azzardi a sfiorarlo.

Scrolla le spalle. Problema facile. Liscia le pieghe del velluto rosso scuro. Rubino. C’è qualche ombra nera, ed è tagliato in modo informe. Il bordo sfilacciato fa resistenza; si impiglia in ogni imperfezione del legno non piallato.

 

[Fregatene]

 

Non è facile. Non è affatto facile.

Ha come un rimasuglio di rabbia, delusione e sconforto nello stomaco.

Dopo. Dopo lui tornerà a non esistere, e non sopporta quello che Lei lo ha fatto diventare.

 

Sogghigna sollevando appena l’angolo della bocca. Buena suerte gli ha detto una volta una zingara. Buona fortuna. Ma lui non ci crede, nella fortuna. Non ha mai avuto motivo per crederci. Andava tutto bene; fino a quando non si è avvicinata la fine, andava tutto bene.

Allunga la mano al mazzo ingiallito e vecchio.

 

[Cinquecento anni]

 

Ridacchia mescolando le carte.

Non ci credo. Ma hanno un loro perché. E fra una scena e l’altra, fra libri di filosofia e film di Woody Allen, si è divertito anche a imparare a usarle. A modo suo, certo. Naraku non è sciocco: il suo mondo non risponde ai tarocchi; non lo conoscono.

E allora, perché non inventare altri significati, altri valori?

 

[Giochiamo un po’]

 

Quando ha iniziato? Ah, sì.

Le carte si muovono veloci nelle sue mani. Il bordo leggermente pieghettato e i colori un po’ smorti. Il foulard con la melagrana deve averlo lasciato nel cassetto. O forse l’ha usato per togliersi il cerone della scena.

Scontro fra avversari. Risente l’odore della gomma che scotta. Le cadute continue per rendere la scena; la donna l’ha disegnata e ridisegnata all’infinito. Credeva che davvero cercasse di trovare il pathos finale.

Per un attimo, lo ha pensato.

 

[Troppo presto.

E troppo veloce]

 

Si tasta il collo in un gesto automatico. Gli è rimasta la cicatrice del fendente di Sesshomaru. Baka no youkai! Si fa sempre prendere troppo la mano, quando combatte. E lui deve improvvisarsi contorsionista per evitare i suoi artigli.

Distanza. Ha imparato a mantenere una sottile linea di separazione fra di loro. Avvicinarsi troppo è eccitante, ma troppo pericoloso.

Quella volta lo hanno ridotto proprio male. È sparito per capitoli interi.

 

[Congedato]

 

Lei gli ha lasciato tempo.

Naraku sistema con meticolosa attenzione i tarocchi sul velluto. Ho provato e riprovato le combinazioni e si è creato i significati. La sciarpa attorno alla gola e la testa pigramente appoggiata alla mano. Sogghignando di riprese e scene ripetute all’infinito. Beandosi dell’irritazione del demone che si vede cancellare le gole squarciate, le unghie allungarsi contro il fratellastro.

Sesshomaru gli ringhiava contro, e lui sorrideva sornione scrollando le spalle e picchiettando l’indice sul copione. Non le ha di certo inventate lui, quelle soluzioni.

Spegna la sigaretta. Riprende pacchetto, accendino e aspira.

 

[L’ennesima ultima sigaretta]6

 

“Ti stanno cercando

 

Naraku sorride fra il fumo. Sapeva che sarebbe venuto.

Lo prevedeva. Non vuole rischiare: sono anni che lo cerca, lo rincorre, lo bracca come un segugio. E adesso, adesso, che può smettere la caccia, non ha intenzione di lasciarlo scappare.

Piega appena la testa di lato. Indossa ancora suikan e sashinuki. Ma va bene ugualmente. Non indosserà mai qualcos’altro. Gli sembrerebbe un’eresia.

 

Ho spento i riflettori; ci sono solo alcune luci basse nelle bocche del palco.

E lui, naturalmente. Con quel suo tenue, odioso, sfacciato chiarore.

 

[Indietro! Vattene dalla mia vista!

Ti nasconda la terra!

Senza midollo sono le tue ossa,

il tuo sangue è gelato, non hai sguardo

negli occhi che mi tieni fissi addosso!]7

 

Sfila la sigaretta e soffia. Verso di lui. Sorridendo.

Adora irritarlo; vedere i suoi occhi assottigliarsi e lampeggiare nel buio.

Gli artigli allungarsi lentamente. Sesshomaru non lo sopporta. Non permette che gli si risponda a quel modo: uno sbuffo fastidioso in faccia.

Naraku lo conosce; riesce ogni volta a stuzzicarlo. Ed è piacevole; così piacevole. Soprattutto in quel momento. Se indossasse l’armatura, potrebbe credere di essere ancora nel suo palazzo, o sulla voragine dell’Hakurei. Potrebbe illudersi della scena, e sogghignare dei borbottii di Inuyasha e delle mezze parole. Con quel riflettore negli occhi e il suo avversario sempre compito metter mano alla spada.

 

[Mi hanno sempre cercato]

 

Gira una carta.

Papessa. Stuzzica con l’unghia il bordo. Carta ideale. Lei sta lavorando. Sta risistemando le ultima battute. Ridicole. Alla fine, si è stancata della sua stessa storia. Ed è scivolata. Se solo non lo avesse trascinato con sé, sarebbe stato passabile.

Aspira una nuova boccata; ha la prima carta. E gli occhi del demone addosso. Fastidiosi come ogni volta. Come la prima volta. Quando lo perforava sotto la pelle del babbuino. E lui sogghignava divertito di una indifferenza che sperava di poter manovrare.

 

“Mi hai trovato

 

Sesshomaru increspa appena le labbra. Sorride?

Non ricorda che Lei gli abbia mai disegnato un sorriso. Gli fa un cenno vago con la mano: la sedia dall’altro capo del tavolo. L’ha messa per lui. Perché sapeva che sarebbe venuto. Non sopporta che lo squadri dall’altro in basso; che soppesi le sue mani rapide a rimescolare il mazzo. La seconda carta campeggia sul velluto.

È sempre stato il suo preferito. Lei ha sempre amato Sesshomaru. Gli ha regalato una nuova spada; gli ha restituito il braccio. Ha perfino ammorbidito il suo carattere.

 

[Addolcito]

 

Naraku ridacchia fra le labbra; Sesshomaru si concede un fugace ondeggiare della testa. Il mento nobile alzarsi impercettibilmente. Gli occhi hanno un guizzo, e Naraku si affretta a posizionargli davanti una carta.

Il demone inclina appena la testa. Non capisce.

Ignora, e si concentra su di lui, sui suoi movimenti rassegnati.

 

“Cosa stai cercando…qui?”

 

Qui. Un teatro vittoriano dal sipario impolverato e pesante.

Una grande stanza senza spettatori. Sospesa così. Nero in mezzo al Nulla. Non è nel reale. Non è nel loro mondo. Non lo ha disegnato Lei. Naraku arriccia le labbra: la sua creazione.

Qui. Il demone non riesce a definirlo; non può definirlo.

Non esiste

 

[Bellezza riposata dei solai

dove il rifiuto secolare dorme!

In quella tomba, tra le vane forme

di ciò ch'è stato e non sarà più mai]8

 

Qui.

Cosa cerca? Oh, Sesshomaru-sama, che domanda banale! Stringe la sigaretta fra le labbra e fa scorrere l’indice sul braccio sinistro. Arabesca la seta con un gesto lento, languido. Non ha fretta. Non ha nessuna fretta. Non è lui quello che deve ricomparire.

 

“Il mio trionfo

 

Sesshomaru piega la testa; accarezza la carta con gli artigli. Volta.

L’innamorato. Naraku gliela sfila dalla mano in un gesto affettato.

Osserva il disegno un po’ rozzo: il non determinato, fluido.

Strappa. Sorridendo compiaciuto.

 

[Kikyo]

 

“Patetico”

Sesshomaru soppesa la platea immobile. L’ultimo arcano al suo posto, su quel tavolo dalla tovaglia piangente. Naraku si appoggia pigramente al pungo; gli allunga indolente il pacchetto di sigarette. Schizzinoso. Sogghigna del rifiuto quasi inorridito del demone. In fondo, lui è ritornato umano. Può concedersi quel disdicevole piacevolissimo vizio.

Riprende le carte.

 

“É…finito

 

[Per sempre]

 

Sesshomaru annuisce distrattamente.

Finalmente, lo lasceranno in pace. Alla sua tranquillità. Lei smetterà di tormentarlo; se ne andrà anche il cucciolo umano. Non lo sopporta. Chiacchiera troppo.

Finito in modo…insopportabile. Stringe gli occhi: Naraku gli sorride fra il fumo della nuova ultima sigaretta. Detesta quell’odore; e i mozziconi in camerino. Le bruciature sul legno della sedia. E soprattutto, detesta Svevo e la sua debole psicologia freudiana propria dei ningen.

Naraku posiziona il mazzo.

 

Taglia

 

Sposta la sigaretta da un lato all’altro della bocca, sistema un ciuffo che si ostina a cadergli davanti agli occhi. Potrò tagliarlo. Adesso ha la sua storia da leggere. Una carta per ognuno di loro. Ha aspettato tanto per finire. Si è sempre fermato prima.

 

Cornaill, vi supplico, fate cessare questa commedia9

 

“Pietoso”

 

Sesshomaru concede.

Naraku ride senza allegria, mentre sistema gli arcani per l’ultima volta; la mano ruota con eleganza le prime carte agli estremi della fila: il bagatto e il mondo. Il monaco e la sterminatrice. Insieme.

Troppo scontato separarli.

 

“Prevedibile”

 

Sesshomaru gli concede un sorriso di scherno.

Ha capito. Riesce a vedere i ningen assieme. E un vago senso di nausea lo disgusta. Naraku si permette di osservarlo, la schiena comodamente distesa sullo schienale.

Sente come un brivido comprimergli il corpo. Il tempo sta per scadere. Lei li sta eliminando uno ad uno dalla scena. Probabilmente, fra non molto chiamerà anche il demone. Gli accenna appena l’uscita in fondo alla platea scura. Sesshomaru segue lo sguardo. Le pareti in broccato scuro e la porta rivestita in pelle nera. Claustrofobico. Il palco si allarga verso l’orchestra per inghiottirla. Teatro shakespeariano. Appropriato.

Gli concede un mezzo sorriso.

 

[Il teatro è il luogo dove

l’io morto può assumere espressione]9

 

Naraku ha scoperto altre due carte: la forza e la luna. La miko e Inuyasha.

Solleva il diciottesimo arcano. Fissa i due cani con il muso alzato all’astro che riceve fiammelle. La fa girare fra due dita e la lancia fluido. Sesshomaru la degna di un’occhiata annoiata. Ha capito il gioco.

 

[Capiva sempre per primo]

 

“Shikon no tama”

 

Il demone graffia la carta con gli artigli. La volta.

Naraku annuisce. Compiaciuto. L’appeso. Le porte di Salomone: Jakin e Boaz. L’iniziazione passiva; il sapere dettato da attesa e ascolto. Lo ha ingannato. Lei è la sfera. E si è beffata di lui. Di loro.

Alza la testa. Una zanna di Sesshomaru risplende sinistra. Anche lui. Anche lui è insoddisfatto. E sa che non può cambiare; che non si può decidere la mossa. Adesso, le battute sono pronte.

 

[Va bene.

Appassiremo senza fare troppe storie]10

 

Mancano due carte. Naraku sospira e fissa i ponteggi in altro, nel buio. Gli basterebbe uno gesto leggero. Per creare la luce. Sogghigna. Da quando io creo qualcosa? La pelle gli è stata cucita addosso. Ed è nera e profonda come un abisso. Lo era.

 

“Voi, Sesshomaru-sama

 

Il demone stringe gli occhi. Contrariato.

Non apprezza la scelta, Naraku lo sa. Ma non l’ha deciso veramente. Gli è capitata in mano per caso. Mentre aspettava il suo turno e rifletteva sul demone. Sulla sua essenza.

L’eremita.

 

[Conoscenza]

 

Lo invita con un cenno. E’ il turno del demone, adesso.

Segue incuriosito gli artigli sfiorare velluto e carte.

Sesshomaru sta cercando. Sta cacciando. E la preda è lui. Per l’ultima volta.

Mancano solo due carte. Vediamo. Naraku si liscia il mento con calma. Il suo avversario deve decidere.

 

“Tu, hanyou

 

La morte.

Il demone è ammantato da una calma perfetta. Innaturale.

Sicuro di aver vinto; di aver tolto al suo avversario anche, soprattutto, quell’ultima piccola soddisfazione.

 

[Sbagliato]

 

“La storia, Sesshomaru-sama

 

Naraku scuote leggermente la testa. Divertito.

Troppo scontato. Non è da lui cadere così. Lei lo può far cadere, lo può storpiare. Ma lui è diverso. Ridacchia picchiettando l’ultima carta. Il demone è indifferente. Distaccato. Ha perso. Lo sa. Lo vede nel lampo strano degli occhi.

E si sorprende del leggero sorriso del demone. Di sufficienza.

 

“È la stessa cosa”

 

Il brillio si attenua e si frantuma. Sesshomaru scolora nel buio; corpo che diviene immagine, trasparenza. E poi, luce. Lei lo ha chiamato.

Per l’ultimo atto. Per l’ultima comparsa su quella scena. L’assolo finale.

Naraku sospira e volta l’ultima carta.

 

[Il matto]

Il jolly.

L’impulso razionale; l’inafferrabile.

L’inizio e la fine di tutto. L’arcano senza numero.

 

[Sifir]11

 

Sorride mentre il teatro implode.

Lei ha chiuso. In quel maledetto, disgustoso, patetico modo. Deludente.

Le carte traslucide. Innaturali. Mentre le pareti sono inghiottite dal nero. Solo nero. Poi ci sarà il bianco. Accettiamo. Il pacchetto è ancora pieno. Accende una nuova sigaretta e si rilassa sulla sedia.

Ha perso.

 

E adesso, l’eternità

 

 

 

Ma ben veggio che 'l mondo m'ha schernito,

e sento quel ch'i' sono e quel ch'i' fui,

e veggio andar, anzi volare il tempo,

e doler mi vorrei13

 

 

 

 

 

 

 

__________________________________________________________

 

1 G. W. Goethe, Faust II, Atto I

2 W. A. Mozart, Rex traemendae, da Requiem

3 Il cantare del mio Cid

4 Il nome con cui gli zingari è il nome che viene dato alla parte negativa del Dio supremo, in opposizione a Dèvel, che corrisponde al dio buono

5 Canto repubblicano della guerra di Spagna, su cui si basa il film Ay, Carmela di Carlos Saura

6 Italo Svevo, La coscienza di Zeno

7 W. Shakespeare, Macbeth

8 Guido Gozzano, La signorina Felicita ovvero la Felicità

9 Renoir, La règle du jeu 1939

10 Paolo Ferrari. attore

11 Kazuya Minekura, Saiyuki, vol. 9

12 In arabo, significa “vuoto”

13 Petrarca, Trinphus eternitatis, ne I tronfi vv. 6-9

 

 

 

 

 

 

De finibus

 

 

Alla fine, gli arcani non hanno avuto quella parte che aveva pensato in principio. Ma va bene lo stesso. Forse, preferisco questa scelta la progetto iniziale. Come se un mio progetto finisse mai con gli stessi punti con cui era partito. Sembra che io abbia il dono di programmare qualcosa per vedermela poi sciogliere fra le dita.

 

Scrivere di questi personaggi è sempre snervante.

Sono complicatissimi. Per una volta, non ci sono vere e proprie sfide. Anzi. Volevo quasi che Sesshomaru fosse dispiaciuto per la fine patetica del suo eterno avversario. Anche se, alla fine, il trionfo di Naraku è l’essere se stesso.

 

Una piccola nota in conclusione, sul titolo.

Gli arcani maggiori, sapete tutti, sono le ventidue carte dei tarocchi. Vengono anche chiamate trionfi, probabilmente dall’opera omonima di Francesco Petrarca. Ma esistono anche altre teorie. Ogni carta, dunque, è stata abbinata da Naraku ad un personaggio importante del manga. Non tutti né tutte le carte sono chiarite, certo. Mi interessava qualcosa, non il totale. Spero solo che risultino chiari i collegamenti.

 

Bene. Questo è un piccolo omaggio a due stupendi personaggi che, purtroppo o per forza, Rumiko Takahashi ha…sacrificato? Forse meglio dire ridotto. È principalmente la delusione di Naraku, ma non potevo non inserire Sesshomaru.

Sono loro, e insieme sono i loro personaggi e gli attori che li interpretano. La scena  cui si fa accenno è il manga, le prove le tavole inchiostrate, fatte e poi cestinate. E le pause sono le assenze. Come se fossero gli attori di una rappresentazione; solo che qui sono la stessa cosa. Spezzati fra più piani.

 

Alla vostra gentilezza

 

  
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