La
nuova fidanzata di John si era conquistata la simpatia di Molly da subito.
Era
una di quelle fortunate predisposizioni d’animo o affinità elettive, che dir si
voglia, in cui ci si piace a pelle reciprocamente.
Mary,
questo il suo nome, aveva un modo di porsi risoluto ed energico che non
disturbava o vessava, una proprietà di linguaggio ammirevole.
Cercava
il contatto visivo nella persona che le stava di fronte, i suoi occhi erano di
una sfumatura di blu-azzurro volubile che le riportava alla mente i capricci e
le bizzarrie di un altro paio d’occhi altrettanto imperscrutabili e umorali. I
capelli biondi venivano acconciati semplicemente. Corti per comodità, le aveva confessato durante uno dei loro primi
incontri e si era stretta nelle spalle in un gesto inequivocabile. E Molly non
si era sentita a disagio per la sua solita coda di cavallo, per l’assenza di
trucco, per i suoi vestiti comodi da lavoro.
La
vivacità, la battuta pronta, l’acume indubbio, la serietà e l’efficienza che
aveva scoperto esserle proprie, il lampo d’ironia che spesso le fregiava il
volto, la naturale riservatezza sul suo passato, tutto questo la rendeva una
persona più che attraente allo sguardo accorto di Molly. Una persona che, decisamente, meritava attenzione e che
lei era fiera di annoverare tra le sue amicizie.
La
persona giusta per John. E anche adatta ad incontrare i gusti, assai più
difficili da accontentare, di Sherlock, da sempre con idee ben precise riguardo
il tipo di donna che John avrebbe dovuto trovare come compagna per la vita.
Non
si trattava di mera simpatia. Molly la ammirava per tante piccole cose. Per il
modo in cui aveva restituito a John il sorriso e la tranquillità prima del ritorno di Sherlock, tanto per
cominciare e poi, dopo quello, per il modo in cui aveva gestito Sherlock quando
era riapparso, il rapporto che legava Sherlock e John, il modo in cui faceva
apparire tutto semplice e normale, senza sdilinquirsi in convenevoli e
formalità.
E
quando l’imbroglio del suicidio inscenato si era sdipanato, chiarendo la
definitiva connessione di Molly alla vicenda, Mary l’aveva guardata senza
eccessiva sorpresa o blanda accusa, ma piuttosto con approvazione e rispetto.
A
Molly, dunque, per quelle e mille altre ragioni, Mary piaceva e molto.
Ciò che le famiglie sono
Per
il loro incontro, Molly aveva proposto una graziosa sala da tè sulla Marylebone
High Road, specializzata in pasticceria francese. Mary si era detta d'accordo, soprattutto
visto che, incontrandosi con John a Baker Street dopo, così facendo per lei
l’incomodo era ridotto al minimo.
Sedute
a uno dei tavolini esterni, con un vento che ricordava più una brezza autunnale
che il vento freddo del nord, Molly e Mary vagliavano con espressioni
concentrate le opzioni sul menù di carta plastificata, i disegni invitanti a
margine.
“Qui
fanno dei dolci strepitosi”, disse Molly, entusiasta.
Mary
annuì. “Di sicuro ne hanno l’aspetto.”
Il
tramonto invernale assomigliava a un acquerello.
Nel
contorno meticoloso delle sagome livide di palazzi e strade che lo pungevano,
il cielo acquisiva una nota generica di irrealtà.
Più
che in qualsiasi altra stagione, era nello sbrinarsi dell’inverno, nei suoi
mesi ghiacciati e nelle sue giornate troppo corte e inafferrabili, che Molly
riconosceva ai colori il loro giusto apporto. Il rosso e l’azzurro in quel
momento erano come smaltati, appendici di un fondale operistico.
Quando
la cameriera uscì ad appuntare i loro ordini, Molly scelse la torta al
cioccolato, Mary una fetta di crostata ai mirtilli, ad accompagnare il dolce tè
allo zenzero per entrambe.
Parlarono
del più e del meno, inframmezzando risate isolate ad aneddoti e notizie curiose.
Mary le chiese del suo lavoro. Ed ecco un altro motivo per cui Molly sentiva di
adorare Mary. Niente sembrava annoiarla o scandalizzarla - neppure una
dissezione o un prelievo di cellule dell’epitelio respiratorio. Certo era
un’infermiera, ma anche con John Molly si era spesso trovata nell’antipatica
situazione di fornire troppi dettagli. Con Mary, invece, era un altro paio di maniche.
L’ultima
volta era rimasta ad ascoltarla per mezz’ora, mentre lei, elettrizzata,
dissertava di dosaggi radioimmunologici.
Molly
le sorrise. “Questa settimana ho il turno in laboratorio. Osservazione di
colture in vitro.”
“Sembra
interessante.” Mary poggiò la guancia contro il palmo aperto della mano,
disponendosi all’ascolto.
“No”,
Molly scosse la testa. “Oggi non si parla di lavoro. Vorrei staccare la spina e
spettegolare di cose piacevoli.”
E
lo fecero. Mentre la cameriera le serviva, discussero del film Philomena, dell’ultimo libro che Molly
aveva letto: “Nord e Sud” di Elizabeth Gaskell, del cappotto giallo che Mary
aveva comprato durante i saldi. La conversazione slittò sugli uomini della loro
vita. Molly fornì notizie particolareggiate sull’ultimo ingaggio ottenuto da
Tom, Mary si lamentò poco credibilmente degli orari impossibili di John che lo
facevano rincasare, stremato, all’alba.
“La
settimana scorsa sapeva di assenzio e sigari cubani.”
Molly
nascose poco e male un sorriso dietro il bordo della tazza. “Un dopobarba
contestabile.”
Mary
le sorrise di rimando. Il suo sorriso sfumò in un istante e Molly lo paragonò d’istinto
all’effetto da laboratorio del processo di mordenzatura, quando veniva
utilizzato un mordente che facesse da ponte tra tessuto organico e colorante. Restava
solo da stabilire quale fosse il mordente e chi il colorante.
“Molly,
tu che lo conosci meglio di me e da tanto di più, cosa sai dirmi di Sherlock?”
Molly
sentì il proprio sorriso scivolare via, disperdersi nell’aria affilata della sera
ormai alle porte. Cosa aveva da dire lei su Sherlock? Oh, un mucchio di cose, la maggior parte delle quali inesprimibili.
Si
umettò le labbra nervosamente, sistemandosi i capelli dietro l’orecchio.
“Dovresti chiedere a John, sai. Lui saprebbe spiegarti con migliori risultati.”
“Non
voglio chiederlo a John.”
“Perché
no?”
Mary
si piegò all’indietro con la schiena; si sdiacciava le mani, tenendole in tasca.
“Perché ho l’impressione che tu sia
l’unica tra tutti loro a vedere davvero chi è Sherlock.”
Molly avrebbe voluto negare. Doveva
negare, ma a che pro convincerla del contrario? “Non saprei da dove cominciare”, ritentò,
sperando di aver maggior fortuna.
“Provaci.”
Molly trasse un respiro. Chiuse gli
occhi e poi con dolcezza lo tratteggiò con estrema chiarezza. La figura
tremolante di lui le danzò sulle palpebre serrate, dapprima abbozzata e poi vivida
e definita. Sherlock, lo richiamò nel tono in cui si esprimono i
desideri, si rievocano i ricordi, si pensa a quanto è caro al cuore. Si accorse
di aver serrato le dita attorno alla tazza. Lasciò la presa, si schiarì la
gola. “Sherlock ha una mente geniale, brillante”, incominciò a descriverlo,
quindi, a bassa voce. “Non è acuto, è estremamente acuto. Tutto ciò che
noi intravediamo nell’ambiente che ci circonda, Sherlock lo osserva, lo studia.
Il mondo nella sua interezza lui… lui lo divide in sezioni e si interessa solo alle
aree di sua competenza. Noi cogliamo le sfumature, lui ne crea di nuove. Non è
solo ciò che appare, il personaggio che hanno creato attorno al suo nome. Ci sono
lati nascosti di lui che mostra in
occasioni più uniche che rare, che sono perfino amabili. Sa essere gentile e
non del tipo di gentilezza che usa come arma impropria quando gli serve
qualcosa.”
Molly avrebbe potuto cercare di
spiegare a parole la voce di lui che era liquida e sonora, lo sguardo che
sembrava realizzato con allume e metalli.
Di nuovo, si disse, a che pro? Non era quello che Mary intendeva sapere.
Mary la ascoltava con il solito
interesse, le sopracciglia leggermente inarcate. “Quindi non credi che Sherlock
sia il peggiore degli adulatori?”
Molly sbuffò, l’alito le si condensò
davanti per una manciata di secondi. “Certo che lo è. Ed è anche il peggiore
detrattore di se stesso. È un ruffiano, un manipolatore e un megalomane.
Estremizza le situazioni, esaspera gli stati d’animo, logora i nervi, ma se è
così è perché noi glielo concediamo. Con noi si sente libero di essere se
stesso senza ripercussioni e Sherlock ci ripaga, a volte, tentando di essere
meno Sherlock.” Molly si interruppe e ripercorse mentalmente quello che aveva
detto. “Scusa, sono stata scortese e ho monopolizzato l’attenzione. Credo di
essermi lasciata trascinare.”
Mary minimizzò con un gesto della mano.
“Sono io che ti ci ho costretta.”
Bevvero il tè tiepido e dal sapore
pungente, ognuna immersa in riflessioni precluse all’altra. Fu Mary a rompere
il silenzio che era venuto a crearsi.
“Avevo una famiglia, una volta.”
Molly la guardò, stupita.
“Sono tutti morti”, proseguì Mary.
“Così, nel tempo, senza sapere come con precisione, sono diventata l’unica
rimasta. Una bambina abbandonata sul ciglio della strada, come nelle favole. Ho
un certo numero di amici e conoscenti, ma loro non sono la mia famiglia. John e
Sherlock, ovvio, tu, Greg e Mrs Hudson... insieme formate una famiglia strana e
allargata. Una a cui mi piacerebbe aggregarmi.”
Molly si accorse di avere gli occhi
lucidi. “Ci sono le famiglie in cui nasciamo”, si ritrovò a dire, “e ci sono le
famiglie che ci creiamo nel corso della vita. Le persone con cui siamo a nostro
agio, con cui ci sentiamo liberi di esprimere ciò che abbiamo nel cuore.” Pensò
a Sherlock e sorrise. “O liberi di non farlo”, aggiunse. “Liberi di essere
assurdi, irragionevoli, insensati e bruschi. I miei amici sono la mia famiglia
e Mary, tu sei mia amica.”
Mary rise, commossa, si sfregò il bordo
degli occhi. Fece una smorfia per cercare di ridimensionare quello che stava
provando e che le si era dipinto sul viso.
Quante volte in passato lei aveva pensato e provato lo stesso?
Una ragazza sola, sul ciglio di una strada, fuori un ospedale in
un giorno di neve.
“Dimentichi quella che formerai con
Tom.”
“Già. E quella che tu e John avete in
cantiere?”
“In cantiere c’è solo la sopravvivenza comune.”
Si sorrisero e stava nella complicità
di quel sorriso, sotto le prime stelle della notte, nel piccolo di quel gesto
caldo e umano e vivo, il significato di ciò che era una famiglia: negli attimi
condivisi.
*
Sherlock rivolse un’occhiata al
cappotto nuovo di Mary. Capelli lavati la sera prima. Abito elegante. Ricambio
di scarpe nella borsa. Aveva bevuto del tè allo zenzero - poteva
sentirne distintamente l’odore nell’aria che espirava.
Mary rispose al suo sguardo con uno
identico. Arcuò le sopracciglia in una muta richiesta.
Sherlock fece un breve cenno di
dissenso.
“Davvero? Ancora non lo avete risolto?”
John le rivolse uno sguardo di scuse. Superfluo.
“Mi dispiace. Stavo per chiamarti.”
Mary alzò gli occhi al cielo, enfatica.
“Nessun problema. L’idea di te che scorrazzi per la città senza tregua mi
ripagherà della delusione.”
Sherlock si ritrovò a sorridere, senza
averne avuta l’intenzione.
“Oh, quasi dimenticavo. Sherlock,
questo è da parte di Molly. Credevamo avessi decifrato il mistero.”
Sherlock osservò il pacchetto che lei
gli aveva poggiato sulle gambe, lo sollevò con due dita, stringendolo per il
fiocco.
“È inutile che ti dica cosa contiene,
giusto?”
“Torta al cioccolato”, desunse
Sherlock, annoiato.
“Prego”, ribatté Mary con un sorriso
enigmatico.
Decisamente, lei e Molly
avrebbero potuto competere in una gara di sorrisi incomprensibili e frasi
enigmatiche. E si sarebbe trattato di un ex aequo.
Sherlock
sgranò gli occhi. Ma certo! Che stupido
ottuso a non esserci arrivato prima!
Balzò
in piedi come una furia.
“Ed
eccolo che parte”, disse John, da qualche parte dietro di lui.
Sherlock
era già alla porta che indossava il Belstaff.
Mary
rise. “Siete due uomini molto fortunati, sapete. Siete circondati di persone leali,
meravigliose e pazienti: Molly, Mrs Hudson, Greg. E ora anche me.”
Sherlock
sentì John rispondere con qualche sciocchezza romantica e sentimentale.
Mary
li seguì giù per le scale, fino alla strada buia, dove Sherlock fischiò al taxi
che stava passando. “E così saremmo fortunati?” le chiese, voltandosi ad
osservarla da sopra la spalla.
Mary
annuì, serafica. “Altrettanto lo sono io.”
N/a:
Altro
esperimento di dubbie qualità (se ne ha, per l'appunto). Tentare tentare tentare. Procedere per tentativi.
Ambientata
un mese dopo The Empty Hearse.
Domanda
sciocca: voi lo sapevate che dall’inizio del primo episodio fino alla fine del terzo
trascorre un anno e un mese, più o meno? Io l’ho scoperto controllando le date
sul blog ufficiale del Dr Watson (http://www.johnwatsonblog.co.uk).
Questo
significa che il primo Natale lo hanno trascorso insieme!